5. Skid Row Habits
A chi ha conosciuto l'oscurità dentro di sé
e ha trovato il coraggio di cercare la luce.
A chi, nonostante il dolore e le verità nascoste,
osa sfidare il destino
e abbracciare l'incertezza del proprio cuore.
«Hey, buongiorno» mi saluta Alex con un sorriso sornione mentre esco dal mio appartamento. I raggi del sole filtrano appena tra le nuvole, illuminando il pianerottolo.
«Buongiorno» rispondo, cercando di restituire il calore del suo saluto, anche se dentro di me sento già il peso della giornata.
«Senti... Ti va se stasera ceniamo da me? Sai, sono un cuoco eccezionale!» aggiunge, con un entusiasmo quasi infantile che contrasta con l'aria sempre impeccabile delle nostre vite.
«Certo! Mi farebbe molto piacere. Io stacco alle sei e mezzo dal lavoro; poi, se vuoi, posso darti una mano a preparare.» rispondo, cercando di rassicurarlo.
«Volentieri.» ribatte lui, mentre i nostri occhi si incrociano in un breve momento di complicità prima di lasciare definitivamente il palazzo.
«Ti serve un passaggio a lavoro?» chiede, facendo una leggera smorfia, come se volesse mostrare la sua premura.
«No, grazie. Vado a piedi, non è molto distante.» replico, non volendo dare fastidio.
«Tranquilla, il mio ufficio è a due palazzi dal tuo; in qualunque caso passo di lì. osserva, con la consapevolezza di chi non lascia nulla al caso.
«Allora, accetto volentieri» rispondo con un sorriso sincero.
Presto, siamo in macchina e il viaggio verso l'ufficio diventa una parentesi di silenzio che mi lascia sola con i miei pensieri. Quando arrivo ci scambiamo un breve saluto.
«Grazie per il passaggio, Alex. A stasera!»
Mentre varco la soglia del palazzo, un sospiro pesante mi accompagna: un'altra giornata di impegni mi attende, ma c'è qualcosa nella mente che non mi abbandona: la telefonata di due giorni fa.
Seduta alla scrivania, immersa tra pratiche e scartoffie, la mia mente si perde.
Domenica pomeriggio Ryan mi ha chiamata, di punto in bianco. La sua voce, di solito beffarda e tagliente, ha assunto un tono che mi ha immediatamente messo in allerta, dicendomi che avremmo dovuto fare un'altra vendita. Ricordandomi di come fossero andare le cose con l'uomo quella sera, mi sono lasciata travolgere da una rabbia che di solito non mi appartiene.
Ho urlato al telefono, parole brusche e taglienti, dicendo che non avrei più fatto nulla per lui finchè non mi avesse spiegato cosa sta realmente succedendo a Paige e in quale guaio si è cacciata. Poi, con l'impulsività di un istante, ho chiuso la chiamata, e da allora non l'ho più sentito.
Adesso, quella decisione mi pesa come un macigno, perché voglio sapere in cosa si è cacciata, e so di voler sapere la verità, nonostante le conseguenze.
Dopo aver concluso la giornata in ufficio, raccolgo le ultime scartoffie e mi precipito verso l'ascensore, ripensando alle parole di Ryan che ancora riecheggiano nella mia mente. Mi metto in fila per prendere un taxi, ricordando, con lieve rimpianto, che non ho mai amato guidare nonostante io abbia la patente e che per questo, difficilmente mi convincerò a noleggiare un'auto qui.
Il destino però oggi, sembra aver deciso diversamente: proprio mentre sto aspettando il mio taxi, un'imponente Range Rover nera si ferma davanti a me. Il finestrino si abbassa lentamente e, dietro gli occhiali da sole ritrovo il suo sguardo fisso. Ryan.
Dopo un attimo di silenzio carico di tensione, lui dice con voce ferma: «Sali.»
Il tono autoritario mi coglie di sorpresa, e per un istante mi sento come costretta a partecipare ad una partita senza regole.
«Scordatelo, non sono un cane.» ribatto, cercando di liberarmi dalla morsa del suo sguardo.
Il rumore deciso dello sportello che si chiude mi fa capire che lui non intende mollare. Mi afferra per il braccio e mi trascina dentro l'auto, facendomi sentire intrappolata tra il metallo lucido e il suo corpo caldo.
«Non te lo stavo chiedendo» mormora, mentre i miei pensieri si confondono tra ribellione e un inaspettato interesse.
