Epilogo
EDITH
"Lasciatela stare, vigliacchi. Se dovete prendervela con qualcuno, prendetevela con me!"
Mi hanno proprio preso alla lettera.
«Ora può andare, Signorina Costanza. Rammenti di premere il ghiaccio secco sulla guancia per sgonfiare l'ematoma», si premurò la dottoressa del centro di primo soccorso.
Era una giovane donna bionda dagli occhi castani e gentili. L'atteggiamento cordiale e professionale dei medici mi rassicurava, ricordandomi una certa familiarità. Avevo ricevuto quattro punti di sutura all'interno della cavità orale, ma nessun dente rotto o scheggiato – per mia fortuna. Tuttavia annuii in silenzio, ubbidendo al consiglio. Parlare mi provocava dolore.
Questa sarà un'altra serata da dimenticare.
Elida attendeva fuori dalla sala, corsa in nostro soccorso precedentemente. Mi venne incontro tutta trafelata: «Stai bene, Edith? Madre de Dios, cosa ti hanno fatto quei mostri?», imprecò lei, preoccupata e sconvolta. Con delicatezza, incorniciò il mio viso con dita tremanti, tentando di darci un'occhiata sotto alla busta gelata.
Non ero un bello spettacolo, me ne rendevo conto da sola.
«È tutto okay», mormorai piano e dolorante. Provai a sorridere, ma peggiorai la situazione, procurandomi altra sofferenza inutile.
«Non è okay per niente. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, devi solo comunicarlo, va bene?», decretò, intimorita delle mie condizioni e ancora intenta a ispezionare l'escoriazione a lato del labbro inferiore.
Annuii di nuovo malgrado entrambe conoscessimo la mia natura timida e testarda. Mi doleva tutto il corpo a causa delle percosse ricevute, ma non avrei chiesto aiuto.
«Ce la fai a camminare?», sollecitò con apprensione. Costatò che zoppicavo un poco.
«Sì, non preoccuparti», preferii proseguire, «Sarà il caso di recarci alla stazione di polizia».
«Speriamo che rilascino mio marito insieme ai suoi fratelli: Dan e Dee», sospirò infine, abbattuta dalla stanchezza e dalla tragicità della situazione.
I tre, erano stati trattenuti – loro e una dozzina di altri ragazzi – per dichiarazioni e accuse riguardo al coinvolgimento o meno della rissa avvenuta.
Mi unii anch'io a quel triste sospiro, spossata quanto lei.
Peggio di così non poteva andare, davvero.
***
Arrivammo a destinazione nonostante la pioggia incessante. Arrancai all'entrata nel momento esatto in cui uscì Stefano. Sosteneva Deva come poteva – perché anche lei era malconcia.
Nel vederci, entrambi rilassarono le spalle, e le loro espressioni facciali mutarono impercettibilmente. «Eccovi, finalmente. I due grandi eroi della nottata sono ancora dentro a compilare scartoffie. Sono stati scagionati dalle diverse testimonianze raccolte, per nostra fortuna», ci informò la giovane Argenti.
A malapena inalai un sospiro di puro sollievo, che scorsi il mio avvenente spogliarellista seguire a ruota il maggiore dei tre.
Ricurvo, come un giunco sferzato dal vento, sembrava completamente svuotato di qualsiasi energia ed emozione. Fissava il vuoto a capo chino, in profonda e muta riflessione.
Con rammarico, adocchiai le braccia tese, scoperte dalle maniche arrotolate della camicia, e le nocche deturpate.
Elida gettò le braccia a collo del marito, stringendolo a sé, contenta che fosse tutto finito. Tutti noi lo eravamo. Tutti tranne Dante.
In lui, c'era qualcosa che non quadrava.
«Edith, vieni con me. Devo parlarti», mi rivelò con un gesto fugace del capo, invitandomi ad allontanarmi dal gruppo. Evitò di guardarmi negli occhi, anticipandomi lungo la strada.
Ci congedammo da loro, abbandonando il riparo sotto gli ombrelli malgrado le proteste altrui.
Una strana inquietudine mi attagliò la bocca dello stomaco, seguendolo lungo la via alberata.
Il suono e l'odore dell'acqua piovana mi ricordava un tragico settembre che un gioioso giugno. Fradici come foglie, scricchiolammo nel vento.
DANTE
Il flusso dei miei pensieri mi condusse lontano, sbranato vivo dall'ira, dalla collera, e dalla paura.
Il clima, pessimo, rispecchiava appieno come mi sentissi. Ero frustrato, terrorizzato... e ancora arrabbiato. Mi torturavo senza volerlo, covando emozioni distruttive e difficili da attenuare. Mi stavo trasformando in qualcuno che non ero e non volevo essere, ma che inevitabilmente sarei stato se avessi continuato a perseguire determinate scelte. Scelte che dovevo lasciarmi alle spalle. Poco importava quanto sarebbe stato doloroso farlo, dovevo andare avanti...
«Dante, rallenta, ti prego», udii la sua voce infrangere il caos delle mie meditazioni, ma a differenza di altre volte, non placò la mia irrequietezza.
«Rallentare?! È tutto quello che hai da dire?», la spronai a rispondere, «Cos'hai nel cervello per aver creduto di poter essere uno scudo umano, me lo spieghi?».
«Non volevo che ferissero qualcuno. Soprattutto tua sorella», si discolpò con tono tanto ingenuo quanto irritante.
«È la scelta migliore era che colpissero te?!», sbottai.
«Non... non mi è venuto in mente altro», farfugliò a bassa voce, meditando sulle alternative che avrebbe avuto.
«Ma c'era tanto altro che avresti potuto fare! Sei finita al pronto soccorso. Di nuovo!», rimarcai alla fine, «E io non sono riuscito a impedirlo», inalai appena col tono arrochito dalla delusione.
Provavo un cocktail di sensazioni ed emozioni logoranti: disprezzo, disdegno, ribrezzo... e rimpianto per me stesso. La repulsione nei miei confronti non faceva altro che crescere. Mi odiavo, e odiavo ciò che ero.
«Non è colpa tua. Nessuna delle occasioni in cui è successo, lo era», ascoltai ancora la sua confessione.
Erano parole compressive e compassionevoli. Io però non avevo nemmeno la forza di guardarla in faccia. Ero vuoto di ogni speranza.
«Mi scagioni con troppa facilità», mormorai.
«Al contrario di te, che ti condanni alla minima distrazione», sottolineò Edith, «Torno a ripetere che sto bene, davvero».
Finalmente alzai lo sguardo su di lei, e farlo si rivelò una pessima idea. Una mappa di lividi e segni violenti tracciava un sentiero confusionario lungo tutta la curva della mascella.
La bile mi solleticò la trachea, disgustandomi. «No, non è vero!», non compresi se lo dissi ad alta voce, ma proseguii: «Tutto questo è stato uno sbaglio».
Indietreggiai di qualche passo quando esalò: «Tutto cosa?».
«Tutto», rimarcai ancora, come se fosse stato ovvio a cosa mi riferissi. E alla fine di questo tutto diedi fiato alla voce che mi risuonava da mesi in testa: «Tu e io... è stato un errore».
CONTINUA...
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