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Capitolo 9

DANTE

Le controversie dell'amore non riguardavano i sentimenti, ma le azioni. Le contraddizioni di un'emozione tanto forte, potevano condurti al lato oscuro di te stesso, se sottovalutate. Pablo Neruda, poeta d'amore per eccellenza, dichiarò - in uno dei suoi scritti - d'aver stuprato una donna, in gioventù... e questo, fu disgustoso. Associare allo scrittore azioni tanto ricriminose parve surreale. Eppure, alla gente non interessò quando lesse i suoi aforismi sentimentali, abusandone a propria volta per scopi superficiali. Contava l'amore millantato nei versi smielati, che il possibile crimine. Edith non faceva eccezione. Violava la mia mente, impossessandosi dei pensieri contro la mia volontà, e non le importava quanto le sue azioni potessero ferirmi o fosse crudele nella sua ingenuità. Lei, agli occhi del mondo - e ai miei - era una creatura innocente, incapace nel fare volontariamente del male. E questo, era peggio di tutto il resto. Avrei preferito che fosse consapevole di quanto le sue lacrime mi provocassero sofferenza, di come odiassi la nostra alchimia... e amassi il modo in cui mi prestasse attenzione, sfoggiandomi s'un piedistallo, al di sopra di tutto. Ero massacrato, prigioniero di un limbo logorante e di cui agognavo uscirne indenne.

Rientrati in Italia e giunti in un paesino di montagna dell'alto veneto, seguii la figura snella della niña hermosa all'interno della villa di campagna - in cui ero cresciuto - guardandomi attorno con circospezione. La casa dei miei genitori - da cui mancavo da quasi sette anni - non era cambiata per niente. Inalai l'odore famigliare di legno di frassino, noce, e cera d'api, scaturendo una malinconica nostalgia nel mio cuore. Accarezzai con lo sguardo le pareti bianche, ricoperte di quadri e foto di famiglia. Memorie sbiadite dal tempo. L'infanzia e l'adolescenza le avevo vissute con grande intensità, colme di gioie e dolori, ma ogni ricordo, legato al passato, era stato corrotto dal disprezzo, scaturito in una sola singola notte.

Edith, vagabondando per le stanze, si soffermò ad osservare una foto di me, da ragazzo, accanto ai miei fratelli, e accarezzarne la cornice con l'indice, incantata nell'ammirare il trio che eravamo stati. Isolatasi dalla mia famiglia, esplorando l'abitazione con curiosità, la trovai incantevole... ma non abbastanza nel perdonarla. Ficcanaso quanto una bimba pestifera. Mi piazzai di fianco a lei, senza sfiorarla, muto nel fissarla e attendendo che fosse lei a compiere il primo passo.

«Siete tutti e tre bellissimi» mormorò con dolcezza, dando voce ai pensieri.

Accennai una smorfia sagace e scossi il capo: «Balle. Se ci fossimo incontrati all'epoca, non mi avresti guardato. Le ragazze sbavano per Dristan», le risposi. Per quanto amassi il suono della sua voce, non apprezzavo le menzogne.

«Ballerino anche lui?», domandò con una certa ironia.

«Pugile, campione di pesi leggeri come nostro nonno prima di lui. Spaccone e cinico fino al midollo», le rivelai, schietto e sincero.

«Deve mancarti molto, vero?». Il quesito fu appena un sussurro rattristato.

Che cazzo di domanda era?! Chuca. «No, uno come mio fratello è meglio perderlo che trovarlo», tagliai corto, ma la maestrina del cazzo doveva essere di altre opinioni.

«Come me?», chiese, ricordando uno dei nostri ultimi bisticci.

Voltai il viso di trequarti, adocchiandola con severità: «Hai intenzione di litigare?».

Mi imitò. Il tono saputello dell'educatrice pronto a rimettermi in riga: «E tu, hai intenzione di litigare?». I nostri sguardi si sfidarono in una lotta d'intensità, traboccanti di emozioni e riflessi di noi due. Ci desideravamo al punto di sbranarci a vicenda... e questo, più che terrorizzarmi, mi adirava. Edith non era diversa dalle altre donne, quindi i miei sentimenti per lei non avevano il minimo senso di esistere. Maledizione!

«Eccovi, finalmente. Non vi trovavo. Mamma ha annunciato che tra dieci minuti si pranza», ci colse alla sprovvista Deva, sbucando da dietro l'angolo. «Ho interrotto qualcosa?», udii in un secondo momento.

«No, affatto. Mostravo a Edith dove riposare», mentii.

Mia sorella inarcò un sopracciglio, confusa dalla spiegazione ricevuta: «Nella tua vecchia stanza?».

Annuii: «Io dormirò sul divano, ma solo per stanotte. Domani mattina prenderemo un treno d'alta velocità per Milano e torneremo alle nostre vite di sempre», conclusi, non ammettendo altre repliche da parte di entrambe. Prima me ne sarei andato e meglio sarei stato...

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