Capitolo 15
DANTE
Il pugno che giunse alla mia sinistra, mi scosse fin dentro le ossa, piombando sul mento e slabbrandomi l’angolo della bocca. Il dolore mitigò il caos che ci attorniava, subendo il colpo come il peggiore dei principianti. Persi l’equilibrio e caddi in ginocchio. «Sei fuori allenamento, hermanito», insinuò Dristan, vicino al mio orecchio. La voce profonda, resa roca dalla fatica, mi scosse fin dentro le viscere. Eravamo entrambi sudati e affannati, a torso nudo per lo spettacolo delle ragazze più giovani - e il dissenso di un’unica donna. Si sollevò su, in tutta la sua altezza, incitando la folla. E aprendomi uno spiraglio. La sua teatralità era la mia possibilità di gloria momentanea.
Fratellino.
Trattenni un ghigno grondante di sangue, e malgrado fossi già malconcio, mi risollevai di colpo, cogliendolo di sorpresa, e caricando il destro. Lo colpii in piena faccia, ricambiando con la stessa moneta: «A volte ci si deve sacrificare per colpire il proprio avversario. Non rammenti? Me l’hai insegnato tu», contraccambiai, sollevando entrambi i ganci mentre il mio avversario riprendeva l’equilibrio.
Stordito, si toccò l’occhio sinistro, già contornato dalla contusione subita. Entro sera si sarebbe annerito. «Ahi!», sbottò, tastandosi piano il punto sensibile.
Abbassai le braccia, avvicinandomi:
«Hai iniziato tu a colpirmi», lo scimmiottai, trattenendo a stento un sorriso che ricambiò in un secondo momento.
Prima che potessi schivarlo, mi tolse il fiato con una pacca sullo sterno, in modo tale che piegandomi, potesse afferrarmi per la nuca e scompigliarmi i capelli: «Ah sì, mi dulce cabro chico?», mi punzecchiò, mentre tentavo di liberarmi dalla sua stretta.
Dolce ragazzino mio.
Quando finalmente ci riuscii, ed entrambi riprendemmo fiato, aggiunse: «E poi... su questo ti sbagli», indicò il sopracciglio destro tagliato a metà, una piccola cicatrice che testimoniava la verità.
«Avevo diciannove anni, e tu eri uno stronzo! Avevi disonorato il nostro patto sul non avere segreti», mi giustificai, indicando Eli, e ricordando il nostro linciaggio passato. Anche allora puntai al volto.
«Ma non mi sbaglio», puntualizzò. Non seppi mai se sapesse quanto mi sentii in colpa, dopo. Ma non gli confessai nulla. A cosa sarebbe servito?
«Ragazzi, non c’è niente da vedere, fuera ahora!», avanzò Elida, sparpagliando la giovane folla esaltata. «Avete finito di dare spettacolo voi due?! Non è con le mani che si chiarisce una questione!», ci sgridò infine.
Notai Dristan alzare gli occhi al cielo, fingendo l’insofferenza: «Smettila Ida, noi abbiamo il nostro modo di riappacificarci e chiarire. Non farne sempre un dramma».
«Io, drammatica?! Sei tu quello lagnoso!», gli puntò il dito contro. L’indice laccato di rosso riluceva sotto le luci al neon.
«Senti questa che smorfiosa».
«Sei un buzzurro».
«Irritante», si dissero all’unisono, riprendendo la sfilza di aggettivi poco lusinghieri l’uno per l’altro. Per un attimo, imbambolato a fissarli, mi parve d’essere tornato indietro; rivivendo un tempo che avevo rimosso.
«Ehi... è tutto okay?». Il tono tenorile e melodioso della mi niña hermosa, mi riscosse dalla scena.
La trovai accanto me, apprensiva a causa dell’evidente tremore e degli spasmi incontrollati, causati dal combattimento. «Eri preoccupata per me?», le chiesi a bassa voce, tentando di placarli.
«Ma certo... cosa è accaduto?», la confusione le increspò la fronte, ma io ero troppo preso dal suono melodico delle parole per prestare attenzione al suo frastornato umore.
«Comprensioni da uomini», conclusi, e una smorfia di dolore mi compresse la faccia. Cazzo, che dolore all’addome. Devo smettere di sfidare mio fratello tanto a lungo.
«Stai bene?», ritornò a preoccuparsi di me, chinandosi a ispezionare il labbro inferiore.
Accovacciatomi per mitigare i malori, leccai l’angolo tumefatto, gustando il sapore ferroso del sangue e la salinità della pelle accaldata. «No, non proprio...», mormorai malinconico. Un amaro sorriso si distese, mentre mi ritrovavo fra i meandri della memoria: «ma neanche male», aggiunsi in seguito, colto da un nuovo senso di euforia. «Starò bene, Edith», inconsapevolmente - ma neanche troppo inconsapevole - avvicinai il viso al suo, bisbigliando il nome con reverenziale devozione.
Le palpebre pesanti e i nostri respiri ansanti per l’emozione, erano l’unica cosa essenziale. Lei mi sorrise, e le sue iridi blu si riempirono di nuovi sfavillii: «Lo prometti?».
Mi immersi in quel mare di stelle: «Te lo prometto». Sul punto di baciarci però, sussultammo all’unisono, sbiancando le guance. Sofia era a un palmo dai nostri nasi, incredibilmente curiosa e sorridente.
Mierda.
«Ehi, Pretty Man, rimettiti la maglietta, non vorremmo che le tredicenni di oggi abbiano un’infarto! Non ci sarà più spazio in cardiologia, altrimenti», urlò Deva. E nella sua crudele ironia, piroettò un mezzo giro per mostrare la cicatrice dell’intervento subito, e che traspariva dalla profonda scollatura.
***
Al ritorno, nonostante la sofferenza muscolare, mi trovai stranamente tranquillo nel passeggiare fianco a fianco ai miei fratelli; felice nel soffermarmi a osservare Edith e Sofia saltellare in allegria a “Salta campana”. Il ritratto della spensieratezza. Giocavano insieme, intrattenendosi vicendevolmente, e lasciandoci del tempo per chiarirci. Sospirai. In cuor mio augurai a entrambe di trovare quello spirito bambinesco anche nei momenti più difficili.
«Sono contento che tu sia qui», mi confidò Dristan, mentre Deva sculettava due spanne dietro di noi, mano nella mano col nuovo pupillo di mio fratello.
«Sul serio?». Gli rivolsi un’occhiata; anche lui guardava difronte a sé con una strana luce nello sguardo, come se stesse pregando per la mia stessa speranza.
«Ma certo. Sei sangue del mio sangue». Avrei voluto abbracciarlo.
«Por la mamà no es suficiente», mormorai con amarezza, massaggiandomi lo zigomo; ferito più nell’orgoglio piuttosto che nella carne.
Per la mamma non è sufficiente.
«Lasciala stare. Lo sai che ha problemi celebrali», liquidò la questione.
«Dristan!», lo richiamò la moglie, infervorata dal subdolo commento.
Lui sbuffò una risposta piccata: «Cosa?! È vero! Lo sai benissimo».
«Abbiate un po’ di rispetto per la donna che vi ha cresciuto. Ha sofferto anche lei in questa storia», rimarcò Elida, assottigliando lo sguardo.
«Non proteggerla, non tu. Ci pensa già il papà a farlo. Ha solo raccolto quello che ha seminato. Ben le stà», si irritò lui. Assistetti al loro secondo battibecco, quel giorno. Mi domandai come potessero definirsi “follemente innamorati” due individui tanto diversi.
«E cioè?», chiese spiegazioni lei, agguerrita contro il marito nel difendere la suocera.
«Lei sapeva fin dall’inizio cosa nutrivamo per la stessa persona, por ti, e fu sempre lei a minacciarmi di non parlarne con entrambi, rivelandomi che se lo avessi fatto, avrei rovinato irrimediabilmente la vostra simbiotica amicizia», sbottò.
Stavolta fui io a intromettermi: «Che cosa?!».
Anche a me suggerì lo stesso, in passato... Brutta stronza!
*Angolino dell'Autrice*
Ahi ahi ahi, prevedo guai.
Raga, finalmente nel prossimo capitolo Dante e Edith sco*a... No, questo non lo so con precisione, può anche essere il prossimo del prossimo, ma comunque molto presto x)))
Sì... Sono ancora fidanzata <3 ma per quanto ancora?! XD si aprono le scommesse...
Intanto, come immagino chi legge i miei commenti tragici:
P. S.
Per la poesia che ho recitato mercoledì 11 gennaio, aspetterò a pubblicarla, in modo tale da inserirla nella storia. Sì... È triste. E sì... nel mezzo ne succederanno di tutti i colori xD
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro