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Stringimi ancora


Come ogni mattina, come ormai gli accadeva da un anno e mezzo a questa parte, sbarrò gli occhi scattando a sedere di soprassalto.

Per Giosuè era ormai diventata una consuetudine svegliarsi in quel modo dopo una nottata tormentata da incubi indistinti, senza forma, che avevano come indiscusso protagonista l'incidente. Quello che gli aveva cambiato la vita.

Ricadde a peso morto sul guanciale portandosi le mani al viso per coprirsi gli occhi e respingere quelle lacrime che, ogni volta, premevano per fargli visita.

Fu proprio allora che la realtà lo colpì.

Quella mattina non era affatto come tutte le altre.

C'era qualcosa di strano.

Molto strano.

Il letto nel quale giaceva era sfatto, in estremo disordine, e profumava.

Profumava di cloro, di quell'odore inconfondibile che raggiunse immediatamente il suo sistema nervoso per poi diramarsi lungo ogni terminazione causandogli la pelle d'oca.

Quell'odore lui lo conosceva fin troppo bene, se lo portava impresso dentro ma si era costretto a non sentirlo più, da quel giorno.

Eppure adesso eccolo lì, a trapassargli l'anima, a scavare un solco di emozioni mai sopite con le quali si ritrovava a lottare ogni giorno.

Stava per cedere Giosuè, stava per abbandonarsi ad un pianto infinito fatto da gocce di dolore miste a rimpianto quando percepì dell'altro nell'aria.

L'odore di cloro non era il solo in quella casa, esso si amalgamava perfettamente ad un odore dolce di biscotti, di cannella forse.

Strabuzzò gli occhi ancora una volta, poi li richiuse e ancora li riaprì in una rapida successione di piccoli movimenti.

Poi la curiosità prese il sopravvento, avvolse l'esile corpo nella sua fidata coperta e si inoltrò oltre la soglia della sua camera.

Lì a colpirlo furono le dolci note di una canzone che non conosceva ma che sembrava chiamare proprio lui.

Come ammaliato da quel suono proseguì la discesa verso il piano inferiore, un gradino per volta, fino a bloccarsi a metà scala.

Di fronte a lui, nel piccolo salone della sua abitazione, se ne stava fiero un abete addobbato di tutto punto che, con le sue lucine ad intermittenza illuminava tutto l'ambiente circostante donando alla stanza un'aura fatata.

Giosuè rimase incantato a fissare quello spettacolo tanto da non accorgersi della figura che intanto faceva capolino dal disimpegno che collegava la cucina al solone.

-Hei- annunciò con enfasi una voce che fece tremare le gambe al ragazzo che dovette tenersi alla ringhiera per evitare di precipitare al suolo.

Voltò di poco lo sguardo e si trovò di fronte Mattia.

Il suo Mattia.

Il suo cuore prese a battere all'impazzata, lo sentiva ovunque, persino nelle orecchie.

Mattia era lì, bello come lo ricordava, col suo ciuffo di riccioli disordinati più chiari sulle punte per colpa degli allenamenti in piscina, col suo sorriso bianchissimo e con quegli occhi verdi che ogni notte gli erano mancati.

Giosuè non riusciva più a muoversi, a parlare, a ragionare coerentemente.

Il suo Mattia era lì.

Ma non poteva, non poteva essere vero.

Il suo Mattia non poteva più essere lì.

Eppure la sua voce lo riscosse dai suoi pensieri.

-Buongiorno dormiglione!- sorrise.

E quel sorriso fece andare in pezzi ogni barlume di lucidità di Giosuè.

Forse stava sognando, tutto quello era impossibile.

Si guardava intorno, cercava qualcosa fuoriposto che potesse confermargli di essere in un sogno ma nulla gli sembrava più reale di quel ragazzo che lo osservava a pochi metri di distanza.

-Che fai lì impalato? Devo aspettare ancora molto per ricevere il mio meritato buongiorno?-

Fu allora che Giosuè smise di pensare.

Lasciò cadere la calda coperta ai suoi piedi e percorse di corsa gli ultimi gradini che lo separavano dall'altro. Senza rifletterci più di tanto con uno slancio gli si gettò al collo cingendogli i fianchi con le gambe mentre le caviglie andavano ad incrociarsi sulla sua schiena.

Quanto gli era mancato quel contatto. Quel corpo saldo e marmoreo che sembrava avvolgerlo e proteggerlo quasi fosse un bambino.

Si beò di quell'odore che tanto aveva cercato di dimenticare, di quei tocchi gentili che gli accarezzavano la schiena, di ogni sospiro dell'altro che gli solleticava il collo.

Sentì le lacrime farsi largo e scendere prepotenti sulle sue guance, si strinse ancora di più al corpo dell'altro dando vita ad un'unione di corpi impossibili da districare.

Aveva bisogno di sentirlo, di stringerlo e lasciarsi stringere fino a sentir male, fino a che gli si mozzasse il respiro. Voleva imprimersi sulla pelle quel ragazzo per avere la certezza che fosse vero.

