25. Neanche il bicarbonato
«Mi sento come un vaso rotto» sbotto stringendo forte con le dita il guinzaglio di Mops. Grace mi stringe la mano libera, passeggiando con me per via Appia Nuova. Il vento fresco di ottobre mi accarezza le guance in fiamme, mentre le foglie secche scrocchiano sotto le mie scarpe.
«Datti tempo Amy. È successo solo qualche giorno fa»
«Ma perché si deve risposare per forza?» ribatto io, ignorandola.
«È normale che dopo tanto tempo abbia trovato di nuovo l'amore» mi rassicura rallentando il passo. Io continuo a fissare le persone davanti a me, senza riuscire a provare altro che rabbia.
«L'amore non esiste» esordisco camminando a passo di carica sul marciapiede affollato. Grace si affretta a raggiungermi, aprendo la bocca più volte senza sapere cosa dire.
«Ma che dici? Certo che esiste» replica lei, inguaribilmente romantica.
«No, invece.» ribatto dura, oltrepassando gruppetti di quindicenni che camminano in branco.
«Amanda non dire così, è la rabbia che parla per te. Da piccola ci credevi, e sono sicura che non lo pensi davvero.»
«Ti dico di sì. Io non ho mai visto l'amore vero, come faccio a credere in qualcosa che non ho mai visto?» mi pianto in mezzo al marciapiede, incontrando i suoi occhi castani e sgranati.
«L'amore manda avanti il mondo, Amy, io ne sono sicura»
«Beh, io no» replico abbassando lo sguardo. «Non ci credo perché neanche io so amare. E mia madre è un'illusa se pensa di poter trovare l'amore vero»
«Secondo me la stai prendendo troppo seriamente. L'amore non si può mica pesare come se fosse del prosciutto. Non funziona così»
«E come funziona allora?» sputo acida, tra le persone che mi passano accanto e mi urtano. Grace si riempie gli occhi di dolcezza, sorridendomi.
«Funziona che nessuno lo sa. Non si comanda, e tu parli così perché magari nessuno fino ad ora era degno del tuo amore. Non ci capisce niente nessuno»
«Che cazzate» sbotto battendo un piede a terra. «L'amore è un'invenzione per la gente come te»
«E come sarei io?» mi fissa, lapidaria, inchiodandomi a terra con uno sguardo che mi fa quasi paura. E io mi pento di averla messo su questo piano.
«Non intendevo quello, ma...»
«Cosa?»
«È che certe persone sembrano fatte per queste cose. Tu sei dolce, hai un ragazzo, lo stesso da parecchi anni, è ovvio che tu ci creda. Ma se fossi nei miei panni non la penseresti così»
«Cioè, pensi che la gente creda nell'amore perché ce l'ha?»
«Esatto»
«E allora pensi una stronzata. Voglio propio vedere quando ti innamorerai di qualcuno come ti pentirai di essere stata così severa con te stessa»
«Non succederà mai. Vanno bene le cotte, i fidanzamenti, ma da qui a chiamarlo amore vero ci passa Venezia di mezzo»
«Aspetta e vedrai» mi dice lei, con l'aria di chi la sa lunga. Io alzo gli occhi al cielo, riprendendo a camminare tra le persone. Mops zampetta accanto a me tranquillamente, mentre arriviamo davanti alla Mondadori.
Non so davvero cosa pensare; io l'amore non l'ho mai avuto, perché dovrei crederci? Chi mi dice che esiste? Chi mi garantisce che io posso amare?
«Adesso compriamo un bel romanzo rosa, così ti apriamo gli occhi sul mondo» ride la mia coinquilina, trascinandomi nel negozio.
Passiamo al mezz'ora seguente a leggere le trame di metà libreria, spaziando da Italo Calvino a Jane Austen. Esco dalla libreria con una copia di Cime Tempestose e una di Come inciampare nel principe azzurro.
Grace, al mio fianco, ha svaligiato il reparto dei romance.
Torniamo a casa un'oretta più tardi, dopo aver fatto un giro da Zara e alla Coin. Io inizio la mia lettura, stesa sul divano, e dopo un quarto d'ora sono già contro Mark Kim e la sua aria da saputello.
«Ma come fa a innamorarsi di uno così questa qua, lo sa solo lei» borbotto sistemandomi meglio sul divano.
«È questo il potere dell'amore!» esclama Grace, saltando in piedi. «Ti fa innamorare anche dei difetti delle persone, delle loro piccole fisse, delle paure. Non siamo tutti perfetti, è questo il bello. Capisci?»
