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2. Ghost from the past

A chi cerca di ritrovarsi 

anche quando sembra di aver perso tutto.

A chi sa che il passato può ferirci 

ma non deve definirci.



«Pronta?» chiede Alex, con un sorriso che sembra voler dissipare ogni mia esitazione.

«Certo!» rispondo con entusiasmo, chiudendo la porta di casa a chiave. La brezza pomeridiana ci avvolge mentre usciamo dal palazzo, salutando prima l'usciere.

«Andiamo a piedi?» chiedo, ammirando i suoi stivaletti firmati Prada che sembrano rubare la scena a qualunque altra cosa ad ogni passo.

«Sì, tanto faremo solo un giro» risponde con un sorriso disinvolto.

Ci addentriamo nel nostro quartiere, un intreccio vivace di negozi pittoreschi, caffè dal profumo invitante e vicoli stretti che sembrano racchiudere immensi segreti.

Arriviamo infine alla spiaggia, dove il rumore delle onde si mescola ai passi leggeri dei visitatori. Alex si ferma e allarga le braccia, come per catturare il panorama nella sua anima.

«Questa è una delle migliori spiagge della zona. Di solito vengo a prendere il sole qui in periodi come questi» spiega con tono affettuoso.

«Beh, potremmo venirci qualche giorno.» propongo, cercando di trattenere l'entusiasmo.

«Certamente!» risponde senza esitazione. Continuiamo a camminare per le strade incorniciate dalle palme e da panchine occupate.

«Allora, quanto tempo è che vivi qui?» domando curiosa.

«Oh, beh... sono circa dieci anni credo. Sai, sono inglese anch'io. Vengo da Holmes Chapel, un piccolo paesino nella contea dello Chechire» dice con un leggero accento nostalgico.

«Sì, ne ho sentito parlare...e come mai ti sei trasferito?» chiedo, sperando di non essere troppo invadente.

«I miei genitori hanno divorziato quando avevo circa dieci anni. L'Inghilterra era diventata un po' stretta per noi e ci siamo trasferiti qui.» risponde con una nota di malinconia.

«Vai spesso da tuo padre?» provo a chiedere con cautela.

«Beh, no. Noi non abbiamo più rapporti, a dire la verità. Ma non m'importa, vado molto d'accordo con Robin, il nuovo compagno di mia madre. Quando siamo arrivati ho dato un po' di problemi a mia madre, ma è anche grazie a lui se ora è tutto a posto tra noi.» confessa con sincerità. Annuisco, intuendo che non sia il caso di approfondire oltre.

«E comunque mi sono trasferito all'appartamento da circa sei mesi. Non è molto... Ho pensato che un ragazzo di ventidue anni, non potesse vivere ancora con la mamma.» aggiunge con un sorriso ironico.

«Wow, abbiamo la stessa età, chi l'avrebbe mai detto!» esclamo sorpresa.

«In che mese sei nata? Io sono nato il primo febbraio.»

«Io l'otto ottobre.»

«Quindi sono più grande io» dice facendomi una linguaccia. Alzo gli occhi al cielo e scoppio a ridere.

«Ti va di andare a bere qualcosa? Si muore dal caldo» chiede indicando un locale con l'insegna luminosa "The Craftsman - Bar & Kitchen".

«Non lo so...non sembra molto invitante» rispondo, osservando l'esterno poco curato.

«Oh, andiamo! Ci sono stato già un paio di volte. Non è il massimo, ma fa degli ottimi aperitivi.»

«D'accordo, mi fido» dico, seguendolo all'interno. L'odore di fumo ci accoglie insieme ad una musica di sottofondo: "Midnight City" degli M83. Il locale è scuro, con luci soffuse e un bancone di legno consumato. Ci sediamo al bancone e ordiniamo due aperitivi, che il proprietario, un uomo dalla pancia prominente che si presenta come Bob, ci serve prontamente. Alex paga per entrambi, nonostante i miei tentativi di insistere.

Mentre sorseggio il mio drink rigorosamente analcolico, - non ho mai bevuto alcool in vita mia - i miei occhi cadono su un gruppo di ragazzi nell'angolo del locale. Sono quattro ragazzi e una ragazza, chiassosi e vistosi. La ragazza mi dà le spalle, ma il suo look è inconfondibile: minigonna di pelle nera, bralette semitrasparente e tacchi borchiati. La sua chioma rossa spicca tra le luci soffuse.

