Capitolo 17
DANTE
Strinsi la mano di Edith nella mia, conducendola sulla scia degli altri; il tocco leggero e le dita affusolate, malgrado la loro statura, furono quasi rassicuranti. Sembrò quello di una timida ragazzina alle prese col suo primo appuntamento - anche se noi non ne avevamo mai avuto uno a dire il vero.
Dovrei chiederglielo.
Non farlo.
Sta zitto!
«Edith, riflettevo sul fatto che non hai mai accettato di cenare con me», le confessai appena, ignorando il marasma dei miei stessi pensieri. Non avevo mai il controllo completo di me stesso quand'ero in sua compagnia.
Lei si voltò a guardarmi, e le sue pupille si allargarono, divorandosi parte del colore marino: «È vero, e non ci siamo mai tenuti per mano tanto a lungo», aggiunse rallegrata, arricciando il naso in un sorriso, e intrecciando le dita alle mie.
Il cuore mi finì in gola, pulsando contro il pomo d'Adamo. Nervoso, balbettai una risposta: «P-Pensavo, ecco, se tu sei d'accordo, ovviamente, di iniziare una frequentazione più intima...?», l'ultima sillaba suonò come una domanda nonostante volessi essere deciso.
«Perché, non ci stiamo già frequentando intimamente?», ridacchiò vagamente divertita del mio stesso imbarazzo.
Avvampai, imbronciato. Stentai quasi a riconoscermi. Erano passati anni dall'ultima volta in cui avevo confessato intenzioni serie con una persona, dannazione! Non c'ero più abituato.
Corrucciatasi all'improvviso, depose il palmo della mano destra sulla mia guancia sinistra: «Sei diventato tutto rosso, hai la febbre per caso?», chiese con tutta l'ingenuità che possedeva.
Mi vergognai, accaldato dal disagio. Mi schiarii la voce: «No, sto bene, non preoccuparti», risposi impaziente di deviare su un altro argomento. A un tratto però, mi sentii osservato, e rabbrividii dietro la nuca: «E voi che avete da guardare?!», rifilai un'occhiataccia ai miei fratelli. Se la ridevano sotto i baffi, quei maledetti.
«Dante, che succede?», mormorò confusa, mentre loro si divertivano a deridermi con boccacce e sbaciucchiamenti alle sue spalle, ignara del tutto.
«Niente, i miei fratelli sono degli idioti», suggerii tra i denti. Sorrisi nervoso, pronto ad accopparli con lo sguardo.
«Ehi, piccioncini, lo avete un posto per dormire, stanotte?», chiese Elida di punto in bianco, stringendosi Sofia in braccio; sonnecchiava pacificamente sulla sua spalla sinistra.
«No, dalla mamà non ci riporto Edith neanche morto», dissi di getto, tornando serio.
«Noi abbiamo una camera in più, se volete», propose Dristan.
«È già prenotata da me e Stefano!», aggiunse Deva, entusiasta.
«No, solo da te, sul divano. Stefano tornerà a casa, giusto?», si rivolse infine a quest'ultimo non ammettendo repliche.
Egli sbiancò di colpo sotto le proteste di Dee: «Ma...!».
«Niente "ma", Bestiaccia che non sei altro, Ste avrà da fare domani, e deve riposare», li ammonì: «Lontano da te», terminammo entrambi, all'unisono.
Il giovane indietreggiò, deglutendo rumorosamente: «Sì, infatti si è fatto tardi, meglio che vada», ridacchiò a disagio.
«Sì, lo credo anch'io», mi affiancai a mio fratello, accompagnandolo con lo sguardo. Nella mia testa - e forse anche in quella di Dristan - Deva era ancora una bambina fragile, bisognosa di un trapianto cardiaco, e dei suoi fratelli.
«Ciao Dee, ci vediamo domani», biascicò prima di fuggire via.
Nostra sorella divenne rossa dalla rabbia: «Siete due farabutti! Per una volta che potevo dormire col mio tesoruccio», si lagnò, sfoggiando il suo broncio migliore.
«Su su, avrete altre occasioni per "dormire"», bofonchiai con stizza. Dristan e io non eravamo mica nati da poco; sapevamo entrambi cosa avrebbero fatto quei due.
«Allora, se le cose stanno in questo modo, Edith dormirà con Elida mentre tu, con nostro fratello», precisò lei, prendendoci in contropiede.
«Cosa?! No!», sbottò Dristan, ma Deva lo zittì all'istante.
«Non scopo io, non scoperete neanche voi due, brutti scimmioni», e si congedò lungo la via, allontanandosi con passo deciso e il naso all'insù, impertinente.
Elida sospirò pazientemente: «Torniamo a casa per favore. Ne ho vissute troppe per un giorno solo».
***
L'appartamento di Dristan, collocato all'ultimo piano, era una bomboniera di zucchero e confort.
«Ehi, ho provato a chiamarti un migliaio di volte, è tutto okay? Liam e Nico mi hanno raccontato che Edith se l'è vista brutta», udii il tono rude attraverso il cellulare. Appollaiato sul davanzale del balcone, ammirai il panorama delle alte vette verdeggianti che attorniavano la piccola città.
