Prologo
EDITH
Tre mesi dopo l'incidente a Wellcum, Austria.
La pioggia, incessante, sovrastava le nostre urla, allagando le strade della città. Pozze d'acqua che rispecchiavano un cielo plumbeo e livido, in pezzi, frastagliato da qualche ramo rigoglioso che sfidava il vento. Non avevo mai amato gli acquazzoni estivi, mi annacquavano dentro, promemoria di lunghi e tristi inverni passati. La via alberata era deserta da un pezzo. Nessuno si aggirava all'una di mattina, sotto lo scrosciante piannisteo di nuvole cupe e fumose se non noi due. Lui e io rimanemmo fermi, uno difronte all'altro, a lottare. Statici e bagnati fradici, schiariti da lampi di tempesta, subimmo l'ira di giugno.
Il sole e la luna. Era dunque questa la nostra fine?
Affannati e sfiniti per la discussione in atto, ripresi fiato. «Che significa: "è stato un errore"?!», gli chiesi senza alcuna traccia di speranza. Le parole rotolarono lungo la lingua accompagnati da acuti altisonanti.
«Quello che si intende.» puntualizzò con una calma fastidiosa e che non gli apparteneva, in realtà. Il tono profondo, enfatizzato dal suono di un addio: «Questa storia è durata anche troppo, ed io non voglio trascinarla oltre. Sarebbe perfido.» spiegò in seguito. Il finto atteggiamento distaccato non era altro che una tattica.
Mentiva.
Intenta a protestare, Dante mi interruppe; sembrava affaticato dal nostro litigio, come se non avesse alcuna voglia di affrontarmi. Lo udii sospirare: «Sono stanco, Edith. Stanco di provare questo continuo malessere interiore. Stanco d'essere denigrato da me stesso ogni volta che sei nelle vicinanze. E sono stanco di soffrire per qualcuno che non posso avere. Non sei tu il problema, davvero. Non sei tu.».
Più blaterava scuse dispiaciute e più lacrime copiose mi sgorgavano dagli occhi: «E allora perché vuoi lasciarmi? Stupido!» singhiozzai.
«Lo faccio per il tuo bene.» si giustificò, convinto di quella menzogna.
«Sei tu il mio bene.» precisai, tentando di fermare il pianto e i singulti strozzati. Dovevo calmarmi e combattere l'avversità con tenacia.
«No, non lo sono e lo sai... Non dopo Wellcum e nemmeno dopo stasera», puntualizzò, ancora irritato dagli eventi scaturiti il giorno prima.
«è stato...» incominciai di nuovo, ma non conclusi la frase.
«Avventato e stupido da parte tua? Sì. È stata colpa mia? Anche. E sarebbe successo se non mi avessi mai incontrato? No.» concluse; come se quell'affermazione non fosse stata del tutto insensata.
«Non puoi troncare in questo modo la nostra...».
«Cosa?» si frappose a me: «Edith, la nostra, cosa? Relazione? Non lo è. Conoscenza? Non è nemmeno questo visto che siamo andati troppo oltre. Frequenza?» continuò, crudele.
Avanzai di qualche passo, trovandomi molto più accostata a lui: «So cosa stai provando a fare e non funzionerà. Non riuscirai a mandarmi via.».
Lo sguardo affiliato di Dante, venne attraversato da un'emozione vivida e ardente. Senza neanche rendersene davvero contento, alzò la mano destra per accarezzarmi la gota sinistra, soffermandosi ad osservare il neo all'angolo del labbra superiore. Fu un gesto cadenzato dalla lentezza, godendosi la morbidezza della guancia e avvicinando il viso al mio: «Lo so... Per questo andrò via io.» esalò infine, spezzandomi il cuore con un bacio d'addio.
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