«Non fissarli, Chloe. Fammi questo favore» dice Alex, abbassando lo sguardo verso il suo bicchiere.

«Perché?» chiedo, cercando di capire.

«Tu non farlo e basta... non penso voglia ritrovarti nei guai.»

«Chi sono quelli?» bisbiglio.

«Sono del quartiere, ma più gli stai alla larga e meglio sarà per te.» risponde Alex, visibilmente a disagio.

«Anche la ragazza?» insisto.

«Anche lei fa parte del gruppo... Non fanno cose raccomandabili, Chloe.» dice con un tono serio che non ammette repliche.

«Sembri conoscerli bene da come ne parli» dico. Lo sguardo di Alex si solleva dal bicchiere e si posa immediatamente su di me.

«So soltanto quello che dicono in giro, niente di più» fa spallucce e continua a bere.

Poco dopo, la banda si sposta verso il bancone. Uno dei ragazzi nota Alex e sorride con aria beffarda.

«Ma guarda un po' chi c'è» dice con sarcasmo. Alex si irrigidisce e mi afferra la mano.

«Andiamo Chloe» dice con decisione, ma è troppo tardi. La ragazza si volta e resto senza fiato.

«Paige» sussurro, sperando di sbagliarmi. Ma il sorriso beffardo che si accende sul suo viso mi conferma che non c'è nessun errore. Il mio cuore si ferma per un istante, e l'aria sembra diventare più pesante.

«Oh, ma guarda chi c'è! La vecchia, cara, Chloe Evans!» esclama Paige con un tono tagliente. Il suo sorriso canzonatorio è lontano anni luce da quello che conoscevo. La mia Paige non avrebbe mai parlato con tanta acidità. Il mio cuore si inclina.

«C-che ti è successo?» sussurro, forse più a me stessa che a lei.

«A me niente tesoro» sorride malignamente guardandomi con disgusto.

Un brivido mi attraversa la schiena, ma non posso restare in silenzio. Trovo il coraggio e lo tiro fuori per una volta, parlando a raffica.

«Beh, io credo di sì. Sei scomparsa, Paige! Hai tagliato ogni legame tra noi, senza una spiegazione, senza un motivo... Mi hai lasciata sola!»

Il suo sorriso si spegne per un istante, ma poi si trasforma in una risata vuota, priva di vita.

«Oh, Chloe, non fare la melodrammatica. Sai una cosa? Ho semplicemente capito che fino a quel momento non avevo capito un cazzo della vita.» Si avvicina, lasciando che le sue parole mi trafiggano.

«Poi ho trovato dei veri amici, qui. Mi hanno aperto gli occhi, mi hanno fatto capire che non avevo bisogno di te.» lo dice con una freddezza tale che mi trapassa come una lama. Il cuore mi si stringe, e gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma faccio di tutto per non lasciarle scivolare.

«Davvero? Amici?» esclamo con voce incrinata, il battito furioso nel petto. «Sono solo un brutto giro, Paige!» grido, infine, con il coraggio che esplode per un istante, ma stringo i denti per non rivelare le informazioni che Alex mi ha confidato.

«Oh, davvero stronza? Tu osi criticare noi? Sembra che sia appena uscita da una chiesa!» dice ridendo uno dei ragazzi, sguaiatamente.

La sua battuta accende una reazione a catena: tutti ridono con lui, un coro di scherno che mi fa sentire minuscola, come un insetto da dover schiacciare. Ma c'è uno di loro che si limita ad osservare, con sguardo stanco ed annoiato, come se non volesse nemmeno essere lì.

«Già, è solo una perfettina del cazzo!» aggiunge Paige con una risata maligna, quasi isterica. I suoi occhi brillano di un divertimento crudele, e il suono della sua voce, così familiare ma ormai estraneo, mi colpisce più di ogni altra cosa. Gli altri si uniscono alle sue risate, e l'eco della loro derisione mi pesa addosso come un macigno.

La guardo, sperando di scorgere una scintilla della Paige che conoscevo, ma trovo solo disprezzo e un vuoto che mi stringe il petto. È una versione di lei che non riconosco, una maschera che fatico a comprendere.

«Andiamo via» sussurro, rivolgendomi ad Alex con un filo di voce. Non mi importa più di sembrare debole; voglio solo uscire da quel bar che sembra essersi trasformato in una gabbia.

Senza aggiungere nulla, ci voltiamo e ci dirigiamo verso l'uscita. I miei passi sono incerti, ma mi sforzo di mantenere la schiena dritta. Non voglio che Paige veda quanto mi ha spezzata.

