28. Dammi un bacio
«Piantala» sbuffa il mio collega, quando gli porgo l'ultima forchettata di pasta.
«È tua» replico io, con una smorfia. Lui accenna un sorriso, facendomi sciogliere con quell'espressione tra lo scocciato e il divertito.
«Non ne voglio più» replica gettando la testa all'indietro, semisdraiato sulla sedia da esterno, con le gambe stese.
«Mi hai ricattata per farne altra e ora non ne vuoi più?» sollevo un sopracciglio, tenendo sospesa nel vuoto la forchetta.
«Potevi dirmi che tu non mangi praticamente» ride lui, mentre io scuoto la testa.
«Ho mangiato!» ribatto abbandonando la forchetta nel piatto che ho davanti. Lui ride ancora, passandosi una mano nei capelli. Dopo che Asia, sua sorella e sua madre sono tornate nel loro appartamento, Adrien si è lamentato di avere ancora fame, e siamo finiti a cuocere altra pasta.
«Certo, e io vengo proprio dalla Nigeria» replica lui, senza smettere di ridacchiare. «Come ti senti? Hai ancora Satana dentro di te?» mi prende per il culo, continuamente.
«Hai finito? Cosa devo fare per farti dimenticare tutte le mie figure di merda?»
«Non le dimenticherò mai. Soprattutto la caduta dal letto stile sacco di patate» continua a ridacchiare, aiutandomi a recuperare i piatti sporchi. Io scuoto la testa, attraversando il salotto fino alla cucina. Mi piego per aprire la lavastoviglie, infilando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Prospettiva interessante» sghignazza lui, appoggiato allo stipite della porta.
«Maniaco, e pure francese» ridacchio mettendomi le mani sui fianchi dopo aver raddrizzato la schiena, nel tentativo di sembrare minacciosa. Lui mi raggiunge con due falcate e un sorriso furbo sulle labbra per poi circondarmi la vita con le braccia.
«Maniaco non so, francese di sicuro» soffia divertito, a un palmo dalle mie labbra. A me si mozza il fiato, mentre porto istintivamente le mani dietro la sua nuca. Mi bacia d'impeto, facendomi sbilanciare all'indietro, incendiandomi.
Mi stringe i fianchi, eliminando qualunque tipo di spazio tra noi. In poco tempo finisco incastrata tra Adrien e il bancone, mentre tento di tenere testa al suo desiderio. Gli stringo i capelli, spingendolo sulla mia bocca con la sensazione di star perdendo ogni briciolo di rapporto professionale.
Ma che cazzate dico? Abbiamo perso la professionalità quando lui ha cominciato a parlare di afrodisiaci e io l'ho insultato davanti a una schiera di vecchietti.
È famelico, passionale, insaziabile e dolcissimo.
Mi tira su sul piano della cucina, infilando le mani sotto la maglietta, mentre io ansimo godendomi la sensazione delle sue mani su di me. Stringo le gambe contro i suoi fianchi, tenendolo incollato a me mentre lascia scorrere le mani sulla mia schiena, sollevando la sua t-shirt sulla mia pelle. Insinua la lingua nella mia bocca mentre io gemo ancora, lasciando scorrere una mia gamba sulla sua. Scendo con le mani sui suoi pettorali, accarezzando poi gli addominali prima di riuscire a sollevare l'orlo della maglietta e toccare la sua pelle calda. Mi morde delicatamente il labbro inferiore, prima di liberarsi della sua t-shirt con un gesto veloce. Mugolo di piacere toccando la schiena muscolosa mentre un cellulare da qualche parte comincia a squillare.
«È il tuo» soffia lui, scendendo a baciarmi la pelle tra la mascella e il collo. Io allungo una mano alla cieca, ricordando vagamente di aver lasciato qui il mio telefono. Lo trovo dopo parecchi tentativi, distratta dalle labbra di Adrien sulla mia pelle.
«Sì?» soffio senza neanche guardare il mittente.
«Amanda, ma che cazzo di fine hai fatto?» la voce di mio fratello mi riporta alla realtà, dove io vorrei solo distruggere il cellulare contro il muro.
«Sto...tornando a casa?» replico io con voce strozzata, mentre Adrien infila la testa sotto la mia maglietta. Mi mordo il labbro, trattenendo un sospiro.
«Tra quanto arrivi?»
«Pochissimo» rispondo subito, sentendo il mio collega ridacchiare.
«J'espère ça» lo sento sussurrare, mentre gli mollo una schiaffo sulla pelle abbronzata.
«Va bene, ti aspetto allora» replica Edoardo, prima che io chiuda la chiamata di corsa, lasciandomi andare a un gemito sommesso. Il mio collega mi lascia un'ultimo bacio sullo sterno, prima di soffiare sulla mia pelle.
«Devi andare?» Adrien tira fuori la testa da sotto la mia maglietta, incontrando i miei occhi. Io annuisco, mentre lui mi aiuta a scendere dal bancone della cucina. Recupera la sua maglietta da terra, e io invece passo in camera da letto, rimettendomi il mio vestito. Lui mi aspetta all'ingresso già con le scarpe e la giacca di pelle addosso.
E lo giuro, non ci riesco a non pensare a quanto sia bello.
Infilo i miei stivaletti camminando, sotto il suo sguardo divertito. Mi apre la porta, chiudendosela poi alle spalle quando siamo fuori per dare due mandate di chiave e cominciare a scendere le scale, dopo avermi preso per mano, come se fosse perfettamente normale. E io vorrei che lo fosse.
Spuntiamo in un giardinetto che dà direttamente sulla strada che finisce nel parco, uscendo dal cancelletto continuando a tenerci per mano. Camminiamo in silenzio per le strade ombreggiate dagli oleandri, quando a me arriva un messaggio di Anita e la mia felicità si smonta.
Quante volte l'avrà baciata come ha baciato me?
Sono una pessima persona se mi piace il ragazzo che piace a lei?
Ma soprattutto, che succede adesso?
Rinfilo il mio cellulare in borsa, rabbuiata. Adrien sembra accorgersene,perché mi guarda per qualche secondo, prima di parlare.
«Che hai? Ti senti male?» ma quanto può essere dolce?
Io scuoto la testa, accennando un sorriso tirato. «Mi è solo arrivato un messaggio da Anita» spiego scrollando le spalle.
«Anita?» mi chiede lui, rallentando il passo.
«Anita. Hai presente? Bionda, magra, siete amici intimi» replico abbassando lo sguardo. Lui si ferma, tirandomi per il braccio.
«Cosa ti fa pensare che siamo amici intimi?» mi chiede perplesso, rabbuiandosi esattamente come me. Io sospiro, incontrando il suo sguardo.
«Quello che ho sentito» replico scrollando le spalle.
Vorrei che non mi interessasse chi ti fai nel tempo libero, e invece eccoci qui.
«Quello che hai sentito, capisco» replica con una punta di sarcasmo nella voce. «E per la cronaca, cosa avresti sentito?»
«Le sue lodi alle tue doti sessuali» assottiglio lo sguardo, buttando un po' d'aria fuori dalle labbra. E poi lui scoppia a ridere. «Cosa ridi?» sputo acida, lasciandogli la mano definitivamente per incrociare le braccia al petto.
«Mi fa ridere il fatto che si vanti di due scopate ottenute dopo tre mesi di rotture di coglioni» mi dice posandomi le mani in vita.
«Due scopate?» quello che ho sentito io somiglia più a duecento.
«Tre al massimo. Quattro se conti le sveltine, toh» al contrario di me, sembra quasi divertito. «Tu per caso sei gelosa?», io evito il suo sguardo, abbassando gli occhi sulle mie scarpe.
«No» replico battendo un piede a terra. «Ma ho l'impressione che tu giochi un po' con tutte» sospiro senza avere il coraggio di alzare gli occhi.
«Ah beh, sono contento dell'opinione che hai di me» commenta amareggiato, allontanandosi da me, come scottato. Riprende a camminare, senza neanche preoccuparsi che io lo segua.
E io capisco di averlo offeso.
«Adrien» lo chiamo ferma come un palo in mezzo alla strada. Lui non si gira, non mi parla, non mi guarda neanche. Si ferma e basta, piantato al centro del marciapiede. «Mi dispiace» esordisco osservandolo. Lui si volta, con un'espressione talmente gelida da spegnere anche un vulcano.
«Sai cosa? Forse è meglio che vada a scopare con Anita, ci vediamo lunedì» mi dice trafiggendomi con i suoi occhi, che hanno preso il colore del mare in tempesta, prima di voltare l'angolo e scomparire alla mia vista.
Mi lascia sola, e in fondo so che me lo merito.
Ecco perché l'amore non esiste: le persone non durano insieme.
Quando arrivo a casa incontro Grace nell'androne, che vuota la cassetta della posta.
«Ehi, perché quella faccia? Ti ho messo nelle mani del ragazzo più sexy che conosciamo» mi saluta così, con un sorriso radioso e un pacco di Amazon tra le braccia. Mi arriva al cervello solo ora che lei non mi ha fatto riportare a casa perché le avevo detto che Adrien mi piace, e adesso mi viene pure un po' da piangere.
«Abbiamo litigato» confesso stringendo il manico della mia borsa. Lei apre la bocca, e poi mi lascia il pacco tra le mani.
«Prima o dopo questo?» mormora sistemandomi la scollatura del vestito, da dove si intravede una macchia rossa che prima non avevo notato.
Adesso piango. E non ci sarà autocontrollo che regga.
«Dopo. Ho fatto un casino» sospiro affranta. Lei mi passa un braccio attorno alle spalle, lasciandomi un bacio sui capelli.
«Dai, tanto alla fine fate pace»
«No, perché sono una stronza. Andava tutto bene finché non l'ho praticamente insultato»
«Sono sicura che non se l'è presa» cerca di rassicurarmi in tutti i modi, ma il mio umore rimane comunque sotto San Pietro.
«Gli ho dato del puttaniere, e lui è stato così gentile con me» piagnucolo sconsolata. «E poi ci siamo baciati e...e boh, ho perso la testa»
«Dai Amy, capita a tutti di sbagliare» mi trascina verso la nostra scala, costringendomi a salire le scale. Entriamo in casa in silenzio, quindi saluto Edoardo con un cenno e mi chiudo in camera, gettandomi sul mio letto, che non è minimamente comodo quanto quello di Adrien.
Mi sento una pessima persona. E già mi mancano le sue labbra sulle mie.
Va a finire che mi addormento ancora vestita, e quando mi sveglio, alle sei di domenica mattina, i ricordi dell'accaduto mi fanno venire di affogare in doccia.
Trascorro la giornata di domenica tra la convinzione di dovere delle scuse al mio collega, e quella che Anna Premoli si è fumata un cannone per aver fatto innamorare Maddison e Mark. Alla fine però, il fatto che ci sia un lieto fine, mi rasserena un po'. Verso sera Marco mi chiama, scusandosi per mille volte, senza ascoltarmi neanche quando gli dico di non preoccuparsi. Ceno con un pacchetto di Gocciole in camera, mentre mi deprimo davanti a un film romantico. Grace mi ha contagiata.
Il mio umore peggiora quando gli unici messaggi che mi arrivano sono quelli della Tim, mentre dal mio collega francese nulla. Ovviamente.
Lunedì mattina mi sveglio di buon umore, stranamente. Ignoro la partecipazione del matrimonio che mi fissa, abbandonata sulla scrivania, e mi vesto con cura, indossando una gonna scozzese e un dolcevita nero. Mi trucco attentamente, enfatizzando i miei occhi e poi passo un rossetto color ciliegia sulle mie labbra, spruzzandomi addosso il mio profumo preferito.
Se devo chiedere scusa, farò in modo che non mi si possa dire di no.
Esco di casa perfettamente in orario, mettendomi in macchina con un sorriso sulle labbra. Avvio la mia playlist preferita e mi lascio inglobare nel traffico del lunedì mattina, senza suonare il clacson neanche una volta. Quando arrivo in laboratorio, esattamente come mi aspettavo, Adrien non è ancora arrivato, quindi esco di nuovo, con la scusa di andare a prendere un caffè. Faccio un giro dell'isolato finché non lo vedo arrivare, con quella solita aria da dio greco dannato sceso in terra.
Per un'attimo smetto di respirare, schiudendo le labbra davanti al suo maglione, perfettamente intonato ai suoi occhi, indossato sotto al chiodo di pelle, e quando poi mi riprendo lui ormai è a pochi passi da me.
Ha capito che è autunno, finalmente.
Approfitto del gruppo di turisti che passa tra noi e mi piazzo davanti all'ingresso della pasticceria, aspettando che mi veda.
Quando finalmente riesce a farsi strada tra le persone e ci troviamo faccia a faccia, io perdo un battito. Mi guarda per un lungo istante, e lo so che è sorpreso di vedermi davanti a lui, quando probabilmente pensava che mi sarei offesa a mia volta e che non ci saremmo parlati per giorni.
Ma con me non funziona così.
Lascia scorrere i suoi occhi su di me, infiammandomi con un solo sguardo mentre accarezza con quei pozzi azzurri il mio corpo, per poi incrociare i miei di occhi, e deglutire. Contrae la mascella, tenendo le mani in tasca.
«Ciao» lo saluto ad alta voce. «Ti devo parlare». Lo vedo che il suo sguardo balena dall'ira all'indifferenza, ma non mi scoraggio.
«Non ho nulla da dirti» tuona impassibile. E io sorrido, avvicinandomi di qualche passo.
«Ho detto che io devo parlarti»
«Non vorrei giocare anche con te, Amanda» ouch, colpo basso.
«Ascoltami per cinque minuti» replico alzando il mento per guardarlo in viso. Lui mi guarda per qualche secondo, inumidendosi le labbra.
«No» afferma sicuro, prima di aggirarmi ed entrare in pasticceria.
Sei uno stronzo Leroy, pure più di me.
Lo seguo senza esitazioni nel negozio, dove si è già cambiato ed è entrato in laboratorio. Trattengo un urlo di frustrazione e mi infilo la camicia della divisa, raggiungendo lui e Tommaso. Il clima è gelido, tanto che non riesco neanche ad alzare lo sguardo dalla tensione. Quando vedo gli ordini di oggi; due dozzine di macaron alla fragola e una Torta Saint Honore mi sembra che il karma si stia prendendo gioco di me.
E sono divisa tra il ridere e il piangere.
Dopo qualche domanda sul mio stato di salute spiego a tutti di stare bene, mi metto a lavoro appena Chiara mi raggiunge, infossandomi con lei nella preparazione della torta. A metà processo mi viene un po' da piangere dalla disperazione, tra la crema e le meringhe sbriciolate, ma non mi lascio abbattere e continuo imperterrita, lavorando instancabilmente.
A ora di pranzo sono talmente colata a picco con l'ultima briciola di autocontrollo che mi è rimasta, che butto tutta la crema e decido di rifarla.
Tra Adrien, mia madre e la torta non so cosa sia peggio oggi.
Ricomincio daccapo, sbattendo fruste e bastardelle sul bancone con rabbia mentre mi cimento nella preparazione. Lo stomaco mi brontola dalla fame, ma non ho alcuna, e dico alcuna, intenzione di smettere di lavorare.
Quando finalmente riesco a farcire la pasta mi scappa un'urletto emozionato, e continuo a sorridere finché non ho finito di decorarla.
Appena Chiara rientra dalla pausa pranzo le mostro la mia creazione, con la vista un po' appannata dalla fame. Ok, a dirla tutta non mangio da ieri sera.
«Adesso vado a mangiare qualcosa che sennò svengo» trillo eccitata, infilando la torta in frigo. Barcollo un po' in corridoio, appoggiandomi al muro, mentre raggiungo la cassiera con il portafogli in mano.
«Stai bene?» mi chiede la ragazza, restituendo il resto a un paio di donne.
«C-certo» replico io, completamente rincoglionita mentre alzo un pollice. Esco in piazza, raggiungendo il primo bar che vedo per comprare un tramezzino. Mi accascio praticamente sul bancone, indicando con un dito un bagel farcito con qualcosa che adesso non vedo neanche.
La barista mi porge il panino, che addento con un sospiro, riprendendo a far lavorare il cervello come si deve. Pago alla cassa dieci minuti dopo, tornando in pasticceria con lo stomaco pieno e la mente schiarita.
Mi si annebbia di nuovo la testa quando vedo il mio collega, che è bello da farmi dubitare che sia vivo. Assembla i macaron con adorabile precisione, osservato da Tommaso che lo guarda con gli occhi sgranati.
E io non sono da meno. È attraente perfino mentre assembla macarons.
Unisce i due biscotti dopo averne farcito una metà con la crema, facendo combaciare i due lati con un dito a fare da bordo. Poi lascia un colpetto con l'anulare propio al centro del biscotto e lo lascia insieme agli altri.
Mi incanto per qualche secondo a guardarlo, prima di riprendermi quando Giovanna mi richiama.
«Abbiamo una dozzina di cupcake da fare» mi sventola davanti un'ordine, mentre io afferro il foglio.
«Va bene» replico scrollando le spalle. Mi rimetto a lavoro, seguita da Giovanna che mi sta attaccata come una cozza, col fiato sul collo.
Mi abbandona solo quando si accorge che il suo turno è finito, e se la dà a gambe insieme a Tommaso, che è stato succube dell'irritazione del mio collega per tutta la mattina.
Ma finalmente io ottengo quello le volevo: restare sola con Adrien.
Inforno i cupcake rischiando di scottarmi le dita, e poi mi torco le mani, in cerca di qualcosa da dire, mentre guardo le spalle dal taglio dritto del francese.
«Potresti smettere di ignorarmi per un'attimo?» è così che inizio la conversazione, avvicinandomi con passi lenti.
«No» replica lui, zuccherando la crema che sta preparando.
«Che vuol dire "no"?» replico incrociando le braccia al petto. Lui non mi guarda neanche, sbattendo velocemente la frusta nella ciotola.
«Vuol dire no»
«Tu stai male. Non puoi ignorarmi per sempre» Raggiungo il lato apposto del bancone per guardarlo, a braccia incrociate e piedi divaricati.
«Sai Amanda, ci sono dei momenti in cui vorrei solo usarti come tirassegno per coltelli da dolce» mi dice muovendo precisamente il polso, con movimenti fluidi ma scattanti, tanto che sento male per la crema.
«Ah beh, grazie. Mi ascolti un'attimo?»
«No» replica duro. La parola chiave della sua ira è "no".
«Va bene, allora parlerò con la frusta che hai in mano» ribatto posando le mani sul piano del bancone.
«Buona conversazione» commenta ironico. Io però non mi scompongo.
«Comincio con il dirti che mi dispiace, mia cara frusta.» lo osservo attentamente, in cerca di qualche segno di cedimento. «Ho detto una cazzata, e l'ho detta perché sono completamente rincoglionita da un paio di settimane a questa parte. Tu forse non lo sai, perché non hai gli occhi, ma il ragazzo che ti tiene in mano è un gran figo, oltre che bipolare, anzi tripolare, irascibile e adesso so che è anche un tantino permaloso»
«Ma sì, insultami un'altro po'» sbotta lui, aggiungendo del burro fuso alla crema di cioccolata.
«Hai sentito solo questo?» gli domando senza ottenere risposta. «Quindi, stavo dicendo che, il ragazzo che ti sbatte neanche fossi una mazza, non si è accorto che io ho i neuroni fusi come il burro. Ma proprio andati. Quindi, vorrei che gli dicessi che mi dispiace e che gradirei ottenere una risposta che non sia al limite della scazzatura. Ah, volevo dirgli inoltre che spero non sia andato davvero a letto con Anita perché potrei avere una crisi di nervi tipo adesso» concludo con un mezzo sorriso da psicopatica, mentre lui alza lo sguardo, con una smorfia divertita.
«Quindi sei gelosa» constata alzando un sopracciglio.
«Tu che dici?» borbotto io, incrociando nervosamente le braccia al petto.
«Te l'ha mai detto nessuno che sei tutta matta?» chiede deglutendo.
«Un po' di persone, sì» confermo annuendo, mentre lui molla la ciotola sul tavolo e si avvicina lentamente.
«E te l'ha mai detto nessuno che potresti scrivere un libro molto interessante sulle conversazioni con le fruste?»
«Qualcuno, forse» replico osservandolo venire verso di me, alzando il mento per guardarlo in viso.
«E te l'ha mai detto nessuno che sei estremamente sexy con questa gonna?» mi chiede arrivando a un soffio dal mio viso. A me si mozza il fiato, mentre la mia testa mi abbandona dal desiderio di sfiorare di nuovo quelle labbra.
«Adesso non saprei dirti» sussurro inalando il suo profumo dolce. «Mi perdoni?» gli chiedo sporgendo il labbro inferiore.
«Ti perdono» ride lui, annuendo. Io sorrido soddisfatta, godendomi la sua espressione tranquilla.
«Amà?» mi chiama avvicinandosi a me.
«Uh?»
«Dammi un bacio» mi dice con semplicità, e a me tremano le ginocchia per un istante, mentre incontro ancora i suoi occhi sfumati.
«Solo uno?».
Sorrido dolcemente, prima di saltargli addosso. Mi fiondo sulle sue labbra, accolta dalle sue braccia che mi prendono in un abbraccio mozzafiato. Lo tiro a me, accusando un'estremo bisogno di sentirlo più vicino.
Mi metto in punta di piedi per raggiungere il suo viso, mentre indietreggiamo fino al bancone.
E l'unica cosa che riesco a pensare adesso è fuoco.
Nel laboratorio vuoto ci baciamo come se non ci toccassimo da anni, e invece sono passate poco più di ventiquattro ore. Mi piace sentirlo complice, averlo addosso, provare una tempesta intera ogni volta che mi tocca. Mi piace il modo in cui mi stringe, la foga con cui mi bacia, la dolcezza con cui mi tocca, il desiderio con cui mi brama.
È come avere un libro tra le mani, solo che è tutto più bello così.
Adrien mi stringe i fianchi allargando le gambe per farmi camminare, mentre arriviamo al bancone con fretta. Inciampiamo nei nostri piedi, ridacchiando tra un bacio e l'altro, con i respiri affannati. Mi issa sul bancone con un movimento fluido, uno di quelli che gli appartengono per antonomasia, sistemandosi tra le mie gambe. Questa volta però sale con me, torreggiando sul mio corpo mentre sposta alla cieca le ciotole piene di crema al cioccolato. Non si stacca un'attimo dalle mie labbra mentre lascia scorrere le mani sulle mie cosce sopra i collant, fin sotto alla gonna, ai glutei, stringendoli fino a strapparmi un gemito.
Mi sembra di impazzire quando intreccia la lingua con la mia, spingendosi su di me mentre schiudo le gambe, facendo scontrare i nostri bacini. Si lascia andare a un ringhio, bloccandomi i polsi sopra la testa mentre mi bacia come se non avesse mai fatto altro.
E il glielo lascio fare, incapace di fare altro.
Sono nelle sue mani, completamente, irreparabilmente. Stesa sul bancone del laboratorio, mi lascio andare al suo tocco.
Adesso battezziamo il bancone e non ci sarà vaso che regga.
Lascia i miei polsi per sbottonarmi la divisa della camicia, mordendomi il labbro inferiore. Io porto le mani nei suoi capelli, intrecciando le dita nei suoi fili dorati. La mia divisa finisce a terra, mentre io combatto con i bottoni della sua, senza smettere un'attimo di baciarlo. Finalmente riesco a passare le mani sopra il maglioncino azzurro, prima di insinuarle al di sotto. Lui alza il mio dolcevita per lasciare una scia di baci bollenti fino al bordo del reggiseno, accompagnato dai miei sospiri.
Ad interrompere la mia accurata analisi dei suoi addominali invece, è una voce sconosciuta, che proviene da fuori la porta.
«Ma che cazzo vuol dire che non posso entrare?!» sbraita una voce maschile, dal corridoio. «Le sembro un terrorista? Mi guardi! Ho dei fottuti sandali! A ottobre! Mon Dieu state messi male qui».
Adrien si blocca con l'espressione più scazzata di questo mondo le mani sotto il mio dolcevita, ascoltando attentamente la voce. Poi sussurra:
«Tra tre, due, uno...»
«Ma vada a fanculo. ETIENNE, DOVE CAZZO SEI?!»
«Ma chi è questo?»
«Xanvier» spiega lui, tirandomi su con un braccio attorno alla mia vita.
Il ragazzo che lo ha chiamato quando siamo stati fuori quella sera.
«Sicuro» ridacchia con un sorriso furbo.
«E Etienne?» chiedo confusa, mente lui mi lascia un bacio a stampo prima di scendere dal bancone.
«Sono io»
«Tu?» chiedo incredula, prima di scoppiare a ridere.
«Sì, lo so che è ridicolo» mormora ridacchiando con me, facendo per allontanarsi. Io circondo le sue gambe con le mie, ancora seduta sul bancone, bloccandolo contro di me.
«È bello invece. Un difetto dovevi pur averlo» sussurro accarezzandogli la guancia, piuttosto divertita.
«Oltre alla tripolarità?» Mi chiede lui con un sorriso, aiutandomi a scendere. Raggiungiamo il corridoio subito dopo, dove la cassiera e due ragazzi stanno litigando piantati in mezzo al passaggio.
«Oh eccoti» sbuffa un ragazzo bruno, dagli occhi chiari come zaffiri. «Questa qui non voleva permettermi di romperti i coglioni»
«Tanto riesci a rompere il cazzo anche a distanza. Comme ça va? Tu es le salaud habituel» lo saluta Adrien, mentre l'altro ride.
«Je ne serai jamais un connard comme toi» replica assestandogli un pugno sola spalla, mentre il mio collega saluta anche l'altro ragazzo.
«Tranquilla Noemi, sono amici miei» sorride alla cassiera, facendole praticamente cascare le mutande. Lei sorride a sua volta, incantata, gira u tacchi e se ne va.
Poi Xanvier posa gli occhi su di me, accennando un sorriso.
«Non mi hai detto che avevi una collega così gnocca» assesta una gomitata a Adrien, che mi sorride, dolce come il miele.
«Lei è Amanda. Amanda, questi due coglioni sono Xanvier e Jacques»
«Quante colleghe hai detto di avere?» borbotta l'altro, Jacques.
«Avete finito?» sbraita il biondo, assestando un coppino a ciascuno dei suoi amici.
«Come no» replica prontamente Xanvier.
«Andiamo a prendere un caffè allora, ti unisci a noi Amà?» mi chiede Jacques, con un sorriso.
«Biensûr, le belle signorine non si lasciano mai da sole» commenta Xanvier, prendendomi sottobraccio.
«Caffè sia» rido sotto lo sguardo di Adrien, che sorride divertito trascinandomi via con i suoi amici.
Comme ça va? Tu es le salaud habituel= come stai? Sei il solito stronzo.
Je ne serai jamais un connard comme toi= non sarò mai un coglione come te.
Raga questo capitolo sono 4000 fottute parole.
4000
È il capitolo più lungo dell'intera storia praticamente.
Che ve ne pare? Spero vi sia piaciuto.
La mia faccia mentre li facevo baciare era tra l'imbarazzo e la vergogna, ma lasciamo stare😂🥵
Vi piacciono Amanda e Adrien insieme?
Litigano pure per il pulviscolo, ma vabbè dai.
Intanto possiamo asserire che Adrien è una donna.
Chissà, Anita avrà mentito su quante volte è stata con il nostro francese oppure è Adrien che spara solo balle?
E Xanvier? FINALMENTE lo abbiamo trovato dai. Secondo voi cosa c'entra in tutto questo casino?
Vabbè, vi lascio
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro