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Secondo Racconto

Scrivi almeno 1000 parole su un accordo, un giocatore d'azzardo e un bacio.


Arianna

          

L'interno del Golden Mole era angusto e totalmente immerso nella penombra. 

L'aria era statica e calda. Permeata da un sottile strato di nebbiolina grigiastra, ribolliva di sbuffi di fumo provenienti da spessi sigari accesi. 

Arianna sbuffò pesantemente e si scostò i capelli lunghi dalle spalle. 

Il locale era poco più grande del soggiorno del suo modesto monolocale di periferia, ma decisamente meno curato. 

Con passo strascicato si accostò ad una parete stipata di ritagli di giornali assortiti e dipinti dozzinali. Tutta la stanza aveva un'aria invecchiata e rustica.

Qualche metro più avanti, su un tavolino dall'aria instabile, figurava un ventilatore vecchio modello.

I refoli d'aria che era in grado di disperdere nella stanza la raggiungevano a malapena, bloccandosi al contatto con l'ampia schiena di un omaccione barbuto, seduto qualche tavolo più avanti.

Arianna strinse le dita attorno al suo bicchiere di birra e se lo porto alle labbra, lanciando occhiate irrequiete alla saletta. 


A questo punto della serata era quasi certa che il suo amico Oliver non si trovasse più all'interno del bar.

Un moto di panico le ribaltò lo stomaco e si sentì investire da un'ondata di calore. Respirando affannosamente, tracannò il resto della bevanda gassata in un solo fiato.

Un brivido le scivolò sulla schiena e per qualche istante la sensazione di asfissia si attenuò. Prese cospicue boccate d'aria, poggiandosi con le scapole al muro di mattoni.

Quando il petto smise di sobbalzarle animatamente, abbandonò il bicchiere vuoto su un tavolo libero lì affianco e cominciò ad incamminarsi verso l'uscita.

Con la coda dell'occhio prese nota di un gruppetto di ragazzi, chiaramente alticci, che avevano preso a fissarla piuttosto intensamente.

Rompendo definitivamente il contatto visivo brevemente instaurato, Arianna incrociò le braccia sul petto e velocizzò il ritmo dei suoi passi.


Era sabato sera e il bar pullulava di persone di tutte le età. 

Il tentativo di uscire illesa da quel labirinto di corpi luccicanti di sudore le costò un paio di botte non indifferenti alle spalle e alla pancia.

Passandole accanto, una donna sulla quarantina le rifilò una gomitata su un fianco. 

La studiò per una frazione di secondo e urlò uno «scusa» decisamente poco sentito, tornando presto a chiacchierare con le amiche.

Arianna si strofinò il punto colpito con espressione sofferente e puntò dritta verso l'uscita, controllandosi i pantaloncini in cerca del cellulare.

Lo pescò fuori dalla tasca posteriore poco prima di giungere davanti alla porta d'ingresso. Trasse un profondo respiro per tranquillizzarsi e non perse tempo a selezionare il contatto del suo amico dalla rubrica. 


Il telefono squillò a vuoto per un po', riempiendole le orecchie con il ronzio robotico della linea assente. Quando scattò la segreteria, Arianna non si impegnò a trattenere una serie di lamenti incomprensibili.

"Dannato Oliver".

Alzò gli occhi al cielo e richiamò, girovagando instancabilmente per l'atrio.

Il piccolo spazio manteneva lo stesso stile della sala principale del Golden Mole. Aveva la stessa atmosfera decadente e le stesse pareti a mattoncini smunti color ocra. 

L'unica differenza era il grosso cartello con su scritto «AREA RISERVATA» inchiodato al muro adiacente la porta, dove erano accostate una fila di slot machines, con i rispettivi sgabelli davanti. Le macchine erano quasi tutte libere.

Arianna squadrò velocemente i pochi uomini accasciati sulle seggiole di ferro e si affiancò all'uscita, ora leggermente intimorita. Posti cupi come quello non promettevano mai nulla di buono. 

Dopo aver imprecato a mezza voce per l'ennesima volta, si scostò il telefono dall'orecchio e compose di nuovo il numero di Oliver, arrotando i denti dall'irritazione. 


Con la coda dell'occhio notò uno dei giocatori d'azzardo sbattere i pugni contro la vetrata della macchina e tornare nel bar con aria indignata. 

Arianna sussultò a causa della scenata rumorosa e si strinse pietosamente nelle spalle.

Non solo Oliver l'aveva portata in un locale dismesso dopo averle promesso una serata di divertimento assicurato. Ce l'aveva persino lasciata!

Rimase ad ascoltare la voce accondiscendente della segreteria per pochi secondi, poi si decise a lasciar perdere. Aprì invece Whatsapp e schiacciò l'icona del microfono al lato della tastiera. 

Prima che iniziasse la nota vocale, trasse un profondo respiro e non si curò di mantenere un tono di voce basso.

«Oliver! Dove diamine sei? Mi hai lasciata come un'idiota in questo dannato bar senza nemmeno avvisare! Sei fortunato che io abbia abbastanza soldi per pagarmi un taxi fino a casa, altrimenti adesso avrei mandato qualcuno a prenderti a pugni in faccia».

Dopo essersi assicurata che il messaggio fosse stato inviato e ricevuto dal telefono di Oliver, Arianna ponderò se inviarne un altro, di scuse. Forse aveva esagerato.


Prima che potesse schiacciare di nuovo l'icona azzurra si immobilizzò. Percepì i peli sulle braccia rizzarsi a causa di uno strano brivido quando adocchiò la figura di un ragazzo oltrepassare l'arco d'ingresso del bar.

Si scostò dal viso la tendina marrone a motivi floreali, che doveva fungere da sostituto alla porta, con movenze tanto fluide da sembrare innaturali.

Arianna ne aveva catturato a malapena la sfumatura chiara dei capelli, ma non aveva dubbi: chiunque fosse appena entrato nell'area riservata al gioco d'azzardo aveva una presenza a dir poco imponente. 

Non riuscì a smettere di osservare rapita lo sconosciuto. Deglutì e si voltò con studiata lentezza verso le slot machines, fissandolo mentre si sedeva su uno sgabello libero verso il fondo della fila.

Il ragazzo piegò il capo verso l'alto e roteò le spalle un paio di volte, allentando i muscoli tesi del collo.


Arianna guardò con gli occhi spalancati l'ampiezza delle sue spalle e la gradazione color caramello della sua pelle in corrispondenza della nuca, lasciata scoperta da un taglio di capelli molto corto.

Si pizzicò un avambraccio e abbassò di scatto il capo, iniziando a trafficare furiosamente con il telefono. La birra doveva averle fatto effetto tutta di colpo.


"Vuoi giocare?" chiamò una voce profonda, facendola sobbalzare.

Il telefono quasi le scivolò di mano, ma fu abbastanza veloce da riacciuffarlo prima che cadesse a terra. Spolverò lo schermo con il palmo della mano. Tenne gli occhi fissi su di esso e si costrinse ad ignorare l'offerta.

Per qualche strana ragione sapeva a chi appartenesse quel timbro basso e roco e anche a chi si stesse rivolgendo. A lei.

"Mi fissi da un po', sei sicura che non vuoi giocare?" continuò il ragazzo, insistente. Arianna gli puntò gli occhi in faccia e scosse vigorosamente la testa. "No grazie, sto aspettando un mio amico" mentì.


"Intanto che aspetti, vieni a giocare" le suggerì, muovendo il dito indice in modo da segnalarle la direzione da intraprendere. Li separavano solo un paio di passi, ma Arianna non credeva di poterli percorrere. Sentiva le ginocchia tremarle dall'ansia.

Diciamo che non era mai stato il suo forte approcciarsi agli sconosciuti, figuriamoci a ragazzi approssimativamente della sua età con setosi capelli biondi e un bel aspetto.

"No davvero, grazie ma non mi interessa. Il mio amico sarà qui a breve" ripeté, mascherando il nervoso contrarsi del suo labbro superiore con un sorriso tiratissimo. 

"Non che stessi origliando di proposito, ma a me sembravi abbastanza arrabbiata con lui qualche secondo fa" annunciò il ragazzo. Soffocò una risatina di scherno premendosi il pugno chiuso di una mano sulle labbra.

Arianna socchiuse gli occhi e gli lanciò un'occhiataccia "Non sono affari tuoi".


Lo sconosciuto si lasciò andare ad una breve ma ilare risata e si sistemò sullo sgabello, puntando con la mano aperta all'interfaccia della slot machine. 

"Hai ragione, però vieni comunque a giocare" insistette, non distogliendo gli occhi scuri dal suo viso neanche per mezzo secondo. "Non ti mangio mica".

Arianna sbuffò, adesso decisamente più infastidita che intimorita. "Non mi interessano i giochi d'azzardo, sono una truffa" sentenziò, sbloccando il telefono e controllando di nuovo i messaggi. Ancora nulla. 

"Forse, ma non se sai come giocare" annunciò lui, svelando un sorriso sornione che le fece ribollire il sangue nelle vene. Chiunque fosse, aveva un viso memorabile. Arianna studiò l'arco disegnato delle sopracciglia folte e scosse la testa, intestardita.

"Ti propongo un accordo: gioca un round contro di me. Se vinci ti lascerò stare" le propose, scavandosi nelle tasche e tirando fuori due gettoni d'argento. "Offro io" aggiunse poi, con aria spudoratamente ammiccante.


"E se perdo?" Arianna domandò. Quando gli si allargò il sorriso le ricominciarono a tremare le ginocchia. Sarebbe potuta uscire dal Golden Mole in quell'esatto istante e non rivederlo mai più, prendere un taxi e correre al riparo nel suo appartamento. 

Il pensiero, per quanto calmante, le sconquassò lo stomaco. Non l'avrebbe rivisto mai più.

"Se perdi mi dai un bacio" rispose lui, con nonchalance. Arianna espirò rumorosamente e scosse la testa con vigore. "Inventati qualcos'altro".

"Te l'ho già detto, non ho intenzione di mangiarti" rise lui, di nuovo. Arianna piegò le labbra in una smorfia e alzò gli occhi al cielo. In realtà la sua mente era tutto uno strepitare e dimenarsi furiosamente. 

Non voleva andare a casa, ma neanche buttare al vento il suo primo bacio, anche se non aveva mai creduto fosse un dono speciale o un qualcosa da conservare con attenzione.

Arianna fremette sul posto per una manciata di secondi, poi gli si avvicinò lentamente e si sedette sul posto accanto.


"Okay" sussurrò, ricevendo in risposta un sorriso a metà tra il dolce e il malizioso.
"Io sono Jacopo, comunque" la informò, stringendole la mano piuttosto energicamente. Gli sorrise debolmente e annuì, osservandolo mentre infilava il gettone nella sua machine.

"Tu non ce l'hai un nome?" chiese, ridacchiando della sua espressione vagamente assente.

Arianna tossicchiò in imbarazzo e si raccolse i capelli nel palmo di una mano, spostandoli tutti sulla spalla sinistra.

"Arianna" mormorò, concentrata sulla mano di Jacopo, stretta attorno ad una leva di metallo.


"Bene, Arianna. Penso tu sappia come funzionano queste bellezze" le sorrise, accarezzando languidamente la fiancata argentata di una macchina. Lei rise appena e annuì "Guarda che li vedo anche io i film".

Jacopo si scusò e le schiacciò un occhiolino "Okay allora, inizio io. Se tutte e tre le figure sono uguali non hai speranze di vincere. Se solo due combaciano allora dovremo aspettare il tuo turno per decretare il vincitore".

"E se nessuna è compatibile?" domandò con tono scherzoso, alzando le sopracciglia un paio di volte.

Jacopo sorrise di nuovo e fece spallucce "Allora dovrò pregare che tu non vinca".

"E se nessuno dei due vince?".

Lui rimase interdetto per qualche istante, poi schioccò le dita "Ti offrirò il taxi per tornare a casa. In cambio del tuo numero di telefono".

Le guance le avvamparono e si dovette sventolare brevemente con una mano per fermare i giramenti di testa. La birra le aveva decisamente dato alla testa. 

Senza dire nient altro, Jacopo fece scattare la manovella e attese ansiosamente che i cubi della slot machine si fermassero, mostrando i risultati.

Arianna trattenne il fiato, poi esplose.

"No! Non è giusto! Hai imbrogliato!" squittì, gesticolando furiosamente davanti all'espressione compiaciuta del ragazzo. 


Quello le diede un buffetto sul mento e picchiettò il vetro del gioco con un dito, sottolineando più volte la fila di rombi perfettamente identici allineati uno dopo l'altro.

"Come? Le slot machines sono probabilmente l'unico gioco d'azzardo in cui c'è in ballo solo la fortuna".

Una cascata di gettoni fuoriuscì dalle bocchette metalliche, causando un frastuono insopportabile.

Arianna attese che Jacopo cominciasse a raccoglierli e ad infilarseli nelle tasche, sperando di poter sgattaiolare via, sfruttando la momentanea distrazione.

Invece, il ragazzo rimase immobile sullo sgabello e la fissò con un sorrisetto che la mandò su tutte le furie.


"Non ti sopporto proprio!" sbuffò, incrociando le braccia sul petto e fissandolo con disprezzo.

Lui rimase immobile, con quella sua dannata espressione appagata e le labbra piegate in un sorrisetto asimmetrico. Sbruffone.

"Che fai? Non ritiri il tuo premio?" gli intimò, indicando i gettoni. Jacopo la guardò dritta negli occhi e ampliò il suo sorriso. 

"Okay" disse e stringendole la nuca con una mano fece collidere le loro labbra.


My Space:

Non è sicuramente il mio racconto migliore per quanto riguarda la trama, ma ne sono soddisfatta comunque.

Spero sia piaciuto anche a voi!

Il prossimo aggiornamento sarà mercoledì.

-Sara

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