34
Avevo parlato con Daniel, sul fatto che fossi incinta. Ormai erano passati cinque giorni da quella notizia, e mi sembrava ancora incredulo tutto ciò.
Incredulo come era anche lui. Sembrava frustrato perché sapeva che ormai non ci sarebbe stato più nulla da spartire con me. C'era questo frutto di un'amore veritiero a separare l'attrazione che provavamo.
Le condizioni di mio padre non erano migliorate. La febbre era salita, e non aveva intenzione di scendere ed acquietarsi. Vedevo la sua fronte rugosa, imperlata da gocce di sudore trasparenti, che restavano sospese su quelle incanalature, come pozzanghere.
Lo portammo in ospedale, non poteva più restare in clinica. Non avrebbero potuto fargli più di tanto. Il dottor Rowley lo prese sotto cura. Aveva deciso che in quelle condizioni sarebbe stato meglio non fargli un'ulteriore Tac. Sapevo le condizioni di mio padre.
Finii il turno a lavoro, e come sempre Daniel mi portò all'ospedale. L'odore di medicinali mi faceva rivoltare lo stomaco, e sembrava che la nausea non mi volesse mai abbandonare. Rendendomi tutto più sgradevole ed accentuato.
"Ti aspetto qui" mi rassicurò Daniel, mettendosi a sedere sopra una sedia blu, mentre aprii la porta bianca della stanza.
Lo vidi sdraiato sul lettino, le coperte un po' sgualcite, e gliel'aggiustai.
Teneva gli occhi chiusi e respirava regolarmente, forse un po' di affanno dovuto alla febbre.
Presi una pezza e tamponai le goccioline che si dissolsero.
Lo guardai dormire beato. Una lenta lacrima mi scese. Ricordi delle sue giravolte per aria, io che chiedevo ancora.
-Rosebud Ancora? Eh va bene. Al mio Tre...
-Si.
-Uno...Due...tre...vola!
Ridevo, mi sentivo leggera a volteggiare in aria. Le sue mani protettive che non mi avrebbero mai fatta cadere. Il sorriso di una bambina cresciuta troppo in fretta per le circostanze. Un sorriso che non aleggiava più sul mio volto, era ritornato a fiorire grazie a James. Quella volta nella spiaggia. Lì era tornato il sorriso, lì il mio cuore aveva aperto lo spiraglio, dandogli libero accesso di un'amore che conservavo per me. Impossibile da credere.
Presi una sedia di legno, e mi sedetti, poggiando una mano sulla sua.
"Sai papà, diventerai nonno. Ancora è presto, ma...vedrai. Magari ti somiglierà anche. Prenderà il colore grigio dei tuoi occhi vispi. Sicuramente" parlai mordendomi il labbro, per ritrarre un singhiozzo. Chiusi un attimo gli occhi per respirare e non lasciare che le lacrime m'inondassero il viso.
Sentii la presa sulla mia mano, la sua stringere le mie dita affusolate.
"Papà" sorrisi, coccolandogli i capelli sulla fronte.
Aprì lentamente le palpebre, girando appena il volto verso di me.
"Nonno?" Mi domandò con voce sommessa, e risi di cuore.
Mi alzai, prendendogli la mano e poggiandola sul mio ventre ancora troppo piatto per vedere la forma.
Sgranò i suoi occhi vispi ed appena lucidi per l'emozione e la febbre.
"Qui c'è tuo nipote. Ti ama tanto quanto ti amo io" gli strinsi la mano fredda e rugosa, vedendolo accennarmi un sorriso. Si stava sforzando, non era al massimo della forma.
Finché non sentii un chiacchiericcio da fuori, e tornai a sedermi.
Pov. James
Tornai a Miami, con Linda. Anche il suo incubo era terminato. Nulla mi avrebbe più diviso da Cindy. Speravo che ancora ci fosse una scintilla tra noi. Avevo commesso errori su errori, mi sarei fatto perdonare.
Ospitai Linda, poiché non aveva più soldi e le offrì il lavoro al locale, ma per il momento rifiutò. Doveva riordinare le sue priorità, e ciò che voleva fare. Era una vita che la gente prendeva decisioni per lei. Sgradevoli. Imposizioni che aveva sempre avuto. E la potevo capire.