«Mia sorella non crede neanche nelle proprietà sbiancanti del bicarbonato, figurati nell'amore» interviene Edoardo, entrando in salotto.
«Tu invece sei tutto cuori e sorrisi da quando ti sei lasciato con Giulia, vero?» replico acida. Io credo moltissimo nel bicarbonato.
«Propio perché l'amavo ci sono stato male così tanto, non so se ti arriva al cervello» mi dice prendendo un sorso del mio tè. Si siede accanto a me, prendendomi il libro dalle mani. «Questo non basta per lei. Ci vuole tutta la collezione»
«Già che legga un romanzo rosa è tanto» replica Grace, scrollando le spalle. «E poi dobbiamo andare piano. Vedrai che per capodanno sarà un'inguaribile romantica»
«Mai» borbotto io, riprendendomi il mio libro. «Vuoi sentire di Mark Kim, Edoardo? Posso parlare male di lui per ore»
«Anche no. Stavo andando a cucinare qualcosa per cena, prima di morire di fame»
«Cucini per tutti, ve'?» gli chiedo sporgendo il labbro inferiore.
Lui annuisce ridacchiando, prima di scomparire in cucina. Io mi rimetto a leggere finché non mette in tavola tre hamburger e una bottiglia di birra.
La cena trascorre tra le lodi a Darcy di Orgoglio e Pregiudizio, che Grace sta rileggendo per millesima volta, e gli insulti contro Mark e Maddison.
Alle undici e mezza metto da parte il libro, infilandomi contro le coperte a luce spenta. E la mia mente va a finire a un paio di occhi che mi ricordano il mare che non mi riesco proprio a togliere dalla testa.
Io l'ho detto che sto impazzendo.
L'amore non esiste, punto.
***
Prendo a spallate per l'ennesima volta un gruppetto di turisti tedeschi che stanno ostruendo il passaggio per l'entrata della pasticceria e mi faccio strada a fatica, afferrando come se fosse un salvagente la maniglia della porta a vetri della pasticceria.
Ma perché vivo a Roma?
Qualcuno può ripetermelo?
Entro con il respiro corto, salutando la cassiera con un cenno del capo prima di dovermi negli spogliatoi, ed è propio qui che due voci attirano la mia attenzione.
Mi accosto al muro, stringendo tra le mani il manico della mia borsa.
Adocchio una fessura tra la porta lasciata accostata e guardo all'interno della stanza, dove Adrien e Giovanna stanno discutendo. Assottigliando gli occhi metto a fuoco il mio collega, che sta sistemando la sua roba nell'armadietto.
«Ma mi spieghi che vuoi?» sbraita lui, chiudendo di scatto lo sportello di metallo azzurro. Giovanna sospira, incrociando le braccia al petto.
«È che ti vedo distante» piagnucola lei, scuotendo la chioma bionda.
«Ma distante da cosa?»
«Da me» fa lei, battendo un piede a terra.
«Ti sembro un'oggetto da possedere?»
«No, ma-»
«Ma cosa? Abbiamo preso un caffè insieme Giovanna, non ti ho chiesto di sposarmi!» sbotta gesticolando. Poi si volta verso la porta, e i suoi occhi incontrano i miei. «Amà, vuoi partecipare alla conversazione già che ci sei?»
Antisgamo.
Mi merito un premio.
Io socchiudo la porta, affacciandomi con un sorriso di scuse.
«Io mi dovevo cambiare» abbozzo una smorfia, mentre Giovanna sbuffa rumorosamente.
«Cambiati allora, io tanto ho finito» conclude lui, uscendo dalla stanza come una furia. La mia collega mi rivolge un'occhiataccia, prima di seguirlo fuori, lasciandomi sola con gli armadietti.
Quando entro in laboratorio, cinque minuti più tardi, il clima non è migliorato. Tommaso ce l'ha ancora a morte con Adrien, tanto che non si avvicina neanche più a lui. Giovanna continua incessantemente a bestemmiare contro la planetaria, e Chiara qui è l'unica sana di mente.
Non lasciarmi Chià.
Scappiamo insieme.
Io mi impegno nella creazione di alcuni muffin a tema autunnale, lavorando sola soletta nel fondo del laboratorio, lanciando ogni tanto un'occhiata ai miei colleghi. Quando finalmente vado in pausa, esco nel cortile interno, appoggiandomi alla ringhiera con aria affranta.
Pochi minuti dopo mi raggiunge Adrien, con una sigaretta tra le labbra e la divisa sporca di cioccolata.
«Ehi» lo saluto per prima, mentre lui prende un tiro dalla sigaretta. Mi rivolge un lungo sguardo, soffiando il fumo fuori dalle labbra.
«Ehi» ripete lasciando vagare lo sguardo sugli scatoloni da consegna che albergano sotto la scala antincendio. «Come va?»
«Potrebbe andare meglio. Tu?»
«Al solito» replica schivo. Prende un'altro tiro, appoggiandosi alla ringhiera come me. «Hai saputo se Chiara alla fine è stata confermata per il nuovo negozio?» mi chiede inumidendosi le labbra.
«No, niente»
«Neanche io. Spero la prendano, se lo merita» sospira lasciando la sigaretta in bilico tra le labbra rosse per rigirarsi l'anello che porta all'indice.
«Già» mormoro ripensando alla mia ultima conversazione con lei. «Se lo merita davvero»
«Più di tanti altri» continua lui, incontrando il mio sguardo. Io annuisco distrattamente, osservando le sue iridi contornate dalle lunghe ciglia.
«Hai dei begli occhi, sai? Hanno il colore dell'erba d'estate» mi dice di punto in bianco, dopo avermi osservata per qualche secondo.
«Grazie» soffio sfoderando un sorriso.
«È la verità» conferma lui, confondendomi.
«Quindi non era un complimento?»
«Devi farne una questione di stato, Amà? Sono belli, era un complimento» conclude prendendo un'altro tiro. Io distolgo lo sguardo, abbassando gli occhi sulle mie mani.
«Tu e Tommaso mi sembrate scemo e più scemo» commento accennando una risata. Adrien storce il naso, buttando un po' di fumo fuori dalle labbra.
«È un modo di dire» specifico pensando che non abbia capito.
«Lo so, non sono francese a questo punto. Ma adesso mi viene da chiedermi chi sia scemo, e chi più scemo» ridacchia mollandomi una gomitata. Io scuoto la testa, trattenendo una risata.
«Tu sei scemo, e lui è più scemo perché ti viene dietro. Ci sono dei momenti in cui temo possa esplodere tanto è rosso»
«Quei momenti sono i miei preferiti. Mi sembra che stia per mollarmi un cazzotto e poi non fa nulla. Si fa mettere sotto come se non valesse nulla»
«E invece vale qualcosa?»
«Se ama la pasticceria è già a metà. Quindi di sicuro vale qualcosa» mormora spegnendo la sigaretta contro il ferro della ringhiera.
«Lo sfidi per vedere fino a che punto si trattiene?»
«Aspetto che mi mandi a fanculo come si deve, ma fino ad ora è riuscito solo a mettere in fila due insulti da scuola media» ridacchia con la testa bassa. «E poi si deve svegliare. Non arriva da nessuna parte così»
«La gentilezza paga sempre» cito scrollando le spalle.
«Gli altri forse, ma di sicuro non chi è gentile» sospira staccandosi dalla ringhiera. «Torniamo dentro?» mi chiede accennando un sorriso. E io lo seguo in laboratorio, ripensando alla nostra conversazione finché non esco da lavoro, con un'insofferenza assurda addosso.
Mentre sto raggiungendo la mia macchina, il mio cellulare squilla, segnalando l'arrivo di un messaggio. Sblocco lo schermo, aprendo la chat di Marco.
-Io, Sofia e Luca ti aspettiamo a San Silvestro. Lo sappiamo tutti che uccideresti per andare da Pompi-
Sorrido, cambiando direzione per scendere lungo via del Tritone. Raggiungo la piazza lanciando una brutta occhiata al bar in cui io, Anita e Adrien abbiamo preso un caffè e saluto da lontano Sofia, seduta sulle lunghe panche di marmo.
Vedere i miei amici mi toglie di dosso un po' dell'insofferenza che mi appesantisce, quindi li saluto tutti con un bacio sulla guancia.
«Ehi, come va?» Sofia recupera la sua borsa dalle panche, venendomi incontro.
«Domanda di riserva?» scherzo io, accennando un sorriso. Insieme ci avviamo verso via del Corso, passando per Piazza di Spagna, sotto il freddo sole di ottobre. Le persone, i turisti e le macchine occupano ogni strada di Roma, rendendola così affollata da nascondere le meraviglie dell'architettura.
Ci fermiamo a osservare la Barcaccia per qualche minuto, ridendo di un gruppetto di persone orientali che tentano di bere dalle fontanelle senza cadere.
«Ci vogliono anni di allenamento per riuscire a bere. Io ce ne ho messi cinque» ridacchio mollando una gomitata a Luca, che una volta ci è caduto per davvero e ha rischiato di venire arrestato.
«Venivi a scuola qui, no?». Io annuisco, coprendomi la bocca con la mano quando una bambina rischia di scivolare per davvero nella vasca.
«Andiamo, dài» ride Sofia, trascinandoci via della Croce. Ci facciamo strada nel negozio affollato, spintonando le persone per raggiungere la cassa. Io ordino un tiramisù alle fragole, sorridendo quando Marco decide di fidarsi di me e abbandonare per una volta quello al cioccolato.
Ci sediamo sui gradini della scalinata, mangiando tra le chiacchiere e i racconti delle nostre giornate. Marco e Luca imitano un loro professore, mentre Sofia si lamenta della tesi di laurea e della sua relatrice, che non le dà pace.
Il tiramisù mi mette di buon umore, aggiustando un po' con la sua dolcezza il mio cuore, che è ancora un po' scosso dall'annuncio del matrimonio. Ieri mattina tra l'altro mi è arrivata la partecipazione, e non ho potuto fare a meno di lasciarla nella cassetta della posta dell'androne per qualche ora, ignorandola. Ci ha pensato Edoardo, quando è tornato a casa, a inveire contro questo Riccardo, che tra l'altro non abbiamo ancora conosciuto. E la cosa che più mi fa male è sapere che nessuno ci ha detto niente finché non hanno deciso di sposarsi.
«A che pensi?» chiede Marco, infilando in bocca un cucchiaino di tiramisù. «Hai una faccia» mi prende in giro, accennando un sorriso divertito.
«A nulla» replico scrollando le spalle. Lui mi guarda per qualche secondo, pensoso. «Non sembra»
«Com'è il dolce?» cambio bruscamente argomento, indicando con il cucchiaino la sua scatolina.
«Ne mangerei altri diciotto» ride lui, alzando la confezione. Io rido con lui, mentre Luca annuisce freneticamente, sorridendo.
«Amanda, tu che sei del mestiere, perché non ci rendi tutti felici e non ci fai diciamo...una trentina di teglie di tiramisù?»
«Mi pagate?» scherzo io, assaggiando un'altro pezzetto di dolce.
«Gli amici mica si pagano» ride Sofia, alzandosi per buttare la confezione ormai vuota.
«Ha ragione Sofia. Ci trasferiamo da te, non abbiamo fretta»
«Immagino» replico io, divertita. Quando finiamo tutti di mangiare passeggiamo fino a Piazza del Popolo, godendoci un po' di tempo per noi, guardando le vetrine estrose in via dei Condotti e osservando quei pochi che ne escono con delle buste al braccio. Marco mi prende per mano, guidandomi tra le persone mentre a me prende uno strano fastidio che non mi spiego. È come se qualcosa fosse sbagliato, ma scrollo le spalle per scacciare questa sensazione e lo seguo in via del Corso. Raggiungiamo la piazza tutti insieme, mentre Sofia mi racconta di come lei e Francesco riescano a litigare e limonare allo stesso tempo. Io rido, trattenendomi dal chiederle se secondo lei l'amore esiste davvero, e se lei ama sul serio Francesco. Ormai mi possono ricoverare con tanto di camicia di forza. Sono brava solo a fare dolci.
Il cielo nuvoloso annuncia pioggia, quindi ci affrettiamo a prendere la metro da Flaminio a Barberini, per raggiungere la mia macchina.
Lasciamo Marco e Luca a Celio e ci dirigiamo a casa mia, quando invito Sofia a rimanere a pranzo. Corriamo sotto la pioggia, arrivando al mio portone trafelato. I miei capelli umidi mi si appicciano al viso, e i miei occhi si scuriscono quando vedo in lontananza Edoardo e la figura inconfondibile di Alexis. È un brutto peso si prende il mio cuore, di nuovo.
Raga sto capitolo è completamente boh
L'ho ficcato in mezzo per non so quale ragione, e potrei benissimo cancellarlo perché NON SERVE A UN CAZZO.
Sto male, sì. È questo l'effetto di maggio su di me.
E sì, mi sono pure dimenticata che dovevo aggiornare quindi sono stupida e lo faccio ora🥰🤫
E cmq ditemi se vi è piaciuto perché a me fa vomitare.
Comunque raga, ci avviciniamo sempre di più alla paccataaaaaa (alias al limone).
Vabbè, vado a studiare.
Andate in pace
Vi amo
Scusatemi per il capitolo di m****a...
Lily❤️❤️
P.s.
Se venite a Roma andate da pompi perché è spettacolare, io amo i tiramisù...
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