24. Non è giusto
«Buongiorno», fresca di doccia, alle sette e cinque precise del mattino, apro la porta al mio collega, già pronta per uscire.
Adrien è...distrutto, oltre che perfetto.
«Quante ore sono che non dormi?» mi rabbuio subito, sfilandogli di mano il vassoio che mi porge.
«Troppe» borbotta entrando. Ha i capelli umidi, una maglietta diversa addosso, e profuma di bagnoschiuma, ma non è stato a casa sua.
Boh, questo ragazzo è un mistero. Oppure mi mente.
Chiudo la porta, raggiungendolo in cucina, dove si tiene la testa tra le mani, seduto su uno sgabello.
«Quanti caffè vuoi?»
«Sette» replica stropicciandosi gli occhi. Io accenno un sorriso, mentre lui si riprende, passandosi le mani nei capelli ancora umidi, che fanno risaltare ancora di più l'oro dei ciuffi già asciutti. Io metto sul fuoco la moka, sistemando su un piatto i croissant che ha comprato.
«Vuoi sdraiarti un po'?» gli chiedo posando le mani sul bancone, mentre lo scruto attentamente.
«No, sto bene» sospira posando gli avambracci sul bancone. Mi guarda, senza fretta, prima di accennare un sorriso e farmi arrossire. Tiro fuori dal mobile due tazzine, assieme a una zuccheriera e un po' di latte. Attendiamo in silenzio il caffè, lui stanco morto, io divisa tra l'imbarazzo di ieri sera e quello di ieri notte, delle ore che hanno segnato la mia dignità per sempre.
Ah no giusto, io la dignità l'ho persa.
Quando è pronto verso il caffè nelle due tazzine, spingendone poi una verso il mio collega. Lui mi rivolge un sorriso dolce come il miele e poi butta giù il caffè d'un colpo, contraendo il viso in una smorfia.
«Speravi nell'effetto shock?»
«Speravo di riuscire a dormire un po' in autobus, ma conoscendo gli autisti bastardi di Roma non ci contavo neanche tanto» replica versandosi un'altra tazzina di caffè.
«Ti devo dare ragione» ribatto stringendomi nelle spalle. «Che hai fatto stanotte?»
«Sono stato da Anita»
Ah. Sono ancora in tempo a lasciarlo fuori dalla porta?
Schiudo le labbra, senza sapere cosa rispondere.
E poi, sotto i miei occhi basiti comincia a ridere, scuotendo la testa. Io lo fisso senza dire una parola, con una piccola crepa nel cuore.
«Scherzavo Amà. Mon Dieu, sembrava ti avessero appena pugnalata. Devi tenerla a bada, questa gelosia» mi picchietta il dito sul naso, mentre io mi esibisco in un'espressione di indifferenza totale.
«Ma gelosa di cosa? Chi ti caga» sbotto acida. Lui ride ancora, e io decido di affondare i miei istinti suicidi in un croissant al cioccolato. Ovviamente il cioccolato mi finisce pure sul naso, e Adrien mi passa un fazzoletto di carta, camuffando una risata con un paio di colpi di tosse. Io lo fulmino con lo sguardo, strofinandomi la carta sul naso con stizza.
«Non ho ancora capito cosa hai fatto» gli faccio notare assottigliando gli occhi. «La gente normale dorme la notte»
«Ho avuto da fare»
«Fammi capire, sei andato a fare la spesa a Parigi o cosa?»
«Ma ti hanno presa ai servizi segreti per investigare su di me?»
«No» ribatto soltanto. «Ma mi interessa» confesso affondando la guancia nel palmo della mano. Lui sospira, incrociando il mio sguardo.
«Ho solo aiutato una persona, ok?» alza un sopracciglio, accennando un sorriso, e io annuisco. Quanto si vede che è rincoglionito. L'Adrien di tutti i giorni mi starebbe prendendo a parolacce a quest'ora. Dovrebbe dormire meno spesso.
«Okay» mormoro strappando un'altro pezzetto di pasta dal croissant. La colazione prosegue in silenzio, finché io non mi accorgo che è ora di andare a lavoro e infilo le tazzine in lavastoviglie, scrivendo un post-it a Grace, che dorme ancora. Edoardo è partito per Ostia ieri pomeriggio, dopo aver fatto la spesa, per passare un po' di tempo con nostra madre.
«Andiamo?» recupero la mia borsa e la giacca, seguendo Adrien fuori dalla porta, dopo avergli restituito le chiavi.
«Meglio che prenda l'autobus, se guido in queste condizioni investo qualcuno» mormora il mio collega, inumidendosi le labbra.
«Vuoi un passaggio?»
«No, tanto devo passare a...fare una cosa»
«Sei sicuro?»
«Tranquilla Amà, ci vediamo a lavoro, uh?» annuisco distrattamente, guardandolo allontanarsi in via Ruggero Bonghi con la maglietta grigia che gli fascia le spalle dritte e la schiena ampia, mentre cammina.
E continuo a chiedermi per quanto la sua vita sarà un mistero completo.
***
Quando arrivo in laboratorio ad attendermi trovo Chiara e Tommaso, che non sembrano dell'umore migliore. Tommaso lavora la crema pasticciera con un'espressione da funerale in viso, e Chiara mi rivolge un sorriso debole prima di riprendere a impastare della pasta di zucchero azzurra. Giovanna intanto sta litigando con la planetaria, spargendo farina in giro per la stanza.
Il turno corto, che facciamo tutti ogni due settimane di sabato, è una tortura per chiunque, vista la difficoltà che si trova ad arrivare in centro tra turisti e romani, anche se oggi il cattivo umore regna proprio su tutti.
Io infilo la divisa, inizio da sola la preparazione di una dozzina di cannoli siciliani e mi lascio assorbire dal lavoro finché Adrien non entra in laboratorio di corsa. Non mi sfugge il polso fasciato che spunta dalla manica arricciata della divisa, che stamattina non aveva e adesso invece è lì. Lui ignora le vistose occhiatacce che Tommaso gli rifila, e prende ad aiutare Chiara nel decorare una torta per un battesimo, lavorando in silenzio sulla pasta di zucchero.
Io riprendo a la preparazione dei cannoli, guardando ogni tanto Tommaso, che oggi sembra avere la luna storta. Continua a imprecare sottovoce, riempiendo una crostata con movimenti frettolosi. Quando infilo finalmente i cannoli in frigo mi avvicino a lui, mordendomi l'interno della guancia.
«Tommaso, tutto bene?» gli sussurro appoggiandomi al bancone. Lui mi trucida con lo sguardo, mordendosi il labbro.
«Certo» replica duro, allontanandosi da me con la teglia in mano. Urta Adrien mentre cammina in fretta verso il forno, che lo guarda male, schioccando la lingua sul palato.
«Te se sta a scuoce' l'insalata, Tommà?» sputa acido.
Adrien non è francese. È di Roma sud. Sicuro.
«A te invece te s'è scotto il cervello» sbraita l'altro, infilando la teglia in forno con un gesto frettoloso.
«Scusami?» la voce gelida di Adrien è come una freccia, e Tommaso, rosso di rabbia, si volta sfidandolo con lo sguardo.
«Ho detto che a te invece, ti si è scotto il cervello. Vuoi che te lo ripeta in francese?» si avvicina al mio collega, che lo guarda dall'alto con la mascella contratta e i pugni stretti. Chiara fa una smorfia, tirando gli angoli della bocca, e io mi mordo un'unghia, preoccupata.
«Senti, Tommaso» Adrien fronteggia il mio collega dall'alto del suo metro e novanta, con gli occhi scuri e un'espressione tale da far morire le piante. «Attento a quello che dici, che stamattina finisce male».
Tommaso stringe i denti, inumidendosi le labbra. «Tornatene in Francia che è meglio» lo sfida alzando il mento. Mi stupisce che Adrien non alzi le mani, vista l'espressione nera di ira che ha in viso e i pugni stretti.
«Puoi tenerti questi insulti per chi se ne fotte qualcosa di quello che pensi. E adesso fila a lavorare, che non ti pagano per sfogare la rabbia repressa contro di me. Magari è la volta buona che tiri fuori una crostata come cristo comanda» pronuncia gelido, tagliente e crudele. Non si cura neanche di vedere lo sconcerto negli occhi di Tommaso, perché si volta e dopo essersi sbattuto uno strofinaccio sulla spalla si rimette a lavoro affiancato da Chiara, che mi lancia un'occhiata divertita.
Tommaso, la cui sfuriata non ha ottenuto l'effetto desiderato, stringe i pugni e sfoga la sua rabbia repressa sugli albumi d'uovo, lanciando ogni tanto un'occhiataccia a Adrien, che lo ignora. Io, un po' confusa, riprendo a lavorare, mentre mi ripeto mentalmente tutte le personalità di Adrien, che così su due piedi non me le ricordo tutte. Ok, scherzo, però un po' bipolare è. Anche tripolare se vogliamo dirla tutta.
Il mio collega francese intanto, sembra avere l'umore più nero dei capelli Tommaso al momento. Si ostina a voler tagliare le decorazioni di pasta di zucchero con la mano destra, quella dal polso fasciato, e qualvolta Chiara si azzardi a cercare di aiutarlo lui la fulmina con lo sguardo e riprende la sua tortura masochista. Continuano così per la seguente mezz'ora, finché una dozzina di perfette conchiglie di pasta di zucchero non vengono depositate sulla torta, con accompagnamento di imprecazioni in francese per ogni movimento del polso. Adesso sappiamo che Adrien non è mancino e che impreca un sacco in francese. Stiamo migliorando.
A fine giornata, dopo aver imprecato pure contro le pietre, Adrien lascia in tutta fretta il laboratorio, e io sono praticamente certa che stia andando a dormire fino a domani mattina. E in un certo senso mi fa tenerezza.
Io, dopo essere stata convinta da una lunga serie di messaggi minatori di mia madre, mi metto in macchina a mezzogiorno preciso per raggiungere Ostia, di cui vedo le case solo a l'una e un quarto visto il traffico e lo spiacevole scontro stile Fast and Furios sulla Colombo tra due Panda.
Quando parcheggio nel giardino della villetta di mia madre affacciata sul lungomare, inspiro lentamente l'aria frizzante del mare, mentre un sorriso mi spunta sulle labbra quando scorgo le onde in lontananza, dello stesso colore di un paio di occhi che ormai conosco bene. Sono rincoglionita di brutto.
Ormai mi potete prendere e ficcare in un film di Rosamund Pilcher.
Non c'è più speranza per la mia dignità.
E io non ci credo manco, nell'amore.
Infilo le chiavi nella toppa ed entro in casa, accolta da un paio di urli.
«Edoardo, basta! Non sai cucinare!» la mia adorabile mammina spunta dalla cucina munita di matterello, con i lunghi capelli scuri raccolti in uno chignon e gli occhi castani che mandano saette. Mio fratello, che mi toglie il fiato facendomi tornare alla mente tutto quello che mi sta nascondendo, corre in salotto ancora in pigiama, mettendo davanti a sé due dita a formare un croce.
«Sono a casa» li avviso mollando la mia borsa sul divano. Mia madre si volta, dedicandomi un lungo sorriso.
«Tesoro» esordisce abbandonando il matterello sul tavolo. «Come stai?» mi abbraccia dolcemente, e io ispiro il suo profumo di mughetto avidamente, godendomi la sensazione di casa. Edoardo, che ha ancora numerosi cerotti sul viso, mi saluta con un bacio sulla guancia, senza aggiungere altro.
E lo capisce dall'occhiata che gli mando che non mi sono dimenticata nulla.
In pochi minuti mia madre sistema il pranzo sul tavolino nel porticato, sorridendo fiduciosa mentre ci riempie di piatti di risotto al radicchio.
Ehw. Ma perché non mi sono portata un dolce?
Neanche avessimo sette anni, io e Edoardo cominciamo a tempestarla di racconti sulla nostra vita per distrarla, facendo finta di mangiare mentre attacchiamo il riso al bordo del piatto per lasciare un vuoto al centro.
«E poi l'autista del bus è sceso in mezzo a Piazza Venezia, propio davanti al Vittoriano, e ha fatto il dito medio alla schiera di ciclisti che passavano» ride Edoardo, infilando in bocca un cucchiaio vuoto. Io scuoto la testa, scossa dalle risate, mentre mia madre ridacchia cercando di contenersi.
«Perché, ti ricordi quando quella vecchietta ha ordinato all'autista di fermarsi a metà di via dei Fori Imperiali perché aveva dimenticato di fare la foto al balcone di Mussolini?» Edoardo annuisce, ricordando un sabato mattina a due poco esilarante. «E lui si è fermato davvero! L'abbiamo pure aspettata» continua lui, cincischiando il riso nel suo piatto. Io in un moto di coraggio infilo in bocca una cucchiaiata, trattenendo una smorfia.
«Sai che al raccordo anulare due sono stati beccati a vendere marijuana alle macchine? Ed era erba di campo» ridacchio ancora, prima di accorgermi che Edoardo ha cominciato a tossire, quindi di passo un bicchiere d'acqua.
«Tutto bene?» lui annuisce freneticamente, e io scrollo le spalle, osservandolo mentre butta giù a lunghi sorsi l'acqua.
«Amanda, non hai mangiato praticamente nulla!» cazzo, sgamata in pieno.
«Io...ehm, non ho tanta fame, sai», Edoardo sghignazza da perfetto fratello maggiore, e io gli faccio il dito medio mentre mia madre riesuma il riso dai bordi del piatto.
«Edoà, tu non sei da meno. Ma avete dieci anni e non me ne sono accorta?» sbraita lei, quando si accorge che anche il piatto di Edoardo è praticamente pieno. La sua espressione vittoriosa si smonta e io rido, inebriata dal profumo della salsedine. Antisgamo.
«Io credo di avere mal di pancia» mio fratello, l'attore di casa per eccellenza, si porta una mano alla pancia con una smorfia, mentre io gli lancio un tovagliolo contro.
«Testa di cazzo» borbotto prendendo la mira con il tovagliolo successivo.
«Mamma, Amanda mi insulta» sbotta lui, con un sorriso malefico, mentre io boccheggio sconvolta.
«Chi fa la spia non è figlio di Maria!» ribatto scioccata. Che bastardo.
«Infatti mia madre si chiama Adele, non so la tua» mi rilancia contro il tovagliolo, mentre nostra madre si prende la testa tra le mani, esasperata.
Io gli molla un calcio da sotto il tavolo, e lui ribatte con un pugno leggero sulla testa.
«Avete finito?» sbraita la mia, ormai sull'orlo della crisi di nervi e adorabile mamma, passione sergente di marina.
«È Edoardo che è stupido!» ribatto incrociando le braccia al petto.
Ventitré anni e la maturità di una bambina dell'asilo.
«Sei tu che sei stupida» replica lui.
«Tu sei nato prima, e prima si fa lo schizzo e poi il capolavoro» alzo le sopracciglia, facendomi da sola un'applauso di vittoria. Mia madre ridacchia davanti all'espressione sbigottita di Edoardo.
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere» replica lui, alzando le mani in segno di resa. Il silenzio che cala viene spezzato dalla voce di mia madre, che ci pone la fatidica domanda.
«Vostro padre lo avete sentito?» il gelo cade a tavola, mentre io vengo scossa dai brividi, accusando la brezza marina come un vento ghiacciato.
«No» ribatto dura, con sguardo basso. Non si può neanche chiamare padre da due anni a questa parte.
«Neanche io» Edoardo sospira, dividendo a metà con meticolosità un po' di chicchi di riso. Mia madre si accende una sigaretta, facendo un lungo tiro mentre si studia le unghie rosa pesca.
«Non siate cattivi con lui» io mi mordo un'unghia, senza sapere cosa dire.
«Non siamo noi quelli cattivi» dico infine, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.
«Volevo dirvi una cosa» sospira poi, incontrando i miei occhi. Intercetta il mio sguardo con delicatezza, come se avesse paura di spezzarmi. E io perdo un battito.
«Lo sappiamo già che abbiamo due fratellastri» commenta Edoardo, ironico. L'occhiata gelida che gli rivolgo lo zittisce, quindi torno a guardare mia madre.
«Ho conosciuto una persona» esordisce per poi attendere una nostra reazione.
«Non è quello che penso, vero?» tuona mio fratello, abbandonandosi contro lo schienale della sedia da esterno. Mia madre prende un'altro tiro, soffiando lentamente il fumo fuori dalle labbra.
«Lo è» conferma con una smorfia. «E non voglio discussioni su questo» mi blocca quando sto per aprire bocca, alzando un dito. «Sapete già tutta la storia, e penso che al mio posto nessuna donna avrebbe aspettato così tanto.»
«Non è giusto» sbotto stringendo il bracciolo della sedia. «Non è giusto» ripeto ancora, sbattendo le palpebre per trattenere le lacrime.
«Amanda, lo so» mi sussurra posando la sua mano sulla mia.
Io mi ritraggo, quasi scottata. «No, non lo sai. Non sai cosa vuol dire crescere con la convinzione che l'amore non esista, quando tutti attorno a te ne hanno» sputo acida, mentre Edoardo batte per l'ennesima volta il cucchiaio sul piatto.
«Mamma, Amanda ha ragione. Tu e papà avete fatto una cazzata, e siamo noi che ne abbiamo sofferto per tutta la vita. Come pensi che ci si senta a sapere che siamo stati il tentativo di una vita felice che non esiste? Invece di farvi nuove vite dovreste provare a accettare la vostra» sibila perfido.
«Sono rimasta incinta a sedici anni! Cosa avrei dovuto fare?» sbotta lei, spegnendo con veemenza la sigaretta nel posacenere.
«Abortire» ringhia Edoardo. «Non fare due figli perché ti andava e poi divorziare, per poi lamentarti che papà si era fatto una nuova vita» mia madre apre e chiude la bocca, scioccata.
«Io e Riccardo abbiamo pensato di sposarci a inizio Novembre. Io ho quarant'anni e ho ancora una vita davanti. Fatevene una ragione» conclude alzandosi. Recupera i piatti in fretta e furia, sbattendo le porcellane per poi rintanarsi in casa. E due minuti dopo io sto già piangendo contro il petto di Edoardo. Lui mi stringe a sé, lasciandosi sfuggire una lacrima anche lui.
«La odio» sbotto stringendo la maglietta del suo pigiama tra le dita.
«No, Amy, hai solo bisogno di tempo» mi sussurra sospirando.
E io piango ancora.
Perché non è giusto, la vita non è giusta, è tutto sbagliato e io non posso farci nulla.
Ok raga
Amatemi che sono riuscita a revisionare tra un'esercizio di inglese sbagliato e una figura di merda.
Vi è piaciuto il capitolo?
Il mistero di adrien che vende origano si infittisce, e Edoardo secondo me un paio di notti al raccordo anulare ce le ha passate...😂😂😂
Voi come state? Spero tutto bene.
Amanda è sempre più innamorata e Tommaso fa casino😂
Che ve ne pare della madre di Amanda e edo? Quanto la odiamo? Nei prossimi capitoli si snoda un po' il racconto della loro infanzia.
Vabbè, fatemi sapere
Io vado a studiare (COME AL SOLITO)
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
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