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Wuany

Sono seduto su questa sedia in ospedale e accanto a me c'è lei. Stringe al petto una cartellina vintage con scritte, disegni e adesivi attaccati. Indossa degli scarponcini neri consunti, un pantaloncino di jeans e una maglia a righe. Non parliamo, guardiamo dritti davanti a noi senza dire nulla, ma la sua presenza mi tranquillizza, mi dà forza e mi fa sentire sereno allo stesso tempo. Lei era lì, ha visto tutto, l'aggressione, le botte, il sangue e ha sentito tutto, gli insulti, le cattiverie, gli scherni che quei razzisti di merda rivolgevano a me, ma soprattutto a Bodi. "Brutto negro di merda, sporco immigrato, tornatene a casa tua..."

Quando finirà tutto questo? Quando si estinguerà la specie dei razzisti? Quando la smetterà la gente di pensare che un immigrato sia il male. Se loro sapessero tutto ciò che ha passato Bodi, la lotta per la sopravvivenza sin da quando era solo un bambino. La fuga dalla guerra, dalla fame, dalla violenza. La traversata in mare dove ha rischiato la vita. Che ne sanno loro di cosa hanno visto i suoi occhi, le atrocità della guerra, la morte, le malattie. È fuggito dal suo Paese per non essere ucciso, per non morire di fame o per non diventare un assassino. Ha perso tutto, la sua famiglia, la sua capanna, qualsiasi cosa, ma non la voglia di vivere e la speranza di un futuro migliore. Ma cosa ha trovato venendo qui?

«Ha trovato un amico», dice la ragazza accanto a me.

Allora mi accorgo di aver pensato a voce alta. La guardo e lei mi sorride. In quella situazione oscura, nonostante tutto quello schifo intorno, lei mi sorride e il suo sorriso è la cosa più bella che abbia mai visto. È uno di quelli che illuminano il viso, le brillano gli occhi e tutto intorno a lei sembra risplendere della sua luce, tutto prende colore, i suoi colori.

«Da quanto tempo vi conoscete?»

Mi schiarisco la voce prima di parlare.

«Qualche mese. Lui non parla molto, non conosce la nostra lingua».

«L'Italiano?»

«Sì», rispondo sorridendo, «io sono al cento per cento un cittadino italiano, nato e cresciuto a Roma. I miei genitori sono brasiliani, vivono in Italia da trent'anni».

«E Bodi?»

«Lui è senegalese».

«Da quanto tempo è in Italia?»

«Otto mesi. È completamente solo, non ha una casa, non ha soldi, non ha niente. Non sa cosa deve fare per ottenere un permesso di soggiorno. Ha paura che la polizia lo rimandi nel suo Paese e non vuole tornarci. Non c'è più niente lì per lui, solo morte, violenza. Ma in fondo è ciò che ha trovato anche qui».

«Perché lo hanno picchiato?»

«Sono idioti, razzisti. Ce l'hanno con gli immigrati».

«Sì, ho sentito. Come possiamo aiutarlo?»

«Se si sveglia».

«Se si sveglia...».

Ma passano giorni e Bodi non si sveglia, è in coma e io non so che fare. Sono andato a denunciare l'aggressione, li ho visti bene in faccia e li ha visti anche lei, Margherita. Ma la polizia sembra molto più interessata al fatto che Bodi sia un immigrato clandestino piuttosto che all'aggressione. Passano giorni e io mi sento sconsolato. Lui non si sveglia e quei bastardi se ne vanno in giro come se nulla fosse e ci scommetto tutto quello che ho, torneranno a farlo di nuovo, troveranno un'altra vittima del loro odio razziale, della loro stupidità e la picchieranno a morte. Ma cosa posso fare? Me ne sto qui, seduto su questa sedia in ospedale appena posso, appena il lavoro me lo permette e lei è accanto a me, con il suo silenzio, le sue rare domande e il suo dolce sorriso. Non so se stia qui per me o per Bodi, forse per entrambi, ma ciò che conta è che lei c'è.

«Ho un'idea!» esclama un giorno, mentre sediamo entrambi con le gambe incrociate sul pavimento dell'ospedale nella stanza di Bodi.

«Un flash mob!»

«Per fare cosa?»

«Per far conoscere la storia di Bodi, per far sì che la gente sappia, per obbligare la polizia a punire quei bastardi. Dai Wuany! Sei andato a cercarli, hai fatto nomi e cognomi e io posso testimoniare, che aspettano ad arrestarli? Se in Italia le cose vanno a rilento vuole dire che noi gli daremo una smossa».

«E pensi di farlo con un flash mob?»

«Hai presente quando in Italia succede qualcosa di sbagliato, nessuno fa niente, poi esce un servizio a "Le Iene" o su "Striscia La Notizia" o cose così e si arriva a una soluzione?»

«Quindi?»

«Se facciamo sentire la nostra voce dovranno ascoltarci. E come ci esprimiamo noi artisti di strada?»

«Attraverso l'arte?»

«Esatto. Facciamoci sentire, Wuany. Bodi merita giustizia».

«Che cosa hai in mente?»

«Lascia fare a me».

E così Margherita riesce a coinvolgermi in questo piano assurdo. In un paio di giorni raduniamo tutti gli artisti di strada che conosciamo, musicisti, cantanti, acrobati, pittori, writers, street dancers e organizziamo questo flash mob. Non so se riusciremo a ottenere qualcosa, ma Marghe sostiene che almeno faremo sentire la nostra voce. La voce di Bodi, se potesse parlare. Abbiamo assistito a proteste violente contro il razzismo, atti di vandalismo, ma noi crediamo che c'è un'altra via per protestare contro queste idee barbare. Usiamo ciò che abbiamo, la nostra arte. Creiamo invece di distruggere, portiamo bellezza invece che orrore, inviamo un messaggio di pace anziché istigare odio, combattiamo la violenza con la musica, la pittura, l'arte. Speriamo così di sensibilizzare l'opinione pubblica, di far conoscere la storia di Bodi e di altri come lui e di costringere chi può ad aiutarlo, a ottenere giustizia per lui e magari anche un permesso di soggiorno. Sempre che si svegli.

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