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Capitolo 1

Palazzo Ribeira - Lisbona, marzo 1740

I piccoli occhi scuri come ossidiana della giovane Principessa di Beira, erano resi grandi dall'immane interesse e dalla meraviglia causata da quella maestosa perfezione. L'enorme ambiente che l'accolse odorava di legno, carta e storia: il profumo che ella adorava sopra ogni altro. Un sorriso sincero le si dipinse sul volto, mentre scrutava con il nasino rivolto al soffitto l'altezza di quegli imponenti scaffali ricolmi di libri.

"Ti piace, Principessa?" la domanda era stata posta dall'uomo che era alle sue spalle.

Si volse a guardarlo colma di gioia, richiudendo tra le mani strette al petto, tutta la propria contentezza.

"Nonno, è meravigliosa!" esclamò con i suoi occhi brillanti di eccitazione.

"Maria Francesca, mostra rispetto" la voce del padre, risuonò seria, ma l'ammonimento volò via con la risata potente del nonno: Re Giovanni V.

"Lasciala stare, Giuseppe", lo ammonì bonariamente, "siamo soli, lascia che sia se stessa" poi, guardò la bambina ancora sorridente e le rivolse una semplice domanda: "Ti ricordi l'etichetta, mia piccola Principessa?"

"Certo, Vostra Grazia!" rispose con una perfetta riverenza.

I due uomini sorrisero.

Era strano vedere un uomo tanto potente, sciogliersi allo sguardo ricolmo di affetto di una bambina. Ella però non era una semplice bambina, era la sua nipote preferita e lo era stata sin dalla nascita quando, senza un motivo apparente, le aveva concesso la nomina di Principessa di Beira. Una figlia che possedeva lo stesso titolo dei genitori era alquanto inconsueto e criticato, ma irrilevante per lui. Faticava a non mostrare la propria predilezione per quella creatura, nella quale sapeva, si celasse il futuro del proprio Regno.

Egli, conosceva tante cose.

Il rumore dei passetti della bambina si intrufolarono nei suoi pensieri riconducendolo al presente.

"Siete pensieroso, nonno, ho sbagliato alcunché?" chiese, fermandosi al suo cospetto con il visino deformato dalla preoccupazione.

"No, Principessa" le prese la manina e la portò vicino a una delle tante finestre.

Un tiepido Sole illuminava il porto e l'alacre lavoro dei marinai sul pontile. Una nave mercantile oscillava al soffio del vento mentre gli uomini si affaccendavano a scaricare le merci provenienti dalle Colonie.

"Un veliero, nonno!" esclamò la bambina euforica, schiacciando il viso sul vetro, come a voler raggiungere quell'enorme imbarcazione con il naso.

"Te l'avevo promesso" replicò l'uomo senza smettere di sorriderle.

"Mi porterete sopra il vascello? Ve ne prego" supplicò, con le manine ancora strette al petto a mo' di preghiera.

"Un'altra volta" rispose il Re guardando quegli occhi così simili ai suoi.

La bambina accettò la risposta del sovrano come si conveniva a una giovane del suo rango, annuì e si volse a guardare ancora l'imbarcazione. I racconti del nonno paterno erano stati talmente vividi che molte volte si era immaginata al timone di un veliero, con il vento tra i capelli e una ciurma pronta a seguire ogni suo comando. Aveva talmente fantasticato sull'argomento che il cuore le galoppava nel petto per una gioia inspiegabile.

"Nonno, avete degli impegni, ora?" chiese, tornando a guardarlo.

"Non in questo momento. Perché?"

"Raccontatemi una delle vostre storie."

"Maria Francesca, non soffocare il Re" la redarguì ancora il padre, conoscendo bene il temperamento del sovrano.

"Certo, Principessa!" rispose il nonno, con un sorriso benevolo sul volto paffuto.

La reazione di Giuseppe fu esasperata: "Voi la viziate, padre e ne ignoro il motivo. Siete estremamente malleabile con lei."

"E tu sei estremamente noioso. Perché non mi lasci da solo con la mia principessa" disse Giovanni, e la sua non era certo una richiesta con possibilità di scelta.

Giuseppe scosse il capo con afflizione, incapace di comprendere il perché dell'atteggiamento di suo padre. Inclinò il capo con un accenno di inchino e uscì, senza mai voltarsi indietro.

Il Re non attese neanche di rimanere solo per rivolgersi alla nipote: "Quale storia vuoi che ti racconti?"

"Quella che più vi aggrada, nonno" rispose sdolcinata, accompagnando le parole con un timido sorriso.

Giovanni aveva compreso che Maria Francesca fosse consapevole dell'ascendente che aveva su di lui, ma non ne era infastidito, anzi, era sollevato di sapere che già così piccola, fosse tanto astuta. Fin quando la piccola fosse stata rispettosa in pubblico, avrebbe lasciato che trionfasse nel privato.

"Oggi non ho tempo per grandi avventure" ammise, tamburellando il labbro carnoso con il dito indice, mentre scrutava la stanza in cerca di consiglio e, seguito dalla bambina, si era spostato per raggiungere uno spazio adibito per la lettura. Nel farlo aveva incrociato con lo sguardo il progetto del Palazzo Convento di Mafra ed ebbe l'illuminazione.

L'angolo che raggiunsero, ricavato tra l'incrocio di due librerie, era composto da due poltrone barocche in velluto rosso con ampi ricami nei braccioli. Un tavolino a base esagonale in legno di noce li divideva, sopra al quale, era posto un alto candelabro. Il Re si mise a sedere distendendo le gambe davanti a sé e, posizionando le mani grassocce sul ventre gonfio, la invitò a sedere.

La bambina si posizionò sull'altra poltrona, gli occhi fissi in quelli del nonno e le mani strette in grembo.

"Come ben sai, il nostro casato è da sempre Cattolico, ma la mia fervente devozione, è nata in un secondo momento. Lo sapevi?" iniziò serio.

"No, nonno, ma non credevate nel Signore Iddio?" domandò allarmata.

"Certo che sì, Maria, non ho mai dubitato nella Sua esistenza, ma temo di essere stato meno praticante in gioventù di quanto avrei dovuto."

"Cosa vi ha fatto cambiare?"

L'uomo lisciò la giacca scura con un gesto distratto mentre rievocava i ricordi.

*** # ***

Era il lontano 26 ottobre 1708 quando, un inclemente vento freddo proveniente dall'immenso Oceano, sferzava il viso della giovane Principessa Austriaca. Maria Anna d'Austria era appena salita sulla piccola imbarcazione che doveva condurla al cospetto del promesso sposo e che risaliva il fiume Tago, trasportato dal vento e dall'operoso lavoro degli uomini che si adoperavano per indirizzarla. Era ansiosa per l'incognita e si torturava le mani strofinandole una sull'altra con evidente apprensione. Giovanni V, invece, se ne stava immobile sul pontile privato, circondato dagli alberi spogli e dalla nobiltà tutta. Era agitato per quell'incontro, non che temesse di essere rifiutato, ma sperava ardentemente che ella fosse meno apatica della madre: Eleonora del Palatinato-Neuburg, poiché tutti sapevano quanto ella detestasse essere sposa dell'Imperatore Leopoldo I.

"Apatica cosa vuol dire?" domandò, interrompendo il racconto.

Il Re si grattò il mento in modo pensoso, aveva usato il termine apatica per non dire disinteressata all'intimità con il marito, ma ora doveva trovare una spiegazione esauriente che non scendesse in dettagli.

"Annoiata", rispose soddisfatto, "la tua bisnonna era incline al tedio."

"Capisco."

"Posso continuare?"

La piccola annuì con un sorriso. Adorava quel modo di raccontare il passato con occhio estraneo: tutto appariva come un'avventura.

L'imbarcazione, sulla cui prua vi era la principessa rallentò, dando la possibilità al sovrano portoghese di avere una visione di lei. Era incantevole con il vento tra i capelli dorati e le guance arrossate dalla brezza autunnale. Senza neanche accorgersene Giovanni si ritrovò a sorridere, pensando che se il di lei carattere fosse anche solo la metà dell'aspetto, egli era l'uomo più fortunato della Terra.

"Era la donna più bella della Terra, la nonna?"

"Non era, ella è ancora la più bella."

Maria Francesca sorrise felice. Si aggiustò sulla seduta e lo invitò a continuare.

Si sposarono solo due mesi dopo e il loro matrimonio fu uno dei più maestosi avuti nel Regno. C'erano fiori, musica e tanto, anzi, tantissimo cibo.

Nel dirlo il Re si toccò la pancia facendo ridere la bambina.

Erano felici come non mai. Ridevano sempre ma, nonostante l'affetto sincero e la complicità instaurata, non riuscivano ad avere eredi.

La bambina corrugò le sopracciglia e attese.

Passarono due anni e ancora nessun erede all'orizzonte e questo stava portando tanta tristezza nei loro cuori. Desideravano così tanto avere un bambino da vezzeggiare, che la di lui assenza era motivo di costante sconforto. Un giorno, però, il Re incontrò il cardinale francescano Nuno da Cunha e Ataide, il quale lo guardò dritto negli occhi captandone il tormento e gli disse: "Vostra Grazia, se promettete di costruire un convento francescano a Mafra, Dio vi ricompenserà con un erede."

Il Re, stremato dall'attesa, rispose che se la sua adorata moglie fosse rimasta incinta prima della fine del 1711, egli avrebbe fatto costruire il convento. Quello stesso anno la Regina Maria Anna diede alla luce il primo erede: Maria Barbara di Braganza che, a sua volta, divenne Principessa delle Asturie.

Lo schiarirsi la voce, di uno dei valletti del Re, interruppe il racconto.

"Vostra Grazia, il consiglio è riunito e attende solo voi."

"Arrivo", disse alzandosi in piedi, "finiremo la storia un'altra volta."

"Come desidera Vostra Grazia" rispose la piccola alzandosi in piedi.

Il nonno trattenne un sorriso con i denti prima di allontanarsi e incaricare il valletto di accompagnare la nipote nelle stanze della principessa, sua madre.

"Vostra Grazia?" chiamò, poco prima di vederlo svanire oltre la porta.

"Sì."

"Avete costruito il convento?"

"Certo e da allora la mia famiglia è notevolmente accresciuta" rispose e le sorrise prima di andare via.

La piccola camminò poco avanti al valletto con il cuore gonfio di una strana gioia. Il nonno riusciva sempre a rendere il loro tempo insieme: indimenticabile.

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