Una volta sistemati i sedili, la tensione cede il passo a un silenzio pesante, rotto solo dal brusio del traffico.
Gonfio le guance indispettita. «Non voglio venire da nessuna parte con te. Mi pare di essere stata molto chiara l'altra sera per telefono» puntualizzo. Il corpo di Ryan si tende, alle mie parole.
«A tal proposito, non mi è piaciuto proprio il tono con cui mi hai parlato. Attenta a quella piccola lingua impertinente» nel dirlo fissa la mia bocca e io non riesco a controbattere. Seguono attimi di silenzio, prima che riesca a dire altro.
«Ok, magari ho esagerato con i toni» aggiungo, ed è vero. Ho gridato per telefono come una con le rotelle fuori posto. Ma pensavo ogni cosa. Non ti aiuterò se non mi spieghi che cosa sta succedendo davvero. sono categorica su questo. «Dove stiamo andando? chiedo quando non sento risposta da parte sua.
«A casa mia» risponde con una scioltezza che mi fa dubitare se la sua proposta sia un invito sincero o una trappola.
«A fare cosa?» insisto, la mia voce però tradisce una crescente apprensione. Lui si ferma a un semaforo rosso e, girandosi lentamente verso di me, mi sorride con un ghigno impertinente:
«Hai qualche idea bocconcino?» il tono perverso mi scuote, e, sentendomi vulnerabile, borbotto:
«Non farti strane idee. Non sono quel tipo di ragazza e non osare parlarmi così.»
Alza gli occhi al cielo.
«Fidati, è l'ultimo pensiero che potrei mai avere» risponde, con un'alternanza di orgoglio e sfida.
Poi aggiunge, quasi con tono ironico «Con quel tuo atteggiamento, lo faresti ammosciare anche al peggior pervertito del mondo.»
Le sue parole mi feriscono e, in un impeto di rabbia, esclamo:
«Sei un dannato maiale, se non la smetti immediatamente, scendo subito dall'auto!»
Lui scuote la testa, ghignando.
«Come sei drammatica»
Il silenzio cala per qualche istante mentre riprendiamo la strada, finchè lui non rompe nuovamente il ghiaccio:
«Stiamo andando a casa mia perché lì sono sicuro che non ci siano occhi o orecchie indiscrete. Avrai le tue risposte, vedrai.»
Lo guardo, interrogativa.
«Perché?» chiedo, e lui ripete con una sfumatura di irritazione:
«Perché cosa?»
«Perché hai deciso di spiegarmi tutto adesso? Pensavo che avremmo discusso a lungo prima che ogni dubbio si dissipasse» ribatto, cercando chiarezza.
Con tono freddo mi risponde.
«Non posso perdere tempo ascoltando i tuoi capricci da mocciosa viziata. Finchè non ti do le risposte, non ho scelta»
In pochi minuti, ogni sua parola mi ha ferita più di qualsiasi altra.
Dopo minuti di silenzioso viaggio, ci ritroviamo davanti a un panorama che mi fa gelare il sangue: il quartiere di Skid Row, noto per essere uno dei più degradati di Los Angeles. Davanti a noi, palazzi fatiscenti e scale antincendio malandate ospitano senzatetto che dormono sulla strada, avvolti in coperte logore.
Cammino al fianco di Ryan, il cuore batte forte, mentre ogni ombra e ogni volto sembrano raccontare storie di disperazione.
«Non hai paura che ti rubino la macchina?» chiedo a bassa voce, con un tono che tradisce la mia apprensione.
Lui sorride con aria di sfida.
«Sanno che non devono nemmeno provarci a toccare le mie cose.»
Mentre ci inoltriamo lungo il marciapiede, un gruppo di persone dall'aspetto trasandato e quasi zombie attira la nostra attenzione. Uno di loro, un uomo con un cappotto color cammello e la barba incolta, mi fissa con un sorriso inquietante e privo di denti.
«Hey bambolina, vuoi venire a divertirti con me?" dice, con la voce roca e intrisa di un'energia disturbante.
Il mio cuore accelera, mentre la paura mi attanaglia. Ryan si volta istantaneamente, il suo sguardo diventa gelido, e l'uomo, riconoscendolo, abbassa la testa e tace.
Continuo a osservare la scena con occhi increduli, domandandomi come la gente intorno possa ignorare tutto. Ad un tratto, il braccio di Ryan si stringe attorno al mio fianco, trascinandomi più vicina a lui.
«Smettila di attirare l'attenzione» mi sussurra con una voce quasi paterna.
«Non sto facendo niente!» ribatto, cercando di mascherare il mio turbamento. «Come diavolo fai a vivere qui?» mi lamento, con un misto di rabbia e incredulità.
«Scusa se non abbiamo tutti i soldi che ci escono dal culo. La prossima volta ti porto in un hotel di lusso per parlare tranquilli» risponde lui, stringendomi il fianco in maniera quasi protettiva.
Il suo commento mi fa arrossire, pensando a quanto possa essere sembrata sgarbata con lui, e in un attimo, mi chiedo se questo quartiere possa essere davvero la sua 'casa'.
Arriviamo davanti a un palazzo con la porta d'ingresso scassinata e danneggiata. Senza esitazione, entriamo.
«Mi dispiace, ma dovremo salire tre piani a piedi. Non c'è l'ascensore.» puntualizza Ryan, con un'imbarazzante consapevolezza.
Quando fa per salire le scale, fermo il suo braccio, sorprendendomi della mia audacia. «sembrare altezzosa o antipatica» dico cercando di stemperare la tensione.
Lui mi guarda, confuso per un attimo, poi annuisce e riprende a salire con me al seguito.
Giunti finalmente al terzo piano, noto che nel palazzo ci sono due appartamenti, uno di fronte all'altro, e mi ricordo subito di Alex.
«Ryan» dico, quasi con timore.
Prima di aprire la porta del suo appartamento, mi fissa intensamente.
«Non posso restare a lungo, ho un impegno. Facciamo in fretta» dico, la mia voce tradisce una fretta sospetta.
Non mi risponde affatto e apre invece la porta dell'appartamento.
All'interno, mi guardo intorno lentamente: l'appartamento è piccolo ma accogliente, con una luce soffusa che rende l'ambiente quasi intimo. L'ordine e la cura che mette in ogni dettaglio contrastano con il degrado esterno.
«Il tuo appartamento è molto carino» osservo, lasciando cadere lo sguardo sull'isola della cucina e sul salottino che si apre a destra.
«Cosa pensavi, che ci fossero i topi?» ribatte lui, scontroso e con un ghigno che tenta di mascherare il suo fastidio.
Sbuffo, rispondendo con tono deciso.
«Sarai stronzo ancora per molto? Onestamente non credo che questa cosa possa funzionare se continui così.» Lui mi guarda, quasi disarmato dalle mie parole. «Ero sincera nel mio complimento, per cui accettalo e basta» concludo, ormai stufa.
Cerca alla fine, di cambiare argomento. Mettiti comoda dice, gettando la giacca su una poltrona. «Vuoi qualcosa da bere?»
Apre il frigo. È quasi vuoto, ad eccezione di qualche birra ben fredda.
«No, grazie» dico, mentre lui ne prende una per sé, richiudendo lo sportello con un gesto di indifferenza. Si siede accanto a me sul divano, troppo vicino secondo il mio spazio personale, e fissa la lattina come se stesse cercando in essa le risposte alle domande che mi tormentano.
«Che cosa vuoi sapere?» chiede, rompendo il silenzio.
«Tutto» rispondo, senza esitazione, con la voce che tradisce un mix di impazienza e vulnerabilità.
«Non esagerare. Puoi farmi qualche domanda ma non pretendere di sapere ogni dettaglio» mi ammonisce, la sua voce ora è più grave e seria.
«Che cosa sta succedendo a Paige? In che guaio si è cacciata? E perché ha bisogno di tutti quei soldi?» inizio a fare domande una dopo l'altra, mentre mi mordo la lingua per non superare i limiti stabiliti.
Ryan sospira, e si prende un momento prima di parlare:
«Paige è entrata a far parte del nostro gruppo dopo la morte dei suoi genitori. Era persa, e l'ho integrata come se fosse una sorella. All'inizio lavoravamo per Robert, l'uomo che ci ha dato questa opportunità. Era come un padre per noi. Ma poi... Le cose sono cambiate.»
La mia mente corre al ricordo doloroso della morte dei suoi genitori, ai giorni in cui le mie telefonate restavano senza risposta, a quella disperazione silenziosa.
«Poi cosa è successo?» chiedo, la voce tremante.
