𝚠𝚊𝚝𝚌𝚑 𝚒𝚝 𝚝𝚊𝚔𝚒𝚗𝚐 𝚜𝚑𝚊𝚙𝚎
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Alla fine Bob e Futa si sono ubriacati davvero, davvero troppo.
Non so bene quanto abbiano bevuto, dopotutto posso dire con discreta certezza di aver passato più di metà della serata sulle cosce di qualcuno tanto, tanto carino e tanto, tanto tatuato, ma so che alla fine erano devastati.
È stato quando Futa ha tirato Bob in mezzo alla pista da ballo, gli ha espressamente chiesto di fare "quello che fanno Teru e Yams" e nel tentativo di baciarsi si sono dati una testata sul naso che abbiamo saggiamente deciso di riportarli a casa.
La tratta di ritorno è stata divertente come l'andata, forse più, ma trascinare Futa che è magro ma pur sempre più grosso di me non è stato facile.
Yūji ha comunque dovuto sorbirsi Bob in spalla, quindi direi che mi è andata bene.
Dunque, mollati questi due ubriaconi a casa loro, uno spiaccicato addosso all'altro sul divano perché a detta loro era decisamente molto più comodo del loro letto, arriviamo a questo esatto momento.
Terushima sotto casa sua che arruffa le mani nelle tasche dei pantaloni, tira fuori un pacchetto mezzo maciullato di sigarette inaspettatamente intere, ne mette una fra le mie labbra e una fra le sue, e nello stesso ordine le accende.
− Dai, su. - dice dopo qualche istante e un primo tiro a pieni polmoni.
Nella confusione della serata penso di non essermi reso perfettamente conto di cosa sia successo.
So che l'ho baciato.
Dopo quella prima volta mentre ballavo l'ho fatto una volta ancora, e un'altra dopo quella che non si sa mai, e forse un'altra ancora.
Però l'ho baciato io ogni volta.
O quantomeno gliel'ho chiesto.
Lui non si è mai... avvicinato di sua spontanea volontà, e ho l'impressione che da un certo punto di vista non volesse farlo.
Farmi sentire come se gli dovessi qualcosa, intendo.
Arruffo le sopracciglia.
− In che senso? - chiedo.
− Ti accompagno a casa. -
Ma... il dormitorio è... vicino.
Vicino abbastanza perché ci torni da solo. So che è brutto da dire, ma dopotutto sono un ragazzo. Certe accortezze con me sono... superflue, immagino.
− Guarda che puoi tornare a casa anche tu, non è un problema. - gli faccio notare.
Sorride a metà, di quel viso che ormai mi sono quasi abituato a vedergli stampato in faccia, e alza le spalle.
− Stai per caso dicendo che non vuoi stare con me, Tadashi? -
Torno in ragazzino imbarazzato in un attimo.
Il mio naso diventa di un colore stranamente vicino al rosso, scuoto la testa, e indietreggio.
Tento di rispondere, ma escono solo dei versi non ben distinguibili da un'unanime espressione davvero confusa.
Yūji scoppia a ridere, le labbra che si increspano quando lo fa, gli occhi che brillano.
− Stavo scherzando! - mi fa notare.
Ah, ma cazzo.
Sono la personificazione del disagio.
Prendo fiato.
− Io... non... −
− No, davvero! Stavo scherzando, sul serio. Mi fa piacere accompagnarti, ma se non hai voglia non importa. - riprende, più fermo, questa volta.
Scuoto la testa.
− No, no, cioè sì, insomma, se ti va. -
Dio, Tadashi. Imparerai mai ad essere chiaro con quello che vuoi?
Vuoi che Yūji ti accompagni a casa? Decisamente.
Vuoi magari anche che salga nel tuo dormitorio? Forse.
Che si levi i vestiti di dosso? Diciamo che potrebbe essere nelle cose che il me incazzato vorrebbe fare, ma penso che potrebbe essere un po' avventato.
Non che il sesso lo sia in generale, come idea.
Però nella mia vita ho fatto sesso con una sola persona e con quella ho avuto un legame molto profondo, per quanto ora si sia affievolito, per cui do a questa cosa un'importanza diversa.
Ma in ogni caso, Terushima non lo farebbe.
Di pensare che farmi accompagnare sia un invito a fare sesso, intendo.
Non so come posso dirlo, dopo averlo conosciuto per così poco tempo, ma lo so.
− Allora? Sì o no? Sai che non voglio fare niente di cui non sei sicuro. -
Ok, calmati, idiota.
Riprendi controllo di te stesso.
O magari... magari anche no.
− Sì, va bene. - ribatto semplicemente.
È quello che decido di fare dopo che non è assolutamente previsto dalla versione normale di me.
