Capitolo 18
EDITH
«Wow, bellissimo l'arredamento», mi complimentai, girovagando per l'ampio salotto, stupita dalla rusticità del mobilio.
«Maestra, facciamo un gioco!», trillò Sofia, saltellando sul posto, energica e piena di vita.
Ridacchiai, sedendo sul divano color avio, difronte a lei: «Va bene, va bene, che gioco?».
«Un gioco sulla magia», enfatizzò con gesti teatrali: allargando le braccia per apparire più grossa e muovendo le dita.
Sorrisi entusiasta, raggiante dalla contentezza: «Conosci la magia?», sussurrai a mia volta.
«Corro a recuperare il necessario nella mia camera da letto!», scappò via, euforica.
La risata di Elida mi colse alla sprovvista, distogliendolo dalla bimba. Mi voltai a guardarla, incrociando il suo sguardo. Era vivido e luminoso, accompagnato da un sorriso giocondo: «Sembravi una compagnetta di mia figlia».
Arrossii all'improvviso, giochicchiando con un lembo della maglia, in imbarazzo: «A volte mi sento una bimba». Parlai velocemente, cacciando fuori una spiegazione nel più breve tempo possibile. Ogni volta che parlavo di me stessa tendevo a vergognarmene.
«Trovo che sia una qualità ammirevole», commentò, sfaccendando nel salone dell'appartemento, apparecchiando la tavola della sala per la cena.
«Per me, sei tu quella da ammirare», confessai, lusingata: «Qualsiasi madre che fa del proprio meglio, lo è», sottolineai, accorrendo in suo aiuto.
«Devi essere molto legata alla tua», costatò con tenerezza.
Annuii: «Mi ha avuta a quarantasei anni, quando ormai non ci sperava più», spiegai fiera e orgogliosa.
«Dev'essere stata una gravidanza difficile...», suppose, incerta.
Annuii ancora: «Rischiò la morte pur di avermi, confessandomi che se tornasse indietro lo rifarebbe ancora. Per lei non c'è cosa più preziosa dell'essere madre, e salva vite ogni giorno, in Africa. Forse è per questo che mi piacciono i bambini», ricambiai il sorriso.
«Sai Edith, non si può fare a meno di volerti bene», disse, prendendomi in contropiede.
«P-Perché?», balbettai, rossa di vergogna.
«Perché, per quanto tu possa sforzarti di sembrare omologata a tutti gli altri, non lo sei. È un pregio prezioso, il tuo: osservare il mondo con gli occhi di un bambino, colmi di stupore e meraviglia», rispose risoluta.
«Non tutti l'hanno considerato tale», adocchiai Dante, ammirandone il profilo. Sostava accanto al fratello, anelando una boccata d'aria fresca.
«"L'interpretazione della nostra realtà con schemi che non ci appartengono contribuisce soltanto a renderci sempre più sconosciuti, sempre meno liberi, sempre più solitari"», recitò la giovane madre, sorprendendomi.
«È di Gabriel García Marquez, giusto?», rivelai.
«Esatto. Lascia che siano gli altri a ingrigirsi; si vivido colore primario, Edith, e rimarrai sempre fedele a te stessa», rinnovò la sua saggezza.
Ripensai all'opinione di mia sorella maggiore, Micol. Forse si dava troppa importanza alle opinioni altrui per non deludere nessuno, creandosi in questo modo la propria infelicità.
«Maestra, ammiri e si stupisca!», si animò la piccola Sofy, riportando l'attenzione su di sé. Poco importò che indossasse un lungo mantello di tela sintetica, e un cappello a cilindro di cartoncino colorato; per me si presentò una grande illusionista.
*Angolino dell'Autrice*
Raga, ho scoperto che la mitica serie televisiva: The last of US, "Joel", il protagonista maschile, è interpretato da Pedro Pascal, attore CILENO! O.O
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