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11. Fai acido

«Ti assicuro che finirà bene» Anita sorseggia il suo caffè, sovrastando il chiasso della Galleria Sordi con la sua voce squillante. Sofia, accanto a lei, alza gli occhi al cielo.
Bene come Romeo e Giulietta.
Sicuro.

«Certo» annuisco aggiungendo al mio espresso un paio di bustine di zucchero. Siamo qui da mezz'ora ormai, ad ascoltarla parlare della sua tresca amorosa con un commesso della Conad, in un affollatissimo sabato pomeriggio in centro.
«Con Adrien, invece?» le chiede Sofia, alzando le sopracciglia. Tossisco un paio di volte, mentre il caffè bollente mi scotta la lingua.
«Tutto bene, Amà?» mi chiede Anita, con uno sguardo stranito. Annuisco, affogando le bocca in un bicchiere d'acqua ghiacciata. «Sì, sì, continua».
«Va bene» replica lei, scrollando le spalle. «Beh, è molto sexy e-»
«Vi siete accorte che il barista continua a guardaci da un quarto d'ora?» le interrompo indicando un poveretto impegnato a sfornare espressi.
È pure carino, dai.
Sofia mi scocca un'occhiata dubbiosa stringendosi nelle spalle, prima di portare alle labbra la sua tazza di caffè d'orzo. Anita schiocca sul palato la lingua, piuttosto scocciata.
«Posso?» assottiglia gli occhi con una smorfia buffa, uguale a quella della Anita quindicenne. Alzo le spalle, riprendendo a bere l'acqua.
Spero di affogare.
Non voglio sentire delle loro avventure sotto le lenzuola.

«Stavo dicendo che-»
«Sofì, hai messo la maglietta al contrario?» Anita stringe i pugni, mentre Sofia controlla la targhetta della sua maglietta. Mi fa l'occhiolino, ispezionando le cuciture.
«Mah, non si capisce bene perché-»
«Avete finito?» sbotta Anita, buttando giù d'un colpo il suo caffè. Soffoco una risata, annuendo.
«Quindi, dicevo che-»
«Posso portarvi altro, ragazze?»
Sorrido vittoriosa, quando il cameriere si avvicina con un vassoio.
«Mi porti un succo d'arancia?» chiedo subito, ignorando gli sbuffi di Anita.
«Fa acido Amà» mi dice nervosamente.
Tu fai acido oggi.
Talmente tanto che ti si può condire con l'insalata.

Scrollo le spalle in risposta, con un sorrisino.
«Torno subito» il cameriere mi dedica un lungo sguardo prima di scomparire tra i tavolini. Riporto lo sguardo su Anita, intenta a studiarsi con calma le unghie laccate di rosso.
Attende saggiamente il ritorno del cameriere, quindi mi guarda prendere un sorso dal bicchiere colmo di liquido arancione e si raddrizza sulla sedia.
«Dicevi?» riprendo il discorso cautamente, osservando la mia amica.
«Dicevo che non siete degne di questo racconto» sbotta reprimendo un sorriso. Sofia ridacchia, scuotendo la testa.
«Che mi dici della nuova collezione di Zara? Quella siamo degne di andare a vederla?» le chiedo con un sorriso prima di finire la spremuta nel mio bicchiere.
«Un giretto veloce» mi risponde minacciandomi con un dito.
Come no.
Usciamo da Galleria Sordi qualche minuto dopo, dirette all'edificio di fronte.

Entriamo nel negozio alle quattro di pomeriggio e alle sei e mezza non siamo ancora uscite. Con grande costernazione del mio portafoglio.
«Ma che roba è?» mi chiede Sofia, quando esco dal camerino. Mi stringo nelle spalle, osservando la mia immagine riflessa nello specchio.
«Un fazzoletto per le serate molto calde» ridacchio con un'occhiata alla scollatura sulla schiena.
«Un fazzoletto molto sexy. Chi vuoi far svenire?» Anita esce dal camerino accanto al mio, tirando sù la zip di uno stivale aderente fino a metà gamba.
«Nessuno, per ora» rido aiutandola a rimanere in piedi.