Inspirava il suo profumo, cercava di diventare sempre più piccolo tra quelle braccia e non riuscì a non aggrapparsi a lui come ad un'ancora che lo avrebbe protetto e riparato da ogni tempesta.

-Io...- provò ad articolare tra i singhiozzi e le lacrime.

-Shh- lo cullò l'altro portandolo con sé sul divano, proprio accanto all'albero.

-Ma io... tu-

Mattia si scostò per guardarlo negli occhi, gli sorrise e gli posò un indice sulle labbra.

Era sempre stato così tra loro.

Giosuè era il più fragile, quello pieno di paure, mentre Mattia era la sua roccia, era il baluardo a cui far riferimento, il riparo da ogni male. Mattia era l'amore della sua vita.

Si guardarono ancora per un po' in silenzio poi Giosuè riadagiò la testa sul petto di Mattia.

-Stringimi ancora- sussurrò.

L'altro non se lo fece ripetere due volte, lo attirò a sé massaggiandogli lentamente i corti capelli scuri per cercare di rilassarlo.

Passarono così istanti, minuti o intere ore, Giosuè non avrebbe saputo dirlo con precisione.

Quando Mattia provò a scostarlo, Giosuè provò ad opporre resistenza stringendosi maggiormente al suo corpo.

-Non te ne andare- sussurrò con un filo di voce.

-Non vado da nessuna parte- rispose l'altro spostando il viso per poterlo guardare negli occhi.

Giosuè si perse in quegli occhi verdi che gli apparivano così veri, reali, sinceri.

Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a percorrere delicatamente con le dita il volto dell'altro. Ne accarezzò la fronte per poi disegnare la linea delle sopracciglia, poi il naso, gli zigomi, le belle labbra, il mento, il collo.

E poi ripartire a ritroso, per risentire sulle dita tutti quei piccoli lembi di pelle calda come non ricordava più che fossero.

E infine rimase a guardarlo. Il suo Mattia sembrava un'opera d'arte, il capolavoro incompiuto di un grande artista. Studiò il modo in cui le luci dell'albero creavano giochi di chiaroscuro sul suo viso, come le lunghe ciglia accarezzassero gli zigomi quando chiudeva le palpebre, come il naso si schiudesse impercettibilmente ad ogni respiro.

Cercò di fissare nella mente tutti quei piccoli dettagli e sorrise timidamente quando Mattia allungò le mani per asciugargli le lacrime con i pollici.

Quasi fosse un gattino si lasciò coccolare da quelle mani, vi spinse contro il viso per godere a pieno di quelle carezze delicate ma talmente potenti da smuovergli un mondo dentro.

-Sei bellissimo- gli disse Mattia d'un tratto.

-Ti amo- rispose lui.

E sentire uscire quelle parole dalla sua stessa bocca gli causò una fitta allo stomaco.

Lo aveva finalmente detto di nuovo, ad alta voce, all'unica persona che aveva sempre amato.

-Ti amo anch'io cucciolo-

E ancora una volta Giosuè si lasciò andare ad un pianto dirotto.

Cucciolo.

Lo aveva chiamato cucciolo.

Quanto gli era mancato sentire quel nomignolo pronunciato con amore da quelle labbra.

Finalmente il dolore, la tristezza, la pura disperazione si tramutarono in felicità, in gioia pura.

Una felicità che giunse svolazzante come un piccolo uragano di farfalle nel suo stomaco, come una sensazione di calore che si irradiò fino a sciogliere il suo cuore ormai diventato di ghiaccio che tornò improvvisamente a pompare vita in tutto il suo corpo.

Sorrise e senza aspettare un attimo adagiò le sue labbra su quelle dell'altro.

Si baciarono lentamente, senza smettere un attimo di accarezzarsi, senza allontanarsi, sorridendo labbra su labbra.

Si presero tutto il tempo per ritrovarsi, per assaporarsi, per amarsi.

Congiunsero le mani che presero a danzare lente e sinuose a ritmo con le labbra in un gioco che solo a loro era concesso vivere.

Quando si staccarono per riprendere fiato rimasero vicini, fronte contro fronte, con gli occhi incatenati e i respiri a fondersi uno con l'altro.

-Buon Natale Amore- sussurrò il più grande.

Giosuè sbarrò gli occhi -è... è Natale?-

L'altro lo guardò con un sorriso mozzafiato -sai che sei un po' strano oggi? Certo che è Natale-

Dalle sue labbra non uscì che uno sbuffo stupito.

Era tutto così strano e l'aver visto Mattia non gli aveva fatto più capire nulla. Si era ritrovato avvolto da un vortice di felicità dal quale non sarebbe uscito per nulla al mondo.

-Ti va di mangiare qualcosa adesso? Ho preparato i biscotti- chiese Mattia.

Giosuè negò col capo.

-No?-

-No- sorrise.

-E, sentiamo, cosa vorresti fare?-

-Niente-

Mattia scoppiò a ridere.