Le dissi di fare come se stesse a casa sua, e mi rassicurò che comunque l'avrebbe fatto perché non aveva più una casa. Ed il suo modo di farsi beffa di se stessa mi fece ridere di cuore. Sapeva trovare il lato positivo anche dove non vi era.
Ed è per questo che anni fa m'innamorai di lei.
Ma ora se c'era una cosa del quale ero sicuro, era che oltre a Cindy non avrei voluto più avere nessun'altra. Era una piccola rosa. Innocente e pura. Il suo ridere dolce, l'essere impacciata e poi diventare subito dopo una donna sensuale, capace di mettermi al tappeto. Era tutto un'insieme che mi fotteva. Lei era La Rosa che avevo tatuato. Pungente all'occorrenza, bellissima, e sensuale ed inebriante, proprio come l'odore che avevano le rose.
Avvertii Linda che sarei partito per il Tennessee, ed anche Evelin. Dicendole che era solo un'amica poiché sembrava non andassero d'accordo.
Mi tornò in mente, mentre stavo viaggiando in macchina, il loro primo incontro di due giorni fa.
*************************
-Vieni Linda.
La invitai ad entrare, vedendola timorosa. Biascicava rumorosamente la gomma, ed era ancora vestita con gli abiti sporchi e graveolenti. Una doccia le sarebbe servita.
Intravidi Evelin, passare il cencio per terra, finché non si arrestò.
-Signorino James. Già di ritorno?
Mi domandò Evelin, buttando uno sguardo fugace verso una Linda che ispezionava casa per vedere se fosse cambiato qualcosa, e calpestando il duro lavoro di Evelin per mantenere il pavimento pulito.
Sorrisi alla vista di un'Evelin basita, mostrandomi con la mano le pedate.
Mi portai una mano stretta a pugno davanti alla bocca, facendo finta di tossire ma ridevo.
-Buongiorno.
La salutò cordiale Linda. Levandosi il trench e buttandolo con un gesto della mano, sul divano. Come se avesse lanciato un frisbee.
-Non si usa salutare...da dove viene la tua Domestica?
Mi domandò, sotto lo sguardo di un'Evelin ridotto a due fessure, con quegli occhi piccoli e appena allungati.
-Peruviana.
Affermai.
La guardai avanzare verso Evelin, e tenderle la mano.
-Piacere sono Linda.
Le sorrise mentre Evelin la riprese sul fatto che avesse fatto le impronte.
Speravo non si sarebbero scannate. La mia priorità era riprendere Cindy con me, nel mio cuore.
**********************************
Arrivai davanti alla clinica ed entrai dentro. Trovando la ragazza che mi guardò, ma appena pigiai il pulsante dell'ascensore mi corse in contro.
"Qualcosa non va?" Le domandai, vedendola scuotere la testa.
"Il signor Foster è stato spostato al Nova Medical Centers. Non è molto lontano da qui.
È a Capleville. Le scrivo l'indirizzo preciso." M'informò gentilmente, vedendo scrivere la via esatta.
La ringraziai e m'incamminai con la macchina, digitando sul navigatore. Ero ansioso per Maicol. Dopo l'ultima visita non se la passava bene. Era stato importante per me anche. Era grazie a lui se avevo conosciuto Cindy. E sopratutto ansioso per Cindy. Speravo nel frattempo non fosse cambiato il suo sentimento nei miei confronti.
Arrivai a destinazione, quando la bandierina e la voce metallica mi disse cordialmente che ero arrivato. Scesi di macchina, parcheggiandola nel sotterraneo dell'ospedale. Non mi soffermai a vedere se ci fosse la macchina di Daniel.
Entrai dentro, pigiando il tasto dell'ascensore freddo, per arrivare all'interno e trovare il bancone bianco della reception, con due ragazze dietro. Una dai capelli rossi naturali e ricci e l'altra dai capelli castani chiari con la coda.
Mi avvicinai svelto. Odiavo gli ospedali, ed i muri bianchi e verdognoli mi mettevano in subbuglio. Forse perché sapevo che molto spesso chi entrava lì non sempre tornava. Un brivido freddo mi percosse il corpo ma non lo diedi a vedere.
"Salve sto cercando, Maicol Foster" richiamai l'attenzione della ragazza riccia che mi squadrò, per controllare sul computer.
"È un parente?" Mi domandò, prima di dirmi dove si trovasse.
"In un certo senso" la congedai, vedendola fissarmi.
"Lo è sì o no?" Ricalcò la cazzo di domanda, quando volevo solo andare a trovarlo.
"Sono il marito di sua figlia. Quindi si" affermai brusco quella mezza verità. Poiché Cindy non era mia moglie, e mai sarei arrivato a pensarlo un anno fa. Ma lei mi aveva stravolto la vita ed ero più che sicuro che ciò che volessi era chiederla in sposa. Io che non credevo nel matrimonio, io che usavo le donne come macchine del sesso. Lei era tutto ciò che facesse sì che potessi ricredermi. E mi ero ricreduto grazie a lei. Se avevo conosciuto la parola amore, era solo grazie a quella piccola perla rara ed unica.
"Stanza 206. Il secondo piano" mi liquidò tentando di essere gentile, mentre la ringrazia, avviandomi.
Ma quando arrivai lungo il corridoio, costeggiato da stanze, medici e gente, vidi da lontano e sempre più vicino ad ogni passo, la figura di Daniel con i palmi sulle ginocchia ed uno sguardo freddo, appena voltò il viso dalla mia parte. Imprecò qualcosa forse, ma non ci feci caso. Era arrabbiato? Io una volta sempre più di lui.
Frustrato perché sapeva che Cindy mi amava? Era un cazzo di problema suo.
"Dov'è?" Gli domandai, sapendo a chi mi riferissi, e sorrise amaramente.
"Dentro. Ma puoi aspettare qui con me. Siamo nella stessa posizione" proferì quelle parole che mi arrivarono come una secchiate gelida. Che cazzo voleva dire, nella stessa posizione? Mi stava prendendo per il culo.
"Lasciami entrare" affermai duro.
"Non credo sia il caso. Sta parlando con suo padre. Lasciala sola" mi riprese cupo e assertivo.
"Voglio vederlo anche io. Ne ho diritto cazzo" sbraitai risoluto, vedendolo alzarsi.
"Li hai persi tutti i diritti da quando l'hai lasciata da sola...con me" aggiunse l'ultima parola, facendomi salire la voglia di tirargli un pugno in pieno viso, di togliergli quella fottuta convinzione, ma mi ripresi appena vidi la porta spalancarsi ed una Cindy fissarci con le sue pietre un po' lucide.
"Lascialo entrare. Dio! Sembrate dei bambini. Non mi sembra il luogo adatto dove discutere." Chiuse appena la porta, dietro le sue spalle, fissandoci intensamente ed a braccia conserte.
Guardò Daniel in modo freddo e poi un po' più dolce, mentre a me riservò un'occhiata strana, diversa, per poi farmi cenno con la testa di entrare.
"Cindy io..." sbruffò appena, girovagando con gli occhi.
Guardai Maicol steso sul letto, avvicinandomi cauto quasi ad aver paura di disturbarlo.
"Come sta?" Le domandai, vedendola mettersi a sedere ed accarezzare suo padre.
"Come vuoi che stia? Non direi bene" mi riprese fievole e seria, mentre i miei occhi si posarono su di lei. Sembrava ripresa sul viso. Forse Daniel la faceva stare meglio di ciò che credevo.
"Ti vedo meglio" le confessai, guardando Maicol e sentendo una morsa al petto. Mi dispiaceva vederlo così.
"Ti rimetterai, sei un campione" gli sussurrai vicino all'orecchio, vedendolo mugolare appena.
"Ti devo parlare James" mi disse dolcemente e carezzevole, guardandomi negli occhi. Le sue pietre che entravano nei miei pozzi in modo delicato, ed un senso di amore che ancora ci legava. Un piccolo sorriso si formò sul suo volto più roseo.
"Non qui. Se saprai dove trovarmi ci vedremo stasera. E lo saprai" m'intimò, prima di alzarsi e lasciarmi da solo con suo padre, sentendo la porta chiudersi con un cigolio debole.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro