26. Bastiamo noi due
«Secondo te dovremmo accettarlo in basta?». Edoardo sospira, picchiettando nervosamente le dita sul volante della macchina. Io attendo una risposta, con la borsa degli allenamenti che mi schiaccia i piedi e il cuore pesante.
«Non lo so, Amà. È tutto un fottuto casino» mi dice con una nota di desolazione della voce. Io annuisco pigramente, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada.
Sono passati sei lunghi giorni da quel pranzo, e ancora non ho avuto il coraggio di chiamare mia madre. Non ho avuto neanche il coraggio di pensare all'ennesimo estraneo che si fa strada nel mio nucleo familiare.
«Tanto si sposeranno comunque. Dovremmo fare buon viso a cattivo gioco» appoggio la testa al finestrino, osservando Roma vestita d'autunno.
«Forse. Ma non possono continuare a fare i ragazzini a vita. Giorgia e Flavio intanto hanno avuto una vita normale»
«Lo so» sospiro senza sapere cosa aggiungere. «Fa tutto schifo»
«Non dire così, dai. Si aggiusterà tutto»
«Sì, chissà in quale giorno del duemilamai. Mi darai ragione quando mamma sfornerà altri figli e noi due saremo gli unici due coglioni senza famiglia, su sei»
«Anche se fosse, bastiamo noi due» replica scrollando le spalle. E a me torna in mente che lui mi nasconde un sacco di cose, ma è comunque mio fratello.
Sono talmente confusa che non so cosa fare. Rifiutare Edoardo adesso sarebbe una cazzata, perché rimaniamo sempre noi due alla fine, ma non so cosa pensare di tutte le cose che non mi dice. E ho paura.
È sparito per praticamente due anni, è tornato e ora è in chissà quale guaio, ma rimane Edoardo. È mio fratello, come potrebbe fare qualcosa di male?
Sono settimane che ho un brutto presentimento, ma continuo a ignorarlo, cercando di convincermi che Edo è un po' sconsiderato, ma non è un'idiota. Eppure, dopo tutto quello che è successo l'evidenza sembra sempre meno dalla mia parte.
«Non ci pensi mai a come sarebbe stato tutto se papà non si fosse fatto un'altra famiglia?»
«Sempre» sussurra lui, passandosi una mano sul viso. «Ma ormai è andata così»
«Già» mormoro io, scrutando attentamente le strade coperte di foglie secche.
«Ci sono dei momenti in cui riesco a dimenticarmi di tutto. Lontana da mamma, da casa, in mezzo alle persone mi sento diversa, più leggera» gli confesso spegnendo la radio.
«È che poi torna tutto» mi dice avvilito. E io non riesco a non pensare a quanto siano le persone che ho attorno a costruirmi.
«Stasera non ci sono» cambio bruscamente argomento, senza essere giunta a una conclusione. Edoardo si volta a guardarmi, interrogativo.
«Ho una cena con dei colleghi» spiego appoggiando di nuovo la fronte sul vetro del finestrino. Lui annuisce vagamente «Okay».
Quando si ferma davanti davanti al centro sportivo gli lascio un bacio sulla guancia e scendo con lui dalla macchina. Ci separiamo all'entrata degli spogliatoi, lui diretto in palestra, io alla pista.
Mi cambio in fretta, smaniosa di staccare dai miei problemi per qualche ora.
Entro in pista quando ancora neanche Mark è arrivato, scivolando con grazia sulla superficie chiara del ghiaccio. Mi lascio andare, improvvisando una coreografia, prendendo le curve con rabbia, sfidando la gravità al limite. Al centro della pista un Axel mi viene quasi spontaneo, mentre atterro con una lama sola. Giro in tondo acquistando velocità, mentre il rumore del ferro affilato contro il ghiaccio, che si lascia scalfire abbandonando piccole particelle di fredda brina, mi risuona nelle orecchie. Chiudo gli occhi, ispirando profondamente l'aria pungente e congelata. Lascio che i miei piedi si muovano da soli, pattinando senza neanche pensare.
