Capitolo 29
DANTE
Edith era... bellissima, sollecitai con un groppo in gola, e la bocca secca. Deglutii rumorosamente. Era un sorso amaro la verità quando la si costatava.
Come se il risultato non potesse essere altrimenti. Saccente e supponente com'era, aveva pensato bene di farlo notare anche agli altri, stavolta.
Callate tu.
Silenzio.
Mi sentivo protettivo, geloso persino. Perché mi sentivo insicuro?
Le luci, puntante sul palco, ombravano il resto del locale, offuscando l'arredamento circostante, e dando modo a me e gli altri cinque di poterci infiltrare indisturbati tra il pubblico pagante, presso l'entrata principale.
La vidi prima ancora di riconoscerla, assorta dalla confusione e dal turbamento, chiedendosi - come tutti gli altri clienti - dove fossimo finiti noi, gli spogliarellisti usuali. Ma non ero il solo a osservarla; attirava l'interesse che alle ballerine mascherate mancava. Sperduta in un oceano di sagome e tenebra, mi ricordava la sbiadita protagonista d'una vecchia leggenda cilena: la sirena Pincoya, dell'isola Chiloé del Cile*.
O la pallida luna piena immersa nelle profondità della notte.
Ero abbastanza narcisista per autoconvincermi che avesse sfoggiato la sua sensualità per compiacermi. Quanto a lei, appoggiata al bancone, un po' in disparte rispetto al gruppo, sembrava persa in fantasie ignote. La penombra non aveva potuto nulla contro la sua presenza, esaltandone il giovane profilo. Serrai la mascella. Promemoria per me: rinchiudere l'educanda nella camera da letto per sempre. Indossava un top illegale, fin troppo succinto, di un bianco candido, e un velo di trucco sugli occhi, rendendoli pericolosi e magnetici. Pericolosi e magnetici quanto poteva esserlo l'influenza del plenilunio sul mare.
Era la mia dea Selene, e io il suo mortale Endimione.
Il mio destino era segnato. Non ci sarebbe stato giorno in cui non l'avrei sognata. E questo mi terrorizzava. Terrore che si dissolse l'attimo seguente. Come se l'avessi chiamata a gran voce, mi scoccò un'occhiata, e tutto il frastuono generale del Bianco si dissolse nella nostra muta contemplazione reciproca.
Provai il familiare formicolio alla pelle, il calore al petto, e le gambe molli. Prendevo vita con un suo sguardo. L'amore era tutto quello che non rivelavamo ad alta voce. Non servivano le parole quando comunicavano gli occhi per conto del cuore, la sinfonia ritmica data dall'emozione. Il silenzio esterno era il nostro linguaggio; in caos interno, anche.
Assorto nei miei deliri, e drammi personali, mi ritrovai a ricambiare il sorriso di gioia che sfoggiò, catturandomi all'amo con una facilità estrema. In fin dei conti erano delle dolci catene le sue iridi oltremare.
***
EDITH
Vivevo un sogno a occhi aperti. La mia fervida immaginazione aggiungeva solo dettagli. Le note di Addicted to you dell'ormai defunto Avicii, sfumarono, sommerse dalle mie elucubrazioni mentali.
È qui. Dante è qui.
Apparentemente anonimo fra la folla, il mio cuore infuriò all'improvviso, in tumulto. Divenne un gabbiano rinchiuso in una gabbia fin troppo angusta per lui. Avevo trovato chi stavo cercando intento a fissarmi. Gli angoli della bocca dolevano tanto fu l'entusiasmo che mi travolse. I nostri occhi, incatenati gli uni agli altri, parvero ponti sul quale danzare, e raggiungere strade a molti precluse.
Distolsi lo sguardo, riportandolo sulla folla che si dimenava a ritmo di musica, accalcandosi contro il palco, e acclamando lo spettacolo. Quando recuperai un briciolo di audacia, tornando a volgere l'interesse su di lui, lo trovai accanto a me.
C'era una certa elettricità statica fra di noi, come se la nostra alchimia potesse prendere forma e corpo. «Tu non balli?», domandò col tonno arricchito da... qualcosa.
Mi fissava come se avesse potuto denudarmi con la forza del pensiero. «Sai che non ne sono capace», accennai appena, fifona nel sostenere il suo sguardo.
Si chinò su di me, riportando l'attenzione su di sé: «Allora ne sei inconsapevole». Il gioco di luci marcava il viso spigoloso, nobilitando la mascella squadrata.
Inarcai entrambe le sopracciglia, sorpresa dall'affermazione udita: «Di cosa?», chiesi con vivo interesse.
Il sorriso che mi dedicò parve celare i misteri del mondo: «Ballare è come il sesso. Se sei bravo in un campo, sei bravo anche nell'altro», spiegò con calma, scandendo ogni parola con lentezza.
Assottigliai lo sguardo, vagamente divertita dalla sua risposta: «Ti stai vantando con me, avvenente spogliarellista?», lo presi affettuosamente in giro.
Lo vidi trattenere a stento un sorriso mentre avanzava una richiesta: «No, ti sto invitando a ballare, mia inconsapevole Edith».
*Il mito della Pincoya:
La Pincoya è una giovane donna dalla bellezza inenarrabile, la sirena dell'oceano pacifico, che appare semivestita ed esce dagli abissi dell'oceano danzando sulla spiaggia o fluttuando tra le onde.
Secondo la leggenda la Pincoya ha il compito di fecondare i pesci ed è lei a determinare la fortuna e la sfortuna dei pescherecci. Se balla con lo sguardo rivolto verso il mare è segno di buon auspicio; diversamente, se volge lo sguardo verso la spiaggia, predice ai pescatori penuria e scarsità.
*Angolino dell'Autrice*
Ho pubblicato un giorno prima! <3 sì, lo so che è un solo capitolo e che non è lungo quanto speravamo, ma sto già scrivendo il seguito <3 (speriamo sia più corposo...)
È un periodaccio per me, sto cercando di ritornare più attiva, ma al momento non mi sta riuscendo molto bene <\3 scusate ancora per l'attesa.
Comunque, R.I.P per le spogliarelliste che non frega a nessuno xD
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