Capitolo 25
DANTE
«Ne vuoi una?», espose il piccolo frutto rosso fra le dita, agitandolo con lentezza e spargendone il profumo inebriante. Ne seguii i movimenti fino alla bocca.
Molto inebriante.
Avevo creato un mostro. E le mani legate. Letteralmente.
Replicando il nostro primo incontro, seduto su una sedia dell'ampia sala, coi polsi legati dietro lo schienale, ammirai l'animale femminile che fronteggiavo con malizioso interesse. La vidi addentare la fragola matura, e il succo zuccherino imbrattarle l'incarnato, colando lungo il mento.
Schiusi le labbra e deglutii la poca saliva accumulatasi in bocca. Avrei dato qualsiasi cosa per essere liberato. E saggiare il dolce sapore dei frutti rossi su Edith.
Aveva uno sguardo capace di piegare la mia volontà. Osservò il movimento del pomo d'Adamo, e studiandone la fisionomia, ne accarezzò il dorso con attenta premura. Il tocco fu gelido - o forse ero io che scottavo - perché sentii le dita sottili danzare sul solco del torace, soffermandosi sopra al cuore, come se potesse ascoltarne le pulsazioni ritmiche. Era un gesto che ricorreva spesso fra noi. Non sarebbe stata lei se non l'avesse fatto.
«Manca ancora qualcosa...», ponderò, guardandosi attorno, provando a rammentare qualcosa che a me sfuggiva.
Accennai un sorriso tirato: «Io che sto morendo di frustrazione? No, manca poco, ormai», strattonai la cintura dell'accappattoio, sperando di poterlo allentare un poco.
Mi rivolse un'occhiata divertita: «Maledetti preservativi?».
«Maledetti preservativi!», ribadii con tono scherzoso, prendendomi in giro a mia volta.
Scosse il capo, e il fare birichino di chi avrebbe voluto peggiorare una situazione già compromettente: «La musica. Ecco cosa mancava», corresse, aspettandosi che fossi io a puntualizzarlo.
Come avevo fatto a dimenticarmene?! Tutta la mia vita si basava su una colonna sonora.
Era lei a distrarmi, giustificai. Era lei col suono melodico della voce, il seno fresco, il culo sodo, gli occhi da brivido, e la sua dannata saccenza da maestrina. Mi fotteva il cervello. E tutti i propositi imposti. Vaneggiando in quelle elucubrazioni mentali, venni ridestato dalle note di una canzone sconosciuta, dando voce a tutto ciò che avrei voluto confessarle.
Beauty queen goddess.
I remember what you taught us.
And I know it's been a while.
But I'm tired of being honest.
I just really need you now.
Dea regina della bellezza.
Ricordo cosa ci hai insegnato.
E so che è passato un po' di tempo.
Ma sono stanco di essere onesto.
Ho davvero bisogno di te adesso.
Ascoltai il tappo della panna spray saltare via, e la consistenza cremosa sulla spalla sinistra. Dietro di me, Edith ne leccò la sommità, lambendo anche la pelle. Rabbrividii di piacere quando infine si accomodò in grembo e, armata di bomboletta, la spruzzò intorno ai capezzoli. Fui impotente nel resisterle. Vi ci tuffai la faccia prima che potesse completare l'opera, divorandomi il suo seno.
I'ma go crazy.
You turning me into a fiend.
I just wanna doze off lately.
I wanna feel hazy.
Oh it's so so sweet.
But baby leave me.
Beauty, baby.
Esco pazzo.
Mi stai trasformando in un demonio.
Voglio solo sonnecchiare ultimamente.
Voglio sentirmi confuso.
Oh, è così dolce.
Ma piccola lasciami.
Bellezza, piccola.
Si contorse sopra di me, ridendo e ansimando, mentre leccavo, e succhiavo, la carne calda, esposta in bella vista. Passai ore a baciarne le sommità, e quando mi liberò dalla cintola morbida, la trascinai sotto la doccia.
Fui contento che il rumore del getto d'acqua attutì le sue urla per la gioia del vicinato.
***
«Devi proprio andare via?».
La domanda, posta con tono pacato e leggero, pesò quanto un macigno. Accostati allo stipite dell'uscio dell'appartamento, mi apprestavo a salutarla - mio malgrado.
Presto sarebbe calata la notte.
Averla fra le braccia, in veste post bagno, fu una tortura. Sarebbe stato facile slegare la fune dell'accappatoio e lasciare che il tessuto le scivolasse via dalle spalle; ma non potevo cedere. «Temo proprio di sì. Mi aspetta un'ardua nottata di lavoro», sbuffai, giochicchiando con una sua ciocca ancora umida.
Edith avrebbe dovuto essere illegale. «Peccato», mormorò, cingendomi le spalle, e ostentando una finta innocenza.
Molto illegale.
«Potresti venire con me», le proposi prima che potessi ragionarci, accarezzandole i fianchi sopra l'asciugamano.
«Io sono venuta con te», specificò con un sorrisetto beffardo e uno scintillio nello sguardo.
Incurvai le spalle senza accorgermene, avvicinando il viso al suo: «Mi piacerebbe che venissi a vedermi, stanotte», precisai, ignorando il doppio senso nonostante fosse stato appropriato per l'occasione.
«A vederti ballare sul palco, illuminato a festa, e circondato da donne urlanti, pronte a strapparsi i capelli, intendi?», corrucciò le sopracciglia, fingendo d'essere molto contrita. Era adorabile.
«Potrebbe esserci anche qualche uomo, a farlo», stetti al gioco: «Ma io avrò occhi solo per te», le sussurrai a fior di labbra, e le rubai un bacio.
Quando mi staccai per andare, lei mi trattenne all'ultimo: «Aspetta!», si allarmò, allontanandosi. Tornò da me qualche minuto dopo, consegnandomi un piccolo testo: «Qualche... Qualche settimana fa ho comprato questo libricino», balbettò un poco, improvvisamente nervosa.
Lo rigirai fra le mani: «Cos'è?», chiesi, curioso e felice come un bambino a Natale.
«È una raccolta di poesie d'amore, dentro ce ne sono alcune di Pablo Neruda», espose, «Pensavo che le avresti apprezzate, ecco», concluse con vago imbarazzo.
Le lanciai un'occhiata: «Poesie d'amore, eh?», la presi in giro. Era una dichiarazione vera e propria, quella.
«Maledetti preservativi, eh?», ricambiò con un sorrisino furbesco.
Le diedi un altro bacio prima di andare: «Grazie, mia dolcissima Edith, è un dono stupendo».
Discesi i primi gradini quando...
«Dan!», il mio ritmo cardiaco saltò un battito. Mi voltai a guardarla, in attesa. Lei ricambiò, sorridendomi appena: «Verrò».
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