«A presto Evans» urla proprio lei, dietro di me. La sua voce è intrisa di sarcasmo, una lama che mi colpisce alle spalle mentre il peso delle sue parole mi affonda nel buio.

Appena fuori, mi lascio andare a un pianto disperato, il mio corpo trema sotto il peso delle emozioni troppo grandi da contenere.

Alex mi si avvicina immediatamente, le sue mani gentili mi stringono le spalle in segno di conforto.

Hey, Chloe... non fare così, dai. Non ne vale la pena.» La sua voce è calma, ma preoccupata, come se temesse che fossi sul punto di crollare del tutto.

Non capisci» riesco a dire tra i singhiozzi, asciugandomi maldestramente le lacrime. «Non capisci quanto fosse importante per me.»

Alex sospira, inclinando leggermente la testa. Mi guarda con una dolcezza che fa quasi male.

«Forse un tempo lo era. Ma quella ragazza che conoscevi... non c'è più. Non lasciarti abbattere dalle sue parole.»

Mi sforzo di annuire, anche se il dolore dentro di me non accenna a diminuire.

«Bene, ora mi spieghi come fai a conoscerla?» chiede.

Ci sediamo su una panchina poco distante. Tiro fuori il cellulare e gli mostro una vecchia foto che ho di me e Paige, scattata molti anni prima. Eravamo così piccole, sorridenti, piene di sogni. In quel momento, quella Paige sembrava appartenere a un'altra vita, una realtà ormai irraggiungibile.

Gli racconto tutto: come ci eravamo conosciute, come era diventata la mia migliore amica, e infine, come non mi aveva più cercata senza una spiegazione.

Alex mi ascolta in silenzio, poi sospira.

«Mi dispiace, Chloe, ma la ragazza che conoscevi non esiste più. Non lasciare che le sue parole ti feriscano. Tu sei meglio di questo.»

«Già...» annuisco, anche se il peso delle sue parole è difficile da accettare.

Alex si sporge in avanti, guardandomi intensamente. «Ma promettimi una cosa: stai lontana da lei e da quella gente. Non hai idea di quanto possano essere pericolosi. Chi si avvicina a loro finisce per bruciarsi.»

Deglutisco e annuisco di nuovo «Te lo prometto.»

Ma mentre pronuncio quelle parole, sento un altro tipo di promessa riaffiorare nella mia mente: quella che ho fatto a me stessa sei anni fa. 

Non l'avrei persa, a qualsiasi costo.


* * *


Entro nell'edificio, con il cuore che batte forte per l'emozione di iniziare il mio nuovo lavoro in questa città. Appena entro nell'ascensore premo il tasto per il piano tre, quello che ospita il mio ufficio. Il signor Jones ha acquistato l'intero palazzo e, dato che ripone molta fiducia in me, ha deciso di sistemare il mio ufficio proprio accanto al suo.

Quando le porte dell'ascensore si aprono, saluto Rose, la nostra segretaria, che mi indica subito la direzione. Varco la porta del mio nuovo spazio personale e resto senza parole. L'ufficio è enorme, quasi il triplo di quello precedente - un luogo così spazioso che ci si potrebbe organizzare una festa -. L'ambiente è moderno, dominato dai toni del bianco e del nero che si alternano in un gioco elegante. La scrivania è bianca, con una poltrona girevole di pelle nera.

«Bello vero?» dice il signor Jones entrando nel mio ufficio.

«È spettacolare» sostengo ammirando la parete di vetro dinanzi a me, che proprio come quella di casa mia dà sulla città.

«Ho deciso di affidarle l'ufficio più grande signorina Evans, mi aspetto grandi cose da lei» mi dice il signor Jones sistemandosi la cravatta.

«Non so proprio come ringraziarla, vedrà che non se ne pentirà.»

«Ne sono certo» è sicuro delle sue parole, che pronuncia prima di lasciare il mio ufficio.

Mi siedo sulla mia nuova sedia in pelle, un lusso che non posso fare a meno di apprezzare, anche se so che il suo comfort nasconde una durezza più profonda: quella delle responsabilità che sto per affrontare. Mi ricordo per l'ennesima volta che in questo mondo, nessun errore è ammesso. Essere contabile non è solo una questione di numeri, è un incarico che grava sulle mie spalle come una montagna. Ogni cifra, ogni transazione che viene inserita nel sistema deve essere perfetta, e ogni dettaglio deve essere monitorato. Sono responsabile per ogni entrata e uscita, per ogni singolo centesimo che scivola attraverso le mani dell'azienda. La sensazione di avere tutto sotto controllo è solo un'illusione, e lo so. Devo evitare che l'azienda possa finire nel baratro, e anche una semplice distrazione potrebbe essere fatale.

Accendo il computer, il suono familiare delle ventole che iniziano a girare mi accompagna mentre il programma si carica. Inizio a registrare i documenti, ognuno scorre davanti ai miei occhi come un microcosmo da mettere in ordine. Il suono dei tasti che clicco è rilassante, quasi ipnotico. Penso che, se fossi più brava ad ignorare il mondo esterno, potrei rimanere qui per ore, immersa nei numeri, lontana dalle aspettative e dai giudizi. Ma non sono ancora così brava. La pressione c'è, ed è costante.

Un bussare alla porta mi distrae. Il volto impeccabile di Rose fa capolino nella stanza.

«Signorina Evans, ci sono delle visite per lei» annuncia, con la voce frizzante come sempre. Penso tra me e me a chi possa essere, visto che i colleghi non hanno bisogno di essere annunciati.

Prima che possa chiedere altro, la porta si apre e vedo entrare Alex, con una bottiglia di champagne in una mano e una scatola di pasticcini nell'altra. Il suo sorriso è contagioso, e la sua presenza, ormai familiare e rassicurante, spezza immediatamente la serietà che mi avvolgeva. Sospetto che, stia cercando di alleggerire questa atmosfera da primo giorno, dal momento che non mi aspettavo proprio di vederlo qui.

«Che ci fai qui?» chiedo, sorpresa ma felice. Un sorriso mi sfiora le labbra, mentre mi alzo per accoglierlo. La sua energia riempie la stanza come una boccata d'aria fresca. Si avvicina alla mia scrivania, senza apparente fretta, ma come se fosse a casa sua. Si accomoda con naturalezza sulla sedia di fronte a me, appoggiando i pasticcini sulla superficie lucida, proprio accanto al monitor, e la bottiglia accanto.

La sua visita non è solo un saluto, ma un modo per ricordarmi che anche in mezzo alla frenesia del lavoro, ci sono momenti in cui bisogna fermarsi e respirare.

«Non avevo appuntamenti stamattina, così ho pensato di venire qui a festeggiare il tuo nuovo ufficio!» sorride con tanto di fossette.

«Hai fatto benissimo!» dico, ed insieme incominciamo a mangiare i pasticcini.

Poco dopo, la porta si apre e il signor Jones fa capolino nella stanza, con l'espressione sempre impeccabile e controllata. I suoi occhi si fissano per un momento su di noi, ma poi si concentrano sulla giacca firmata Armani che Alex indossa con quella disinvoltura che solo lui sa avere. Un accenno di sorpresa gli attraversa il volto, ma poi sorride, sincero, come se tutto fosse nella norma.

«Oh, signorina Evans» inizia, con voce morbida e affabile. «Non pensavo avesse compagnia.» L'accento che mette sulla parola "compagnia" sembra quasi un invito a continuare la nostra conversazione. Probabilmente pensa che la presenza di Alex, con il suo abito elegante e il suo comportamento disinvolto siano simbolo di un'intimità che in realtà non ci appartiene.

Mi alzo rapidamente dalla sedia, pronta a fare le dovute presentazioni, cercando di non sembrare troppo disorientata dalla situazione.

«Oh...giusto» dico, mentre cerco di mettere ordine nei pensieri. «Signor Jones, lui è Alex Brown, il mio vicino di casa» le parole escono quasi in automatico, ma cerco di aggiungere una nota di cordialità per mettere entrambi a proprio agio. «E lui è...» le mie parole vengono interrotte dal signor Jones che decide di presentarsi da solo.

«Adam Jones, capo della Jones Enterprises, piacere» dice lui con un sorriso formale, tendendo la mano ad Alex che non esita un attimo nel rispondere con una stretta decisa e composta.

Alex risponde con un sorriso amichevole.

«Vuole unirsi a noi signor Jones?» chiedo cordiale.

Il mio capo scuote la testa con un sorriso cortese, ma fermo. «No, la ringrazio» risponde «Ho molto lavoro da fare» la sua voce è gentile, ma c'è un accenno di distacco nel modo in cui declina l'invito, come se fosse consapevole di essere sempre sotto gli occhi di tutti, in un ruolo che non gli permette di abbassare la guardia. «è stato un piacere signor Brown.»

«Il piacere è stato mio» risponde Alex, con un sorriso che non perde mai la sua spontaneità.

Una volta che il mio capo lascia l'ufficio, mi siedo di nuovo sulla sedia e mi godo questi attimi di "normalità" con Alex, che dopo qualche minuto purtroppo deve lasciarmi per andare a fare delle commissioni.

Verso mezzogiorno il mio stomaco inizia a far sentire la sua presenza con un brontolio che non lascia spazio ad ulteriori dubbi: è ora di una pausa. Decido quindi di uscire per pranzo, sperando che il cibo mi aiuti a distrarmi dalle preoccupazioni che mi affollano la testa. Cammino senza una meta precisa, attraversando vicoli stretti che si snodano come labirinti tra edifici alti e vecchi, c'è solo il rumore dei miei tacchi che rimbomba nell'aria. Ogni passo mi allontana dal mio ufficio, e con esso, per un attimo, le responsabilità che mi opprimono. Dopo un po' mi ritrovo davanti a un ristorante che sembra promettere quello che cerco: tranquillità. Decido di fermarmi e ordinare un piatto di pasta. Non c'è nulla di più confortante della cucina. La pasta è perfetta, ogni boccone mi riporta alla realtà, ma una volta finito il pranzo e pagato il conto, il pensiero di dover tornare immediatamente al lavoro prende nuovamente spazio nella mia testa.

Mentre faccio ritorno verso l'ufficio, cammino cercando di godermi l'aria fresca che scivola tra le strade affollate. Tuttavia, quando giro l'angolo di un vicolo, qualcosa attira la mia attenzione. Un viso familiare mi fa fermare: è lui. Il ragazzo di ieri che fissava me e Alex con sguardo annoiato. È con un altro ragazzo, mai visto prima. Stanno parlando con un'intensità che non riesco a decifrare, e qualcosa dentro di me mi dice che dovrei semplicemente proseguire il mio cammino. Il mio cervello mi avverte "Stai alla larga dai guai". Ma la curiosità, quella maledetta curiosità che non mi abbandona mai, mi spinge a fermarmi.

Non so in che modo, ma so per certo che questi ragazzi siano legati a Paige, e l'idea di scoprirne di più mi tormenta. Non posso fare a meno di pensarci, anche se il mio istinto mi dice che non dovrei farmi coinvolgere.

Mi muovo in punta di piedi, cercando di rimanere invisibile. Ogni passo è calcolato, ogni movimento è studiato. Voglio sentire cosa dicono senza farmi scoprire. Mi avvicino lentamente, sperando di cogliere qualche parola, quando all'improvviso il suono metallico di una lattina di birra lasciata a terra sotto i miei tacchi mi tradisce. Il rumore è forte, troppo forte. I loro sguardi si voltano verso di me come due raggi laser, e in un attimo mi sento come un topolino in trappola.

I loro occhi mi fissano, e mi congelano. Non c'è più spazio per l'indifferenza, la mia presenza ormai è stata rivelata. In quel momento mi rendo conto che la mia curiosità mi ha messa nei guai.

«Billy, ti dispiace?» chiede il ragazzo di ieri, con un tono così calmo che quasi mi inquieta. Il suo sguardo, però, è tutto tranne che tranquillo. La mascella è serrata, i suoi occhi sono come fari puntati su di me, e per un attimo mi sembra di trattenere il respiro.

«Per niente Ryan. Anzi, divertiti! Ci vediamo stasera» risponde l'altro ragazzo, il tono carico di una sfacciataggine che mi mette a disagio. Mi lancia un'occhiata rapida e maliziosa, prima di sparire lungo il vicolo, lasciandomi completamente da sola con il suo amico, che poco prima ha chiamato Ryan.

Sono appoggiata al muro, il cuore mi batte così tanto forte che temo possa sentirlo. Voglio scappare, allontanarmi il più possibile da lui, ma è come se le gambe avessero deciso di tradirmi. Rimango lì, paralizzata, mentre lo osservo avanzare con passi lenti, misurati, che sembrano voler prolungare la mia agonia. È vicino, troppo vicino, e più si avvicina, più l'aria intorno a me sembra rarefatta.