Mani fra le mani, dita sottili che si infilano fra dita piene di anelli, palmo contro palmo.
Ha la mano calda.
So che è... idiota. Dare la mano a qualcuno come se fosse una cosa fuori di testa.
Yūji avrà fatto cose che nemmeno posso immaginarmi, figuratevi se dare la mano a uno stronzo qualsiasi gli sembrerà una gran cosa.
Eppure il suo viso non dice questo.
Quando butta un occhio alle nostre dita intrecciate sembra che non ci... creda.
− Tadashi? -
Arrossisco un po' ma non indietreggio.
Questa è una scelta che ho fatto.
Non me ne vergognerò.
− Ti do fastidio? - chiedo.
Quando mi sorride, mi sembra che un po' qualcosa si sciolga.
− No, no. Figurati. -
I primi passi li facciamo in silenzio, il pollice della sua mano che scorre sul dorso della mia, in un gesto affettuoso e segretamente tenero.
Non è un silenzio fastidioso, però.
È quel genere calmo e pacato di silenzio che non spaventa, confortevole, che ti abbraccia e ti fa sentire bene.
Il rumore della città di notte, in quest'area prevalentemente residenziale, fra gli edifici scuri e spenti del complesso universitario, è piuttosto tranquillo.
Si sentono distintamente i nostri passi sull'asfalto, uno dopo l'altro, in un ticchettio calmo, regolare.
Terushima prende fiato prima di parlare.
− L'avevi mai fatto? -
− Che cosa? -
Attende un istante.
− Baciare qualcuno che non fosse... Tsukishima. -
Mi sarei aspettato di avere la realtà gettata addosso come un mattone. Mi sarei aspettato da me stesso di sentirmi indifeso, disarmato, di fronte alla consapevolezza di averlo tradito.
Invece, quando sento le sue parole, oneste, in me che non sono più accecato dalla furia ma soltanto divertito e un po' più sicuro di me stesso del solito, non vengo assalito dal senso di colpa.
− No. - rispondo, e basta.
È vero.
Non ho mai baciato nessuno che non fosse Tsukki.
− Ed è stato tremendo? Vuoi uccidermi così lui non saprà mai che l'hai fatto? - scherza, con un fondo che però riesco quasi a riconoscere.
Mi chiede se me ne pento.
E la risposta, vera tanto per me quanto per lui, rimane la stessa.
− Mi sono divertito. E il piercing è più piacevole di quanto non potessi immaginare. - ribatto, ridacchiando, le dita che si stringono sulle sue.
Sorride.
E sorride in un modo sincero, un'occhiata di sbieco, poi il suo sguardo assume qualcosa di perfido e si blocca di punto in bianco.
Mano sul mio mento, il mio viso fermo, labbra sulle mie.
È la prima volta che non mi chiede se può farlo, che non aspetta che glielo chieda.
Ed è... carino. Forse, ecco, tenero.
Quando si stacca gli occhi gli brillano un po'.
Riprende a camminare come se non fosse successo niente.
− Non ti senti davvero in colpa? Va tutto bene? - chiede, con un tono indagatore stranamente spaventato.
− In realtà stupisce persino me, la cosa. Non so nemmeno cosa pensare. - ribatto.
Eccolo, il dormitorio, che inizia a delinearsi nei suoi contorni scuri in fondo alla strada.
− Cosa ti piacerebbe pensare? -
− Che so qual è la cosa giusta da fare. -
Passi, altri passi, suole delle scarpe contro cemento rigido.
− Ti dirò una cosa, Tadashi, ma promettimi che se deciderai di ascoltarla sarà perché pensi che io abbia ragione e non per accontentarmi. - dice poi.
Un po' il cuore inizia a battermi più velocemente nel petto.
Quest'uomo è adorabile.
− Spara. -
− Promettimelo prima. -
Sorrido, sento il mio naso scaldarsi.
− Te lo prometto. -
Si volta, sorride dalla mia parte, il filtro quasi finito fra le labbra che tira un'ultima volta, prima di lasciarlo cadere nel cestino al lato della strada.
− Certe volte, le relazioni, non ti servono proprio. So che hai avuto solo esperienze di quel tipo, e so che il mondo ti sembrava essere quello, ma non è così. Puoi fare sesso con chi vuoi, baciare chi vuoi, divertirti in tutti i modi che ti vengono in mente, e nessuno avrebbe comunque nessun diritto di giudicarti. -
Inspira.
− E non sto parlando di me. Sto parlando di chiunque tu voglia, davvero. La libertà vale più della sicurezza e a questo punto potrebbe darti più soddisfazioni di quanto immagini. Quando andavamo al liceo non sorridevi come hai sorriso quando stavi ballando prima, al locale, sorridevi come se ti sentissi fuori posto. -
Ma io mi sono sempre sentito fuori posto.
