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Capitolo 33

EDITH

Mi si prospettarono tre scelte nel pomeriggio di quel giorno: scappare, piangere, oppure affrontare il problema. E il problema adesso mi osservava da cinque angolazioni diverse. I miei genitori a sinistra, Micol al centro, e i coniugi Argenti a destra. Quest'ultimi parvero i figli dei miei. Inchiodata al divano, nel salone di casa – lo stesso nel quale avevo trascorso momenti indicibili il giorno precedente – assistetti alla mia disfatta.

«Ida, tesoro, cos'è questa storia?!», domandò la mamma non appena Micky concluse il racconto.

Con loro presenti, non avevo vent'anni, ma sedici. Come avrei potuto spiegarle? Come avrei potuto spiegare cosa fosse successo, e come mi sentissi a riguardo? Rimasi in silenzio, mortificata dalla situazione. I palmi delle mani, sudaticci e arrossati, si incollarono al tessuto della gonna in jeans, riscaldandomi la pelle formicolante. La sensazione del disagio si prolungò allo stomaco, sconquassando le budella. Avevo voglia di vomitare, e allo stesso tempo, fuggire via; ma le ginocchia non vollero saperne di collaborare. Alzarmi era un'impresa colossale: radunare le forze e incanalare le energie divenne qualcosa di estremo. Incastrata in una situazione spiacevole, pregavo di poterne uscire incolume, e senza piangere. Prospettiva fin troppo ottimista.

Notando il mio silenzio, il padre di Dante intervenne: «È stato tutto improvviso. Ho ricevuto una chiamata la stessa notte. Vostra figlia è stata soccorsa tempestivamente dall'ambulanza, ho controllato la cartella clinica io stesso». Era evidente che volesse tranquillizzarli, ma lui non sapeva tutta la verità. Adocchiai la signora Argenti. Era una statua di marmo dagli occhi lucidi. Chissà cosa penserà di suo figlio, adesso, temetti preoccupata. Chissà cosa penseranno tutti loro, di lui.

Mio padre, rimasto in silenzio per tutto il tempo, si decise a parlare: «Vede, Signor Argenti, il fatto è che Edith è allergica ad alcuni farmaci e sarebbe stato facile rischiare la tragedia. Ciò che però mi amareggia di più, di questa faccenda, è averlo scoperto dalla bocca di altri e non da quella di mia figlia», proseguì, «Credevo di averle insegnato cos'è la responsabilità. Evidentemente devo aver sbagliato qualcosa». Fu la prima coltellata da cui scaturì il senso di colpa.

«Lei non ha raccontato niente a riguardo, e sembra che voglia continuare su questa strada», aggiunse mia madre con tono severo, «Edith, sei adulta e vaccinata, però sei ancora a carico nostro», mi avvertì prima di proseguire il discorso di papà: «Inoltre noi non conosciamo questa persona, vostro figlio, e per quel che ne sappiamo potrebbe essere stato lui a drogarla, lì», concluse con un sospiro esausto.

Mi gelò il sangue nelle vene, e scattai come una molla: «No, lui non c'entra niente!».

«E tu che ne sai?! Eri sulla via dello shock anafilattico!», mi ammonì Micky, sul piede di guerra.

«Questo non giustifica la calunnia implicita!», inveii contro di lei mentre percepivo l'orlo delle palpebre riempirsi di lacrime.

«È una possibile ipotesi. Col mestiere che pratica è facile che ne faccia uso anche lui», continuò in tono supponente.

Scossi il capo con forza, opponendomi: «Questo non è rilevante!».

«Sì, invece», ci bloccò nostro padre, frapponendosi fra noi due, «A noi non interessa questo ragazzo. Ci interessa di te, tesoro. Se non sei lucida per giudicarlo, dovrò lasciare questo compito a qualcun altro», chiarì prima di rivolgere l'attenzione agli altri coniugi: «Che tipo è vostro figlio?».

Mi voltai verso di loro, nel panico. Era evidente dalle facce che non avevamo la minima idea di chi fosse. «Noi non avevamo rapporti con lui da più di cinque anni. Non so che uomo sia diventato, non conosciamo nulla di lui», ammise il signor Argenti alquanto avvilito.

«È un criminale», riferì con sicurezza mia sorella.

«Micol, fai silenzio per favore», la zittì nostra madre.

«È vero mamma! Si è intrufolato in una scuola materna per fare sesso con lei! Quale persona sana di mente lo farebbe?!», continuò, sgranando bocca e orbite.

«Non è andata in questo modo, stavamo soltanto...», mi si affievolii la voce: «Noi stavamo sdraiati a fissare le ombre sul soffitto e crearci delle storie, sopra».

«In uno sgabuzzino a orario di tirocinio?!», sbottò, esterrefatta da ciò.

«È questo quando è successo?!», chiese la mamma.

«Una settimana prima che partisse», le rispose Micol. Avevo perso il controllo della conversazione; si parlava di me, ma non con me. La mia opinione quanto valeva?

«Non sapevamo nulla di tutto ciò», sbuffò mio padre seccato da ciò.

Niente.

«Basta!», dissi esasperata, «Ora basta, vi prego... non ho svelato tutto questo perché sapevo che non avreste compreso. È stato un incidente causato da una terza persona. State dipingendo Dante come un vandalo! So che alcune spiegazioni possono risultare ambigue esalate ad alta voce, ma questo non toglie che è stato lui ad aiutarmi», sottolineai, «Ascoltate, è la persona più gentile è cavalleresca che io abbia mai conosciuto», confermai. Mi rivolsi alla signora Argenti. Era intimorita, muta, e quasi in lacrime quando incrociò il mio sguardo: «Ama leggere Pablo Neruda, la palestra alla sera, ballare, e dormire di giorno», rivelai con un sorriso che contagiò le sue pupille, «È affettuoso e divertente, ma anche molto permaloso. Ogni tanto si comporta come un bambino indisponente, al punto da farmi saltare i nervi», tirai su col naso, «Si illumina quando riceve un regalo e apprezza la propria indipendenza», serrai le palpebre per non piangere. Quando le risollevai guardai i miei genitori: «È stata colpa mia, mi dispiace avervi fatto preoccupare; mi dispiace non essere la sorella, e la figlia diligente che vi aspettavate da me, e mi dispiace che siate stati scomodati fino a qui per un errore increscioso, ma sono stanca di dovermi scusare e darvi una sorta di giustificazione su tutto; credevo che sarei riuscita a gestire la situazione», confessai, «Non so perché sia successo a me, ho sbagliato a non avvisarvi, la prossima volta starò più attenta, e se ci saranno problemi vi chiamerò. Più di questo non so cos'altro aggiungere». Tirai fuori tutto e attesi una qualche reazione.

Non si librò una mosca nell'aria fino a quando non decisi di alzarmi; non avrei retto quel silenzio soffocante un mini di più. «Dove stai andando?», domandò la mamma, nel vano tentativo di trattenermi.

La scansai, decisa a uscire: «Fuori, ho bisogno di andare via, così non ce la faccio», lagnai con tono tremulo.

Solo quando mi trovai sotto al palazzo scoppiai a piangere. Mi sentivo una pessima figlia, una pessima sorella, una pessima persona. Nessuno dovrebbe litigare con le persone che ama; ti riduceva in poltiglia.

Prima che potessi udirlo, lo vidi difronte a me, e gli corsi incontro: «Buongiorno mi...», non gli diedi il tempo di continuare la frase che gli buttai le braccia al collo, affossando la faccia nel suo ampio torace. Non dissi niente, continuando a singhiozzare. «Ehi, che succede? Edith... cos'è accaduto?», si preoccupò Dante, esplorandomi il viso in cerca di indizi.

«Portami via...», mugolai tra un conato di pianto e l'altro, «Portami via con te, mio sole».

«¡Ida, un momentito!», la voce di sua madre provocò a entrambi un sussulto. Mi voltai con lentezza, sgranando lo sguardo, e osservando la donna avvicinarsi,«Quiero dirte qué aprecié lo qué dijiste sobre mi hijo», sembrava grata, ma non compresi appieno il significato di ciò che disse; infine si rivolse direttame a Dante, impietrito e pallido: «Hola hijto, me alegra de que sigas leyendo a Neruda, era el nuestro vínculo después de todo».

*Angolino dell'autrice*

Buona domenica Raga <3 Scusate tantissimo per il ritardo, credevo che lo avrei pubblicato prima, ma una settimana fa ho cancellato il capitolo per riscriverlo x( cercherò d'essere più regolare perché adesso si entrerà nel clou della storia x)

P. S

Ho una nuova storia in mente che ronza da un anno... perché facilitarsi la vita quando la mia testa fa di tutto per complicarsela? XD

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