Sofia ci guarda provare qualche paia di jeans mentre il pomeriggio trascorre veloce. Quando lasciamo l'edificio, dirette a via del Corso, sono le sette, e la Roma notturna comincia già a risvegliarsi.
Passiamo tra i gruppi di turisti confusi e percorriamo i marciapiedi fermandoci ad ammirare le vetrine.
A piazza del Popolo ci fermiamo, esauste. Mi sta venendo la cancrena al braccio.
Stringo la busta contenente il fazzoletto sexy, due magliette e una gonna con grande tenacia, mentre Sofia si dichiara distrutta.
«Venite a cena da me?» propongo rispondendo ai messaggi di Grace, dove mi comunica di aver comprato pizze surgelate per un'esercito.
Assenso unanime ci porta alla mia macchina, gentilmente restituita da Edoardo ieri mattina.
Insieme a un pacchetto di bugie formato XXL.

Nel tragitto verso casa rimaniamo ovviamente imbottigliate nel traffico, tra una canzone di Shawn Mendes e una di Britney Spears.
Quando finalmente riesco a introdurmi nella via di casa mi fiondo nel primo parcheggio libero, uscendo dalla macchina soddisfatta.
Il mio sorriso si spegne quando vedo Edoardo impegnato a fumare, appoggiato al portone di casa, accanto a un ragazzo biondo.
Affiancata dalle mie amiche arrivo davanti a loro, trafelata.
Scocco a mio fratello un'occhiata gelida, e poi scannerizzo il suo amico.
«T'apposto, Amà?» mi fa il mio consanguineo, lasciando che una nube di fumo abbandoni le sue labbra, immergendolo in una nuvoletta.
Tossisco, piuttosto incazzata, mentre mi sventolo davanti una mano per scacciare il fumo.
«Tutto apposto» replico stringendo i denti.
«Alexis» si presenta l'amico, mettendo tra me e mio fratello una mano. La stringo per qualche secondo, osservando i suoi occhi. Mi sembra familiare, ma non so dove potrei averlo già visto. Boh
«Amanda» replico secca, tornando a guardare Edoardo. «Ceni con noi?»
«No» mi risponde lui, portandosi la sigaretta alle labbra. Lo fulmino un'ultima volta con lo sguardo, afferrando la sua sigaretta.
La spengo contro il muro, accanto alla sua testa.
«Non t'accollà» soffia velenoso assottigliando gli occhi. Gli dedico l'occhiata più cattiva che riesco a ottenere e lo oltrepasso, infilando le chiavi nella toppa.

***

«Ma perché? Perché?» sbatto il canovaccio che tenevo in mano sul tavolo, spingendo da parte la torta Dobos che ho appena finito di preparare.
Di profanare, più che altro.
Ne ho fatte tre, in quattro ore di lavoro spontaneo. Sono rimasta nel laboratorio dopo il turno per preparare una meraviglia della pasticceria, che non mi viene.
È come i compiti di Algebra al liceo, non c'è verso che mi vengano giusti. Come Grace si è premurata di ricordarmi ieri sera.
E questa torta comincia ad irritarmi.

«Ti odio, ti odio!» sbotto piegandomi sul bancone con le mani sul viso.
Mi è sempre venuta. E ora decide di mandare a puttane tutta la mia preparazione. Ma perché?
Ho deciso che da oggi odio la cioccolata e tutto quello stupido caramello.
Perché ha il sapore di una Sacher mischiata con un po' di sneakers?!

«Va tutto bene?». Caccio un'urlo, voltandomi di scatto. Adrien è sulla soglia del laboratorio, con un sopracciglio alzato e la sua giacca tra le mani.
«Che ci fai ancora qui?» sbraito lanciando un'occhiata all'orologio sulla parete. Tra poco Grace mi darà per dispersa.
«Sono venuto a recuperare la mia giacca, e poi ho sentito delle urla» si stringe nelle spalle, lanciando uno sguardo alle mie spalle. «Che fai?» mi chiede appoggiandosi allo stipite della porta.

«Una cosa che non mi viene» ringhio incrociando le braccia al petto.
«Mi sembri un po' tesa» replica tranquillo. Lo fulmino con un'occhiataccia, mentre lui molla la sua giacca su una sedia. Giusto un po'.
Avanza verso di me, scrutando la torta che ho spinto al centro del bancone.
Con un gesto fluido attrae a sè il piatto e prende una forchettina, raccogliendo un pezzo della mia fetta.
La infila in bocca, e si lecca le labbra in un movimento di cui non mi perdo un attimo.
Dovrebbero fargli un video mentre mangia del cioccolato.
E poi metterlo in uno di quei gruppi telegram strani.
Diventerebbe illegale. O forse lo è già.

«Non è tanto male» mi dice agitando la forchetta. «È solo un po' troppo... pâteuses» conclude stringendosi nelle spalle. «Manca di morbidezza. Hai sbagliato le dosi secondo me»
«Ho seguito la ricetta alla lettera» replico appoggiandomi al bancone. Lui scuote la testa, con un'occhiata divertita.
«Se avessi seguito la ricetta littéralement, ti sarebbe venuta bene e ora non avresti tutte quelle rughe» ride, sottolineando l'ovvio.
«Ti dico che sono stata attenta» lui rotea gli occhi, guardando poi l'orologio.
«Scommettiamo: se mi viene bene seguendo la ricetta, io parlerò solo francese con te per un giorno intero».
«E se ho ragione io?»
«Decidi tu cosa farmi fare» mi risponde strizzandomi l'occhio. «Ci stai?» mi porge la mano, che io accetto senza esitare.

Infila la sua divisa per proteggere la t-shirt nera che indossa e rimbocca le maniche, tirando fuori gli ingredienti.
Legge attentamente la ricetta, sotto i miei occhi, e poi tira fuori delle ciotole pulite.
Sbatte a mano burro morbido, rum, cacao amaro e zucchero a velo, mentre le vene sulle sue braccia abbronzate diventano sempre più evidenti.
Mette da parte la crema al burro in frigo, inserisce il timer e si dedica al caramello.
Versa zucchero semolato e succo di limone in una casseruola, mantenendoli a fuoco basso finché non diventano una crema ambrata.
La assaggia, strizzandomi l'occhio mentre posa sulle labbra il dito.
Fa caldo.
Lo sento solo io?

Spalma attentamente il caramello sul pan di Spagna, tagliando sei fette precise e pulite.
Inserisce la crema al burro in una sac à poche e riempie tutti i dischi di pan di Spagna. Li sovrappone, senza sbagliare una manovra. Decora la torta con attenzione, senza staccare gli occhi azzurri dalla sua creazione.
«Qu'est-ce que je t'ai dit?» mi dice allegro, infilando la torta in frigo.
«Non ho ancora capito quando ti entrerà in testa che non so il francese»
Lui scrolla le spalle in risposta, e rimette a posto gli utensili.
«Adesso aspettiamo che si freddi un po', e poi tu cominci ad avviarti per arrivare alla Feltrinelli e comprare un dizionario di francese» ridacchia tirando fuori un piatto.
Il suono della suoneria predefinita degli iPhone spezza l'atmosfera, mentre Adrien tira fuori il cellulare.
Rifiuta la chiamata con una smorfia, e poi ripone il cellulare in tasca.

I minuti passano lentamente. Non riesco a staccare i miei occhi da Adrien, intento a riordinare.
«Amà?» mi chiama.
«Uhm?»
«So di essere bello, però fa un po' psicopatica fissarmi così».
«Non dire cazzate» sbotto abbassando lo sguardo. «Non ti guardavo»
«Certo. La frusta che ho in mano è molto interessante vero?» mi fa l'occhiolino, mentre mi arriva al cervello il doppio senso. Arrossisco, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Devo smettere di sorridere come un'ebete.
E anche di fissarlo.

Qualche minuto dopo tira finalmente la torta fuori dal frigo, facendomela scivolare davanti.
«A te l'onore» mi dice passandomi un coltello. Ne taglio una fetta, dubbiosa, trasportandola in un piattino. Afferro una forchetta e assaggio per prima un boccone di Dobos.
Adrien mi guarda, mentre io fingo di non andare a fuoco sotto i suoi occhi azzurri.
«Non è possibile» sbotto abbandonando la forchetta sul piatto.
«Questa è magia. Dillo che hai barato»
«Ti avevo detto che eri troppo tesa.» sorride lui, assaporando un pezzetto della meraviglia che ha appena preparato.
Vaffanculo.
Non è giusto.
Bello, sexy e pure bravo.
Io mi licenzio.

«Vado a comprare un dizionario di francese» sbuffo scuotendo la testa, mentre butto nel cestino la brutta copia di una Dobos.
«Per questa volta te la passo» ride, strizzandomi l'occhio. «Adesso però devo andare».
Io infilo la torta in frigo ed esco con lui dal laboratorio, con giacca e borsa in mano.
Salutiamo la cassiera e piombiamo nel caos di Fontana di Trevi. È solo quando infilo gli occhiali da sole che scorgo una ragazza bionda che zompetta nella mia direzione, agitando la mano.
Chi è questa?
La conosco?

«Adrien» squilla lei, a pochi metri di distanza.
Ecco, mistero svelato.
Ci raggiunge, facendosi strada tra i turisti. Dedica un lungo sguardo ostile a me e poi bacia sulle guance Adrien, aggrappandosi al suo braccio.
«Passavo di qui per caso, ti ho anche chiamato» continua lei, traballando sui suoi tacchi da 15 centimetri.
«Ero con Amanda in laboratorio. Stavamo chiarendo la preparazione di una torta» replica lui, secco. Ma quanto è magra?
«Sono Stella» mi porge la mano, fingendosi felice di conoscermi. «Faccio la modella» puntualizza subito.
E chi te l'ha chiesto?
Bah.
«Andiamo dai», Adrien scrolla le spalle, facendomi un cenno con il capo. «A domani».
Pochi secondi dopo sono scomparsi tra i turisti, mentre uno strano fastidio mi colpisce allo stomaco.
Ma quante se ne fa?
Anita non ha capito di essere l'ultima della sua lista.

Cammino fino alla mia macchina, cercando di scacciare la brutta sensazione che mi attanaglia lo stomaco. Una strana rabbia si fa strada nel mio petto quanto mi ritrovo a suonare il clacson in via Cavour.
Sarei capace di lanciare una frusta ad Adrien, altroché.
Magari lo ammazzo una volta per tutte.

Arrivo a casa alle sei e mezza, trafelata e nervosa. Il mio cellulare comincia a squillare propio mentre sto cercando le chiavi di casa, quindi rinuncio e lo afferro, rispondendo.
«Pronto?»
«Amanda amore, come stai?» borbotto un "bene" poco convinto a mia madre, appoggiandomi alla porta davanti a quella di casa mia.
«Hai sentito Edoardo?»
«L'ho visto stamattina»
«Sono un po' preoccupata» mi dice, con lo stesso tono che usa ogni volta che parla di suo figlio.
«Non dovresti. Sai com'è fatto» replico dura, stringendo le chiavi che sono finalmente saltate fuori.
Non ho digerito l'essere stata appellata come accollo
«Uhm» replica lei, con uno sbuffo. «Come va il lavoro?»
«Benissimo»
«Hai dei colleghi simpatici?»
«Simpaticissimi»
Simpaticissimi, sexy, donnaioli e stronzi.
Perfetto direi.

Ehilà gente
Come va? Spero tutto bene
Per chi non lo sapesse (visto che è un'espressione principalmente utilizzata a Roma), accollarsi a qualcuno vuol dire stargli addosso e diventare pesante e petulante. Non so bene come spiegarne la sfumatura, ma più o meno questo è il significato.
Acida che ti si può condire con l'insalata è un'altro aforismo splendidamente condito (ok la smetto) di sarcasmo e aceto.
Sto cercando di rendere i dialoghi realistici, così essendo a Roma ho deciso di accentuare le espressioni romane. Anche Adrien avrà la sua parte ahahah😈😈😈
Che ne pensate di Stella? Attenti perché non molla l'osso eh...
Fatemi sapere se vi piace Anita oppure no, io e lei al momento abbiamo una relazione di odio e amore.
Mi diverto sempre di più a scrivere questa storia😉
Fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo e quante di voi sono di Roma❤️
Andate in pace
Lily ❤️❤️

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