No?
− Dovresti imparare che puoi fare il cazzo che ti pare, come cazzo ti pare e quando cazzo ti pare, Tadashi. E che se la tua felicità è fare una stronzata dietro l'altra, allora va bene lo stesso. Le cose sono fluide, e cambiano, forse è arrivato il momento che anche tu provi com'è essere diversi. -
Terushima è... bravo a parlare.
Bravo a mettere in fila in poche parole ordinate una sensazione che mi ribolliva nel petto da ore.
Posso fare il cazzo che mi pare.
Sì, posso.
Posso perché non ho niente da perdere, posso perché voglio, posso perché sono libero, e me stesso.
E sotto sotto so di essere fragile, so che non posso nascondere la versione tremolante e timida di me in quel modo e con questa foga, ma dall'altra, se entrambi fossero lo stesso Tadashi?
Nemmeno sono più incazzato, per gli audio di Tsukki.
Sono incazzato per aver permesso loro di farmi sentire inutile anche solo per un istante.
Sono incazzato perché per tirare fuori un lato di me così fiero, e orgoglioso, ho dovuto fare affidamento un'altra volta su qualcun altro.
Ma sono incazzato e euforico della mia rabbia, perché è come adrenalina nel corpo di qualcuno che non l'ha mai nemmeno sentita nominare.
− Sei davvero saggio, per essere un dongiovanni. - commento, pochi secondi dopo.
Yūji ride, e ride di gusto, scrutandomi negli occhi e carpendo quella vena di ironia nella mia voce.
− Sono saggissimo. E anche molto bello, e simpatico, e un miliardo di altre qualità. -
− Convinto tu. -
Increspa le labbra quando sorride, in un modo davvero attraente.
Si infila nella porta, più vicina di quanto ricordassi, del dormitorio, mi trascina con sé.
− Mi prendi in giro? -
− Cosa te lo fa pensare? -
Ridiamo, nell'ascensore.
Sono bloccato contro lo specchio, un avambraccio teso e una mano appoggiata al lato della mia testa, dita sui fianchi, labbra morbide contro le mie.
Mi prende quasi un colpo quando le porte si aprono.
− Vuoi... − la mia voce inizia prima che ci pensi.
Avevo pensato di non volerlo fare, prima.
Miseria.
Un po' di autocontrollo, Tadashi, calmati, o penserà...
No.
Fermati.
Chi se ne frega di che cazzo pensa, no?
Chi se ne frega.
Fai il cazzo che ti pare, Tadashi.
Fai il cazzo che ti pare.
− Voglio...? -
La mia porta è la prima.
Rinnovata fiducia, chiudo le dita contro il collo di una maglietta che ho scelto io qualche ora fa, palmi contro il tessuto, appoggio la schiena contro il muro vicino all'ingresso della mia stanza e lo tiro su di me.
− Vuoi entrare? - chiedo.
Si lecca le labbra.
Un luccichio di metallo, quello che cattura la luce elettrica delle lampade al neon, poi mani grandi che si stringono attorno alla mia vita, pollici che scorrono sulla pelle bianca, vicino all'ombelico, naso contro il naso.
− Ti ho già detto di no, stasera. Quando ancora vuoi insistere? - chiede, un tono sarcastico e Dio, davvero, davvero basso e sensuale.
Di nuovo, non so bene cosa mi prenda.
Sono così confuso ed euforico che le sensazioni nemmeno le distinguo più, in questo marasma di eccitazione e voglia e sensualità e consapevolezza di poter fare il cazzo che mi pare.
So che lascio scorrere le dita aperte sul suo petto, poi le chiudo dietro il collo.
− Finché non smetti di fare il bravo ragazzo e mi dici di sì, Yūji. - rispondo.
Oh, questo gli piace.
Il mio tono di voce che nasconde un'innocenza falsa e sensuale, gli piace davvero tanto.
Perché mi ha baciato più volte, stasera, ma non con le labbra che spalancano le mie in questo modo, non con le mani che sembrano volersi perdere dentro di me, non... così.
− Sei una serpe, Tadashi. Una serpe. Stasera farò la doccia gelata più lunga della mia cazzo di vita, porca troia. - commenta, quando si stacca, le ciglia folte che sbattono e le pupille incollate alle mie labbra.
Mi avvicino, bocca vicino al suo orecchio.
− O potresti entrare, e fartela con me la doccia. -
Pupille che si dilatano, respiro che si mozza.
Mi piace, fargli questo effetto.
Mi piace vederlo sgretolarsi un pezzo alla volta di fronte alla sensazione che non può fare nulla per respingermi.
Mi fa sentire... potente.
− Tu non sai in che casino ti stai infilando, bambino. -
− Oh, davvero? Perché non me lo fai vedere, allora? -
Infila la lingua fra i denti, le mani che si stringono sulle mie spalle, la mia schiena un'altra volta contro il muro.
Labbra sulle mie il secondo dopo, dita che affondano sul fianco, sul culo senza vergogna, calore ovunque.
− Non sarà oggi, ma il giorno in cui succederà, forse, mi dirai che avevo ragione. Ora me ne vado, prima di farmi riprendere dalle telecamere del tuo dormitorio ad avere un orgasmo completamente vestito. Ne va della mia reputazione. - scherza, quando si allontana.
Ridacchio anch'io.
Niente per davvero, questa sera.
Non importa.
− Su che cosa dovresti aver ragione? - chiedo registrando le sue parole un secondo dopo.
Non risponde immediatamente, anzi, prima mi lascia un bacetto veloce sulle labbra, infila una mano nella mia tasca, prende le chiavi e apre la porta per me, mi spinge dentro.
E prima di darmi la buonanotte nel modo esatto in cui l'ha fatto la prima volta, sorride.
− Diciamo che se inizio non mi fermo. E che potrei essere un po'... come dire... violento. -
Timidezza e curiosità mescolate assieme, viso che si arrossa.
− Che peccato. E io che volevo vedere dal vivo. - ribatto.
Sospira, alza gli occhi al cielo.
− Cosa avevo detto? Maledetta serpe. -
Sorride un'altra volta, si sporge di qualche centimetro per baciarmi come gli mancasse farlo di già.
Si volta, cammina verso l'ascensore.
− Chiamami, domani mattina. Voglio vedere se mi odi. Ricordatelo. -
Idiota.
− Ok. - rispondo.
E chiudo la porta al suono di un caloroso, dolce e ridacchiato: "Buonanotte, Tadashi".
Vado a dormire poco dopo, un po' accaldato dalle sensazioni che non sono totalmente scomparse, senza farmi nemmeno la doccia, sfinito dall'essere stato così... euforico, credo.
Prima di chiudere gli occhi, butto uno sguardo veloce al mio cellulare.
Fai il cazzo che ti pare, Tadashi.
Lascia indietro chi ti blocca.
Cancello gli audio di Tsukki. Uno per uno.
Mi viene la tentazione di cambiare il nome in rubrica, ma qualcosa mi ferma.
Forse la parte più timida di me.
Ci penserò su un'altra volta.
Mi addormento.
La mattina dopo, a svegliarmi, non è il rumore fastidioso della suoneria del mio telefono, non è la luce, non è la sbronza e non è la voglia di piangere.
La mattina dopo, a svegliarmi, è qualcuno che bussa alla porta.
Apro un occhio alla volta, ancora gonfi e pesanti dal sonno scomparso così in fretta, stiracchio le braccia in alto, faccio scattare l'articolazione del gomito e le vertebre, sbadiglio.
La persona bussa solo più forte.
− Arrivo! Arrivo, un attimo. - dico, la voce ancora un po' trascinata, stanca.
Chi è?
Il responsabile delle matricole? Non ho avuto ancora modo di chiedergli scusa, in effetti.
Magari è Terushima che vuole portarmi fuori a colazione. Non mi dispiacerebbe, la cosa.
Tiro giù una gamba alla volta, pettino indietro i capelli con una mano.
Quando apro la porta, devo dire che non me l'aspettavo.
No, sul serio.
Non me lo aspettavo minimamente.
Alto come al solito, biondo come al solito, con gli occhiali come al solito.
Sorride in un modo che nasconde pentimento, gli occhi bassi, il fiatone.
Non so cosa dire.
Apro la bocca, ma non riesco ad elaborare nulla.
− Scusami. Sono venuto qui a chiederti scusa. Non mi sono reso conto di averti mandato quegli audio, ieri sera, ed ero davvero troppo ubriaco. Mi dispiace, non intendevo tutte quelle cose, non volevo essere stronzo. - inizia, e mi sorprende la quantità di parole che stanno uscendo dalle sue labbra.
Di solito non è uno che parla molto, eppure non sembra riuscire a farci molto.
− Non è vero che ti odio, tutte quelle cose erano solo stronzate. È che mi manchi per davvero, e non so perché ho pensato che fosse una buona idea uscire e mettermi a bere, sul serio, sono stato un coglione... −
Quando appoggio una mano sul suo polso, si blocca.
Non so come mi sento.
A guardarlo e a pensare che sia meraviglioso quando ieri sera pensavo le stesse cose di un'altra persona.
Forse un po' uno schifo, all'inizio.
Ma poi mi ricordo anche di quello che mi ha detto Terushima, mi ricordo di come mi sono sentito quando ho preso delle decisioni per me stesso.
Fluido, aveva detto lui.
Fluido e che cambia, mutevole, mai uguale, sempre diverso.
Forse sono così.
Forse dovrei smettere di chiedermi dal profondo del cuore il perché delle cose che faccio e iniziare a farle e basta.
− Non è un problema, Tsukki. - dico.
Lo era. Un problema, intendo, ieri sera, per un attimo lo è stato.
Ma non è giusto per me stesso che lo fosse, e questa, alla fine, è la verità.
Tsukki si ferma, gli occhi dorati che salgono finalmente sui miei, e sorride per un secondo.
Mi era mancato.
Il suo viso.
Mi era mancato.
Non ami qualcuno come io ho amato e forse tutt'ora amo lui per dimenticartene in qualche giorno. Impari a cambiare, esplori, ma le cose non si cancellano, e Tsukki, dalla mia vita, qualsiasi scelta io faccia, non penso potrò cancellarlo mai.
− Posso abbracciarti? - chiede.
Annuisco.
Anche l'odore, mi era mancato.
Mani grandi, pelle chiara, odore di pulito.
Non ha quella mistura meno elegante ma più speziata di fumo che ha Terushima, è più tranquillo, l'odore di Tsukki.
Penso che mi piacciano entrambi.
E penso anche che posso concedermi di indugiare a sentirli tutti e due.
− Mi dispiace. Lasciarti è stata la cosa più difficile della mia vita, vorrei non averlo mai fatto. - sussurra, le parole sincere, ma che mi fanno un effetto diverso da quello che mi sarei aspettato.
Se me l'avesse detto qualche giorno fa, forse, avrei ricominciato ad essere del pallore emaciato dell'anonimato in un attimo.
Sarei tornato come un cane a pregarlo di riprendermi.
Ma non riesco a dimenticarmi la sensazione di essere felice della mia libertà.
Non riesco a mandarla giù.
− Hai fatto bene, a farlo. - rispondo, il viso contro una spalla e onestà pura che mi scorre nel petto.
− Lo so. So che era la cosa giusta da fare, ma me ne pento lo stesso, Tadashi. -
Non so quanto rimaniamo abbracciati.
So che non posso negare che rimetta qualcosa a posto dentro di me, abbracciarlo.
Toccarlo e sentire che c'è.
− Possiamo far finta che non sia successo niente e ricominciare da capo, solo io e te? - chiede alla fine.
Ed è questo che mi scuote.
Mi scuote perché il mio cervello parla prima di me.
− No. -
No?
Avresti mai sentito il Tadashi timido e pacato, costantemente fuori posto, inutilmente anonimo, grigio, pura carta da parati, rifiutare questo?
Nemmeno io.
Ma l'animo che si sta risvegliando nel mio petto, quello che voleva farsi trovare nella camera di questo dormitorio da Tsukki con il corpo di Terushima addosso, quello che vuole trascinare il mio ragazzo, o ex ragazzo, dal colletto della maglia e baciarlo per il puro sfizio di volerlo fare, lui non ammutolisce.
Lui rimane caldo, e vivo, vivace.
E mi fa rispondere di no.
− Non vuoi rimetterti... con me? -
Tsukki è stupito.
Non so se il suo stupore sia effettivamente ferito o più... orgoglioso? Sorride.
− Non ho detto questo. Forse io e te siamo veramente fatti per stare assieme, Tsukki, ma devo capire che cosa voglio, prima. Penso di avere bisogno di un po' di tempo per me stesso. - spiego.
È sereno, quando annuisce.
− Dovrò conquistarti da capo, alla fine, non è vero? -
Mi viene quasi da ridere.
Nella confusione mattutina, nella sensazione ovattata del sonno che ho appena lasciato, ridacchio appena.
E chi cazzo l'avrebbe mai detto.
Che io mi sarei svegliato dopo aver passato una serata a baciare un ragazzo e ne avrei rifiutato un altro la mattina dopo, trattandolo come uno spasimante.
Chi l'avrebbe mai detto che mi sarei sentito così prezioso a valorizzare le mie intenzioni per quanto fluide e mutevoli.
Terushima ha detto che la libertà vale più della sicurezza, penso che sia vero.
− Potrebbero esserci altri contendenti, però. Devi stare attento. - scherzo.
Tsukki mi fissa come se avessi bestemmiato per un istante.
− Cazzo. So che non stiamo più assieme, ma sai che sono geloso. Vuoi uccidermi? -
Alzo le spalle.
− Naah, solo essere onesto. -
Sospira, una mano che si spiaccica in faccia.
− Chi? -
− Non te lo dico. -
− Ci hai fatto... sesso? -
Lo dice con un tono disgustato, come se il solo pensiero lo distruggesse.
− Non sono affari tuoi cosa faccio e con chi, Tsukki. Impara a stare al tuo posto. - ribatto.
Spalanca gli occhi, poi prende un grande respiro.
− Giusto, giusto. -
Indietreggio in camera mia.
− Vuoi entrare? Mi devo fare la doccia, ma le lezioni iniziano tardi. Possiamo andare a fare colazione, se ti va. - dico, invitandolo con un gesto del capo.
− Mmh, sì. Ho preso il primo biglietto che ho trovato ma quello di ritorno è fra tre ore e non so che cosa fare nel frattempo. -
Mi viene da ridere, a vedere la figura alta e imponente del mio ex fidanzato, o fidanzato, o che ne so io, infilarsi abbassando la testa nella stanza dove ho pianto così tanto per lui.
Mi sarei aspettato un ricongiungimento più turbolento.
E invece, alla fine, sembra che le cose stiano procedendo in un modo piuttosto pacato.
Chissà.
− Camera tua è un casino. - commenta.
− Lo so. -
Non ho intenzione di metterla a posto perché ci sei tu, sto dicendo.
− Fai come se fossi a casa tua, mi lavo e arrivo. - comunico, infilandomi nel bagno senza pensarci due volte.
Devo un secondo fare mente locale, perché stanno succedendo un mare di cose.
Fisso i miei occhi allo specchio.
Mettiamo in fila le cose.
Ieri sera? Ieri sera ho baciato Terushima, l'ho praticamente pregato di fare sesso con me e ha rifiutato, mi ha chiaramente lasciato intendere che gli sarebbe piaciuto ripetere l'esperienza e devo dire che all'idea non sono così avulso nemmeno io.
Ora? Ora Tsukki è nella mia camera del dormitorio, mi sento stranamente sicuro di me e privo della patina grigiastra che ha sempre avuto il mio carattere, mi sono comportato con lui come non ci fosse un grammo di insicurezza in me e non si è lamentato.
Ma io, che cosa voglio?
Da una parte essere fuori di testa ed euforico per il resto della mia vita. Da una parte voglio uscire di qui, chiamare Yūji, farmi portare in qualche idiotica avventura un'altra volta e fare tutte quelle cose che non ho mai potuto fare.
E dall'altra la calma mi attrae, l'amore che ho pensato fosse sicuro per così tanto tempo, l'odore di cotone pulito di qualcuno che è dolce, con me, che so che mi ama davvero.
Mi tolgo i vestiti, mi infilo sotto il getto tiepido dell'acqua.
E chi ha detto che non puoi provare entrambe, idiota?
Chi ha detto che non puoi mutare e cambiare e fare il cazzo che ti pare finché non sai cosa vuoi scegliere?
Terushima sa che ami Tsukki, in fondo.
E Tsukki sa che vuoi uscire dagli schemi, gliel'hai detto.
Loro sanno la verità, non li stai ingannando.
E se tutti vogliono partecipare a questo gioco, perché tu sei così riluttante all'idea di buttarti nella mischia che tu stesso hai creato?
Impara a guardare le cose per come sono, impara a delineare la figura totale delle cose, impara ad allargare i tuoi orizzonti.
Cosa direbbe, la gente comune?
Che stai facendo la troia, Tadashi.
Ma che cosa c'è di male, dopotutto? Che diritto hanno le persone di giudicarti se vuoi imparare a conoscere te stesso provando quello che ti viene offerto?
Che problema c'è, se fai scelte che potrebbero essere sbagliate per la gente comune?
Puoi fare tutte le stronzate che ti pare, alla fine.
Non tutti sanno sempre cosa devono fare. E quando non lo sai, cosa devi fare, intendo, la soluzione, forse, potrebbe anche essere andare per tentativi.
Fluido, fluido e mutevole, cangiante, liquido, trasparente e brillante allo stesso modo.
Questa è la prima grande decisione che prendo.
Di non sentirmi in colpa se voglio entrambi e non voglio nessuno, di smettere di pormi la ridicola questione della morale invece di vivere e scegliere con l'ausilio dell'esperienza.
E la prendo nudo, di mattina, con il mio ex sul letto del dormitorio, mentre mi faccio la doccia.
Che scenario epocale.
Mi lavo relativamente in fretta.
Niente di troppo lungo, o riflessivo, quello su cui dovevo ragionare l'ho già esaurito, e perdere tempo non avrebbe senso.
Anzi, tiro via il sapone di fretta, mi asciugo, infilo le mutande pulite che tengo sul mobiletto del bagno, esco così.
Tsukki mi ha visto nudo migliaia di volte, in mutande non sarà un dramma.
Mi guarda un po' troppo fisso, un po' troppo a lungo, non dice nulla, questa volta.
− Passami la maglietta che c'è lì sopra. - lo incito.
Occhi spalancati, prende un respiro e obbedisce.
− Mi dimentico sempre di quante lentiggini hai. -
Ed eccolo tornato, il potere di queste costellazioni chiare sulla mia pelle.
Chissà, forse sono davvero affascinanti come tutti dicono.
Sorrido infilandomi la maglietta, mi sporgo per prendere un paio di jeans.
− Devi asciugarti i capelli, prima di uscire. Inizia a fare fresco. -
− Non ho voglia. -
È vero. Chi ha tempo da perdere al phon? Non io di certo.
− Oh, ok. -
Mi viene da ridacchiare, a sentire la risposta.
Tsukki non era abituato, alla mia onestà, immagino.
Più ad una versione dimessa della stessa persona che avrebbe seguito senza pensarci due volte i suoi consigli.
Ma ho deciso di non voler essere più in quel modo.
Però mi fa piacere che in questo percorso non si voglia mettere di traverso.
Anzi, sembra quasi più contento di me di questa epifania interiore.
Una volta completamente vestito, ci metto un po' a radunare i libri sparsi per la scrivania e infilarli nella borsa a tracolla che uso per tenerli di solito.
Lego i capelli umidi, infilo gli occhiali, la giacca di jeans.
− Usciamo? - chiedo.
Tsukki mi fissa, il volto completamente indecifrabile e un'espressione che sembra non capire appieno, per davvero, quello che è successo.
Ma annuisce.
− Conosci qualche posto che faccia un buon caffè? -
− Non... bene. Diciamo che non sono uscito tanto, questi giorni. -
Giù per le scale, uno scalino alla volta.
− E allora come l'hai conosciuto quel pretendente di cui parlavi prima? -
− Non riesci a pensare ad altro, vero? - lo prendo in giro, quando finisce di parlare.
Sì, Tsukki è un tipo geloso.
Molto, molto geloso.
Non è uno che si lascia catturare dalle emozioni, ma so che dentro, sotto sotto, ribolle, e che questa cosa potrebbe essere un problema, con la situazione corrente.
Ma i problemi vanno affrontati quando si presentano, per cui lascio perdere.
− Penso che mi esploderà il cervello se ci penso ancora. - ribatte.
Il tono è scherzoso, ma so che lui non lo è.
Amen.
− Sono uscito a bere qualcosa, è successo. -
Usciamo all'aria aperta, mi sento prendere in un attimo per un polso, dita lunghe sulla mia pelle abbronzata.
− Lo ami? -
Scoppio a ridere.
Scoppio genuinamente a ridere.
E mica ci avevo pensato, io, che anche Tsukki avrebbe assunto tinte diverse, separato da me. Invece sembra più infantile, forse, insicuro, dolce e curioso, quando me lo chiede.
− No, Tsukki, no. - rispondo, quando riesco a riprendere fiato.
− Scherzavo. -
Non scherzava.
Sa che lo so, e arrossisce appena, ma poi lascia perdere e ricomincia a camminare.
− E comunque è concorrenza scorretta. Come faccio a competere se lui vive qui e io a tre ore di treno? -
− Questo è un problema tutto tuo, Tsukki. -
Sospira.
− Mi ucciderai. -
Ridacchio ancora, continuo a camminare.
Mi pare di ricordare che ci fosse un bar da queste parti, uno di quelli da studenti. Non ho la minima idea se sia buono o meno, il caffè, ma meglio di niente di sicuro.
Tsukki, inaspettatamente più in carenza d'affetto di me che pure sono un disastro ambulante in materia, infila le dita fra le mie.
− Posso tenerti la mano? - chiede, prima di chiuderle.
Tenero, alto Kei.
− Sì. Non è che mi vergogno. -
− Va bene. -
Lo calma, forse. Il contatto, sentire che ci sono, un gesto così familiare che rivela che anche se le cose stanno cambiando, questo non vuol necessariamente dire che saranno peggiori.
Entriamo nel bar, gremito di studenti, prendiamo un posto vicino al vetro.
− Cosa vuoi? - chiedo, prima di sedermi.
− Un caffè americano, ma aspetta, fammi paga... −
Lo spingo sulla sedia premendo con la mano sulla spalla.
− No, no. Offro io, nessun problema. -
− Ma... −
− Nessun problema. - ripeto.
Mi allontano che mi guarda in un modo che non so ben distinguere. Con un minuscolo grammo di adorazione, forse, meno palese e sfacciata di quella di Yūji ma timida e nascosta, e sorride.
La fila alla cassa è breve, però.
La faccio velocemente.
Quando arrivo di fronte alla ragazza che batte nervosamente sui tasti, sorrido, e lei risponde.