«Robert ha cambiato le regole del gioco. Ci ha sempre garantito tutto, ma ora ha trasformato questo regalo in un prestito. Vuole una somma da ognuno di noi in cambio della nostra "libertà". E questo è il motivo per cui tu sei qui.» conclude, cercando di essere breve ma rendendo evidente la gravità della situazione.
«Hai già saldato la tua parte?» interrogo, quasi senza sperare in una risposta soddisfacente.
Quasi. Il problema è Paige: non avrebbe dovuto essere coinvolta. Lei, nonostante faccia parte del gruppo, doveva restare neutrale. Ma così non è stato e non posso permettere che le succeda qualcosa per cercare di recuperare quei soldi.» dice, la voce carica di responsabilità.
«Quanto deve restituire?» insisto, il timore è nell'aria.
«Cinquecento mila» sussurra lui, mentre i miei occhi si spalancano in un misto di incredulità e paura.
«Cosa? Ma Robert è impazzito! Non potete ribellarvi?» esclamo, e per un attimo l'appartamento sembra stringersi attorno a noi.
«Abbiamo un debito con lui, e anche se si è comportato da stronzo, è meglio non opporsi a qualcuno così potente conclude.
Mi volto verso di lui, posando una mano tremante sulla sua spalla.
«Ascolta, Ryan. Anche se pensi che sia colpa tua, senza di te chissà che fine avrebbe fatto Paige. Ti prometto che risolveremo questo casino» dico con decisione, cercando di infondere coraggio in entrambi. «E anche se non lo ammetti, so quanto tieni a lei. Non potrò ringraziarti mai abbastanza per averla salvata quando io non ci sono riuscita.»
Una lacrima si forma sul mio viso e, prima che possa fermarla, si china delicatamente e la asciuga con il pollice.
Andrà tutto bene, ok? Lo hai promesso anche tu mi rassicura, con un tono che, per un attimo, mi fa dimenticare tutte le cattiverie udite in precedenza. «So che puoi pensare che io sia uno stronzo ed è così, non ti dirò affatto il contrario» precisa «Ma non permetterò mai che ti succeda niente in una delle nostre vendite bocconcino, a costo di uccidere qualcuno» è tremendamente serio mentre lo dice. Nessuno mi aveva mai dato un senso così alto di protezione in vita mia, un po' perché non ne ho mai avuto bisogno, vivendo in una bolla, e un po' perché forse non mi è mai capitato di avere a che fare con un tipo come lui. Lo guardo negli occhi, e mentre il mio cervello non fa altro che ricordarmi la quantità di tatuaggi che ricoprono il suo corpo e il nostril al naso, non posso fare a meno di notare quanto siano luminosi i suoi occhi oggi, quanto siano lunghe le sue ciglia, quanto sia carino il suo naso e per ultimo, quanto siano carnose le sue labbra. Non mi ero mai ritrovata a pensare alle labbra di qualcuno, ma quelle di Ryan sono davvero rosse e carnose, e in pochi secondi anche troppo vicine al mio viso. Anche lui sembra osservare le mie ma non riesco a capire a cosa stia pensando.
Credo di avere la tachicardia e il respiro affannato, ma il caos che si sta creando, improvvisamente esplode.
Un suono interrompe questa situazione: il campanello.
Sbalordita, salto dal divano e mi allontano di scatto.
Ryan spalanca gli occhi, voltando bruscamente lo sguardo verso la porta.
«Cazzo mormora, mentre si alza in piedi, visibilmente irritato.
«Aspettavi qualcuno?» chiedo, cercando di capire cosa stia accadendo. Lui si alza, si muove nervosamente lungo la stanza, passandosi una mano tra i capelli disordinati, e poi, stringendomi per il braccio mi fa alzare bruscamente dal divano.
«Sei impazzito?» sussurro.
«Ascoltami attentamente. Nessuno deve sapere che sei qui. Meno persone vengono a sapere di te, meglio è. Non posso permettere che tu finisca in qualche guaio.» ordina, ma quando si rende conto delle sue parole tenta di rimediare. «Perché mi servi.» termina.
Annuisco, confusa e spaventata.
«Ora mettiti dietro quella porta e non uscire finchè non saranno tutti andati via.» indica un ingresso che porta al corridoio con la camera da letto e il bagno. Con il cuore in gola, mi dirigo verso di essa cercando di non fare alcun rumore.
Ryan
Con riluttanza, apro la porta del mio appartamento e mi ritrovo davanti quello che sarà il caos.
