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30

Pov. James

Vederla con Daniel mi aveva ferito. Non lo negavo. I loro occhi parlavano chiaro, i fatti erano stati serviti su un piatto d'argento lustro. Ma quando siamo stati quel frangente da soli, tutto il mondo ha iniziato a tacere. Le sue labbra sulle mia. Non potevo darle risposte alle domande che cercava.

Dovevo mantenere il segreto ed il tasto sul silenziatore. Speravo solo che credesse alle mie parole. Erano sincere, dettate da un cuore marcio ma puro solo quando avevo la mia perla al mio fianco.

Dovevo aspettare, doveva, dovevamo. Lo speravo con tutto me stesso.

Un mese fa...all'incirca...

Ero da poco rientrato a Miami. Frustrato con me stesso. Era stata una settimana dura, ero in continuo conflitto con me stesso, con il mio cuore. Cercavo di radunare piccoli tasselli, come un collage che se attaccavi il pezzo sbagliato dovevi rifare tutto d'accapo. Eppure non credevo a Rudy. Non credevo ad una sua singola parola, se non alla morte di Linda. Ne avevo prove certe, almeno credevo. Mi basavo su ciò che mi aveva detto il tenente e la polizia, e tanto bastava per sapere ciò che era giusto.
Ma se c'era una cosa del quale ero sicuro, erano gli occhi e l'anima pura di Cindy. Lei non mi mentiva, non ci era mai riuscita. Leggevo le sue pietre piene di angoscia. Avevo tentato di allontanarla la prima settimana per fare pace con me stesso e non rinfacciarle ogni volta il fatto che mi avesse tenuto all'oscuro di tutto. Cazzo! Era pur sempre un bacio. Daniel si era approfittato di una sua debolezza, del suo stato delirante. E venirlo a scoprire da una bocca che sputava solo merda, mi faceva sentire un coglione.

Avevo da poco finito di analizzare pratiche e quant'altro per il locale con il commercialista, e quindi mi recai a casa.
Evelin era andata via da poco, ed era tutto lindo e pulito. Appoggiai la giacca nera che mi sfilai, sulla tavola in granito e mi sganciai le asole della camicia per recare a farmi una doccia. Ma appena stavo per fare l'ultimo scalino che mi divideva dalla porta del bagno, sentii il cellulare squillare.

Lo cercai a tastoni nelle tasche, ricordandomi che doveva essere dentro la tasca della giacca.
Ma quando arrivai la suoneria che riecheggiava bassa da dentro la tasca, tacque.
Lo presi in mano, sfilandolo da dentro la tasca, e subito sentii la vibrazione accompagnata dalla suoneria più squillante ora, fuori da quel tessuto lucido.

Guardai il numero, era Sconosciuto. Potevano essere tante persone. Rigirai l'iPhone tra le mani, scorrendo con l'indice per rispondere e portarlo all'orecchio.

-Pronto? Chi è?- Chiesi a raffica senza perdere molto tempo o aspettare che parlasse per primo l'interlocutore.
Avvertii all'udito dei rumori metallici, credevo che provenisse da una fabbrica, sentendo rumori di ferro tagliato con la sega.
Finché non parlò.

-Ciao James. Sono...- non la lasciai terminare poiché mi sembrava così incredulo ed irreale che forse stavo sognando, o ero entrato in una dimensione parallela.

-So che sei te...ma che...- le parole uscivano sfasate e non riuscivo a completare una frase normalmente, dandole un senso compiuto. Mentre la sua voce sembrava così bassa e tenue.

-Non posso spiegartelo al telefono. Non voglio interrompere la tua vita. Ho saputo di Rudy, non mi chiedere come, ti darò le risposte che cerchi. Solo che...- s'interruppe un attimo. Mentre mi sedetti sullo sgabello in pelle bianco, portandomi la mano sulla fronte come se fosse stata la visiera di un cappello da baseball, ed il gomito piantato sul granito freddo.

-Mi devi rendere il favore. Giuro non te lo avrei mai chiesto, io il mio l'ho fatto con il
Cuore, ma mi serve che me lo restituisci, ora che posso- Non capivo, parlava e non collegavo niente. Pensavo ancora che forse ero sotto effetto di droghe stupefacenti.

-Non capisco, di chi stai parlando, che favore?- Le domandai quindi tentando almeno di sapere su cosa si basava quell'assurda conversazione. Era vero lei mi aveva fatto un favore, mi aveva salvato, ma proprio adesso che credevo che la mia vita sarebbe girata meglio, qualcosa si spezzava sempre per riportarmi nell'oscurità. Come una macchia indelebile che non puoi togliere, l'hai dentro come un male che si blocca ma può tornare e rosicchiarti tutto ciò che hai di buono, trasformandolo in maligno.

-Si tratta di Robowsky. Posso solo dirti questo. Mi trovo in Louisiana, precisamente New Orleans, Canal street. Fatti trovare Venerdì. Oggi siamo lunedì hai tempo per prepararti la valigia. Mi troverai con un cappello Grigio ed un trench beige alla fermata della metropolitana. Ti spiegherò tutto al tuo Arrivo c...- Non la lasciai terminare che nel mentre mi stavo appuntando su un pezzo di tovagliolo ed una penna che tenevo sul tavolo, tutte le informazioni.

-Aspetta, quale fer...- non mi lasciò finire poiché iniziai a risentire rumori metallici e la sua voce più lontana al mio udito.

-C...i...ao J..J....am...- E riattaccò. Rimasi a fissare il cellulare per un'infinità di tempo. Ero perplesso e sbigottito.

Quel Venerdì andai. Presi un'aereo e subito dopo chiesi informazioni per Arrivare a Canal Street con la metropolitana.
Quando scesi, sentivo molte persone parlare in Francese, era un quartiere dove si parlava prettamente il francese, ma fortunatamente trovai alcuni che parlavano l'americano in modo più fluido.
Finché non la intravidi. Era a braccia conserte, dall'altra parte della strada, appoggiata con la spalla ad un lampione.

Gli occhiali con montatura rotonda nera e lenti scure, il cappello di lana tipo basco, grigio fumo, ed un Trench legato in vita beige, dove teneva le mani dentro le tasche laterali, ed i capelli erano risucchiati da quel bavero che si teneva rialzato.

Mi scusai con il signore per avergli fatto perdere tempo, battendogli una mano sulla spalla magra, e strinsi la valigia tra la mano, che mi ero portato, attraversando la strada, stando attento alle macchine che sfrecciavano veloci.

-Ciao- La salutai pacato con un sorriso e parecchio sbigottito ancora, nel saperla lì.

-Vieni con me. Qui la gente ha le orecchie affilate- Si girò a guardare sospetta. Strattonandomi dalla manica del cappotto nero.

Mi portò vicino ad un edificio, giallo e spoglio. Un edificio molto vecchio. Aprii la porta con una chiave che aveva dentro la tasca, lasciandomi passare, per poi richiudere il portone verde bottiglia, con un tonfo pesante.

-Seguimi- M'intimò accompagnata da un gesto della mano non curata. Le unghie presentavano dei piccoli granelli neri e sporchi all'interno. Lei che era sempre impeccabile nella sua manicure.

Salimmo i gradini in cemento bianco, che formavano una sorta di spirale. Potevo annusare il tanfo di muffa, e odore di stantio.
Scossi la testa, continuando a seguirla. Finché non cercò nel piccolo mazzo di chiavi che produsse un tintinnio metallico, una che aprisse la porta che si trovava alla nostra destra, marrone scrostata, dove si poteva notare la prima tinteggiatura beige.

Ci accomodammo sopra un divano grigio, e alzò la saracinesca bianca, che cigolò acutamente, dando almeno un po' di visibilità in più e calore a quel posto malconcio.
Aveva solo un fornello accompagnato da sotto un forno unto e presentava ruggine su i pomelli bianchi. Così come il fornello incrostato ed unto.

Le piastrelle celesti, presentavano schizzi, ed un piccolo tavolo marrone con solo due sedie di legno, poiché l'altra aveva la paglia che rilegava per mettersi a sedere, tutta sfilacciata, formando una sorta di buco, quindi era poggiata al muro. Un mobiletto Bianco e nero, con un'anta sbilenca, che stava quasi per cedere, forse per la mancanza di una vite.

Non potevo dire che se la passava bene, ma non potevo capire come era arrivata qui è perché era qui.
Aprii un piccolo Frigo, tipo quelli dei minibar negli hotel. Si chinò, con il trench sfilato, prendendo nella mano due lattine di birra.

-Scusa non mi refrigera questa merda di frigo, ma data la temperatura ancora non sa di piscio andato a male. Bevi- Mi lanciò la lattina con svogliatezza, prendendola tra le mani. Stava poggiata con il fondoschiena al tavolo e le gambe accavallate, prendendo un sorso di birra per emettere un mugolio di piacere.

Mi raccontò tutto, gesticolando ed emettendo risolini amari. E quando parlò di Robowsky mi fece una rivelazione che non mi aspettavo.

La potevo aiutare, e sapendo ciò che aveva fatto Robowsky a Cindy lo dovevo.

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