23. Dejavù
«Cazzo, cazzo, cazzo» ripasso per l'ennesima volta il mascara sulle mie ciglia, cercando di dare un senso ai miei capelli. Sono dieci minuti che continuo a imprecare mentre cerco qualcosa che sembri da casa, ma non troppo da barbona nel mio armadio. E alla fine opto per dei leggings e un maglione oversize, prima di riprendere a imprecare mentre saltello per la stanza in cerca di calzini neri. Ritorno in salotto con il fiato corto, quindi mi assicuro che tutto nell'agenda sia come l'ho trovata, e mi piazzo davanti allo specchio dell'ingresso, camminando avanti e indietro per la stanza. Grace entra in salotto con un paio di stivali in mano, e mi guarda stranita.
«Che fai?»
«Tu che fai?» replico prima che il citofono suoni e a me scappi un'urletto.
Panico.
«Ma chi è?»
«Adrien!» strillo facendole segno di stare zitta. Lei alza le mani, e io mi avvicino al citofono per rispondere.
«Chi è?»
«Adrien» quanto si vede che non è italiano. Un romano DOC avrebbe risposto "io". Mi scappa un sorriso, mentre ritorno da Grace.
«Gli ho detto del libretto e lui è venuto a riprenderselo» le spiego torcendomi le mani, nell'ansia più totale.
«Capirai, manco stesse venendo a chiedermi la tua mano. Io comunque esco, vado da Sheila per cena» mi informa chiudendo la zip del secondo stivale, prima di alzarsi in piedi. Ma propio stasera deve andare da sua sorella?
«Che vuol dire che te ne vai? Io ho bisogno di sostegno»
«Amy devi stare calma. Perché non lo inviti a cena per fare pace?» e a me scappa una risatina.
«Sì, e poi gli dico che mi piace, come no» sbotto sarcastica. Lei sgrana gli occhi, e solo adesso mi accorgo che lei è rimasta parecchio indietro con la mia situazione sentimentale.
«Hai detto che-» il campanello suona, e io spalanco gli occhi battendomi una mano sulla fronte. Mi dirigo verso la porta prendendo dei lunghi respiri, prima di posare una mano sulla maniglia della porta, chiudere gli occhi un secondo e poi aprire la porta, incontrando lo sguardo di Adrien.
Schiudo le labbra, senza perdermi un dettaglio del suo abbigliamento, né del suo viso. Indossa dei jeans neri e una t-shirt rossa, nonostante sia ottobre ormai, e chiunque sano di mente a Roma vada in giro con la giacca. E poi il rosso, su di lui, mi sembra un po' il colore più bello del mondo. I capelli ombreggiano la fronte, donandogli un'aria da bad boy, accentuata dalle mani in tasca e lo sguardo di sfida.
«Ciao» mi saluta perfettamente a suo agio. Io improvvisamente ho la bocca secca.
«Ciao» replico attaccata alla porta, neanche fosse l'ultimo salvagente del Titanic.
«Ciao, Adrien, ti fermi a cena?» la voce di Grace mi arriva alle orecchie come il suono di un vuvuzela, mentre realizzo cosa ha appena detto.
Ma che scherziamo? Non dovevo dirle che mi piace, è stato l'errore peggiore della mia vita, sicuro.
Mi volto verso di lei, che sta infilando il cappotto con disinvoltura nell'ingresso, con gli occhi sgranati e la bocca aperta a forma di "o".
«Adrien non può, ha da fare» replico con una serie di smorfie al fine di avvisarla che se continua soffocherò. Alle mie spalle, Adrien camuffa una risata con un paio di colpi di tosse.
«Ma dai, potreste rinvangare i vecchi tempi parlando di come ti ha umiliata davanti a una schiera di vecchietti...che c'è, Amà? Parole tue»
«Non ho mai detto "umiliata"» ribatto incrociando le braccia al petto, fulminandola con lo sguardo.
«Io mi ricordo perfettamente che-»
«Adrien ha da fare, punto.» la blocco alzando un dito minacciosa. Lei sorride, consapevole che tanto io lo so; quando vuole qualcosa non si ferma mai.
«Toh» esclama guardando il suo cellulare. «Sheila dice che ha la febbre. Vi va se ordiniamo una pizza e guardiamo un film?» chiede con un sorriso angelico.
Devo appuntarmi di ucciderla più tardi.
«Ho mangiato pizza ieri sera» replico senza curarmi che in tutto questo il mio collega è rimasto fuori dalla porta, con le mani in tasca e in attesa della sua agenda.
«Prendiamo cinese, allora. Vado io, che tanto sono già vestita» mi schiocca un bacio sulla guancia, prima di uscire dalla porta e spingere il mio collega dentro casa. Si tira la porta dietro, facendomi l'occhiolino prima di lasciarmi sola con Adrien. E io inizio a sudare freddo.
«Si droga?» è la prima cosa che mi chiede lui, voltandosi per guardarmi.
«Fuma crack tra una lezione e l'altra» replico con un sorriso. Lui si lascia sfuggire un'impercettibile risata, scuotendo la testa.
«La mia agenda?» mi ricorda spezzando l'imbarazzante silenzio che cala.
«È qui» replico girandomi verso il mobile dell'ingresso, che ha posata sulla superficie di legno l'agenda di cuoio di Adrien.
«Grazie» mi dice prendendola quando gliela porgo. La apre, sfogliandone le pagine con un gesto frettoloso e un'ombra di tristezza che gli appare sul viso.
«Vuoi dell'acqua?» propongo senza pensare. Meglio se stavo zitta.
«Sì, grazie» replica lui, passandosi una mano sugli occhi, e a me torna alla mente che lui stanotte non ha praticamente dormito.
Mi segue in cucina, quindi si appoggia all'isola mentre io apro un pensile per recuperare un bicchiere, quando un pacco di zucchero crolla sul mio viso, finendo poi a terra.
«Ma porca-» sbotto portandomi una mano sul naso.
«Dejavù» ride il mio collega, raccogliendo il pacco di zucchero da terra. «Tuo fratello ha fatto la spesa» mi dice mostrando il post-it verde che è attaccato sul pacchetto bianco, accompagnato da uno smile e la scrittura incasinata di Edoardo.
«Manco mettere lo zucchero nella dispensa sa fare» borbotto stringendomi il setto nasale con le mani. Lui sorride e lascia il pacchetto sul tavolo, prima di tornare a guardarmi.
«Fammi vedere, dài» mormora scostando le mie dita. Mi prende il viso tra le mani, scrutandomi attentamente, poi mi passa i pollici sul naso, e inclina il volto di lato.
«Sembra apposto. Solo un po' storto forse»
«Che vuol dire storto?!» replico preoccupata, facendolo ridere.
«Puoi stare tranquilla, scherzavo. È perfetto» mi rassicura lasciandomi un buffetto sulla guancia. Rimette lo zucchero nella dispensa, mentre io mi preoccupo di riempire un bicchiere d'acqua e porgerglielo.
Lui beve lentamente, con i miei occhi incollati addosso e poi mi ringrazia, lasciando il bicchiere dentro lavello.
«Sei stanco?» gli chiedo sedendomi su uno sgabello dell'isola. Lui scrolla le spalle, inumidendosi le labbra.
«Un po'» mi dice semplicemente, e io lo capisco perfettamente che il nostro litigio è rimasto tra noi come un muro. Mi impedisce di parlargli senza avere paura delle conseguenze, mi frena dal chiedergli se vuole riposarsi mentre aspettiamo Grace, mi ferma dal ridere con lui per davvero, ricordando la prima volta che ci siamo incontrati.
«Adrien?»
«Dimmi»
«Scusa» sospiro tirando un filo del mio maglione. «Mi dispiace aver insistito così tanto»
«Non fa nulla» mi rassicura con un luccichio strano negli occhi. «Tanto l'ho capito da quando hai cercato di rimorchiarmi al supermercato che ti manca qualche rotella» ride prendendosi gioco di me.
«Ma tu guarda che stronzo» sbotto io, scuotendo la testa. «Non ti stavo rimorchiando. Volevo ringraziarti»
«Infatti lo hai fatto. È che poi sei andata avanti» continua lui, mentre io gli mollo un pugno sul braccio, stringendo le labbra per non ridere di me stessa.
«Cercavo di essere gentile!» ribatto con l'ennesimo sorriso.
«Gentilissima! Me lo ricordo ancora, mi hai mandato a fanculo» replica pizzicandomi il fianco. Io sobbalzo, e metto le mani avanti.
«Non provarci» dico ridacchiando. Lui mi guarda per qualche secondo, come se avesse fatto la scoperta dell'anno.
«Soffri il solletico, Amà?» da morire. Soffro il solletico pure sui polpacci praticamente.
«Tutti soffrono il solletico!» ribatto cercando di giustificarmi. «Ah, no, aspetta, scommetto che Mr France qui presente non lo soffre» gli punto un dito contro, scivolando giù dallo sgabello con un salto.
«Ed è qui che ti sbagli» mi dice con un sorriso malizioso. Prima che io possa scappare sto già minacciando di piangere tra le risate, mentre tento di liberarmi dalla sua presa. Tento di attaccarlo a mia volta, strappandogli un paio di risate mentre indietreggio verso la porta.
«Time-out!» urlo mettendo le mani avanti, prima di buttarmi sul divano. «Dobbiamo scegliere un film decente prima che Grace faccia partire Io prima di te. Anzi, prima tiro fuori i plaid» mi dirigo verso lo sgabuzzino, tirando fuori la scala, prima di posizionarla davanti al disimpegno dell'entrata, dove un piccolo soppalco per le decorazioni di Natale e le coperte invernali alberga sopra l'arco dell'ingresso. E poi mi torna alla mente che io ho paura dell'altezza. Una fottuta paura dell'altezza.
«I plaid?» mi chiede lui, appoggiandosi al muro.
«I plaid» confermo fissando la scala davanti a me. «Okay» soffio un po' d'aria fuori dalle labbra, prima di mettere un piede sul primo gradino.
Proseguo così fino a metà scala, finché non mi ritrovo aggrappata alle sbarre di alluminio, tra l'infarto e il terrore puro. Adrien mi guarda dal basso, con un sorrisetto beffardo stampato sulle labbra rosse. E io intanto muoio dentro.
Grace non lo faceva sembrare così difficile.
«Amà?»
«Cosa?»
«Hai paura dell'altezza?» fingo di non notare la nota divertita nella sua voce e salgo un'altro gradino.
«N-no» ribatto chiudendo gli occhi per non guardare in giù. «Solo, se cado mi prendi, vero?» gli chiedo nervosa, con le dita aggrappate all'ultimo gradino.
«Se non cadi non ce ne sarà bisogno» mi risponde pragmatico.
«La fai facile tu» ribatto mordendomi il labbro mentre lancio un'altra occhiata al pavimento fin troppo lontano per i miei gusti.
Ma come ci finisco in questa situazioni?
Propio oggi dovevo prendere i plaid?
«Vuoi che faccia io?» incontro i suoi occhi, con una scintilla di divertimento puro tra l'azzurro e il grigio.
«Sì, grazie» replico subito, scendendo come un fulmine dai cinque gradini che sono riuscita a salire senza raggiungere l'infarto fulminante.
Adrien ride, salendo con tranquillità i gradini, anche se a lui ne servono solo tre per raggiungere l'altezza del soppalco. Apre l'anta, scrutando le scatole all'interno.
«La scatola verde» gli indico allungando il braccio.
«Se cado mi prendi, vero?» squittisce imitando la mia voce.
«Io non parlo così» contesto mentre lui tira fuori la scatola, scostandone un paio prima.
«Sbaglio o qui c'è scritto "Amanda, foto prima elementare"?» ride prendendo in mano un'album sopravvissuto alla razzia fatta quest'estate di roba che ho prontamente spedito a casa di mia madre ad Ostia.
«Non azzardarti ad aprirlo» lo minaccio mollando uno schiaffo sulla sua gamba. Lui ride e si volta a guardarmi.
«Come vuoi. Bella la foto di copertina comunque, sopratutto il gelato sparso sul tuo viso» commenta ridacchiando, prima di prendere la scatola dei plaid e richiudere l'anta. Io avvampo, resistendo alla tentazione di sbattere la testa contro il muro e porre finalmente fine alla mia misera vita.
«La cosa rimane qui» lo minaccio prendendo la scatola.
«Gelato in bocca» replica ridendo, prima di chiudere la scala. A me scappa una risata, mentre apro la scatola posandola sul tavolo.
«Plaid con le renne oppure orsetti?» gli chiedo mentre ripone la scala dentro lo sgabuzzino.
«Coni gelato non ne hai?» mi chiede ridacchiando. Io mi metto le mani sui fianchi, nel vago tentativo di risultare minacciosa.
«Ma che bastardo» commento scuotendo la testa. Lui ride con me, e per qualche minuto continuiamo a ridacchiare senza una ragione precisa.
«Vada per gli orsetti» dice alla fine, seguendomi in salotto. «Certo che qui siete fissati con lo zucchero» commenta poi, sedendosi accanto a me, prima di indicare la zuccheriera sul tavolino. Io mi stringo nelle spalle con un sorriso, accendendo netflix sulla tv.
«Neanche tanto dai. Che ne dici di Chiamami col tuo nome?»
«No, mon Dieu. Mia madre è fissata con quel film» sbuffa abbandonandosi sui cuscini. «Lo squalo?» propone poi, indicando la copertina.
«Come no, così mi ritrovate in punto di morte tra un raviolo e un involtino primavera» commento sarcastica, strappandogli una risata.
«Come vuoi» acconsente distendendo le lunghe gambe. Mops si sistema sulle mie gambe, e io gli lascio un paio di carezze sulla testolina.
«Pretty woman?» suggerisco poi, voltandomi verso di lui. Adrien mi guarda in silenzio per qualche secondo, prima di annuire. Io seleziono il film, mettendolo in pausa dall'inizio per aspettare Grace. Cala un silenzio strano, che a dirla tutta vorrei riempire solo per sentire la sua voce.
«Com'era Parigi?» mi sistemo a gambe incrociate, voltata verso di lui.
«Nuvolosa» replica con l'accenno di un sorriso. «Ma Parigi è sempre bella»
«Quale preferisci? Tra Roma e Parigi, intendo»
«Roma» mi risponde senza esitazioni. «A Parigi adesso non c'è più nulla della mia vita. Anche se mi porto dietro l'aver trascorso quasi dieci anni in Francia. Ci sono delle cose poi, che di Roma propio non sopporto. Sei mai stata a Parigi?» io scuoto la testa, in segno di diniego. Lui si tira su, poggiando gli avambracci sulle cosce. Si volta per guardarmi, sorridendomi.
«Dovresti andarci. Ti piacerebbe»
«Dove abitavi lì?» ne approfitto per strappargli piccoli pezzi della sua vita, per insinuarmi piano piano nei suoi pensieri, che adesso mi sembrano così interessanti.
«In un'appartamento all'ultimo piano di un palazzo sulla Senna. Era della famiglia di mio padre, e quando si sono trasferiti è passato a me, per permettermi di muovermi liberamente tra la pasticceria e...» si ferma, come se non volesse lasciarsi scappare più del dovuto. «E le altre cose»
«E qui dove vivi?» mi accorgo di non avere idea di dove Adrien viva qui a Roma, giocando con un filo del mio maglione.
«Non tanto lontano da qui» replica scrollando le spalle. «Vuoi anche il codice fiscale o basta così?» ride poi, rifilandomi un'occhiata divertita.
Io abbasso lo sguardo, scuotendo la testa.
«Sai com'è, volevo sapere se ho invitato a cena un killer professionista» ribatto inclinando la testa di lato. Lui ride, rigirandosi un'anello d'argento che porta all'indice con noncuranza.
«Non eri tu quella che voleva ammazzarmi?»
«Penso che tu sia meno sospetto come assassino. La gente ti potrebbe scambiare per un ragazzo sano di mente» rido con lui, prima di realizzare che Grace è scomparsa da trenta minuti ormai, e che il ristorante cinese è all'isolato qui accanto.
«Seriamente però, sei sparito per due giorni, che ne so io che non sei andato a nascondere i cadaveri in Provenza?»
«Ti dovresti fidare di me. Sono solo stato richiamato dai doveri di figlio maggiore»
«Alias?»
«Niente di importante» svia scrollando le spalle. Io comprendo che è un'argomento off-limits, quindi mi alzo, recuperando il cellulare.
«Grace è andata a prenderlo a Pechino il cibo» borbotto inviandole qualche messaggio minatorio.
Finalmente, dopo un'intera ora di assenza durante la quale io e Adrien abbiamo commentato l'interpretazione di Thimotèe Chalamet in Hot summer nights e riso per cose inutili che probabilmente davanti ad altri ci avrebbero fatto sembrare dei dementi, Grace ritorna a casa munita di cibo per un'esercito. Ci sistemiamo sul divano, e io, stretta tra Adrien e Grace, avvio il film con una scatola di spaghetti di soia in mano.
Dopo più di un'ora, nessuno rispetta più il silenzio e dire che Grace è innamorata persa di Edward è dire poco. Adrien al contrario, commenta con le bacchette in mano, sfiorando di tanto in tanto la mia gamba con la sua.
«Mais regarde ça, è un tale coglione. Si vede che lei vuole sposarselo, e lui le propone di fare l'amante a vita. Che testa di cazzo, pure io avrei detto di no» sbotta indicando con le bacchette l'immagine di Edward.
«Ma perché non pensa che Vivian sia pronta a una vita del genere» ribatte Grace, masticando l'ennesimo raviolo di carne.
«Ma che cazzo vuol dire?! È lui che deve aiutarla ad abituarsi, mica buttarla in pasto alla stampa»
«Ma Edward è un'uomo d'affari» sbraita Grace, passando agli involtini primavera. «Mica può andarle dietro come un babysitter»
«E allora non la ama» conclude lui, con un gesto deciso delle bacchette.
«Ecco, ci siamo persi la scena cruciale» protesto io, spingendo da parte la confezione di soaghetti di soia.
Adrien afferra il telecomando, mandando indietro il film di qualche minuto, in silenzio. Io schiudo le labbra, mentre lui ricomincia a guardare il film senza un piega. Ed è con queste piccole cose che mi scalda il cuore, ogni volta un po' di più.
Dopo aver finito Pretty Women, Grace avvia Mean Girls, ignorando le mie proteste. Il mio odio per quel film è equivalente alla superficie degli interi Stati Uniti. Abbandono il cibo per sistemarmi meglio tra la mia coinquilina e il mio collega, finendo per addormentarmi subito dopo lo spettacolo di Natale.
Cado in un sonno agitato, tra Cady che rifila a Regina barrette caloriche e Gretchen che rincorre Aaron con una mazza da baseball finché una voce dolce come il miele non mi sveglia.
«Amanda?» schiudo gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura del mio collega. Il suo viso è a un palmo dal mio, e io sono praticamente spalmata su di lui. Mi sono allargata dormendo, e pure parecchio.
«Mi sono addormentata» mugugno con la voce impastata dal sonno. «Su di te»
«Ho visto» replica con l'accenno di una risata. «Ma adesso devo andare» mi sussurra mentre io ricado sul suo petto, accusando una tremenda stanchezza.
«Vai» mormoro chiudendo gli occhi. Lo sento sospirare, prima di percepire le sue braccia sotto le ginocchia. No aspetta, cosa?
Mi sento sollevare, ancora contro il suo petto.
«Dov'è la tua stanza?» bisbiglia muovendosi nel buio del salotto.
«Boh» sospiro inspirando l'odore dolce della sua pelle. Il suo petto si muove, scosso dalle risate, mentre io continuo a dormicchiare indisturbata.
Posso rimanere così per sempre?
«Tu es impossible» lo sento ridacchiare, mentre apre una porta a caso. Schiudo ancora gli occhi, accorgendomi che ha beccato il bagno.
«Porta di fronte» bisbiglio accoccolata contro il suo torace. Lui si affretta a uscire dal bagno e ad aprire la porta dirimpettaia, entrando con passo felpato. Individua il letto al buio e mi posa sul materasso, chinandosi per sistemare il piumone su di me.
«Buonanotte» mormora lasciandomi un bacio sulla fronte. E le sue labbra sulla mia pelle mi mancano terribilmente quando mi lascia e se ne va, chiudendosi la porta alle spalle.
***
La mia suoneria, inconfondibile nella sua melodia predefinita, risuona per la stanza in penombra, mentre io allungo una mano verso il comodino, maledicendo Luca e il suo brutto vizio di chiamarmi quando ancora metà mondo non ha aperto gli occhi.
«Luca, mi spieghi che cazzo vuoi?» mi lamento stropicciandomi gli occhi con la mano libera.
«Amà, sono Adrien, buongiorno anche a te» salto a sedere, sgranando gli occhi. Lo sapevo che dovevo guardare il mittente.
«Ehm...buongiorno?» dò un'occhiata al nome del mio collega sulla schermo e mi batto una mano sulla fronte, mentre i ricordi di ieri sera mi ritornano alla mente. Cazzo, mi sono addormentata su di lui. Ma perché sono nata storta?
«Come mai mi chiami alle...sei e quaranta di mattina?» faccio una smorfia, ricadendo sul materasso.
«Volevo chiederti se ho lasciato da te le chiavi di casa, perché non le trovo»
«Aspetta che controllo» butto giù le gambe dal letto, trascinandomi fino al salotto. «Ma ne hai un'altra copia vero?»
«No, perché?»
«Come perchè? Stanotte hai dormito sul marciapiede, scusa?» ribatto abbassandomi per guardare sotto al divano.
«No, ho avuto da fare»
«Di notte?»
«Di notte» conferma spazientito. Forse non si rende conto che la gente normale di notte dorme.
«Sei andato a un raduno per bipolari anonimi?»
«Ah, ah. Di prima mattina sei ancora più simpatica» commenta sarcastico. «Le hai trovate allora?» io alzo gli occhi al cielo, frugando tra le coperte del divano. Finalmente un paio di chiavi attaccate a un semplice anello di metallo spuntano tra i cuscini.
«Trovate» confermo alzando davanti al viso le due chiavi. «Vieni a riprendertele?»
«Sì, arrivo» sbuffa mentre io lancio le chiavi sul tavolino.
«Adrien»
«Cosa?»
«Porta la colazione, che stamattina è meglio se ricominciamo».
Mais regarde ça= ma guardatelo.
Tu es impossible= sei impossibile.
Ok, amatemi dai.
Ho revisionato in fretta e furia tra coni gelato e cibo cinese, solo per garantire un'altro aggiornamento.
Ma secondo voi, Adrien che va a fare di notte?
Io qualche idea ce l'ho, e non comprende Anita, tranquille🥵
Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì.
Io comunque, sono Amanda. Ceh, ho una fottuta paura dell'altezza, solo dalle scale però, e soffro il solletico letteralmente ovunque.
E niente, io non ho un'Adrien che mi aiuta però...
Voi come state? Spero tutto bene, fatemi sapere.
Adesso vado a studiare, tanto per cambiare...
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️
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