Mi fermo solo quando le porte si aprono e ne entra Luca, trafelato e in ritardo.
«Ehi» lo saluto avvicinandomi al bordo della pista. Lui mi sorride con aria lugubre, con i pattini in mano e i capelli spettinati.
«Ehi, come va?» mi chiede sedendosi per infilare i pattini. Io mi siedo sul bordo di legno, scavalcando con una sola gamba la barriera.
«Male, tu?»
«Male» replica stringendo i lacci. «Tu che hai?»
«Mia madre» sospiro soltanto. Lui annuisce, capendo senza bisogno di parole.«Tu invece?» gli chiedo a mia volta, guardandolo entrare in pista. Scivola accanto a me, sospirando rumorosamente.
«Paola mi ha lasciato» esordisce senza aggiungere altro. Si mordicchia il labbro con aria affranta, e io non sopporto vederlo così.
Io l'ho sempre odiata la sua ragazza, e io e Andrea abbiamo provato tante volte ad aprirgli gli occhi. Ma lui stava bene così, e a noi bastava.
«Lù» sussurro soltanto, abbracciandolo. Lo stringo a me, appoggiando la guancia sul suo petto mentre lui sospira ancora, avvolgendomi con le sue braccia. Rimaniamo così, fermi, finché lui non mi accarezza la schiena, dandomi dei colpetti sulla spalla neanche fossi io quella da consolare.
«È rimasta incinta di quello con cui mi ha fatto le corna» gli scappa una risata amara, mentre io mi stacco, prendendolo per mano.
«Le sta bene. Non ti ha mai meritato, io te l'ho sempre detto. È solo una stronza» gli sorride, nel vago tentavo di tirargli su l'umore.
«Lei mi piaceva sul serio, Amà» mi dice abbassando lo sguardo.
«Ne trovi un'altra, ti aiuto io. Andiamo a rimorchiare insieme a Tratevere» gli strappo una risata sommessa, incontrando i suoi occhi.
«Rimarrò single a vita allora»
«Mi ritengo offesa» sorrido, trascinandolo con me al centro della pista. «Io rimorchio da Dio» affermo lasciando la sua mano. Lui scuote la testa ridacchiando. «Non propio» ride iniziando a pattinare velocemente sul ghiaccio. Io mi allontano nella direzione opposta, piegando le ginocchia per prendere la curva con facilità.
«Va bene, allora ci faremo aiutare da Anita. Lei ci sa fare» rido con lui, sfrecciando da un lato all'altro della pista per distrarlo.
«Che è successo con tua madre?» mi chiede poi, mettendomisi davanti, costringendomi a frenare bruscamente. Io scrollo le spalle sconsolata.
«Si sposa» replico sorpassandolo. Lui mi viene dietro, cercando di fermarmi.
«Ne vuoi parlare?»
«Anche no. Devo solo decidere se andare al matrimonio o cancellare il suo numero per sempre» commento con una vena di ironia.
«Amà, non ti chiudere così» mi pattina attorno, bloccando il mio tentativo di suicidio contro gli spalti. Io sospiro, intercettando il suo sguardo.
«Non so fare altro» mormoro rassegnata.
«Lo sai che non è vero. Devi solo smettere di nascondere tutto a tutti. Soffriamo tutti, ma è l'amore che ci salva. Non sei sola, e a volte sembra che non te ne rendi conto» mi mette le mani sulle spalle, sorridendomi fiducioso. E io invece mi sento pure peggio, perché a volte mi sembra di non essere neanche in grado di amare. I miei genitori non sono riusciti a farlo, perché io dovrei?
Questo cazzo di amore sta sempre tra le palle.
«Senti, io penso propio di essere l'unica sfigata al mondo che non è capace di donare un briciolo di amore. È questo che mi blocca, forse»
«Non dire cazzate, tutti possono amare» mi rassicura tranquillo.
«Io no. Come si fa a capire che....non so, ami qualcuno? È tutto un casino» sbotto riprendono a pattinare senza impegno.
«Mi tratterrò dal chiederti cosa c'entra questo con tua madre, ma ti assicuro che te lo senti. È come se non ragionassi più, come se non contasse nient'altro. Non è obbligatorio, ma qualche volta capita» mi dice seguendomi in giro per la pista. «E tu, Amanda, secondo me ami senza rendertene conto. Metti gli altri prima di te, e se questo non è amore in generale, io non so cosa sia. Te lo dico da quando andavamo al liceo che sei troppo buona»
«Tu amavi Paola?»
«Non lo so. È davvero tutto un casino» prende una curva velocemente, allontanandosi da me di spalle, mentre io attraverso da un lato dall'altro la pista.
«Non ti viene voglia di chiuderti in una stanza e non uscirne per i prossimi trent'anni?» mi chiede con l'accenno di una risata. Io sorrido a mia volta, annuendo.
«Continuamente. Ti va se ci ritiriamo in Groenlandia?»
«Col cazzo, fa un freddo del diavolo. Che ne dici dei Caraibi?»
«Andata» acconsento ridendo, mentre Mark entra dalle porte principali, battendo le mani.
«Abbiamo già perso dieci minuti. Veloci, stessa coreografia dell'altra volta» avvia la musica e io alzo gli occhi al cielo, scivolando verso l'altra parte della pista.
Io e Luca proseguiamo gli allenamenti in silenzio, lavorando in modo complice come sempre, mentre il tempo scorre e noi ripetiamo gli stessi esercizi mille volte, fino a farli diventare perfetti.
Quando esco dalla pista ho la testa più leggera, e il cuore più sereno.
Io e Luca ridiamo un'altro po', osservando la coppia dopo di noi che continua a cadere dopo un paio di passi a due, senza riuscire a fare dei Lutz decenti. Commentiamo i loro movimenti con credere criticità, scuotendo la testa ogni volta che sbagliano, finché la ragazza con ci caccia con tanto di urla isteriche.
Noi usciamo di corsa, con i pattini in mano, continuando a ridere.
Era parecchio isterica.
Lo sarei anche io che avessi difficoltà con i Toe-loop.
Ci separiamo agli spogliatoi, dopo la promessa di andare a rimorchiare in giro con Anita il prossimo sabato. Io infilo il cappotto sopra i vestiti dell'allenamento e raggiungo Edoardo in macchina, altrettanto stanca.
Rimaniamo in silenzio fino a casa, dove finalmente mi concedo una lunga doccia e mi asciugo i capelli con lentezza disarmante, sistemandoli in morbide onde che mi incorniciano il viso.
Indosso un vestitino a fantasia floreale, abbinando una giacca di jeans e poi passo solo un po' di mascara sulle ciglia e un rossetto chiaro sulle labbra.
«Io esco, non date fuoco alla cucina» Annuncio entrando in cucina.
«Non contarci» replica Edoardo, immerso nella lettura di un'articolo sul suo pc.
«Ci spero» replico appoggiandomi al bancone,
«Ma se è nero vuol dire che è bruciato?» la mia coinquilina storce il naso, agitando la spatola per fare aria a qualcosa di decisamente bruciato.
«Fate prima a ordinare una pizza» lascio un bacio sulla guancia di Grace, impregnata a scottare del salmone in padella, prima di salutare Edoardo con un cenno e uscire di casa.
Il locale che Giovanna ha scelto è vicino a via Panisperna, poco lontano dal Colosseo e Santa Maria Maggiore. Quando entro, a vedermi per prima è Chiara, che mi fa segno di avvicinarmi. Tommaso mi saluta con un cenno e un sorriso, mentre Giovanna mi scruta da capo a piedi, rivolgendomi poi un sorriso tirato. E io già mi sento che sarà la serata più noiosa della storia.
L'idea di Giovanna non sortisce l'effetto desiderato; dopo un'ora stiamo già tutti morendo di noia. Io sono appoggiata al bancone, mentre rompo le scatole al barista chiedendogli il nome di tutti i cocktail che sa fare, Tommaso è attaccato al cellulare da quando sono entrata, Chiara e Giovanna portano avanti una conversazione sterile sull'ultima trovata di Chiara Ferragni, e Adrien non si è fatto vedere. Vorrei solo essere a casa, con Mops, a dormire.
Se l'intento della mia collega era quello di conoscerci meglio, io qui sto conoscendo solo e soltanto i cocktail e la pietà del barman. Giovanna prova a parlarmi dei suoi due gatti, ma dopo aver sentito i loro nomi, alias Puffi e Pallabianca, decido che fissare il vuoto è la scelta migliore. Sorseggio un drink di cui neanche ricordo il nome per interminabili minuti, fingendo di ascoltare Chiara che tenta di distrarre Giovanna dal parlare di cose completamente inutili, tipo di popcorn per gatti.
E io comincio a chiedermi come ci sono finita con una che spende duecento euro al mese in popcorn per gatti.
Vorrei avere il coraggio di inventarmi una scusa su due piedi e andarmene, ma purtroppo non sono fatta così, e per di più mi sentirei in colpa dopo aver raggiunto l'incrocio con via dei Capocchi.
Sbuffo rumorosamente, trattenendomi dall'impulso di sbattere la testa contro il bancone fino alla morte. Alle undici e mezza sono decisa a prendere la mia borsa e scappare qui appena Giovanna finirà di parlare per riprendere aria, quando intravedo Marco che entra dall'ingresso, seguito da un paio di ragazzi che credo siano suoi compagni di corso.
«Scusate un'attimo, vado a salutare un'amico» dopo due ore finalmente stacco il sedere da quel benedetto sgabello, con una gamba addormentata e i gomiti doloranti per quanto li ho tenuti sul tavolo. Mi allontano di fretta, inseguendo Marco tra le persone nel locale.
«Marco!» lo chiamo raggiungendolo. Lui si volta, e un sorriso gli spunta sulle labbra quando mi vede.
«Amanda, che fai qui?» mi saluta lasciandomi un bacio sulla guancia.
«Mi annoiavo con i miei colleghi. Tu?»
«Sono passato a salutare un mio amico, è appena tornato dalla Sardegna» scrolla le spalle, sorridendomi ancora.
«Hai sentito di Luca e Paola?» gli chiedo preoccupata.
«Sì» sospira lui, grattandosi la nuca. «Mi dispiace, ma Luca non se la meritava propio quella stronza. Gli sta bene»
«Sai di chi è rimasta incinta?»
«Un nostro compagno di corso» replica con una smorfia. «Ma comunque spero solo che si riprenda al più presto e se la dimentichi per sempre»
«Sì, anch'io» confermo scostandomi una ciocca di capelli dal viso. «Gli ho promesso che lo portiamo a rimorchiare con Anita» ridacchio con Marco, scuotendo la testa.
«Ottimo piano. Senti, tra un po' passo a salutarti, uhm? Non disturbo, ve'?»
«No, no, assolutamente. Ti aspetto, allora» lo saluto con un cenno, prima di allontanarmi e tornare verso i miei colleghi.
Con mia grande sorpresa questa volta c'è anche Adrien, che quando mi vede lascia scorrere i suoi occhi sul mio corpo con calma, senza perdersi un dettaglio, prima di accennare un sorriso. Io avvampo sotto i suoi occhi, raggiungendolo accanto a Chiara e Giovanna.
Lui, come al solito del resto, è vestito quasi interamente di nero. Soltanto i jeans, chiari questa volta, differiscono dal resto del look.
«Ehi» lo saluto riprendendo il mio posto sullo sgabello.
«Ciao» replica con voce graffiante.
Boh. Per lui è normale arrivare due ore dopo.
«Come va?» soffio rapita dai suoi occhi. Ogni volta che lo vedo mi sembra sempre un po' più bello, e questa cosa non va bene.
«Bene, tu?»
«Bene» perché adesso sì, mi sento meglio. Lui si avvicina al mio viso, e per un attimo penso voglia baciarmi, quando invece accosta le labbra al mio orecchio, facendomi venire i brividi quando ispiro il profumo dolce della sua pelle.