«Hey amico, porca troia ci hai messo una vita ad aprire! Ti stavi facendo una sega o cosa?» esclama Billy, entrando sicuro all'interno dell'appartamento. Alle sue spalle, Kevin, Lucas e Matt si fanno largo, portando bustine di cocaina e una bottiglia di tequila.
Vorrei replicare con sarcasmo, ma so bene che l'orecchio indiscreto di qualcuno potrebbe coglierne il tono.
«Che ci fate qui?» chiedo, cercando di mantenere la calma.
Matt si siede al tavolo del salotto, mentre gli altri depositano la droga sul piano con un gesto che sembra rituale.
«Volevamo passare un pomeriggio tra amici. E dato che questa non la vuoi» dice Lucas, sventolando una delle bustine «abbiamo pensato di portarti qualcosa che ti piace» aggiunge, porgendomi la bottiglia di tequila.
Il mio sguardo si fa duro: devono andarsene subito. E non sono dell'umore per questa merda.
«Non sono molto dell'umore oggi dico cercando una scusa, ma loro mi fissano intensamente, come se sapessero che sotto quella facciata c'è una parte di me che non ha mai detto di no e che non sa dire di no.
«Stai bene Ryan? Sembri un po' nervoso» chiede Kevin, la sua voce è un misto di ironia e preoccupazione.
Non posso permettermi che sospettino nulla, così decido di cedere.
Al diavolo, avete ragione» dico, e mi siedo accanto a loro.
Mentre i ragazzi iniziano a preparare la sostanza bianca, trascino la bottiglia verso di me. Pur essendo immerso nel mondo della droga, non ne faccio uso. È una linea rossa che non attraverserò mai. Non mi ridurrei mai come lui.
Verso il primo bicchiere di tequila, penso a quanto basterebbero un paio di sorsi per mettere un po' di ordine in questa follia, per poi riuscire a mandare via i miei ospiti indesiderati e riaccompagnare Chloe a casa.
Ma il secondo, il terzo bicchiere... La mia mente si perde in un turbinio di ricordi e desideri: penso ai momenti prima dell'arrivo dei miei amici, a quanto fosse tremendamente vicina a me, alle sue labbra carnose e al modo in cui la sua voce sembrasse sussurrare segreti proibiti. E penso a quanto avrei voluto baciarla.
Bevo ancora, fino a quando non riesco più a ricordare il mio nome.
Chloe
Dal mio nascondiglio, guardo la scena con orrore: persone che si autodistruggono, il disordine e il caos che invadono l'appartamento, e, soprattutto, Ryan, immerso nell'alcool come se cercasse di scappare da qualcosa di doloroso. Vorrei urlargli contro, fargli capire che questo comportamento è inaccettabile, ma so bene che in quella confusione, la mia presenza potrebbe mettermi in pericolo.
Dopo ore, o ciò che sembra un'eternità, i suoi amici, barcollanti e confusi, escono dalla porta principale, lasciandola spalancata. La vista mi fa gelare il sangue: temo che possano finire per farsi del male, magari cadendo dalle scale. Con una furia che mi sorprende, esco dal mio nascondiglio e mi dirigo verso la porta d'ingresso, pronta per chiuderla e lasciare tutto il resto fuori.
Sto per urlare contro la fonte della mia rabbia, quando sento un tonfo secco alle mie spalle. Mi giro di scatto e vedo Ryan cadere rovinosamente dalla sedia, trascinando dietro di sé la bottiglia che si infrange in mille pezzi sul pavimento. La stanza è un cumulo di disordine: polvere di cocaina sparsa, odore di alcol e di disperazione ovunque. Vorrei solo vomitare.
Mi precipito verso di lui, preoccupata per le schegge di vetro che potrebbero ferirlo. Ma quando arrivo, vedo che sembra aver perso conoscenza. Mi accovaccio al suo fianco e, tremante, cerco di scuoterlo.
«Ti prego non farmi niente» mormora, la voce incrinata dal terrore.
Avvicinandomi con cautela, dico:
«Ryan, sono Chloe. Devi alzarti, ti aiuto io. Non puoi restare qui, c'è vetro ovunque.»
I suoi occhi si aprono lentamente e, riconoscendomi, mi tende una mano per aiutarlo a rialzarsi. Con grande fatica, lo trascino verso la sua camera da letto. Lo faccio stendere, togliendogli le scarpe, mentre il silenzio riempie la stanza.
«Io non sono come lui» dice mugolando.
«Lui chi?» chiedo, sperando possa dirmi qualcosa in più. Ma non sembra avere intenzione di dire altro.
Non posso lasciarlo da solo in queste condizioni. Non sarebbe giusto e sarei preoccupata per tutto il tempo. Così faccio quello che ritengo più giusto al momento e chiamo Alex.
«Ciao Chloe, ma che fine hai fatto?» chiede dall'altro capo del telefono.
«Alex...mi devi perdonare ma non riesco a venire» dico e mi sento in colpa.
«È successo qualcosa? Stai bene? la sua voce è preoccupata.
«Sì, solo che c'è stato un problema a lavoro e non posso proprio andare via, hanno bisogno di me. Sicuramente farò molto tardi...» sono davvero una pessima bugiarda.
«Non preoccuparti, recuperiamo un'altra volta, stai tranquilla» lo sento sincero.
«Grazie per la comprensione Alex, sei un amico, davvero» mi sento la persona peggiore del mondo.
Dopo aver attaccato osservo la situazione attorno a me in salotto e dopo aver fatto un sospiro profondo ed essermi rimboccata le maniche decido di ripulire tutto quel disastro.
Quando torno in camera da letto, mi avvicino a Ryan per vedere come sta, ma il suo dormiveglia agitato mi fa dubitare che possa stare bene. Mi siedo ad un lato del letto e involontariamente sposto una ciocca di capelli caduta sul suo viso. Scuoto la testa sentendomi una sciocca e mi alzo immediatamente. Una mano attorno al mio polso ferma i miei movimenti.
«Continua» sbiascica Ryan con gli occhi ancora socchiusi. Arrossisco all'idea che se ne sia accorto.
«Dormi, Ryan.»
«Prima ti devo dire una cosa» prosegue il suo discorso senza senso. Alzo gli occhi al cielo.
«Cosa c'è?» domando.
«Ti ho mentito prima» mormora.
«Riguardo cosa?» domando incuriosita, anche se sta blaterando.
«Lo faresti venire duro anche ad un prete» conclude e dopo aver lasciato il mio braccio si rimette a dormire.
Arrossisco e spalanco la bocca alle sue parole, ma dopo essermi ricomposta mi siedo sulla poltrona accanto al letto e provo a dormire.
Senza successo.
Dopo ore di sonno precluso, decido di alzarmi e dirigermi in cucina, con la speranza di trovare un po' di pace nell'ordine che ho faticosamente ristabilito la sera precedente.
Alle prime luci dell'alba, sento dei passi provenire dal corridoio. Mi volto e vedo Ryan, già vestito, pronto ad uscire, come se la notte fosse stata solo un brutto sogno.
Varcata la porta del salotto, si accorge che l'appartamento è tornato in ordine, ogni cosa al suo posto. Ma il suo sguardo, distaccato e freddo, mi fa gelare il sangue.
«Sei ancora qui» dice, la sua voce è priva dell'intensità che aveva ieri sera.
«Beh, chi doveva riaccompagnarmi aveva di meglio da fare, a quanto pare» rispondo, cercando di mascherare il turbamento che mi attanaglia.
Prendendo le chiavi della macchina, Ryan si dirige verso la porta.
«Andiamo» ordina, e senza aspettare una risposta, la apre.
«Dobbiamo parlare di quello che è successo ieri sera» dico, la voce è ferma e carica di interrogativi.
Lui mi guarda, e con una freddezza che non gli avevo mai visto, replica:
«Non c'è niente di cui parlare.»
In un attimo, il volto del ragazzo con cui parlavo ieri pomeriggio sul divano, si trasforma in una maschera di distacco.
Dov'è il ragazzo che mi parlava ieri sul divano?
«Invece-» inizio a dire, ma lui mi interrompe bruscamente.
«Se vuoi farti riaccompagnare, vieni con me ora; altrimenti, prendi un taxi e vattene da sola.»
Le sue parole mi colpiscono in pieno. I continui sbalzi di umore e quella freddezza mi fanno domandare chi sia davvero Ryan Wood, e cosa si nasconda dietro a quel volto tanto enigmatico.
Mi chiedo se, dopo aver visto il buio della sua anima, potrei mai tornare a credere nella luce.
Vi chiedo per favore di aiutarmi a far crescere la storia lasciando magari qualche stellina e commento, ve ne sarei grata🖤🦋
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