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Capitolo 24

EDITH

Dante torreggiava su di me, schermando la luce del giorno proveniente dalle vetrate del salone. I muscoli contratti, in tensione per lo sforzo, erano la visione provocante quanto capace di farmi ribollire il sangue nelle vene, e le palpitazioni dentro al petto. Tutto il suo fisico scultoreo era stato modellato per piacere alle persone, assumendo il ruolo d’uno strumento da sfruttare per il ballo, l’esercizio fisico... e il sesso; ma era il viso a destabilizzarmi maggiormente. Possedeva una bellezza fuori dal comune, in Europa. I tratti latini, e i colori terrosi, marcavano origini lontane, di un mondo a me sconosciuto. Gli occhi, affilati, non cessarono di fissarmi, in contemplazione.

«Adesso tocca a me, Ispanico», dissi con tono malizioso. Non seppi dove tirai fuori il coraggio di parlargli in modo tanto spudorato, però intuii di aver innescato una miccia pericolosa in lui. Subirne le conseguenze era ciò a cui aspirassi nel provocarlo.

L’espressione mutò, diventando animalesca, lasciva, e ombrosa, come se non volesse più controllarsi. Un animale affamato che punta la preda per divorarsela con ingordigia. Le maschere crollarono, rivelando l’intensità dei nostri desideri. Sottovalutarne l’urgenza mi costò cara. Mi afferrò la caviglia con la mano destra, trascinandomi più vicina a lui in uno strattone deciso, mentre la mancina si lavorava la cerniera lampo.

Attenuai con le mani un urletto sorpreso. Non aspettava altro.

Trattenni il fiato quando intravidi l’erezione che gli gonfiava i boxer, soffermandomi nell’osservarla. Per imbarazzo, e vergogna, non avevo mai notato quanto fosse sproporzionata e grande. Sgranai gli occhi, avvampando come una ragazzina. Ritornai a guardarlo in faccia, accaldata e febbricitante. I corpi creavano elettricità statica quando entravano in risonanza fra loro, richiamati dall’esigenza di toccarsi.

Si accanì contro le mie labbra, scagionando un gemito sofferente, e strizzando la carne burrosa dei fianchi. Mi accarezzò il bacino, l’interno coscia, e l’inguine, con lasciva ingordigia. Il seno, squassato dai respiri concitati, sfregava contro il torace, smanioso e inebriato. Mi inarcai sotto di lui con un colpo di reni involontario, sentendo il tocco in punti sensibili. Troppo sensibili. E tutto il fiato mi uscii dai polmoni in un colpo solo. «Sei bellissima...», costatò contro le mie labbra. La voce aspra, roca, mi diede l’idea di quanto faticasse a trattenersi. Voleva godersi ogni attimo.

Arrossii per il complimento. Mi sentivo tale perché era lui a dirlo.

La bocca calò sul collo. Lo esposi per la gioia dei suoi denti e della lingua, aggrappandomi alle braccia forzute per stringerlo a me, mentre Dante afferrava le mie cosce ai lati dei suoi fianchi. L’inguine si sovrappose al mio, percependone la durezza e il peso, addosso. Chiusi gli occhi, abbandonandomici; infine ciondolai la testa contro i cuscini del divano, liberando un gemito. E poi un altro ancora quando sentii l’ingombranza dell’erezione premermi contro, penetrando con una spinta decisa.

Mi morsi il labbro inferiore, soffocando un altro ansito, quando si ritrasse per riprendere il ritmo. Ogni nuova spinta invadeva non soltanto il mio corpo, ma anche la mente, insidiandosi in profondità. In estasi, affondai una mano vagante fra i suoi capelli scuri, esortandolo a continuare, e non cedere al ritmo cadenzato dalla dolcezza.

Non ne avevo bisogno. Non adesso. Volevo che fosse irruento e spudorato. E lo era.

La sensazione fu simile al dolore fisico, ma diversa. Più acuta, verticando sulla fusione dei nostri corpi. Una sofferenza che avrei giudicato necessaria, perché non avrei saputo costatare dove iniziassi io e finesse lui. Ogni movimento aveva memoria primitiva.

Lo abbracciai con maggior forza, cingendogli le scapole, e lasciando che affondasse il capo nell’incavo del mio collo, fra la fine del lobo e l’inizio della curva della spalla destra, dov’ero sensibili al suo respiro rarefatto.

