34. Solo te
Schiudo le palpebre con un pizzico di fastidio, stuzzicata da una luce insistente che preme contro i miei occhi. La prima cosa che metto a fuoco è la finestra, che inonda la stanza di una luce autunnale è un po' malinconica. I vetri sono bagnati, segno che anche stanotte deve aver piovuto.
Completamente rilassata, alzo gli occhi sul petto su cui sono poggiata, sorridendo istintivamente. Sono praticamente prona per metà su Adrien, che dorme tranquillamente con un braccio attorno alla mia vita per tenermi vicina. Mi prendo qualche secondo solo per guardarlo dormire, ancora mezza addormentata e confusa. Fasci di luce gli bagnano la pelle abbronzata, mettendo in risalto i capelli dorati, mossi al limite della perfezione. Le labbra rosse e carnose sono serrate, e lievi respiri si alzano dalle narici del naso dritto, e il petto di alza e si abbassa sotto di me con movimenti quasi soffici. Il suo respiro si infrange sulla mia fronte, solleticandomi la pelle. Percorro con lo sguardo la linea dritta del petto e degli addominali, fino ad arrivare al punto dove la mia schiena e il suo ventre vengono coperti dal piumone bianco. Apro un po' di più gli occhi, quasi incredula che sia accaduta una cosa del genere a me. Robe assurde.
C'è il paese delle meraviglie lì sotto...ops.
I miei occhi cadono sulla sveglia dal lato opposto del letto, posta sul comodino scuro come un promemoria. Sono le sette, e tra pochi minuti dovrei alzarmi per andare a lavoro. Picchietto meditabonda le dita sul petto di Adrien e sospiro, alzando la testa per guardarlo in viso.
Piano, con voce di velluto, provo a svegliarlo.
«Adrien» lo chiamo scostando i capelli biondi dalla fronte. «Devi svegliarti. Dobbiamo andare a lavoro» niente. Respira ma è morto.
«Adrien» ritento puntellandomi con i gomiti sul materasso. «Sei vivo?»
Aggrotto le sopracciglia, con uno sguardo pieno di disappunto.
«Mamma mia, come avete il sonno pesante voi francesi» borbotto convinta di non essere ascoltata finché un sorriso furbo non gli increspa le labbra.
Ma che stronzo.
«Bastardo» soffio incontrando i suoi occhi.
«Sono vivo» asserisce con un sorriso divertito, a dir poco mozzafiato. Mi passa una mano sulla schiena, facendomi venire la pelle d'oca con un semplice sfioramento. Inclina il viso verso di me e poi mi bacia, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mi godo le sue labbra come se fossero zucchero, accarezzando le spalle possenti con un pizzico di soddisfazione.
«Hai la fronte calda» mugugno sulla sua bocca, quando passo le dita sulla sua fronte.
«No» ribatte fermamente, riprendendosi le mie labbra con prepotenza. Capovolge la situazione in un'attimo, facendomi rotolare sulla schiena delicatamente.
«Non è che Mr Faccio-il-bagno-nella-Senna ha preso la febbre?» lo fermo, passando le dita nei capelli color miele.
«Non ci pensare neanche» è la sua risposta pronta, mentre torreggia sua mio corpo, lasciando sfiorare i nostri petti nudi.
«Ce l'hai un termometro?», faccio per alzarmi, ma lui mi blocca.
«Sono sicuro di non avere la febbre» asserisce convinto.
«Allora non ti darà fastidio se la misuriamo» ribatto con l'espressione più incoraggiante che riesco a ottenere. Lui alza gli occhi al cielo, tirandosi a sedere per allungare un braccio verso il comodino. Fruga per qualche secondo alla cieca nel cassetto e poi ne tira fuori un termometro, porgendomelo.
«Toh, puoi giocare a fare l'infermiera sexy» mi dice strizzandomi l'occhio. Io scuoto la testa, divertita, e mi tiro a sedere, scuotendo il bastoncino di vetro finché non scende il mercurio.