«Sei splendida stasera» mi sussurra all'orecchio, sfiorando la mia pelle con le sue labbra. E a me spunta un sorriso.
«Grazie» mormoro abbassando lo sguardo.
«È la verità. Neanche un cieco riuscirebbe a non guardarti» continua mentre una brutta sensazione di felicità si fa strada nel mio petto, là dove il mio cuore batte così forte che penso che possa sfondarmi il petto.
Quando si allontana da me io riprendo a respirare, incontrando i suoi occhi complici. È solo adesso mi rendo conto che Tommaso ci guarda con il buio più totale al posto degli occhi, e le mani che stringono morbosamente il suo bicchiere.
Un ragazzo, dall'altra parte della sala, chiama Adrien, e lui si stacca dal bancone, passandosi una mano nei capelli biondi.
«Scusami» mormora prima di raggiungere il ragazzo. Io prendo un sorso del mio cocktail, picchiettando le dita sul vetro con uno stupidissimo sorrisino in viso.
Mi volto solo quando Marco mi affianca, rimpiazzando il posto di Adrien.
«Chiudi gli occhi» mi dice con un sorriso. Io aggrotto le sopracciglia, perplessa. «Fidati» continua, quindi io faccio come mi dice e abbasso le palpebre. «Apri la bocca» soffia poi.
«Marco, prova a farmi uno scherzo e-»
«Amanda dai, fidati di me», apro la bocca, rimanendo così come un'idiota finché lui non mi infila un dolcetto in bocca. Mordo l'involucro di cioccolata, assaporando la dolcezza della pasta all'interno.
«Ti piace?» mi chiede sorridendo. Io annuisco, finché non ingoio e comprendo cosa c'era dentro quel dolcetto.
Cazzo, pasta di mandorle.
Mandorle. No dico, M A N D O R L E.
Ma perché sono così sfigata?
La gola inizia a bruciarmi, mentre una lacrima mi riga la guancia.
«Stai bene?» mi chiede Marco, mentre comincio a tossire, senza riuscire a respirare bene. Scuoto la testa, accusando un fastidioso prurito alla lingua.
«Io-» mi appoggio a lui, mentre Chiara si avvicina, preoccupata.
Boccheggio, incapace di parlare, mentre mi si appanna la vista e comincio a sentire le voci ovattate. Stringo la mano di Chiara, cercando di respirare.
«Amanda, che c'è?» la voce di Adrien sovrasta il casino nella mia testa, mentre lo vedo avvicinarsi con due falcate. «Che cazzo le hai dato?» sbraita contro Marco. Lui balbetta, sconvolto.
«Io...è della pasta di mandorle, ma-» Marco si interrompe, davanti all'espressione di ira pura che ha davanti.
«È allergica alle mandorle, coglione» ruggisce il mio collega, mentre io comincio a sentirmi la testa pesante. Il viso sfocato di Adrien è l'ultima cosa che vedo prima che diventi tutto nero e il silenzio cali.
Eccoci qui
Un'altro capito BOH.
CEH RAGA IO HO UN PROBLEMA. Vabbè, facciamo finta che non mi faccia schifo qualunque cosa io scriva e andiamo avanti.
1) EDOARDO, si merita la fiducia di Amanda? In che casini si sarà ficcato? Raga manca poco alla grande rivelazione (grande solo per Amanda perché ci sono degli indizi grossi come case ma ok)
2) LUCA riuscirà a dimenticare Paola? So che non la conoscete, ma fidatevi che tra un po' succede un casino...un po' tanto eh
3) AMANDA riuscirà ad amare? Secondo me sì
4) ADRIEN, ragazze mie, adesso che Adrien si è sfogato contro quel COGLIONE COLOSSALE di Marco, che succederà? Amanda muore? Marco muore? Adrien fa il principe azzurro?
Chissà. Fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo perché a me fa 🤮🤢🤮🤢🤮
Vabbè dai, nel prossimo ci riprendiamo, *spero*
Stay tuned perché stiamo entrando nel vivissimo della storia...
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️
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