La brezza della sera mi scompigliò i capelli, portandomi l'aroma delle chiome in fiore. Mi lasciai sfuggire un lamento: «Sì, Al, è stato un inferno, poi ti racconterò tutto, lo giuro. Mi spiace non avervi richiamato, voi state tutti bene?».
«Tranquillo, l'importante è che stiate bene voi. Tutto ok, Samir continua a essere una pigna in culo. Dacci tue notizie ogni tanto, lo sai che in casi come questo divento apprensivo», si giustificò lui, sentendolo armeggiare stoviglie e bicchieri di vetro.
«Sì, mammina, stai preparando dei biscotti?», lo derisi con scherno, alleggerendo la nostra conversazione.
«Fanculo, Ispanico», soffocò a stento una risata, ma non durò molto il nostro attimo spensierato: «Ehi, dico sul serio, prenditi cura di te stesso. Appena ritorni ho un'offerta da farti, chiaro?».
«Va bene, e Thor...», attesi un suo grugnito di assenso: «Grazie».
«Di niente ragazzo, adesso scusami, ho la torta di mele nel forno». Me lo immaginai indossare i guantini da cucina, e scoppiai a ridere, chiudendo la chiamata.
«Sembri innamorato», mi sorprese Dristan, appostandosi accanto a me, fuori. Il cielo era trapuntato di stelle lampeggianti, memorie delle notti che furono, vegliando sui tetti del mondo.
«Alex è solo un buon amico», mi giustificai. L'innamoramento era una rarità, non certo qualcosa da sbandierare con chiunque.
«E quell'altro, il biondo che abita con te, invece?», chiese con non curanza, stupendomi e disorientandomi al tempo stesso.
Inebetito, risposi a una domanda con un'altra: «Conosci Fabian?».
Annuì deciso: «Più o meno. Mi ha aperto la porta di casa vostra diverso tempo fa. Una bel posticino, quello», disse evasivo, estraendo in seguito una sigaretta dal pacchetto che aveva nella tasca posteriore dei jeans scuri.
«Noto che in tutti questi anni non sei riuscito a smettere», indicai l'accendino che impugnava.
«Fumo, birra, e tatuaggi, le mie uniche ossessioni», mi schernii, ma quando l'accese, notai fra la moltitudine di tatuaggi al braccio sinistro, la fede inchiostrata sulla pelle dell'anulare.
Distolsi lo sguardo: «Quando vi siete sposati?».
«A Settembre dell'anno scorso. Per questo so che convivi con un uomo, ti avevo recapito l'invito», spiegò tranquillo.
«Ricordo che lo strappai».
«Immaginavo l'avessi fatto».
Percepii lo stomaco, e le budella, contorcersi dal rimpianto e dal timore: «Sei arrabbiato?».
«Sono furibondo», mormorò, «Ma non con te», confidò con rammarico: «La mamma non avrebbe dovuto mettersi in mezzo. Era una questione nostra e nostra soltanto». Intuii della malinconia nel suo tono di voce.
Sospirai sonoramente, frustrato da quella situazione: «A ogni modo non avevo nessuna speranza con Ida», sussurrai più a me stesso che a lui.
«E con lei...?», indicò con un cenno del capo l'interno del salone. Attraverso il vetro scorsi Edith intenta a intrecciare i capelli di Sofia sul divano.
«Che schifo, è mia nipote!», ironizzai con un ghigno divertito.
«Ah ah ah, che ridere», esalò permaloso mio fratello, «Seriamente, ci sa fare coi bambini».
«Sì, è molto dolce», confermai.
«Anche tu te la cavicchi», ammiccò.
Inarcai un sopracciglio: «Vuoi vedermi già accasato e con figli a carico?», chiesi riluttante.
Lui scrollò le ampie spalle: «Perché no? Non potrai fare lo spogliarello per sempre», aspirò una boccata fumosa, rilasciandola dalle narici.
«Lascialo decidere a me cosa o non cosa fare», puntualizzai piccato.
«E quindi continuerai a prostituirti, Pretty Man?», si intromise nostra sorella.
«Smettila Dee, non sono mica Giulia Roberts», brontolai. Ma quante ne sapevano di me?
«Ehi, Bestiaccia, grazie a te sarò costretto a dormire da solo, stanotte», si lamentò Dristan.
Lei incrociò le braccia sotto al seno gonfio: «Non dire sciocchezze. Dormirai con Dante. Il caso è chiuso».
«Evviva», borbottò privo di enfasi.
«Evviva», ripetei a mia volta, tornando a guardare Edith.
*Angolino dell'Autrice*
Sorpresaaaa! <3 A mezzanotte sarà il compleanno di Dante (e del mio morosetto cretinetto) <3
Ogni tanto vorrei mettere fra le righe del capitolo i miei commenti del tipo:
"«Sei diventato tutto rosso, hai la febbre per caso?», chiese con tutta l'ingenuità che possedeva" Certo, è sicuramente per quello, non certo per altro. Non ti sfugge niente, Edith -_-
Buon Harry Potter a tutt* <3
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