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Capitolo 12

EDITH

La colpa è mia che ti
credevo intero quando
in verità sei infranto.”

L'osservazione di sé era recisa dalla visione altrui: perché gli errori degli altri pargono spesso di mero valore rispetto ai propri, che appaiono imperdonabili. Ed io mi sentivo colpevole. 

Se non l'avessi seguito in Austria, tutto questo non sarebbe successo.

Li guardai. E quel che guardai furono due individui il cui amore aveva logorato piuttosto che rinvigorito. In fondo però, si amavano ancora, in maniera diversa, certo, ma era comunque amore.

Dovevo essere risoluta. Non potevo permettere che qualcun'altro soffrisse per mano di stupidi sentimenti. Essere vittima dell'ansia e della propria coscienza era la peggiore delle condanne, perché per quanto bisognasse assumersi le proprie responsabilità, queste non erano prigioni alle quali immolarsi.

Prima che la vicenda degenerasse, respirai a fondo e compii un passo avanti, frapponendomi tra i due litiganti. Non godevo della situazione, m'importava solo di una cosa. «Se permettete una parola», incominciai: «Ho compreso perché nessuno di voi volesse rincontrarsi», continuai con voce ferma: «Non voglio schierarmi, ma adesso, qui con voi c'è anche una bambina...». Mi voltai verso Dante: «Vuoi sul serio che Sofia cresca col saperti uno sconosciuto?», domandai, indicando sua nipote con un'occhiata. «E rinvangare il passato ora è davvero necessario?», rivolsi la domanda a entrambi. Quando scossero la testa all'unisono, assunsi un nuovo respiro: «Bene, allora potreste accontentare la discussione, almeno per oggi, e lasciare che Sofia sappia la verità?», conclusi con esasperazione.

La bambina corse dalla madre, preoccupata nell'averla vista livida di collera. Elida la sollevò da terra, abbracciandola stretta: «Mi amor, disculpa mi amor.», mormorò, cullandola, «Devi sapere che è lui, è lui tuo zio, il fratello di papà e della tia Caty», il tono sommosso, corroso di pianto, arrochì l'appellativo dovuto: «Tio Ale». Pronunciò le ultime sillaba guardandolo in faccia, esprimendogli tutto l'affetto che si era perso a causa del suo stupido orgoglio. Quante occasioni mancate - e perse - a causa di superficiale irritazione?

Per affrontare l'abisso occorreva profondità. Per la superficialità, la leggerezza; stava noi dosare il quando. Era questa la maturità da dimostrare.

Gli occhi grandi e neri della piccola Argenti fissarono con nuova curiosità il giovane disertore di famiglia. Ed era un po' come se l'avessi visto per la prima volta anch'io. «Ciao Sofy, scusa il ritardo», si dispiacque goffamente, risentito da tutta la situazione.

«Non importa tio, conta solo che adesso sei qui con noi», gli sorrise lei. Quando si scollò dalle braccia della donna, gli afferrò la mancina: «Papà sarà super felice di vederti, vieni», lo trascinò via, «Vieni a salutarlo, tanto non è molto lontano da qui, e dice che non lo disturbiamo mai quando passiamo in palestra», riprese a raccontargli a raffica, «Ciao abuelos, ciao tia Caty, noi usciamo, ma credo che torneremo presto!», proclamò con spensieratezza, ignorando le repliche di Dante, che si lasciò condurre fuori.

La madre ed io ci scambiammo uno sguardo dubbioso finché non aggiunsi: «Dovremmo seguirli».

«Sì, dovremmo», confermò lei, e insieme ci avviammo fuori.

Passeggiavano l'una accanto all'altra, ammirando Dante e Sofia parlottare fra loro a qualche metro di distanza. «Sofia ha ragione, sarai una grande insegnante», esalò all'improvviso lei. Infine mi sorrise ed io arrossii per l'imbarazzo.

«Sei molto gentile, grazie infinite del complimento», sussurrai piano, finché non mi riscossi: «Piacere comunque, mi chiam...», incominciai a presentarmi, ma Elida scoppiò a ridere, anticipando le mie battute. Aveva un suono argentino e musicale. Lei e l'avvenente spogliarellista avevano una risata da batticuore.

«Edith, sì, lo so. Piacere di conoscerti, io sono Elida, ma questo già lo sai», disse senza malizia.

Annuii sentendomi un po' sciocca: «Giusto».

«Credo di doverti ringraziare io, per prima intendo», aggiunse: «Me ne sarei andata e lui sarebbe di nuovo sparito», trasse le conclusioni come se fosse stato inevitabile senza il mio intervento, inorgoglita di me.

«Mi dispiace... vorrei che potesse essere diverso», risposi con tristezza.

«Anch'io. Dante è... era mio fratello. Quando mio padre è fuggito con un'altra donna, lasciando sole la mamma e me, lui era lì, a sostenermi», mi raccontò con rammarico, sembrava dover sostenere un grande peso quando parlava: «Dormivamo insieme, mangiavamo insieme, giocavamo insieme. Stavamo sempre insieme...», scollò le spalle, immersa in un mare di ricordi, «Lo amavo, ma in un modo in cui si può amare un proprio famigliare», specificò alla fine.

Tacqui per molto tempo prima di riprendere la conversazione: «Com'era?», chiesi, curiosa di voler sapere di più: «Com'era Dante da giovane?».

Elida sorrise, rammentando qualcosa a me oscuro: «Era dolcissimo e molto romantico. È stato lui a regalarmi “Dell'amore di altri demoni” di Gabriel García Márquez, il mio scrittore preferito».

«Proverai la tremenda ansia di non essere abbastanza. L'amore ci rende fragili.», recitai, sorprendendola. «Sei colombiana?»

«Solo per metà, proprio come lui, Deva, e Dristan, anche se la Signora Maria appartiene a Santiago del Cile», precisò, avvicinandosi impercettibilmente.

«Devi amarli molto», costai, fissando La bambina allegra con suo zio, sempre più agitato.

Alzò le spalle, riflettendo sulla mia affermazione: «Sono la mia famiglia, e mi hanno aiutato con Sofia».

«Non dev'essere stato facile. Sei una persona davvero molto forte. Io... non sono come te», pensai ad alta voce. Elida era già una madre alla mia età, quante ragazze si sarebbero sobbarcate di tale responsabilità così prematuramente giovani?

O forse ero io, ad essere in ritardo?

La donna rise di nuovo, stavolta per celare lacrime colme di emozioni: «Non farmi piangere un'altra volta, ti prego. Che dolce che sei, ma dove ha trovato una come te?», domandò, facendomi arrossire di nuovo.

«L-Le mie amiche mi hanno trascinata a un locale e lui...», balbettai un poco, ma lei mi precedette sul tempo.

«Era lo spogliarellista che ti ha scelta?», quando il mio silenzio imbarazzato le diede conferma, aggiunse con contentezza: «Ci avrei scommesso! Lui adora gli occhi chiari. Credo che abbia un feetish per lo sguardo».

«Ti ho sentita!», urlò Dante, intromettendosi.

«E quindi, vorresti negarlo?», chiese lei con sarcasmo.

«Adesso mi ricordo perché non ti dicevo mai niente», rispose vagamente divertito lui, strappandomi un sorriso.

«È anche muy picota», finse di bisbigliarmi all'orecchio.

«Ida, smettila, e che cavolo!», imprecò Dante, voltandosi appena verso di noi.

«Hai fame, tio?», gli chiese Sofia, ignorando la discussione degli adulti.

«No Sofy, è solo un modo di dire. Non mi piace il cavolo, cavolo!», continuò, riprendendo a confrontarsi con la bimba.

«Che significa picota?», domandai a bassa voce, trovando una bizzarra complicità con la mia nuova amica.

«Permaloso», ed entrambe scoppiammo a ridere.




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