-Il mio pigrone- disse -vediamo un po'... Che ne dici di una lunga sessione di coccole?-

Giosuè annuì e gli si lanciò contro spalmandoglisi di nuovo addosso. Entrambi caddero all'indietro contro lo schienale del divano tra le risate.

Quando si furono ripresi Mattia adagiò entrambi distesi sul divano in modo che potessero stare più comodi. In un gesto inconsapevole le loro gambe andarono ad intrecciarsi mentre gli occhi si incatenarono gli uni agli altri.

Rimasero così in silenzio per un tempo incalcolabile tra le mani di Mattia salde sui fianchi del più piccolo e quelle di Giosuè che accarezzavano lente i capelli dell'altro.

-Ti amo da impazzire- ripeté Giosuè.

-Lo so- sorrise Mattia -ed io amo te-

-Per sempre?-

-Per sempre!- confermò il più grande.

-Ma sempre sempre?-

-Dove sarai tu ci sarò sempre anch'io-

-Promettilo-

-Te lo prometto, non dubitarne mai-

-E se...-

Come se potesse leggergli nel pensiero Mattia gli prese una mano intrecciandola con la sua, ne baciò le nocche, e continuò la sua frase -e se anche non dovessi vedermi io sarò lì, sempre al tuo fianco-

Giosuè sentì una fitta di tristezza attraversargli la mente ma preferì non dargli peso per dedicarsi completamente al corpo di Mattia che lo teneva al sicuro, al riparo da ogni cattivo pensiero.

-Sembri stanco- disse dopo un po' Mattia -ti va di dormire un po'-

Giosuè annuì.

Mattia lo aiutò a voltarsi, si posizionò alle sue spalle e, dopo aver recuperato una coperta per coprire entrambi, lo abbracciò fortissimo.

Entrambi si addormentarono quasi subito ma nella testa di Giosuè risuonavano delle strane parole:

"Anche se non mi vedrai ti basterà cercare tra i tuoi pensieri. Ti amerò per sempre"




Come ogni mattina, come ormai gli accadeva da un anno e mezzo a questa parte, sbarrò gli occhi scattando a sedere di soprassalto.

Per Giosuè era ormai diventata una consuetudine svegliarsi in quel modo dopo una nottata tormentata da incubi indistinti, senza forma, che avevano come indiscusso protagonista l'incidente. Quello che gli aveva cambiato la vita.

Quella notte però non aveva sognato l'incidente, quella notte aveva sognato il suo Mattia.

Si guardò intorno e tutto gli tornò alla mente.

Si era addormentato stupidamente sul divano, dopo una serata passata a piangere da solo, e si era ritrovato catapultato in un mondo che era altamente preferibile a quello in cui viveva realmente, perché lì c'era il suo Mattia.

Si sentì sconfitto, preso in giro, come se la vita lo avesse preso a schiaffi, come se si fosse presa gioco di lui, come se gli fosse stata concessa la possibilità di vedere come sarebbe potuta essere la sua vita assieme a Mattia e poi gli venisse sfilata da sotto gli occhi.

Era la mattina di Natale e lui era solo mentre rischiava di affondare nel suo mare di dolore.

Si guardò intorno e si accorse di quanto vuota e buia fosse quella casa senza il suo amore, di quanto freddo sentisse fuori e dentro di sé.

Si alzò per cercare tracce di quel sogno in quella triste realtà, passò davanti alla penisola della cucina e, quando trovò il piano da lavoro macchiato in alcuni punti dalla polvere di cannella, sentì il cuore battere forte mentre le mani gli tremavano.

Accarezzò con l'indice la superficie fredda e fu come scottarsi. Si portò la mano all'altezza del cuore in una dolce carezza. Cercò di farsi del bene ma subito la tristezza tornò ad affliggerlo.

Si sentì solo, abbandonato, privato da una parte di sé, ancora una volta.

Perché il destino doveva avercela così tanto con lui?

Cosa aveva fatto per meritarsi tutto quel dolore ingiusto?

Giosuè andò a rifugiarsi nella sua camera, nel loro letto, che trovò freddo, tra quelle lenzuola che non profumavano di Mattia.

Si coprì col piumone fino alla testa così che neanche gli occhi potessero guardare la dura realtà.

Si rannicchiò su se stesso, adagiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi per cercare di non far defluire le lacrime.

Solo allora sentì un forte calore dietro di sé, come se qualcuno lo stesse abbracciando, come se forti braccia stessero cingendo il suo corpo.

In un attimo le parole che aveva sentito tutta la notte trovarono un senso.

Ripensò a Mattia e, per la prima volta dopo tanto tempo, Giosuè non si sentì solo.

E fu come tornare a casa, dopo un lungo lungo viaggio e ritrovare la pace.





Buon giorno a tutti e Buon Natale.

Chiedo scusa per eventuali errori ma questo è il frutto di una notte insonne e tormentata.

Questa "piccola storia triste" è dedicata a tutte le persone che, come me, per un motivo o per un altro, non stanno affatto passando un "Buon Natale".

Vi abbraccio tutti calorosamente e vi auguro di essere felici, non solo oggi, ma ogni giorno della vostra vita!

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