Capitolo 42
EDITH
Si definisce "sconcerto" un turbamento profondo, dovuto all'impatto di un fatidico evento che ci disorienta. Come se già non fossimo meteore erranti, in assenza di bussole e mappe che sappiano tracciarci una via lattea nel lungo percorso delle nostre vite oscure.
La verità era che non sempre c'era una risposta a tutte le domande. E questo avrei dovuto capirlo molto prima di questo fatidico evento...
***
Come si reagisce in questi casi?
Lo shock fu una lama conficcata nelle tempie. Pervase il gelo, spazzando via ogni altra emozione soffusa. Il silenzio era quasi assordante. Inchiodata al pavimento, nascosta in parte dietro le spalle di Dante, vi scorsi una stanza a soqquadro. Ne esplorai gli angoli con sguardo attonito. Solo l'ingombrante videocamera professionale, accantonata al muro, dove sostavano altre due fotocamere, munite di obbiettivi costosi, conservavano una cura apparente. Adocchiai il fisico atletico di Deva, coperto a malapena da costoso intimo rosso, e sussultai. Giunsi alla conclusione che l'allestimento della camera doveva essere un bizzarro teatro di posa a tema hard, e lei, la protagonista di cui doveva farne parte. Studiai la figura sinuosa e tremante di rabbia, soffermandomi sullo zigomo arrossato. Cominciò a formarsi una cinquina sull'incarnato mulatto, esaltando la violenza dello schiaffo. La sua guancia aveva subito una vera e propria aggressione.
«E voi chi cazzo siete?!», inveì il ragazzo inverecondo. Ostentava una sicumera che non avrebbe dovuto impugnare con tanta strafottenza. La faccia era una maschera di rabbia. Dall'aspetto slavato, sembrava giovane, ma non avrei saputo dire se possedeva più o meno di vent'anni. Si arrogava il diritto di poter esercitare una violenza su qualcuno che non fosse se stesso, e questo lo catalogava ben oltre a qualsiasi mera cifra che potessi immaginare.
«Sei un essere disgustoso», esposi tutto il mio biasimo, disgustata dalla pochezza che dimostrava una persona tanto misera.
Lui mi arpionò con uno sguardo di fuoco, puntandomi un dito contro: «Prova a ripeterlo di nuovo e ti pen...».
Prima che potesse concludere l'intimidazione, e dare inizio a una frase di senso compiuto, un pugno eclissò la visuale e lo prese dritto sul naso. Il sangue imbrattò la sua e la felpa di colui che l'aveva colpito, piegandolo in due dal dolore. Indietreggiò contro al muro, premendosi entrambe le mani sulla faccia.
«Minacciala di nuovo, e io ti uccido», mormorò in tono glaciale il giovane latino, impassibile alle lamentele di dolore del ragazzo.
«Mi hai rotto il naso!», obbiettò, tentando di placare la fuoriuscita del sangue.
Era una situazione talmente irreale, da non sembrarmi veritiera. Estranea a vicissitudini simili, rimasi ad assistere, atterrita.
«Tocca di nuovo mia sorella e non mi limiterò al setto nasale! Mi sono spiegato?», ringhiò Dante, minaccioso. Quando non ricevette risposta, volle ripetergli la domanda, scandendo ogni parola: «Ho detto: "mi sono spiegato?"». Si considerò soddisfatto quando lo vide assentire con difficoltà, ancora tutto dolorante; infine si rivolse alla ragazza: «Vestiti e raduna le tue cose, Dee. Ti porto a casa».
Deva scosse i lunghi ricci ribelli: «Non posso tornare a casa adesso», esalò appena.
Suo fratello la fulminò con lo sguardo: «Allora ti porterò con noi da Dristan». Senza alcun preavviso mi afferrò il polso sinistro – non la mano, il polso – e mi trascinò via da quella stanza.
Udii Deva armeggiare con gli indumenti in tutta fretta e seguirci in corridoio: «Cosa?! No, ho cambiato idea! Preferisco i nostri genitori. I nostri genitori, ho detto!».
Confusa, e ancora frastornata, mi abbandonai alla sua stretta salda, timorosa delle future conseguenze.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro