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Wuany

Il flash mob è stato un successo. Dopo quel giorno, i ragazzi dell'aggressione sono stati arrestati. Non so quanto resteranno in carcere, ci sarà il processo e sicuramente troveranno un modo per farli uscire il prima possibile. Ma almeno per ora sono dentro. Un minimo di giustizia è stato fatto. Margherita si è offerta di andare a informarsi per il permesso di soggiorno di Bodi e una ragazza che lavora all'ufficio immigrazione si è impegnata ad aiutarlo per ottenerlo una volta che uscirà dal coma. Lo aiuterà anche a trovargli un lavoro, sempre che Bodi si svegli. I medici non sono positivi. Ha un forte trauma cranico, l'ematoma in testa si è ridotto un minimo, ma non è sufficiente. Bodi potrebbe non farcela. Io e Marghe andiamo a trovalo ogni giorno, parliamo con lui anche se non siamo sicuri che possa sentirci. E comunque non capirebbe una parola di quello che gli diciamo, ma vogliamo essere lì per lui.

Oggi siamo andati all'ospedale all'orario di visita della sera. Quando siamo usciti le ho proposto di andare a mangiare qualcosa. Abbiamo preso una pizza in una piccola pizzeria di Trastevere e abbiamo passeggiato per i vicoli del quartiere. Mi sembra strano camminare per queste strade come un turista, di solito io sono quello seduto sul marciapiede, con le mie bombolette di vernice e i miei fogli bianchi, a creare quadri che le persone appenderanno sui muri di casa. Stasera passeggio mano per la mano con una ragazza bellissima, che in poco tempo è diventata una costante nelle mie giornate e ha portato colore, nonostante questo sia uno dei periodi più grigi della mia vita.

«Ti vedo pensieroso, cosa c'è?» mi chiede mentre camminiamo sotto gli alberi lungo il fiume Tevere.

«Stavo pensando a Bodi. Non capisco perché non si svegli».

«Forse non vuole farlo».

«In che senso?»

«Pensaci. Perché dovrebbe voler vivere? La sua vita non è stata altro che una lotta alla sopravvivenza. Ora non ha nessuno, è in un Paese dove è indesiderato, ha subito violenze nel suo mondo e nel nostro. In realtà quello in cui viviamo è un solo mondo, ma la violenza e l'ignoranza regnano ovunque. Forse ha paura di tornare alla realtà, preferisce dormire».

«Pensi sia questo a tenerlo in coma?»

«Non lo so, io ho la mente fantasiosa. Magari invece c'è una spiegazione scientifica che io non riesco neanche a immaginare», dice sorridendo e quel sorriso mi scalda il cuore.

«Come fai a farlo?»

«Cosa?»

«Sorridere. Tu sorridi sempre».

Lei risponde con un'alzata di spalle, si ferma e mi prende le mani nelle sue.

«Ci sono momenti in cui non sorrido, altri in cui piango, ma cerco sempre di affrontare qualsiasi situazione con positività. Essere ottimisti non aiuta a risolvere i problemi, ma ti dà la forza di affrontarli meglio».

«Sei una ragazza strana», commento sorridendo, quando quello che vorrei dire è che è una ragazza fantastica, bellissima, unica. Maledetta timidezza!

«Lo prendo come un complimento».

«Lo è».

«Penso che per aiutare Bodi dobbiamo fare in modo che si senta a casa. Forse ha bisogno di qualche ricordo bello. Avrà pur vissuto un momento di felicità nella sua terra».

«Sempre che ci ascolti».

«Supponiamo che riesca a sentirci. Positività, Wuany!»

«Hai ragione», ammetto sorridendo, mentre le accarezzo il dorso delle mani con i pollici.

«Una volta mi ha raccontato di una festa che facevano al suo villaggio, con musiche e danze tribali. Non ho capito molto di quello che diceva perché parlava in francese, ma... sembrava felice. È stata l'unica volta in cui ho visto un lampo di felicità nei suoi occhi».

«Dovremmo ricreare quel momento».

La guardo negli occhi mentre l'idea ispirata dalle sue parole inizia a formarsi nella mia mente. Ha ragione! E so come fare. Mosso dall'entusiasmo le prendo il volto tra le mani e le do un leggero bacio sulle labbra.

«Sei un genio!» mormoro appena mi stacco dalla sua bocca.

Lei mi guarda sorpresa e poi sorride. Non sa che da quando è entrata nella mia vita è diventata la mia musa, la mia fonte d'ispirazione.

È stato semplice radunare i ragazzi che al flash mob suonavano le percussioni e portarli in ospedale da Bodi. Un po' meno facile è stato convincere gli infermieri a lasciarli suonare per lui. Ma alla fine, il sorriso, gli occhi verdi e la profonda gentilezza di Margherita, sono riusciti a sensibilizzare anche le infermiere più ferme e ci hanno concesso dieci minuti. Così io, Margherita e altri quattro ragazzi provenienti dal Senegal, Kenya, Congo e Tunisia, ci siamo uniti per suonare bonghi e percussioni.

La ragazza senegalese che ha cantato al flash mob intona una canzone nella loro lingua madre. Io sono in piedi accanto a Bodi che gli stringo una mano, dall'altro lato del letto Marghe fa lo stesso. I musicisti africani sono al bordo del letto e suonano quelle percussioni con una passione e un'energia incredibile, che mi sembra di sentir vibrare qualcosa sotto la pelle. In fondo, sono brasiliano, anche io ho il ritmo che mi scorre nelle vene. O forse sono loro a essere superlativi. Guardo Margherita che mi fa segno di chiudere gli occhi prima che lei faccia lo stesso. L'assecondo e in un attimo la mia mente è catapultata altrove. Non sono più in ospedale, mi sembra di essere in mezzo a un campo deserto, circondato dalla natura, da persone di colore che suonano la loro meravigliosa musica e ballano le loro danze tribali. Mi chiedo se anche Bodi riesca a sentirlo. È un momento magico e spero che la magia funzioni, che riesca a farlo risvegliare. Dopo diversi minuti i ragazzi smettono di suonare e restiamo in silenzio per tornare alla realtà. Guardo il mio amico disteso immobile su quel letto, con un tubicino per respirare nel naso e una flebo attaccata al braccio, ma lui non si sveglia. La magia della musica delle sua terra non è riuscita a riportarlo nel nostro mondo, quello delle persone vive. I ragazzi lo salutano nella loro lingua madre, poi lentamente escono lasciandomi solo con Marghe e Bodi. Lei mi viene vicino e mi stringe la mano. La guardo in viso e i suoi occhi verdi mi tramettono tutto ciò che non dice. Mi dispiace che non abbia funzionato, ma non disperiamo, può ancora farcela. 

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