Capitolo 26
EDITH
Dovrei rinnovare il guardaroba. Mi convinsi, scrutando l’interno dell’armadio, alla ricerca di un vestito non troppo castigato.
«Ida... Ma stai ascoltando?!».
Ignorai il vociferare inviperito di Micol - rincasata da più di un’ora - immergendomi in quelle riflessioni leggere. Ticchettai l’indice destro sul mento, indecisa su cosa fare. Magari potrei comprare qualcosa che mi valorizzi, e che faccia suscitare tutte queste emozioni positive, meditai sorridente. Adocchiai l’orologio a muro, spegnendo all’istante il barlume di speranza. Peccato siano le otto di sera. Ottimo tempismo, il mio.
«No, per me è ancora persa nel suo mondo», borbottò Serafina, adagiata sul bordo del letto ad ammirarsi le unghie laccate di rosso.
Sospirai con rassegnazione. Dovrò accontentarmi di questo. Optai per un vecchio top bianco, regalo indesiderato, mai indossato. Lasciava scoperta molta pelle, e nel volergli dare un’occasione, venni investita da un’ondata di entusiasmo, ottimismo, ed euforia. Se avessi saputo che l’amore ti galvanizzava a tal punto, l’avrei sperimentato prima.
«Edith, cazzo, vuoi ascoltarci!», strillò Noemi, fuori di sé. Per poco non liquidò un timpano col suo tono acuto.
Ad un passo da me, sbuffava come un bufalo indemoniato.
Dolorante, massaggiai il padiglione acustico con la mano destra: «Non urlare Emy, non sono sorda. Vi sentivo tutte», specificai, puntigliosa come mio solito, «Secondo voi questo va bene?», mostrai il bottino.
«In che senso: “Questo va bene?”?! Non hai ascoltato niente, allora! Ma ti senti bene?!», rinfacciò mia sorella, infuriata quanto la mia amica.
I bufali erano due.
Mi trattenni nello scoccarle un’occhiataccia. Micky aveva la brutta abitudine di credersi la mamma.
Uff... ogni tanto dovrebbe farsi gli affaracci suoi.
Io stavo bene. Anzi, meravigliosamente; mi sentivo audace e coraggiosa. Avrei potuto scalare una montagna nonostante abitassi in città. E, perché no, indossare qualcosa di provocante - anche se non era da me. Forse era così che ci si sentiva quando incontravi una persona straordinaria. Da ordinario, diventavi straordinario anche tu.
O stravagante.
«Il top bianco sembra una buona alternativa coi jeans a vita alta. Ti presterò la giacca di pelle nera, si intonerà agli stivaletti di Micol, dovrebbe essere un buon outfit per stasera», propose la migliore amica di mia sorella.
«Serafina!», la richiamarono all’unisono le altre due.
Intravidi la sagoma della donna sussultare: «Cosa?! Ha chiesto un parere, e io ho caldo. È un buon compromesso, il nostro. Non potete mica rinchiuderla nella sua stanza», si difese, «E poi, io ho voglia di ritornare al Bianco. Devo ancora lamentarmi col proprietario per i prezzi assurdi dei cocktail. Insomma, qualcuno dovrà pur dirglielo!».
«Stiamo perdendo il filo del discorso. Non è per questo che ho reclamato il vostro supporto», si lamentò Micol, rivolgendosi alle altre due.
Mi volsi con malsana soddisfazione. Se il metodo di Micky non funzionava, doveva esserci qualcosa di sbagliato, sotto. «Grazie Fifì, voi venite con noi o no?», chiesi in seguito con nonchalance. Non avevo tempo per altre ramanzine inutili.
«Sei davvero incredibile, e non nel senso positivo. Sei sparita per giorni! Cosa farai con l’università e le tue ambizioni d’insegnamento?!», riprese Noemi.
E lei non voleva mollare la presa su questo. «L’avrò blaterato una decina di volte, ormai. Non è colpa mia se il cellulare era morto», ostentai, seccata, escludendo tutto il resto. Non era il momento giusto per rifletterci sopra. E averne l’ansia.
«Eri consapevole però che fosse vecchio di anni. È o non è il caso di evolversi, acquistando un modello più recente?», sbottò mia sorella, a dir poco adirata.
Effettivamente non aveva tutti i torti. Il mio povero Nokia chissà che fine avrà fatto...
Mi schiarì la gola, sventolando il top davanti ai nasi delle ragazze, in un disperato gesto di tregua: «Lo farò... prima o poi. Quindi, colore bianco?», domandai con imbarazzo, riferendomi implicitamente alla nostra usanza amichevole.
Emy e Micky si guardarono e si arresero all’evidenza: «E colore bianco sia», conclusero entrambe.
***
«Tesoro, è tutto okay? Eravamo molto preoccupati», udii il tono apprensivo di papà.
«Mi dispiace tantissimo, era tutto a posto però, scusate se non ho telefonato prima. So quanto abbia sbagliato in questo... Prometto che acquisterò un nuovo cellulare, e cercherò di essere più presente», confessai, accostando il telefono di mia sorella all’orecchio destro.
In fila, all’entrata del locale, tutte e quattro attendevamo il turno di poter entrare. Eravamo ferme da mezz’ora, oramai. E l’attesa sarà ancora lunga. Tentando di non grattarmi la faccia, coperta da un velo di fondotinta, fingevo di tollerare il leggero bruciore agli occhi, causato dal mascara.
Non ero abituata al trucco, considerandola una tortura medievale del ventunesimo secolo, ma: “se bella volevo apparire, un poco avrei dovuto soffrire”.
«Micky è lì con te, era tanto preoccupata anche lei. Ci dispiace immensamente non essere con voi, purtroppo qui le linee aeree sono problematiche, ma sappiate che siete sempre nei nostri pensieri», aggiunse la mamma in lontananza.
Il senso di colpa tornò ad addensarsi nel cervello. «È a me che dispiace. Voi state cambiando il mondo, e aiutate le persone meno fortunate. Il mio è stato un capriccio stupido», mormorai piano, «Ma vedrò di fare dei cambiamenti nella mia vita e prendere una posizione», aggiunsi con risolutezza, «Sono stanca di lasciarmi trascinare dagli altri, è ora che decida io per me».
«Tesoro...», replicarono entrambi.
«Micol è un po’ apprensiva, ma saprò prendermene cura», scherzai per smorzare la loro premura.
«Tu a me?!», enfatizzò lei, al mio fianco, sgranando occhi e bocca.
«Sentite? Un angelo», la presi in giro con un sorriso divertito.
«Mi raccomando ragazze, abbiate accortezza, comprensione, e rispetto l’una per l’altra», ci augurò nostro padre.
«Va bene babbo, ci proverò», promisi, scambiando uno sguardo d’intesa a mia sorella, invogliandola silenziosamente a rassicurarlo.
Sospirò con rassegnazione. Fu la seconda volta, quel giorno: «Ci proveremo».
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