Quando è davanti a me, mi sento in trappola. La sua presenza è opprimente, il suo profumo, una miscela di lavanda, rosa turca e vaniglia, mi circonda, insinuandosi nei miei sensi. Ora che è così vicino, posso notare dettagli che ieri mi erano sfuggiti: la linea netta della mascella, la barba appena accennata, e quei tatuaggi che sbucano dal colletto della sua giacca di pelle, arrampicandosi sul collo come se volessero raccontare una storia. Ma sono i suoi occhi a colpirmi di più. Blu come il ghiaccio, e altrettanto freddi, ma con una scintilla pericolosa che li rende ipnotici.

«Guarda un po' chi abbiamo qui.» la sua voce è un sussurro graffiato, carico di sarcasmo, e il modo in cui mi fissa mi fa sentire esposta, vulnerabile. «Chloe, giusto?» aggiunge, inclinando leggermente la testa mentre appoggia le mani al muro, ai lati della mia testa, intrappolandomi.

Deglutisco, cercando di mantenere la calma. Sì...Ryan.» la mia voce esce più tremante di quanto sperassi. «Ora se non ti dispiace, vorrei che ti allontanassi.»

Un sorriso si allarga sulle sue labbra, lento, pericoloso, come se si stesse divertendo a vedermi agitata.

«Sei un'impicciona, non è così, bocconcino?» dice, enfatizzando l'ultima parola con un tono che mi fa ribollire il sangue. È sprezzante, provocatorio, e c'è qualcosa nel modo in cui mi guarda che mi fa sentire piccola, insignificante, ma allo stesso tempo inspiegabilmente consapevole della mia femminilità.

«Non chiamarmi così.» ribatto, con la voce più ferma questa volta. Ma lui si limita a ridere, una risata bassa e profonda che sembra avvolgermi. «Devo andare via» aggiungo, cercando di muovermi, ma il mio corpo non collabora. La mia mente è un groviglio di emozioni: paura, rabbia, e qualcosa di più sottile che non riesco neanche a riconoscere.

Ryan si avvicina ancora di più, e questa volta il suo volto è a pochi centimetri dal mio. Posso vedere il movimento della sua lingua mentre percorre il perimetro delle sue labbra, un gesto lento che cattura i miei occhi prima che possa evitarlo.

Tu credi?» sussurra. «Pensi davvero di poter piombare così dal nulla, origliare conversazioni che non ti riguardano, e andartene come se nulla fosse?»

«Io non stavo orgogliando» mento, cercando di mantenere la calma. «Ero solo di passaggio... e comunque non ho sentito nulla.»

«Davvero?» il suo sorriso si allarga, ma c'è qualcosa di minaccioso nella piega delle sue labbra. «Tu non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando.»

La sua voce è così bassa e rauca che mi si annoda nello stomaco. Ogni fibra del mio essere mi dice di non guardarlo, ma i miei occhi non riescono a sfuggirgli.

«Ti consiglio di non giocare con me, o con i miei amici. La tua scena con Paige è stata già abbastanza patetica.»

Quelle parole mi colpiscono come un pugno, e il mio istinto di autodifesa prende il sopravvento. «Tu non sai nulla!» esplodo, con la rabbia che si mescola alla paura. «È della mia migliore amica che stai parlando, e se pensi che mi farò intimidire da te, o che la lascerò sprecare la sua vita dietro a delle persone come voi, ti sbagli di grosso!» In un gesto impulsivo, lo spingo lontano da me. È come cercare di spostare una montagna. Non si muove di un millimetro, ma i suoi occhi cambiano. Si scuriscono, la luce divertita che li animava fino a pochi istanti fa si spegne, sostituita da un'ombra che mi fa gelare il sangue.

«Vattene.» le sue parole sono un sibilo, taglienti come una lama. Rimango immobile, incapace di credere che mi stia lasciando davvero andare.

«Ti ho detto di andartene e non lo ripeterò una terza volta.»

Non ho bisogno di ulteriori incoraggiamenti. Mi stacco dal muro e inizio a camminare velocemente verso l'uscita del vicolo, con il cuore che batte all'impazzata. Ogni passo è un sollievo, ma la paura è ancora radicata lì nel mio petto.

Prima che possa sparire del tutto, la sua voce mi raggiunge ancora una volta, insinuandosi nella mia mente come un veleno.

«Non finisce qui, bocconcino

Un brivido mi attraversa la schiena, e non posso fare a meno di credere che abbia ragione. Questo è solo l'inizio.

Vi chiedo per favore di aiutarmi a far crescere la storia lasciando magari qualche stellina e commento, ve ne sarei grata💖🦋

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