«Alza il braccio» mormoro abbandonando le lenzuola sul materasso.
«Mi si alza qualcos'altro così» è la sua risposta pervertita.
«Maniaco» rido io, sistemando il termometro sotto il suo braccio. «Adesso stai fermo per otto minuti. Immobile»
«Guarda come detta legge» mi prende in giro lui, baciandomi la mano. «Che fai se ho la febbre?» mi chiede sfiorandomi le labbra con le sue e uno sguardo carico di lussuria che incastra nei miei occhi.
«Ti curo» replico lasciva, salendo a cavalcioni su di lui. Cattura le mie labbra in un bacio mozzafiato, mentre mi accarezza la schiena nuda con la mano libera.
«Si prospetta una terapia intensa» mormora sulle mie labbra con voce graffiante, provocandomi una scossa che si dirama dai reni al ventre.
«Molto intensa» sussurro io, muovendomi su di lui fino a strappargli un gemito basso. Mi piace da morire quando si lascia andare in questo modo, quando schiude le labbra con quell'aria di dispersione pura e i muscoli si contraggono. È così bello che mi fa girare la testa. Così sexy, sicuro, disinvolto. È premura e stronzaggine al tempo stesso. Ha bianco e nero ovunque, che fanno contrasto, che combattono per prendere il controllo.
«Toh, scaduto il tempo» con un sorriso furbo mi stacco dalle sue labbra, tirando via il termometro. Lui cerca di corrompermi mordicchiandomi il collo mentre leggo la temperatura.
«Trentotto. Non vai da nessuna parte oggi» asserisco perentoria.
«Io mi sento bene» replica risoluto, scrollando le spalle.
«Ma stai male. Lo dice il termometro» alzo la stecca di vetro con aria ovvia, arricciando le labbra.
«Sì, ma oggi c'è l'inaugurazione del nuovo negozio. Dai, prendo un'aspirina e mi faccio una doccia calda. Anzi, la facciamo insieme» non mi dà neanche il tempo di replicare che mi sta già baciando, togliendomi di mano il termometro. Mi porta in bagno tenendomi stretta a sé, facendomi gemere sulle sue labbra mentre apre l'acqua insinuando un ginocchio tra le mie gambe.
Scusate, chi l'ha detto che gli uomini con la febbre sono moribondi?
A me sembra tutto perfettamente sveglio. Tutto.
Mi bacia con lussuria, lascivo come non lo è mai stato. Sembra fatto per tentarmi, per attrarmi. È affascinante anche mentre controlla che l'acqua sia della giusta temperatura, quindi aggancia le mie cosce e io allaccio le gambe dietro la sua schiena. Intreccio le mani nei suoi capelli che piano piano raccolgono l'acqua, con il viso umido e le labbra incollate alle sue. Strusciarci così, a contatto e senza barriere, strappa a entrambi una serie di ansimi sommessi e sospiri.
«Merde» soffia quando si accorge di aver dimenticato un quadratino lucido che ci eviterà un bel po' di problemi tra nove mesi.
«Vado io» mormoro staccandomi dall'abbraccio. «Tu stai al caldo»
«Giuro che lo butto quel termometro» borbotta lui, lasciandomi andare a malincuore. Gli schiocco un'ultimo bacio sulle labbra e mi avvolgo in un'asciugamano, strofinando i piedi sul tappetino a terra per non bagnare il parquet. Torno in camera velocemente, aprendo il primo cassetto del comodino a destra, dove risiedono i fatidici preservativi, la famosa agenda, un caricatore per il cellulare e delle cuffiette.
Chissà dove nascondi i segreti, Leroy.
«Amà, prendi pure un'altro asciugamano? Ultimo cassetto dell'armadio, credo»
«Credi?»
«Non lo so, non sto mai a casa. L'ultima volta che me ne sono occupato io erano lì. Poi che ne so che diavolo ci fa quella filippina con la mia roba?».
Mi sfugge una risata mentre raggiungo l'armadio, aprendo l'ultimo cassetto.
Ci sono le lenzuola. Genio.
Nel penultimo trovo una pila di asciugamani, quindi mi preoccupo di prenderne uno e poi la mia attenzione viene catturata da una scatola lucida, abbandona in fondo, sotto asciugamani di spugna e teli di lino.
«Cheriè, hai fatto o stai cercando un'arma da fuoco con cui accusarmi di omicidio?» la voce divertita di Adrien mi impedisce di guardare anche il catalogo. Rimetto velocemente il bigliettino tra fiocco e confezione ricoprendolo con gli asciugamani, per poi alzarmi e tornare in bagno con un'asciugamano e gli ingranaggi della testa che lavorano in cerca di una soluzione.
Smetto di avere facoltà di pensiero quando i miei occhi incontrano la figura di Adrien sotto la doccia, l'acqua che scorre sui muscoli scolpiti e i capelli biondi tirati indietro. Mi sfugge un sorriso mentre rientro in doccia, scostandomi da davanti al viso le mie ciocche castane.
«Ta-daa» alzo il quadratino lucido con due dita, godendomi le sue mani sulla mia vita. Il suo tocco mi infiamma, mozzandomi il respiro. Si prende le mie labbra con desiderio, poi con dolcezza, alterna lussuria a premura, passione a dolcezza. Mi fa impazzire, mi travolge, mi confonde. Non ci capisco più niente.
Intreccio le dita tra i suoi capelli bagnati, spingendolo sulle mie labbra. Adesso so solo che voglio di più. Più lui, più baci, più carezze, più amore. E anche se non ci credo, adesso mi sembra un sogno così vicino da poterlo sfilare con le dita, quindi mi abbandono alla speranza di non venir spezzata un domani.
Sotto l'acqua calda mi lascio investire da una sensazione strana, che si dirama nel mio petto come un respiro d'aria gelata d'inverno. Non ci posso fare niente, non riesco a fermarmi. Mi avvinghio a lui, tastando i muscoli della schiena con un sospiro sulle sue labbra rosse e carnose.
Di nuovo, finisco incastrata contro la parete fredda della doccia, in balia di Adrien, che mi tratta come se fossi un frutto, assaporandomi ora dolcemente e ora con foga. Mi sciolgo tra le sue mani, premendo le dita sulle sue spalle mentre mi costringe a reclinare la testa indietro per l'intensità delle sensazioni quando mi invade con una sola e possente spinta. Gemo incontrollatamente, inebriata ancor di più dai suoi sospiri, dagli ansimi rochi che si uniscono ai miei, dal suo piacere che unito al mio è ancora meglio. Il ritmo sempre più incalzante delle sue spinte mi porta alla follia, invasa da un calore che mi sembra fuoco puro sulla mia pelle bagnata. Veniamo insieme, avvinghiati sotto l'acqua calda che scorre sui nostri corpi.
Dopo questo primo amplesso costringo Adrien ad asciugarsi i capelli con il phon, tastandogli continuamente la fronte calda. Prende un'aspirina con evidente disgusto e poi facciamo colazione in cucina, accompagnati dal tè caldo che si rifiuta di bere.
«Senti una cosa» esordisco prendendo un sorso di caffè. Adrien alza gli occhi su di me, spalmando del burro su una fetta di pane. «Come hai fatto a non spaccare la faccia a Alexis quando hai saputo cosa faceva? Perché io davvero, non riesco a immaginare Edoardo senza una pistola alla tempia al momento», la mia voce prende una piega amara, mentre picchietto le dita sulla tazza di ceramica bianca.
«In realtà l'ho fatto» ammette senza problemi. «Gli ho spaccato il sopracciglio. Poi però lui è scappato in California con tuo fratello e non ho potuto continuare la mia opera d'arte il giorno dopo». Sgrano gli occhi cominciando a tossire, mentre le parole "In California con tuo fratello" mi arrivano al cervello.
«Scusa» comincio, tossendo come un'assatanata. «Quale California?» mi porto una mano alla gola, strappandogli una risata.
«Amà, calma, eh» mi dice battendomi una mano sulla schiena. «Hanno fatto affari per due anni in America. Non hai notato una certa evanescenza per diciotto mesi?» mi chiede incredulo.
No vabbè, io Edoardo lo ammazzo
Giulia sto cazzo. Anno sabbatico tra cocaina e marijuana?!
«Sì, ma la versione che conoscevo era un po' diversa» replico con voce strozzata. Lui mi passa un fazzoletto, alzando un sopracciglio.
«Cioè?»
«Cioè la sua ragazza che lo molla poco prima che lui le chiedesse di sposarlo, e una sottospecie di ritiro spirituale chissà dove. Non spaccio di cocaina in California»
«Sta' tranquilla, si occupano solo di marijuana e crack» mi rassicura con una risata amara.
«Ma tu come ci sei finito in mezzo?». Lui addenta la fetta di pane, stringendosi nelle spalle.
«Mettiamola così: non mi potevo permettere di perdere "nessun pezzo"» alza le dita in aria a simulare delle virgolette. «Quindi sto facendo il possibile per evitare che i miei fratelli soffrano o finiscano nei guai». La semplicità con cui lo dice mi colpisce dritta al cuore, una cosa così semplice e leale che non mi sembra neanche vera.
«Non ho capito la parte dei pezzi» ammetto con una punta di imbarazzo. Lui mi rassicura con un mezzo sorriso.
«Diciamo che non voglio che mia madre soffra ancora e quindi, in qualità di figlio maggiore, faccio in modo di tenere la famiglia unita. Per questo aiuto Camille con il club, Alexis a non rimanere ammazzato e faccio su e giù da Roma a Parigi per...beh, tutto il resto» scrolla le spalle per sviare la conversazione, come a togliersela di dosso.
«Mi dispiace» è l'unica cosa cosa che riesco a dire, senza parole.
C'è chi non ha mai avuto amore e chi per amore soffre tutti i giorni.
«Va bene così. Vuoi altro caffè?».
La conversazione si chiude così, e non viene più toccata.
Passo da casa, consapevole che a quest'ora non troverò nessuno, e invece vengo colta in flagrante. Appena apro la porta mi trovo davanti Grace, che mi guarda con un misto di desolazione e rabbia.
«Amy» piagnucola muovendo un passo verso di me. E a me viene solo in mente che dopo così tanti anni pure lei è andata a letto con Edoardo. «Ma dove sei stata?» le rotolano giù due lacrime dagli occhi, mentre si torce le mani.
«Da mia madre» replico con il tono più indifferente che riesco ad ottenere davanti alla sua faccia disperata.
«I-io volevo parlarti» azzarda rimanendo piantata davanti all'ingresso. «Ti prego»
«Vuoi spiegarmi meglio come ti sei scopata mio fratello?» sibilo senza riflettere. E l'occhiata che mi lancia mi fa capire che l'ho ferita.
«Amy-»
«Amy cosa? Amy, mi dispiace essermi fatta Edoardo? Amy, mi dispiace aver tradito Giovanni per quel coglione patentato di Edo?» mi sbatto la porta alle spalle, sorpassandola per andare in camera mia. Lei mi segue, biascicando parole senza senso.
«Io non volevo! Ma è successo, okay? E a Giovanni, se è per questo, l'ho già detto». Piombo in camera mia, aprendo l'armadio con un gesto pieno di stizza.
«Brava, hai fatto la stronzata del mese. Credi che lui ti ami? Edoardo non ne è capace! Non pensare che sarete una coppietta felice come tutte le altre, perché lui proprio non ce la fa!» mi sfuggono dalle mani i primi pantaloni che provo a prendere, mentre lei trattiene a stento le lacrime.
«Tu non lo conosci» singhiozza appoggiata allo stipite.
«Io?! Io lo so perfettamente che tra qualche giorno si scoperà un'altra e tu sarai stata una delle tante! Ma da quanto tempo poi, andava avanti questa storia?» mi volto verso di lei, furiosa al limite del possibile. Lei tira su con il naso, passandosi le dita sotto gli occhi.
«Qualche settimana» soffia abbassando lo sguardo.
«Qualche settimana» ripeto io, scuotendo la testa. «Spero che tu almeno sapessi che spaccia» commento amareggiata, infilandomi un maglione pulito.
«Non ne sapevo niente, davvero» soffoca un singhiozzo, scostandosi da davanti il viso i riccioli ramati. «Perdonami Amy, ti prego»
«Non sono arrabbiata con te Grace, non davvero almeno. Però dammi tempo per metabolizzare la cosa» ringhio ancora, infilandomi con stizza un paio di jeans. Indosso le scarpe senza neanche guardarla, prendendo un vestito per l'inaugurazione di stasera e infilandolo nella mia borsa senza fiatare. Mi trucco velocemente, rasentando l'isterismo quando sono costretta a togliere un grumo di mascara dalle mie ciglia.
«Stasera torni qui?» mi chiede Grace, bloccandomi prima che possa uscire dalla mia stanza. «Anche Edoardo voleva parlarti»
«Non lo so. Edoardo non lo voglio proprio vedere, guarda. Ciao» la supero senza guardarla e poi recupero il mio cellulare dal mobile dell'ingresso, abbandonato qui da mercoledì sera. Esco di casa velocemente, chiudendomi la porta alle spalle con un po' di malinconia. Scendo le scale lentamente, quasi spossata, e poi alzo lo sguardo per rispondere alla chiamata di Marco.
«Ehi» lo saluto uscendo nell'androne del palazzo.
«Ehi, come va?» cos'è? Uno scherzo?
«Diciamo bene. Tu?»
«Bene. Che fai stasera?»
«Ho l'inaugurazione della nuova pasticceria. Perché?»
«Niente, volevo vederti» replica con un tono deluso che mi strappa una mezza risata.
«Puoi venire, se ti va» mi stringo nelle spalle anche se so che non può vedermi, passeggiando per il cortile.
«A che ora?»
«Otto e mezza. Porta qualcuno, più siamo meglio è»
«Mandami l'indirizzo. A dopo, Amà».
***
«Esci» cerco di spingere fuori dagli spogliatoi Adrien, ridacchiando.
«Mi devo cambiare anch'io» obbietta lui, ridendo con me.
«Tu ci metti di meno. Fai fare prima a me» premo le mani sui suoi pettorali, in un vago tentativo di respingerlo.
«Insieme facciamo prima» mi attira a sé, circondandomi la vita con le braccia mentre mi lascia un bacio sulla guancia. Ruffiano.
«Insieme non ci vestiamo proprio» gli faccio presente incontrando i suoi occhi. «E poi gli altri sono usciti, non possiamo farli aspettare per anni»
«Ti assicuro che posso farti venire in cinque minuti scarsi» replica con voce graffiante, iniettandomi la libido nel sangue con un solo sguardo.
«Adrien!» protesto reclinando la testa all'indietro, travolta dai baci che mi lascia sul collo. «Non puoi fare così» protesto senza alcuna convinzione.
«Così, come?» ride lui, soffiando sulla mia pelle sensibile.
«Così» ribatto io, sospirando.
«Come vuoi» fa per allontanarsi, quando io trattengo le mani intrecciate dietro la sua schiena.
«No, ho cambiato idea» lo tengo ancorato a me per quanto posso, posando il mento sul suo petto.
«Ce la fate prima di domani?» la voce di Giovanna, inasprita al limite del possibile, spezza il momento, richiamandomi alla realtà.
«N'attimo, Giovà» sbraita Adrien, districandosi delicatamente dall'abbraccio. Io mi preoccupo di recuperare il mio abito e spogliarmi per indossarlo, guardandomi con occhio critico allo specchio del mio armadietto.
Ma perché ho scelto questo? Io odio il bianco.
È un'abito semplice, con scollo a V e maniche leggere. Mi fascia perfettamente fino alla vita, dove si apre in una gonna morbida e candida. Allaccio una collanina dorata attorno al collo e poi sciolgo i capelli, pettinandoli con le dita.
«Stamattina ero proprio rincoglionita» commento chiudendo l'armadietto con un gesto impaziente. Mi volto, incontrando la figura di Adrien, che ha indossato dei pantaloni blu e una camicia bianca che gli fascia perfettamente il torace scolpito. Si passa una mano nei capelli per spostarli di lato e poi si volta per chiudere l'armadietto.
Ma tu guarda che bel lato B.
Non è possibile, è tutto perfetto.
Mi metto in spalla la mia borsa e osservo attentamente l'ampia schiena e le spalle dal taglio dritto con una strana punta di soddisfazione.
«Amà, stai a fa' la radiografia?» ride all'improvviso, voltandomi.
«Tu hai gli occhi dietro la testa?». Mi godo il suo sguardo su di me, che mi osserva come se fossi la cosa più bella del mondo.
«Mi sento osservato» replica poi, camminando verso di me. «Tu piuttosto, non credi di essere un po' troppo bella?» mi tremano le gambe per un'attimo mentre mi passa le mani in vita e mi accarezza delicatamente.
«Ti piace l'abito?» gli chiedo con una smorfia strana.
«Mi piacerebbe ancora di più togliertelo» sussurra con voce roca, accostando le labbra al mio orecchio. Dio, dammi una stanza.
E menomale che ha la febbre.
«Li state cucendo gli abiti, lì dentro?» questa volta è Tommaso a disturbarsi di interrompere l'atmosfera di tensione che regna negli spogliatoi.
«Tommaso, tu sempre in mezzo alle palle eh» sbraita Adrien, uscendo controvoglia dalla stanza. Il mio collega mi scocca una brutta occhiata mentre entra negli spogliatoi, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
«Se venite insieme voi due io vado» Chiara mi batte una mano sulla spalla, perfettamente a suo agio su due tacchi rosso fuoco e un tailleur elegante rosa confetto.
«C-certo» replico io, tra lo spiazzato e il sorpreso. Lei mi saluta con un sorriso e poi se me va, uscendo dal negozio con un sorriso smagliante in viso. Dalla vetrina trasparente intravedo un ragazzo, probabilmente Matteo, che la bacia si poi si incammina con lei verso destra.
«Si sposa» sospiro con un po' di sollievo.
«Chi?» Adrien intercetta il mio sguardo, con le mani in testa e la camicia bianca a fasciargli perfettamente il petto.
«Chiara. Ne abbiamo parlato un po' di tempo fa. Magari fanno anche dei bambini» mi sfugge un'altro sorriso, conferma del fatto che ormai Chiara è una delle mie colleghe preferite.
«Beh, se ne riparla tra un po' di questo» fa lui, con una smorfia.
«Perché?»
«Perché ce ne vuole di tempo prima che organizzino il matrimonio, si sistemino e poi lei rimanga incinta. Non accade come un...sortilège» conclude scrollando le spalle.
«Vero» replico io, un po' demoralizzata. «Andiamo?».
Seguo Adrien fino alla moto, e salgo dietro di lui dopo numerose proteste. Tecnicamente dovrei ancora dirgli che ci sarà anche Marco, ma sto cercando di tergiversare il più possibile. Non ho idea di come potrebbe reagire e non voglio saperlo. Quando arriviamo all'indirizzo fornitoci dal capo, c'è già un po' di gente attorno all'entrata.
Il nuovo negozio affaccia su Piazzale Flaminio, a pochi metri da Piazza del Popolo. Illuminato dalle luci degli altri negozi, la nuova pasticceria sfoggia una vetrina simile a quella di Fontana di Trevi, delicata ed elegante.
E niente, ogni mio tentativo di tergiversare viene distrutto da Marco, che è già all'interno del negozio.
«Ma tu guarda» ringhia Adrien, stringendomi la mano. «Matteo».
Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo e lo trattengo, tirandolo per il braccio.
«Più siamo, meglio è, no?» domando con voce tremante.
Lui mi fulmina con lo sguardo in tutta risposta, avvicinandosi a me con l'aria di un predatore.
«Più siamo senza Matteo, meglio è, vorrai dire» mi corregge abbassando il viso per incontrare i miei occhi. Sfiora il mio naso con il suo, senza dare segno di volermi baciare. Il suo respiro caldo si infrange sulla mia pelle, mettendo a dura prova il mio autocontrollo.
«Per caso sei geloso, Leroy?»
«No, perché mi fido di te. Certo, se a quel coglione cascassero gli occhi non mi dispiacerebbe». Mi scappa una risata, mentre passo una mano sul tessuto liscio della camicia. A volte mi chiedo se sia possibile che le persone così sicure e belle possano pensare di essere rimpiazzati, odiati, rifiutati.
«Vedi di non farglieli cascare te, gli occhi» mormoro accennando un sorriso.
«Vedrò cosa posso fare».
Adrien e Marco si lanciano occhiatacce per tutta la serata. La situazione non migliora quando ci si mette in mezzo anche Tommaso. I tre deficienti se ne stanno ognuno ad un'angolo della stanza, sorseggiando prosecco con l'aria di tre serial killer che non sanno chi ammazzare prima. Per fortuna a un certo punto il cellulare di Adrien comincia a squillare, e lui esce dal negozio facendosi strada tra le persone per rispondere. È in questo momento che Marco si avvicina a me, con una smorfia sul viso.
«Ti va di prendere un po' d'aria?» mi chiede subito, abbandonando su un tavolino il suo bicchiere. Annuisco pigramente, seguendolo tra la gente per arrivare sul marciapiede e prendere un lungo respiro d'aria fresca.
«Certo, una palla al piede, quel francese» cominciamo male.
«Cosa?» aggrotto le sopracciglia, incontrando i suoi occhi limpidi.
«Ma sì dai, ti ronza sempre attorno. Scassa un po', ecco» si stringe nelle spalle, quasi divertito. Siamo troppo vicini, non mi piace.
«Marco cos-» le parole mi muoio in bocca quando lui si sbilancia verso di me e mi bacia, premendo con forza le labbra sulle mie. Premo una mano sul suo petto ma non basta, e le sue braccia mi stringono le braccia. Lascio cadere il bicchiere con un tonfo e lo spingo via con uno spintone.
«Ma che fai?» retrocedo di qualche passo, quasi scottata.
«Dai Amà, basta con questo tira e molla. È un sacco di tempo che mi piaci, e tu non mi hai mai respinto» mentre parla i miei occhi corrono alle sue spalle, dove uno sguardo gelido mi trapassa da parte a parte. Adrien contrae la mascella, con le mani in tasca e un'espressione omicida in viso.
«Marco senti, ne riparliamo dopo eh» lo sorpasso di corsa, camminando velocemente verso Adrien. Lui mi guarda, impassibile, prendendo un tiro dalla sigaretta che tiene tra indice e medio. E c'è qualcosa nel suo sguardo, che mi mette paura.
Rimane in silenzio anche quando arrivo davanti a lui, distogliendo lo sguardo.
«Hai visto, no? Mi ha baciata lui» comincio con voce tremante, torcendomi le mani.
«Ho visto» la sua voce, profonda e bassa, mi toglie perfino il respiro.
«E?»
«E stanno passando bruttissime immagini da film splatter nella mia testa» esce come un ringhio, mentre calpesta la sigaretta spenta con evidente irritazione. «E sono incazzato nero» aggiunge poi, stringendo i denti.
«Ma-»
«Ma niente, Amanda. Se stai per dirmi che non è colpa tua, già lo so»
«E allora perché sei arrabbiato?»
«Perché un coglione ti ha appena baciata! Ma che cazzo di domande fai?» finalmente incontra il mio sguardo, inghiottendomi in un paio di occhi che ora sembrano blu notte.
«Lo sai che non volevo» è la mia maturissima risposta.
«Sì, beh, intanto è successo», muove nervosamente la bocca, irritato.
«Non puoi arrabbiarti con me per qualcosa che non ho fatto» sibilo avvicinandomi a lui. Adrien si ritrae, facendo un passo indietro. Rimango spiazzata da questo gesto, e un brutto vuoto si prende il mio petto.
«Lo so» replica duramente, tenendosi a debita distanza da me. «Senti, io devo partire. Queste sono le chiavi di casa mia se non vuoi tornare da te» mi prende la mano, lasciandomi sul palmo le sue chiavi, e poi mi sorpassa velocemente. Mi volto verso di lui, osservando con la bocca aperta le sue spalle dal taglio dritto che si allontanano verso la sua moto, parcheggiata vicino a Porta del Popolo.
«Adrien!» lo richiamo correndogli dietro. Lui mi ignora, continuando a camminare con le mani in tasca. Lo raggiungo velocemente, senza osare toccarlo.
«Ma dove vai? Sei malato!» il mio tono rasenta la supplica, mentre gli corro dietro sempre più invasa da quella sensazione disarmante.
«Sto benissimo» sibila lui, camminando più veloce.
«Non puoi prendere e...e partire così! Di punto in bianco»
«Ah no?» è la sua risposta sarcastica.
«Dimmi almeno dove vai, per quanto stai via» fatico a stargli dietro, ma continuo a seguirlo, sempre più vicina alle lacrime. Quando si è ritratto, quando mi ha evitata come se non volesse avere a che fare con me mi è sembrato che mi pungessero con mille spilli, che mi spezzassero a metà.
«Parigi. Due giorni, forse tre» replica sbrigativo, aprendo il baule della moto con un gesto secco.
«Ma non mangi nulla? E la valigia?» lo guardo con un misto di desolazione e preoccupazione mentre copre i capelli biondi con il casco e si mette a cavallo della moto, togliendo il cavalletto.
«Sta' tranquilla e fammi il favore: fatti accompagnare a casa» ringhia lui, prima di mettere in moto e lasciarmi così, in mezzo alla strada con le lacrime agli occhi.
Ehilà gente
Sento solo io vento di burrasca?
Ah, siete voi con i forconi? C'è la fila per ammazzarmi ragazze, una alla volta. Allora, quelle che vogliono il mio indirizzo per le minacce verbali a destra...sì, così, quelle con intenti più brutali si sistemino pure a sinistra, ecco. Adesso che siamo in ordine possiamo parlare.
Aaaaaallora
Parto col dire che non ho revisionato. Quindi se ci sono obbrobri chiudete gli occhi pls. Che ve n'è parso del capitolo?
Lo so che fa infinito. Tipo 4500 parole
Quanto odiate Marco? E Adrien?
Madonna quanto è coglione certe volte.
Adesso se ne scappa in Francia, bastardo. Vabbè dai, che dite?
Faranno pace? Amanda e Grace che fine faranno?
Io spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi lascio perché il correttore automatico mi sta facendo irritare.
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
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