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Capitolo 38

DANTE

"Scegli un fardello e lascia
che questi ti porti a fondo"

"...avrebbe dovuto laurearsi... adesso non potrà più farlo...".

Le parole di Micol, la maggiore delle sorelle Costanza, gravavano quanto macigni. Mi sentivo schiacciare dal peso e dal senso di colpa di quella rivelazione. Un fardello che non mi aveva mai abbandonato davvero. Non dopo Wellcum. Sperare di trovare la redenzione in seguito all'accusa ricevuta, equivaleva a pregare per un miracolo. Ed io non credevo in Dio.

La colazione non poteva andar peggio. Tuffai le mani nei capelli. Le rovinerò la vita, me lo rinfaccerà, e a quel punto come potrai guardarti allo specchio e non farti schifo? Rimuginavo, impigliato nelle mie paure più intime. Ero la puttana dei miei stessi pensieri, e sapevo bene quanto fosse deleterio. C'ero già passato. Ero la delusione personificata. Il passato era il più infido dei maestri dopotutto.

«Dan, mi stai ascoltando?», udii appena. Alzai lo sguardo di scatto e focalizzai gli occhi più belli che avessi mai visto, esaminandone il colore intenso. L'esile figura di Edith, seduta sullo sgabello in maniera scomposta, era appoggiata coi gomiti sul bancone, mangiucchiando il pane tostato che avevo preparato, e adocchiandomi di tanto in tanto con vigile curiosità – ignara di cosa mi passasse per la testa.

Non avevo molta fame, ma vederla mangiare mi saziava in un modo a me incomprensibile.

Si aspettava che replicassi qualcosa che non avevo ascoltato. Corrugai le sopracciglia, rammentando stralci di conversazione sconclusionata: «Noi cosa?», la imitai, accostandomi al ripiano e accantonando le mie deprimenti elucubrazioni mentali.

Lei accennò a un piccolo sorriso, scostandomi un ricciolo ribelle dalla fronte. Somigliava a una bambina vispa, pronta a confessarmi un segreto solo nostro. Ingoiò il piccolo boccone prima di parlare: «Dovremmo andarcene... almeno per un po'. Abbandonare la città e prenderci una vacanza», suggerì con distrazione, annidata in meditazioni tutte sue.

Mi accigliai, restio ad accettare. Sappiamo entrambi cosa sia accaduto l'ultima volta che ci abbiamo provato. Diedi voce ai miei pensieri: «Non lo so Edith... l'ultima volta non è andata molto bene», le rammentai con una certa sicumera.

«L'ultima volta era diverso», protestò, continuando il suo discorso: «Sono sicura che stavolta andrebbe tutto per il meglio», provò a convincermi.

«Sono curioso di sapere come», mormorai più a me stesso che alla mia interlocutrice, «Tu cosa suggerisci?», decisi di domandarle con evidente sagacia.

«Potremmo chiedere ai tuoi fratelli di passare un po' di tempo insieme a noi», tergiversò nervosa, giochicchiando con qualche mollica sulla tavola, vicino alla salsa Pebre*. Esitai, pronto a replicare,  ma lei proseguì in tutta fretta: «Aspetta, so cosa stai per dire: "De todos le idee che potevi ablare esta es la più terribile"», imitò, saccente come sempre.

Mi sfuggii un sorriso, ascoltarla era benefico per l'anima, mi faceva sentire meglio: «Un'imitazione magistrale, la tua», le concessi, addentando una mollica inzuppata di sugo.

Incassò il capo fra le spalle, imbarazzata e rossa in viso: «Che male può farci cambiare aria?», mi propose, «E poi stare in loro compagnia potrà solo che farci bene, no?».

«Forse hai ragione, non è una brutta idea. Prenoterò qualcosa», concordai, ancora divertito nell'aver assistito alla mia imitazione.

«Come? Non ho sentito bene», mi prese in giro Edith, sorridendo di riflesso, vittoriosa.

Mi soffermai ad ammirarla, e la trovai bellissima nella mia cucina. «Ah, non hai ascoltato, eh?», scherzai, pronto ad acchiapparla.

La vidi sgranare gli occhi, piena d'enfasi: «No, il solletico, no!», fuggì via, in cerca di un rifugio nel quale sperasse che potessi risparmiarla.

«Tanto non mi scappi!», la inseguii, correndole dietro. Le nostre risate riecheggiarono per tutta casa, alleggerendomi lo spirito ed espiando, almeno in parte, le mie colpe.

*Salsas Pebre: (si pronuncia Pevere) Il pebre è un condimento cileno a base di coriandolo, prezzemolo, cipolla tritata, olio, pomodorini freschi, peperoncini piccanti a piacere. Comunemente usato sul pane, ma può condire carne o sul choripán.

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