February. Foodporn.
D a m i a n o .
In riva al Tevere, gli occhi di Leila riflettono le tinte di un cielo burrascoso che non promette nulla di buono, mentre a noi due non interessa alcunchè delle condizioni atmosferiche, nè di tutto ciò non concerna strettamente il nostro reciproco studiarci.
Se tutte le materie avessero lo sguardo tuo, n'avrei sartato mai manco n'giorno francesì..
Qualche volta la passo a prendere da scuola, da un paio di settimane ho preso sto vizio di strapparla via dal suo mondo e tenerla segregata per qualche ora in quello che me sò immaginato pe' noi. Niente di spettacolare, solo la fantastica normalità che può regalare Roma anche all'angoletto più impensato, e che sa risplendere nonostante spesso i rifiuti, l'odore de piscio, i malviventi e il buco nell'ozono lassù in alto, tentino d'appannarne la bellezza, che resta invece immortale, specialmente se ce sta lei accanto a me.
Abbandonati su 'sta colata di cemento poco distante dall'Isola Tiberina, Leila se ne sta con la testa rilassata sulle mie ginocchia, mentre con le dita giocherella con la piuma di pavone che mi pende dall'orecchino ed io inizio a sentire il morso della fame attanagliarmi lo stomaco, pensando che non troppo lontano da qua ci sta un'osteria alla romana, in cui ho già cenato qualche volta co' Vic, Thom e Mexico alias Ethan Torchio.
"Quasi quasi, David, non me stai neanche più sur cazzo.." Ha gli occhi fissi sul mio mento, l'espressione ermetica come nella maggior parte dei casi ed io sbotto in una fragorosa risata che fa girare un anziano a passeggio che si trastulla scansando le cartacce col bastone e due dodicenni che si divertono a far rimbalzare i sassi piatti sulla superficie del fiume.
Appoggio i palmi delle mani all'indietro e reclino la schiena per godere al meglio della visuale che mi si apre sul suo bel faccino da acidella snob e mi vengono in mente due o tre maniere scaltre per chiuderle la bocca e farle passare la voglia di fare del sarcasmo, anche se la cosa mi diverte sempre parecchio.
"Ma chiudi 'r becco, stronzè, che mori per me da quando te sò venuto a importunà quer giorno ar chiostro." Me la ghigno incrociando i piedi e controllando i nuvoloni che s'accavallano gli uni sugli altri, emettendo un brontolio sempre più irruento che sembra andare di pari passo col mio bisogno d'avventarmi come 'n rapace sulla sua camicetta da educanda. Leila stende le labbra all'ingiù come per compatirmi, lasciando che anche le sopracciglia rispondano alla stessa mimica.
"Non credo proprio, Narciso. Quella irresistibbile, qua, sò io." E come darle torto quando pare uscita da 'na vetrina de Chanel con quelle perle bianche ad impreziosirle i lobi.
"Infatti 'n so perchè m'ostino a resistè.. 'n sai che t'ho fatto armeno 'n migliaio de volte co' la forza der pensiero, bella francesina." Lascio sgusciare dalle labbra la voglia irrefrenabile di provocarla, prima di mordermi quello inferiore come ho imparato a fare quando voglio far cascare qualche mutandina. Leila si solleva sorniona dalle mie cosce ed avvicina il viso al mio, strofinandomi il naso su una guancia che non rado da un paio di giorni.
"Dimmelo se non lo so. Che m'hai fatto, Damià?" Una zaffata di chewingum alla ciliegia m'infracica le narici e mi lascio travolgere da quest'inaspettata sensualità che mi mostra quasi con fragilità, come se stesse scoprendo solo adesso di poter essere così.
Non sai da dove provenga questa libido che ti sconvolge da quanto sei piccola. Giochi con la seduzione con il timore e l'incoscienza di una bambina che non sa ancora come gira il mondo, eppure lo so che il mondo te lo mangeresti in un boccone pur di tappare quel vuoto che ti si è scavato dentro. Gesù, guarda quanto sei piccola. Dalle spalle alle caviglie, ogni dettaglio che ti descrive, è immensamente minuto e indifeso al limite dell'intoccabile, ma lo so, ormai lo so, che lui ti tocca eccome. E' stato il primo Leila?
Non voglio profanarti oltre con quest'immagine nella mente, mentre sei semplicemente perfetta in quest'istante, con le labbra da mozzicare ad un centimetro dalle mie.
"Ce l'hai presente la baguette.. ?", le dico inarcando un sopracciglio in modo da alludere a quel particolare sconcio che mi si sta animando dietro la patta dei calzoni dello stesso colore del Tevere. Mi spintona puntellandomi una spalla col palmo della mano aperta ed arrossisce mentre si alza in piedi cercando di ostentare indifferenza. Me la rido grassamente, crollando completamente a terra con gli occhi che quasi mi lacrimano, fiero come un gallo cedrone del mio stesso sense of humor.
"Sei uno schifoso, Damiano. Andiamo via." Ha la voce di un gattino arrabbiato e la cosa mi fa ancora più ridere, mentre mi sollevo sulle ginocchia e mi spolvero i calzoni stirando le pieghe che si son formate.
