Capitolo 6
Mare, 4 ottobre 1744
Il Sole scemò d'improvviso e un leggero vento si levò da settentrione facendo ondeggiare lateralmente la nave. Di lì a poco, la lieve brezza divenne una potente raffica che, instancabile, si abbatteva sulla nave in tumulto.
La Victory avanzava con la prua verso il mare assecondando le onde ancora domabili, mentre le nuvole nere si addensavano sopra il suo capo con una rombante rincorsa.
"Il cielo stride!" urlò l'Ammiraglio al suo equipaggio, "Prepariamoci alla battaglia!"
Un primo bagliore squarciò il cielo plumbeo prima che la pioggia cominciasse a picchiare con intensità sui pontili, sferzando il legno e gli uomini che alacremente tentavano di governare la nave affinché superasse la tempesta.
"Ammainate le vele!" ordinò il Viceammiraglio volgendo solo la testa, perché le mani erano impegnate a stringersi intorno al cordato della prua.
Si trovava sulla Victory per un imprevisto e, in quel momento di agitazione, gli premeva sapere in quale condizione fossero i suoi uomini nell'avanguardia. Era ivi agganciato proprio per cercare di scorgere il resto delle navi, ma l'incessante diluvio aveva creato un velo brunito capace di ferire gli occhi.
Il vento, furioso avversario, caricava impietoso su tutta la flotta che oramai era celata alla vista dal muro d'acqua e dal mare ingrossato. Onde di sette metri si inseguivano per attaccare la prora e Frederick Maximilian si ritrovò a chiudere gli occhi e a trattenere il respiro.
Un fulmine lacerò la barriera scura abbattendosi poco distante dall'imbarcazione e fu seguito da un boato infernale che alienò il coraggio dell'intero equipaggio. D'istinto il Viceammiraglio si accovacciò arpionandosi al legno del parapetto. Le braccia e le gambe bruciavano per lo sforzo, il cuore martellava nel petto e la mente si arrendeva all'evidente forza dell'uragano.
La potenza della prima onda che si abbatté su di lui lo tramortì e le successive infierirono fino allo svenimento.
Sul ponte di comando, invece, il beccheggio era insostenibile e Sir Balchen perse ben presto la presa dal timone precipitando in basso e schiantandosi contro un'alzata. Le urla concitate di paura e preghiera degli uomini vennero inghiottite dalla furia della burrasca. L'acqua, unico elemento presente e dominante, aveva inglobato il veliero avvincendolo nella sua fluida morsa e ingoiandolo senza alcuna pietà.
*****
Lisbona, ottobre 1744
Il silenzio che seguì l'ordine impartito dal reggente, Giuseppe suo padre, aumentò l'ansia nella giovane Maria Francesca che, da alcuni minuti, lo fissava sgomenta.
"L'attonito silenzio non si addice a una regina" l'ammonì con voce dura.
Da quando, insieme alle regina sua madre era diventato Reggente, in seguito all'ictus che aveva inficiato l'attitudine al comando del Re, Giovanni V nel 1742, il padre era divenuto di gran lunga più severo e, quella richiesta, rendeva ancora più chiara la sua perfida inclinazione. O almeno a lei così parve.
"Non sono ancora una Regina e non è detto che lo diventi", protestò schiarendosi la voce, "e comunque, non ho ancora compiuto il mio decimo compleanno. Dovreste essere voi o la nonna a parlare loro di quanto occorso."
"Noi comunicheremo con Lady Exeter, tu informerai il figlio."
"Perché mai?" ribatté con somma frustrazione.
"Cosa credi significhi governare un Regno?" seguitò il padre andandole incontro, "Begl'abiti, lusso e sfrenato divertimento?" si fermò dinanzi a lei per scrutarle il viso, "Dietro alla sola parvenza di comando si cela molto altro che ancora non ti è chiaro. Si richiedono decisioni da prendere quando gli altri non ne avrebbero il coraggio. Si richiedono verità, che altri non oserebbero dire e, soprattutto, si esigono le soluzioni, che altri non riuscirebbero a vedere."
"Temo, in egual modo, di non comprendere la vostra richiesta", replicò fissando le iridi scure del padre, "dare una simile notizia non mi renderà una persona migliore."
"Semplice esperienza, Maria", si voltò per tornare alla sua sedia imbottita e senza guardarla concluse: "ora vai e non discuterne oltre. Ricorda, che saprò se non lo avrai fatto."
La giovane annuì uscendo a grandi passi dallo studio paterno per raggiungere la stanza dei giochi che trovò vuota.
"Vostra Grazia, posso esservi utile?" domandò una delle balie che stava rientrando in quell'ambiente. Ella si occupava della più giovane delle sue sorelle.
"Sai dirmi dove si trova Franklin di Exeter?"
"Il signorino è a lezione di equitazione. Volete che gli recapiti un messaggio?" domandò sorpresa.
Da quando la principessa di Beira aveva iniziato le sue lezioni private per l'eventuale ascesa al trono, non aveva avuto più tempo per i giochi o per dilettarsi con gli altri giovani del Palazzo quindi, la sua presenza e relativa richiesta, erano oltremodo insolite.
"Digli di raggiungermi in biblioteca. È urgente."
Senza aggiungere altro piroettò su se stessa e andò nella grande biblioteca da cui scorgeva il Tago e, da dove, solo poco tempo prima, si notava la Victory con la sua maestosa imponenza.
Quali parole avrebbe dovuto usare per dargli una simile notizia non le era noto. Aveva un bruciore allo stomaco e si sentiva tremendamente in colpa, come se quello occorso al padre fosse in qualche modo colpa sua.
"Vostra Grazia, desiderava vedermi?"
La voce canzonatoria dell'inglese la raggiunse come uno schiaffo e si volse a guardarlo pronta a urlargli contro ma, non appena lo vide, tutta l'animosità che spesso le scaturiva nel petto cessò, come una fiamma spenta dalla pioggia.
"Sì", rispose schiarendosi la voce, "per favore, siediti un momento."
"Per favore?", inquisì avvicinandosi a lei con un sorriso impertinente a modellargli il volto, "dove avete lasciato la vera principessa?"
Gli occhi verdi guizzarono di sfida quando la raggiunse per prodigarsi in un profondo e irriverente inchino.
"Vi devo parlare. Sedetevi" ordinò senza cedere alla provocazione e, questo, allarmò il giovane che eseguì senza proferire parola.
Maria Francesca prese un profondo respiro, non una ma ben tre volte prima di spostare lo sguardo alla finestra senza dire niente.
Non aveva trovato le parole adatte.
"Vostra Grazia?" disse il giovane andandole accanto, "Non credo che mi abbiate mandato a chiamare per avere una silente compagnia, per quello vi sono le varie fanciulle che richiedono le vostre attenzioni. Dunque, cosa succede?" Il tono questa volta era serio e privo di ironia, perché aveva intuito che ci fosse qualcosa di grave all'orizzonte.
In tutti quegl'anni vissuti a Palazzo, era la prima volta che ella conferiva con lui in privato e, se dimenticava i primi mesi di assidui battibecchi, in quei cinque anni erano stati insieme davvero di rado.
La principessa si volse a guardarlo e dovette tirare indietro il capo per scrutare i suoi occhi. Nonostante avessero solo tre anni di differenza, egli la superava di ben venti centimetri in altezza, ed era magro, molto più di lei.
"Si tratta della Victory", iniziò senza spostare lo sguardo, "mi dispiace, Franklin."
Egli deglutì sgranando leggermente gli occhi, confuso.
"Cosa è successo?" la voce era seria e bassa.
"L'intera flotta è stata sorpresa da una tempesta in prossimità del Canale della Manica. La Victory è stata inghiottita dal mare ed è stata restituita a brandelli sulle coste di prima e su altre isole poi."
"Ci sono sopravvissuti?" domandò stringendo la mascella.
"Non sulla Victory. Ci sono oltre mille vittime."
"Solo la Victory è andata distrutta?"
"Franklin, vostro padre era sulla Victory", lo disse d'istinto perché aveva intuito che il giovane stava fantasticando su una circostanza inesistente, "mi dispiace."
"Non è possibile, lui guida l'avanguardia", protestò passandosi una mano tra i ricci biondi, "Maledizione! Cosa diavolo ci faceva sulla Victory!"
La sua esplosione poco signorile non era una domanda, ma una vera e propria imprecazione. Aveva capito che suo padre era morto. Quello che non comprendeva era perché fosse stata lei a dirglielo. Percorse alcuni passi per distanziarsi dalla principessa. Non voleva che lo vedesse in quello stato di tremenda agitazione. Non che amasse particolarmente il defunto padre. I rapporti erano sporadici a causa dei suoi frequenti viaggi con la Marina Reale inglese, ma era pur sempre il genitore e un po' di emozione per l'inattesa dipartita, era più che lecita da sentire.
Trasse un profondo respiro per calmare lo sconcerto. Doveva sostenere la sua posizione di uomo e, adesso, di Lord e lei quello di futura Regina.
Ecco perché! È una lezione per entrambi. Intuì, tornando a guardarla.
"Perdonate la mia reazione", si mortificò avvicinandosi a lei e si accorse con sorpresa che aveva gli occhi lucidi, "non era contro di voi."
"Lo so", rispose accennando un sorriso di cortesia, "sono solo mortificata per la vostra perdita."
"Vi hanno detto di dirmi altro?" domandò cauto.
La sua voce in quel momento era decisa e per nulla irriverente. Aveva capito che erano solo due vittime dell'ambizione. Messi uno di fronte all'altra con lo scopo di impratichirsi per il futuro, utilizzando un avvenimento di così grande importanza.
"Dovrete partire per Exeter e prendere in mano la vostra Contea. Sarà mia cura organizzare il viaggio per voi e la vostra famiglia."
"Mia sorella non può tornare là. Sapete quanto tempo le ci sia voluto per guarire" ribatté con apprensione.
"Se lo vorrà potrà restare qui" gli rispose comprensiva.
"A che titolo? Io... non so bene come comportarmi, io...", emise un sospiro affranto mentre si fregava un sopracciglio chiaro, "non ho la minima idea di cosa accadrà, adesso."
"Credo che la mia posizione mi imponga di avere una dama di compagnia. Non trovate?"
Lui la guardò con un'espressione indecifrabile, "Sì, sarebbe perfetto se ne aveste una", concordò accennando un sorriso di sincero ringraziamento.
"Bene", dichiarò continuando a fissare quel viso sorridente e un inconsueto imbarazzo la colse. Egli non le aveva mai sorriso in quel modo quindi, non aveva mai notato quanto i suoi occhi verdi diventassero brillanti.
"Dunque, vi occuperete voi di tutto?" le chiese indietreggiando di un passo.
"Sì", rispose spostando lo sguardo sul fiume, "è uno dei miei compiti."
"La vostra vita è divenuta una continua lezione" constatò con gentilezza.
Lo aveva capito! E allora perché si è sempre mostrato ostile? Questo fu il pensiero che attraversò la mente della bambina, ma la sua bocca riferì tutt'altro.
"Credo che più il rango sia elevato, più sia difficoltoso essere se stessi."
A quella frase seguì un lungo sguardo colmo di comprensione.
"Quando partiremo?"
"Datemi il tempo di capire come muovermi", ammise la principessa allontanandosi dalla finestra, "intanto vi consiglio di raggiungere la vostra famiglia. Avranno bisogno di voi."
Franklin annuì prima di prostrarsi con un elegante inchino e congedarsi da lei.
Maria Francesca, invece, rimase a osservarlo per tutto il tempo. Era stato gentile alla fine e, questo, le aveva regalato una vaga sensazione di benessere che non si sapeva spiegare.
Piroettò su se stessa lentamente, il naso rivolto al soffitto e le braccia aperte come aveva fatto molte volte in quella stanza con il nonno. Inspirò il profumo di carta mista a cera e un sorriso infantile le ammorbidì i lineamenti. Era riuscita a fare quello che le era stato ordinato ed era stata anche brava.
*Mio spazietto*
Il primo saltello lo abbiamo fatto. (Visto? Nessun spoiler :-D) Inoltre, si iniziano a vedere sempre più le differenze tra le due storie. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate io ne sarò oltremodo felice.:-D
A presto!
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