Schiusi le palpebre, ansimante e accaldata quanto lui. Mi sembrava di vedere mille stelle danzanti sospese sul soffitto del salone. Senza preservativo era tutto più... intimo. Pericoloso, ma di tutt’altra stria. Era come andare a fuoco pur non bruciando davvero. E l’orgasmo fu simile al ritorno di fiamma: «Ancora...», ansimai, andando incontro alle sue spiente e serrando le gengive, schioccando i molari. Sofferente, impose colpi più veloci, e non volevo che cessasse.

Lo udii stritolare il tessuto ocra a lato della testa: «Cazzo...», mormorò, allontanandosi all’istante.

L’aria fredda mi investì subito dopo, spegnendo tutta la mia libido. Impiegai qualche secondo a connettere con lucidità. Tallonai i gomiti e sollevai il busto, trovandolo stravaccato sul lato opposto. Il fallo in mano, eretto e pulsante.

«Cos’hai?», domandai preoccupata. Ripresi lunghe boccate d’aria fresca nell’avvicinarmi.

Ridacchiò, le guance arrossate e le iridi luminose, avvenente da morire. Parve ubriaco, ciondolando la testa in avanti, verso di me: «Era... Troppo intenso. Stavo rischiando di venire», ansimò con vago imbarazzo. «E, ti prego, non guardarmi in quel modo», aggiunse con un lieve sorriso stampato in faccia, comprendosi il viso col braccio sinistro.

«Quale modo?», ricambiai il sorriso. Fu impossibile non farlo. Mi sporsi più vicino.

Lui scostò il braccio, trovandomi a un palmo dal suo naso. Rimase a fissarmi per diversi istanti, la smorfia divertita ghiacciata: «Quel modo. Il modo che hai di farmi sentire vulnerabile con un solo sguardo», commentò con un filo di voce.

Il mio sorriso si allargò, luminoso: «Ed è un male?», domandai con ironia.

«È pessimo», celiò, accarezzandomi i lunghi capelli sciolti, arruffati e in disordine.

Eravamo talmente vicini da respirare il fiato l’uno dell’altro. «Perché non hai i preservativi?», continuai a punzecchiarlo.

Il suo sorriso divenne lo specchio del mio. Una paralisi facciale che ci impediva di rattristarci. «Perché non ho i preservativi», confermò con un piccolo assenso.

Mi morsi il labbro inferiore per smorzarne il divertimento: «E li vorresti?».

«Oh sì, piccola tentatrice pestifera! Se li avessi, saresti costretta a soffocare le urla con le mutandine per non attirare l’attenzione dei vicini», mi intimò con malizia, squadrandomi sagacemente.

«Credevo che volessi mettere altro nella mia bocca», risposi con finta innocenza, sfarfallando le lunghe ciglia.

Lo vidi assottigliare le palpebre degli occhi, soppesando lo scherzo: «Mi stai tentando, piccola tentatrice pestifera?», insinuò.

Per tutta risposta mi alzai dal divano, rivolgendogli uno sguardo loquace e furbesco, incurante del fatto che fossi senza vestiti, e sparii in cucina, a ispezionare il frigo nell’assidua ricerca della panna spray, e fragole. Tante fragole.

Che fame.

Quando ritornai da lui, teatrale nello svelargli il bottino sgraffignato, scoppiò a ridere. Una risata che riverberava da dentro, scuotendo il cuore. Era raggiante, vivido, e vivo. Per me, riluceva di luce solare. «Vuoi giocare con me, mio dolce spogliarellista?», lo invitai.

«No pido nada mejor, mi niña hermosa».*


*Non chiedo niente di meglio, mia bellissima bimba

*Angolino dell'Autrice*

BRAVA EDITH, CACCIA FUORI LE PAL**! PENSA A DIVERTIRTI

Continuando il discorso sulle relazioni di coppia, ci sono quattro verità assolute:
- La prima, che ho scoperto quest'anno, è che l'amore non basta. Non dico che non sia necessaria, ma non può reggere il rapporto senza: comprensione, sincerità, comunicazione, fiducia, ecc... E non sempre l'amore va di pari passo.
- La seconda è che il tuo partner non deve meritarti, nessuno è un merito o una condanna e, soprattutto, non è il partner che garantisce la tua felicità o la tua tristezza.
- La terza è che il confronto, anche irruento, è inevitabile. Litigare è inevitabile.
- E ultima, ma non per importanza (colonna portante di Stripper Love) è che non puoi cambiare il tuo partner. Magari lui, o lei, per amore può accettare una modifica, ma non di più.

Tutto chiaro? Pronte per il prossimo capitolo? X)

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