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Margherita

Non succede spesso che io riesca a vendere tutti i miei quadri, eppure oggi me ne sono rimasti solo tre. È stata una domenica molto positiva per il mio lavoro. Il sole sta tramontando ed è meglio tornare a casa, non è sicuro girare in bicicletta di notte. Le strade del centro non mi preoccupano, ma la mia casa è un po' fuori e mi capita spesso di incontrare tipi poco raccomandabili. Mentre pedalo penso con amarezza che non ho incontrato quel ragazzo carino dalla pelle color cioccolato. L'ho cercato per tutto il giorno, ma è evidente che non era destino che io e lui ci incontrassimo di nuovo. Tuttavia, ho immortalato il suo sorriso in uno dei miei quadretti, uno di quelli che ho tenuto per me.

Arrivo vicino casa quando vedo in lontananza una folla agitata. Saranno circa cinque o sei persone e sembra stiano litigando. Man mano che mi avvicino noto che non sono solo agitati, si stanno azzuffando. È una rissa. Tre ragazzi stanno picchiando una persona a terra, mentre due tengono un altro ragazzo per le braccia. Questo cerca di divincolarsi e urla, ma i due lo tengono forte, non lo lasciano andare. L'altro ragazzo è rannicchiato su sé stesso mentre quei tre lo colpiscono con forti calci. Mi accorgo troppo tardi di essermi avvicinata troppo. E non so che mi prende, dovrei fuggire, cercare aiuto, invece inizio a urlare.

«Basta! Fermatevi! No! Vi prego! Così lo uccidete».

Si voltano verso di me, tutti tranne uno. Il ragazzo picchiato resta a terra, immobile. Stringo i pugni intorno al manubrio della bicicletta, i piedi ben piantati a terra e ho paura, sono terrorizzata. Gli aggressori restano a guardarmi per qualche secondo, poi scappano continuando a urlare insulti razzisti a quel ragazzo steso a terra. Sono orribili le cose che dicono. Non riesco a ripeterle. Appena gli aggressori si allontanano, lascio la bicicletta e corro dal ragazzo colpito. L'altro si avvicina a lui nello stesso momento in cui arrivo io. Ci guardiamo per un istante negli occhi e il mio cuore si ferma. È lui, l'artista di strada, il pittore con le vernici, colui che ho cercato tutto il giorno tra la folla, che ho immortalato in un mio dipinto, solo che ora non sta sorridendo. Il suo volto è sconvolto dalla preoccupazione, ha gli occhi lucidi, è spaventato e il volto è tumefatto. Resta a guardarmi senza parlare per qualche istante.

«Ciao», sussurra in fine.

«Ciao», rispondo.

Poi all'unisono abbassiamo lo sguardo sul ragazzo a terra. È immobile, ha gli occhi chiusi, la faccia insanguinata schiacciata sull'asfalto. Ha la pelle scura come la notte, è magro ma muscoloso. I suoi arti lunghi sono abbandonati sull'asfalto come il resto del suo corpo e per un attimo penso sia morto. Ma il ragazzo dal sorriso mozzafiato gli appoggia due dita sul collo e sospira di sollievo.

«È vivo», gli solleva la testa da terra e l'appoggia sulle sue gambe, «Bodi, amico, svegliati. Mi senti? Svegliati, resisti, ce la fai».

Dopo qualche interminabile secondo Bodi apre lentamente gli occhi e lancia un debole lamento.

«Bravo, Bodi! Così, ce la fai».

«Chiamo un'ambulanza», dico prendendo lo smartphone nella tasca del pantaloncino di jeans.

«No! No, ambulanza», esclama Bodi terrorizzato. Ha lo sguardo spaesato e spaventato, cerca il suo amico, prova ad afferrarlo con un braccio, ma è debole, non riesce a muoversi.

«Wuany no ambulanza, no ambulanza. Polizia, casa. No, ambulanza», continua a ripetere agitato.

«Bodi sei messo male, ti dobbiamo portare all'ospedale».

«No! No!» piagnucola Bodi sputando sangue. Quella scena mi stringe il cuore. Rischierebbe la vita pur di non chiamare l'ambulanza. Immagino che non abbia il permesso di soggiorno e tema che se lo portiamo in ospedale possano rispedirlo al suo Paese. Mi chiedo da dove venga. Il ragazzo dal bel sorriso che ho scoperto chiamarsi Wuany ha la pelle più chiara rispetto a Bodi e parla un perfetto italiano con l'accento romano. Non credo vengano dallo stesso Paese.

«Shhh! Calmati, Bodi, devi stare calmo, non agitarti».

Wuany cerca di calmare l'amico ma lui continua ad agitarsi, finché non sviene. Wuany impreca e punta gli occhi su di me.

«Chiama quell'ambulanza», mi dice sconsolato. E io lo faccio.

L'ambulanza arriva dopo un quarto d'ora. Bodi è in pessime condizioni e non riprende conoscenza, ma è vivo e lo portano in ospedale. Wuany ca con loro, mi lancia un'ultima occhiata prima che chiudano le porte del mezzo e in quei pochi istanti riesco a percepire il suo messaggio.

"Vieni con me, nonlasciarmi solo". Questo è quello che mi dicono i suoi occhi e io lo seguo. 

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