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Capitolo 6

EDITH

Mi aveva vista.

Diamine!

Deva, accortasi della mia presenza dietro alla porta, mi aveva scoperta. Il ricordo di quegli occhi ambrati, protettivi nei confronti del fratello, ustionava le membra, incendiando le carni e provocandomi un senso di terrore tale, da scappare via a gambe levate. Correre senza voltarsi indietro, inquadrando una via d'uscita.

Non avrei dovuto origliare.

Ero nei guai e, ingenuamente, sperai in un miracolo. L'ansia divorava le cervella come se fosse stata un tarlo col legno, frigolando sotto la cute e accartocciando le budella. Sapevo d'essere stata testimone di un abominevole gesto, ma oltre a questo, intuivo che sarebbe stato meglio non vederlo. Trovai rifugio nel bagno pubblico, quello riservato ai disabili, situato in fondo al corridoio del pian terreno.

...Il più lontano possibile dalla famiglia Argenti. Accidenti a me e alla mia curiosità!

L'anonimo bianco perlato, il mobilio spartano e la porcellana minimalista, rendevano quel luogo lindo e pinto, asettico e conforme a tutto il resto dell'ospedale. Chiusa nell'ampio gabbiotto del W.C - il più pulito che avessi mai visto -, serrai gli occhi e trassi un profondo respiro, inalando l'odore fresco, di igienizzante. Obblicai me stessa ad acquietare i sensi, provando a riacquistare un po' di sano autocontrollo. Ignorai il mio riflesso allo specchio, stravolto dagli eventi capitati, e cercando una via di fuga. Avevo bisogno di schiarirmi le idee: l'immagine disturbante, a cui avevo assistito, impediva qualsiasi flusso di un pensiero ottimista. Ad un tratto, sussultai, udendo scattare la serratura d'entrata. Scorsi l'ombra di Dante precederne il corpo e sudai freddo. Irrequieta, adocchiai il suo viso, trovandovi un'espressione raggellante ad attendermi. Fu glaciale. Sorrideva, ma non di contentezza: «Tana per la maestrina del cazzo.» commentò astioso, infastidito e saturo di nevrotica frustrazione. La luce nel suo sguardo, torbido, parve oscura e sinistra; luccicante di maliarda perfidia. E questo mi inquietò oltre ogni modo.

Lo sapeva. Conosceva la verità, dunque.

Impalato difronte a me, ad ostacolare l'unica via di fuga, parve minacciarmi con la sua stazza. Non assumse una smorfia amichevole... soprattutto quando intravidi lo zigomo arrossato. Anzi, la sua sagacia aumentò: «Un bel regalo, vero? È stata mia madre a farlo, ma questo lo sai già...». La frase ebbe lo stesso effetto di un morso.

Scottata da lui, indietreggiai. Curragai la fronte e sfarfallai le lunghe ciglia in un’espressione sofferente: «Scusa, io... io non volevo.» mormorai appena, riferendomi al mio stupido errore.

Dante si diresse al lavabo, intento a darsi una rinfrescata, tallonandomi fino all'ultimo centimetro: «“Scusa”, “Non l'ho fatto apposta”, “Non volevo, però è capitato”... Sono le uniche parole che sai pronunciare in mia presenza? Perdonarti oramai è diventata una prassi.» si beffeggiò di me, dardeggiando il mio senso di colpa con caustica ironia.

«Ti fa ancora male?» chiesi con timidezza, sorvolando il magone che provavo ed il commento udito.

Lo vidi disquisire le mie parole, mimandole con derisione, sciacquarsi il viso e osservarsi allo specchio. Attesi una risposta per quella che parve un'eternità: «No, il tuo fu decisamente peggiore.». Distolsi lo sguardo, mortificata, mentre lui proseguiva imperterrito: «Credevi che ti avessi perdonata, forse?» domandò infine; la voce grondante di crudele sarcasmo. Anelai appena, mentre il nodo in gola stringeva la laringe. Percepii i bulbi oculari inumidirsi e il labbro inferiore, tremare. Era sempre la solita storia con me e la mia emotività... Non avrei augurato a nessuno la condanna alla sensibilità. La gente ti feriva con poco, lamentandosi del sangue che ne fuoriusciva. Egli scosse il capo nel notare il mio pessimo stato d'animo: «Evita di starmi vicino. Detesto quando fai così, maestrina del cazzo.» minacciò, intento ad allontanarsi.

Ogni volta che Dante era ferito, reagiva per ferire a sua volta. Ed io esplosi. Non mi limitai a subire in silenzio altre angherie; ebbi il coraggio di reagire: «Altrimenti?!» sbottai, sull'orlo delle lacrime: «Altrimenti che farai...? Mi offenderai un'altra volta ancora?!» esalai in un unico respiro, avvilita dall'avversione e dalla rudezza riservatami. Anche se in passato avevo sbagliato, questo non lo giustificava a trattarmi nel peggiore dei modi.

L'avvenente spogliarellista si bloccò, immobilizzandosi al suono della collera trasudata, come se fosse stato indeciso se andarsene o aggredirmi. Trattenni il fiato e strizzai le palpebre, scacciando le lacrime e temendo di subirne le conseguenze. Ed esse mi travolsero. Prigioniera della sua furia, ne fui devastata. Egli mi ghermì i fianchi, stringendoli a tal punto da lasciarne i segni, temetti, spingendomi contro le piastrelle del muro. Incastrata contro di lui, a lottare alla stregua di due belve affamate, occupammo gran parte del tempo a molestarci, urtarci e colpirci a vicenda, ma più andavo avanti, più volevo farci l'amore. Era qualcosa di incomprensibile, che mi mandava in crisi. Lo strattonai per la maglia, martoriata da quello strano desiderio, prendendo a pugni il torace, mentre lacrime calde mi rigavano il volto, impossibili da frenare. Dante mi tirò i capelli sciolti, col risultato di inarcare la mia schiena e strapparmi un lamento. Lamento che fu annichilito con un bacio. Uno di quelli colmi di passione. Che provasse ciò che sentivo io? Non glielo chiesi mai. Caddi vittima della sua bocca, della sua lingua e dei suoi denti. Mi morse le labbra, il mento, la mascella e persino il collo. Prede dei nostri istinti, lasciammo che si nutrissero di noi, che si insinuassero sottopelle, e saziassero il bisogno di averci addosso vicendevolmente. Non fu dolce. Non volevo che lo fosse. E nemmeno io. Fummo tempesta. Furie selvagge di un mondo onirico. Turbinii di venti contrastanti che creavano uragani. Gli sbottonai i jeans con audacia e lui non mi fermò, sfidandomi a proseguire oltre. Lo allontanai solo per saltargli addosso, e rispondere a quel bacio che di romantico, non aveva nulla. Dante mi resse senza difficoltà, strizzando il mio sedere allo stremo. E in tutta quella nostra violenza, intuii che ci fosse anche amore. Lo percepivo addosso come un secondo strato di peluria; mentre mi toccava con irruenza, ingordo di attenzioni. Senza volerlo, gli bagnai il viso di calde lacrime, aggredendogli le labbra a mia volta e scatenando pulsioni represse troppo a lungo. Forse non avremmo dovuto negarci fino a tanto. Incatenati l'uno all'altra, fummo notte e fummo giorno. Inesorabili, come il sole e la luna.


*Angolino dell'Autrice*

Raga non siate mai violenti, mi raccomando... tranne se vi chiama “maestrina del caz**” <.< ma cosa non fanno i bagni a questi due? Il continuo nel prossimo capitolo! X)

Detto questo però, devo avvertirvi che gli aggiornamenti subiranno un rallentamento perché altrimenti Perverso e continui non saranno mai pubblicati :'( Devo dare spazio anche alla revisione della saga e, fra lavoro e casa, non posso dedicarmi solo a Wattpad <\3

Ci tenevo comunque a pubblicare questo per anticiparvi che il prossimo sarà un capitolo a dir poco bollente x) seguitemi sia qui che su Instagram (autricenotturna) per eventuali aggiornamenti <3 

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