"Te porto a magnà prima, dai." Mi avvicino con tutta l'intenzione di metterle un braccio sulle spalle, ma lei si scosta e mi cammina davanti stizzita e più capricciosa che mai, con la gonnellina scozzese che le rimbalza sul culo ad ogni passo, lasciandomi dietro a sbrodolare come un pervertito.
"Do' vai che 'n sai manco dove sta .." , le urlo qualche metro più indietro, sistemandomi una sigaretta all'orecchio.
"Famme strada, allora, lumaca." Sorrido mentre le fisso il fondoschiena a mandolino ed incomincio ad impartirle ordini del tipo gira a destra, ora a sinistra, ancora dritto per qualche metro, attraversa la piazza, fermati davanti alla tendine rosso geraneo che vedi laggiù.
La raggiungo di fronte all'ingresso di Sora Margherita, esibendomi in un inchino mentre le apro la porta e lei mi guarda con occhi interrogativi prima di entrare all'interno dell'osteria migliore di tutto il ghetto ebraico. I muri sono interamente rivestiti da pezzetti di carta strappati da fazzoletti da naso, tovaglioli, pagine d'agenda, rovesci di cartoline e chi più ne ha più ne metta, sui quali clienti di tutte le nazionalità han espresso, in un linguaggio più o meno pittoresco, il proprio apprezzamento per l'amatriciana più bona , il carciofo alla giudia più "gustosssso" e il cacio e pepe più cremoso, ch'abbiano mai assaggiato. Sui tavolini di legno le tovaglie a quadri bianchi e rossi ravvivano l'ambiente, assieme al vociare dei commensali.
Caterina, la nipote di Margherita, mi vede dal fondo della saletta e finendo di prendere un'ordinazione si affretta a sorridermi in quel suo modo verace che sa de casa. Si appunta la biro al taschino del grembiule color senape e s'incammina a passo svelto verso me e Leila che si guarda ancora attorno frastornata dal baccano. Aggancio l'indice al passante del suo micro cappottino bon ton e me la tiro addosso, mentre Caterina ci osserva furbescamente e mi strizza un'occhio come si fa fra marinai.
"A bbbello, 'ndo l'hai messi i tre musicanti de brema?" Ci si piazza davanti squadrando Leila in un modo che mi fa quasi pensare potrebbe essè lesbica, ma poi passa a me e devo in effetti immediatamente ricredermi. Boh, magari è bisex.
"Stasera sò in libera uscita Caterì, ogni tanto ce vole." Il suo sguardo schizza di nuovo su Leila e le stampa addosso un sorriso a cinquantadue denti carico di sottintesi, come a dirle "'n sai 'n che bega te sei annata a caccià co' sto flaggello de Dio qua", ma nelle beghe stavolta ce sto io me sa. Caterina stringe le guance di Leila e gliele strapazza facendogliele arrossare, come le ho visto fare spesso coi nuovi avventori del locale.
"A meravija fatte paga 'na cena lauta che stai tutta magrolina, eh cheddici?" Leila si nasconde nelle spalle, accennando un mezzo sorriso imbarazzato, e mentre Caterina ci fa strada verso un tavolinetto ancora da sparecchiare, mi mugugna un "te spenno le ali, Icaro" che me la fa carnalmente amare in maniera oltraggiosa e brutale.
"Metteteve qua che mò ce penso io, ve rimpinzo come du' cannoli de Sicilia." Caterina si dilegua verso la cucina, ignorando completamente la parte in cui ci domanda se abbiamo qualche preferenza e so già che questo non le impedirà di deliziare comunque i nostri palati in maniera più che eccellente. Leila scruta il muro alla sua sinistra leggendo in qua ed in là le frasi lasciate da chi si è seduto prima di noi e solo ora mi ricordo che ci sta quella fotografia scattata co' la polaroid gialla de Victoria, quando per il suo compleanno siam venuti per festeggiare e Sandro, suo padre, gliel'ha messa sotto al naso, non appena Caterina le ha ritirato il piatto di pasta alla gricia. Leila legge ad alta voce quello che Thomas c'ha scritto sopra co' l'indelebile viola.
"Proprio boni questi Maneskin tutti sporchi de sugo." All'epoca avevo appena iniziato a farmi crescere i capelli e mentre su Ask ci stavano delle anonime che mi scrivevano che mi donava sto cambio di look, cominciavo davvero ad andare orgoglioso della svolta radicale che stava prendendo forma nella mia vita. Amavo ogni secondo trascorso accanto a Victoria, che era stata la molla per la mia metamorfosi.
Il baco da seta si è schiuso Vittò. Tu sei la mia scintilla, io il fuoco che avanzerà e che si prenderà tutto quanto. Te l'ho promesso, ricordi?
Anche quando staró male o saró troppo stanco.
Leila mi sorride come se si fosse scordata di tutte le sue angoscie e penso che anche lei è bella come il ricordo stampato su quella polaroid e che vorrei restasse così, vivida fra i miei pensieri, come il quadro co' la notte stellata di Van Gogh, che da quando l'ho visto a undici anni al MoMA di New York, non mi si è mai scollato per davvero dalle pupille. Lei mi guarda con questi occhi che le notti stellate se le sono inghiottite tutte e mentre poggia il mento sulle mani, mi sembra quasi un po' innamorata ed è strano che io non senta quel senso di nausea che mi vince tutte le volte che c'ho sta sensazione rispetto a qualche dolce pulzella che me porto a spasso.
"Sei bello struccato." Resto di stucco.
Mi ha fatto un complimento, da ste parti de Roma ce deve sta dell'aria proprio bona. O forse è il vino della casa.
"Truccato invece no?" Oggi vojo sbancà ar botteghino.
Leila alza gli occhi al cielo, attentando alla mia convinzione, eppure arrossisce come gli scacchi della tovaglia sotto i suoi gomiti e la dolcezza ha un significato nuovo all'improvviso.
Sei tu, francesina, la dolcezza che voglio sentire sulla lingua stanotte. Tu, all'infinito come il suono del telefono quando è occupato.
"Te preferisco al naturale, senza quella riga nera che te fai sempre. Adesso per esempio si vede così bene il colore dei tuoi occhi che mi è venuta voglia di provare a riprodurlo con le tempere."
Sono sempre così belle anche le cose che pensi, Leila? Sei arte sopraffina.
La cena prosegue fra una sforchettata di fettuccine ed una di bucatini, mentre c'innaffiamo vicendevolmente il bicchiere con generose quantità di vino dei Castelli e Leila mi racconta dell'ultima interrogazione a Pocahontas, come lo chiamano in classe sua, durante la quale ha enunciato la teoria dei colori di Goethe meglio di quanto non fosse spiegata sulle schede consegnate dal prof. e di come persino quest'ultimo sia impallidito, commentando con un quasi dispiaciuto "lei studia troppo, Torchio, si goda di più la vita, se lo lasci dire" che ha fatto scompisciare tutti dalle risate, a parte il mio povero tenero Ethan che si è rimesso a sedere mesto mesto.
"Il mio indiano farà mangiare la polvere a tutti un giorno non troppo lontano." Scandisco ogni sillaba con molto gusto, mentre assaporo la croccantezza del guanciale affumicato e mi pulisco la bocca sporca di sugo.
"Quanto manca alle auditions?" Vedo il futuro negli occhi di Leila, come una stramba premonizione di ciò che sarà: lei che mi accompagna alla stazione, mentre sul ciglio del binario quasi perdo il treno per Milano, perchè non sono più sicuro di niente, ed il borsone che ho preparato per la permanenza al loft porta dentro tutto il peso dei dubbi.
Non lo riesco a sollevare. Baciami ancora un altro secondo.
"Tre mesi, cazzo." Leila svuota il bicchiere, mandando giù tutto il vino ad occhi chiusi e quando torna a guardarmi ha uno sguardo cubista che non so ricostruire e per cui vorrei chiedere l'aiuto del pubblico.
"E come te senti?" Me sento in un modo che nun te vojo dì, perchè ad arta voce 'n so ch'effetto ce potrebbe fà. Mejo andacce piano, francesì. Le implicazioni de sta domanda me fan girà la testa come quanno monto sur Tagadà. Chissà se lo capisci.
"Quasi pieno. Ce prendemo pure 'r dorce?" Piega lo sguardo di lato, scuotendo la testa per la mia risposta, con un sorrisetto al sapore di carbonara sulle labbra. Si versa un po' di liquore all'amaretto nel bicchierino che ci ha portato Caterina e ne beve una puntina per testarne il livello alcolico.
"Il dorce ce lo prendemo a casa, no?" Mi molla sta frasetta a sorpresa che mi graffia proprio qua, sur cavallo dei pantaloni che me fa sentì 'n po' costretto, e mentre sgrano gli occhi esterrefatto da tanta inusuale emancipazione, lei si copre la faccia da gatta con le mani.
Ride e si vergogna. Le scatto una foto col cell. Nun me la vojo più scordà.
Apro Instragram e la pubblico, senza filtri perchè lei e questa cena romanesca non ne hanno bisogno.
Inserisci una didascalia ...
Foodporn. #messaggisubliminali #celhaipresentelabaguette? Ore 19,50.
@ Thomaskin: Too much sauce.
@ Vicdeangelis: Patta al tugoooo
@ Grillowho: Bella pe' Confettì.
@ Poppodium: Portame gli avanzi!
@ Iotimaledico: Faccela vedèèèè, faccela toccàààà
@ Lanonimadiask: Greve.
"Casa mia o casa tua?" Finalmente cava le mani dal viso e per un attimo non sa dove mettersele.
Impazzisco per quest'innocenza che l'incubo non è riuscito ad estirparle.
"Ti va di vedere camera mia? ..Però me prometti che te comporti bene." Daje, però.
" 'N santo." Seh, ma quanno mai.
Leila ride della mia espressione angelica e mentre s'alza con la comanda in mano m'afferra per un braccio per spronarmi a darmi una mossa, così mi tiro dietro il cappotto che avevo gettato alla rinfusa sulla sedia libera.
"Tanto lo so che ce proverai fino alla morte, David."
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