− Vorrei un caffè americano e un cappuccino. Ci metta il caramello, nel cappuccino, grazie. - chiedo.
− Ti piace dolce? -
Annuisco.
− Ne metta un po' anche nel caffè. Fa il duro, ma gli piacciono le cose zuccherate. - scherzo, indicando con un gesto del capo Tsukki, che mi guarda con il suo viso d'acciaio, affilato ed eppure incuriosito.
La ragazza sorride.
− Il tuo ragazzo? - chiede.
Con quale faccia posso rispondere? Con quale coraggio?
Con quello che stai imparando a tirare fuori, Tadashi.
− Non proprio. -
Lei alza un sopracciglio, si lecca le labbra con fare eloquente.
− Se non è il tuo, posso chiedergli di essere il mio? Non per essere invadente, ma ecco... −
Ridacchio.
− Gli piacciono i ragazzi. -
− I ragazzi? O tu? Ti guarda come se fossi fatto d'oro. -
Arrossisco un po', anche perché il tono con cui lo dice non è antipatico, ma scherzoso e tenero, in fondo.
− Sto iniziando a pensare che potrebbe valere la pena crederci. - ribatto.
− Che sei fatto d'oro? -
− Ah-ah. -
Sorride.
Un sorriso grande, a trentadue denti, prende i bicchieri di cartone e scrive le ordinazioni, mi fa pagare.
Aspetto in fondo al bancone, ringrazio, torno al tavolo con i caffè in mano.
− Che c'è scritto? - chiede Tsukki quando gli passo il suo.
In effetti non ci sono i caratteri distinti del mio nome, sopra.
Sorrido.
− "Ragazzo d'oro". -
Aggrotta le sopracciglia.
− La conosci? -
− No. -
Alza le spalle, toglie il tappo di cartone, lascia il caffè sul tavolo per fare in modo che si raffreddi più in fretta.
− Non che possa darle torto in ogni caso. -
Gli faccio la linguaccia.
− Ruffiano. -
− Assolutamente. -
Un po' mi mancava.
No, mi mancava e basta.
Che Terushima è bello, divertente e nuovo, ma Tsukki è la dolcezza di tanto tempo passato assieme.
A proposito di Terushima, dovevo chiamarlo.
Cazzo.
Mi sono dimenticato di chiamarlo.
Come ho fatto a dimenticarmene?
Miseria, miseria.
Che un conto è essere libero, un conto è fare promesse e non mantenerle.
− Tsukki, ti offendi se faccio una telefonata? - chiedo di colpo.
Idea del cazzo? Lo è, al cento per cento.
− Ehm, no, immagino. È una telefonata importante? -
Mi alzo.
− Abbastanza. Torno subito. -
Cerco il numero in rubrica mentre esco, sperando spasmodicamente che risponda, che non sia arrabbiato, di non aver tradito la sua fiducia.
Idiota, idiota di un Tadashi, che era quella scenata di stamattina di coraggio?
Coraggio vuol dire dimenticarsi degli altri?
Coraggio vuol dire egoismo?
Ti odierà.
− Tadashi! Ti sei svegliato ora? - è la prima cosa che sento, quando risponde.
Mi rilasso.
Non farti strane idee.
Te l'ha detto lui, di fare il cazzo che ti pare, no?
Con l'onestà, fai tutto.
Basta non dire bugie.
− Una mezz'ora fa, e sono fuori a prendere un caffè. - ribatto.
− Oh, davvero? Sei solo? -
Non lo chiede per indagare, per curiosità.
− Sono con Tsukki. -
Non so che faccia abbia.
Passerà del tempo, prima che qualcuno mi dica che Terushima, a quelle parole, è sbiancato. In questo momento non lo so ancora, nemmeno me lo immagino.
− Oh. Ti ho disturbato? -
− Ma se ti ho chiamato io! -
La sua voce è frizzante, ma un po' abbattuta.
Non sarà geloso anche lui? Ma che, uno del genere. Uno che ti dice di fare quel che cazzo di pare, come cazzo ti pare e quando cazzo ti pare, non è geloso.
Credo.
− Ah, giusto, giusto. Allora, mi odi? -
La domanda è meno spensierata di quella di ieri sera.
È quasi convinta, ora, come se si aspettasse una risposta affermativa.
− Assolutamente no. Anzi, penso che rifarlo potrebbe non essere male. - rispondo ridacchiando al fondo.
− Ma Tsukishima... −
− Io e Tsukki non stiamo più insieme, Yūji. E avevi ragione, ieri sera. La libertà vale più della sicurezza. -
Respira piano.
− Non so se qualcuno te l'abbia mai detto, bambino, ma sei sorprendente. -
Arrossisco appena, ridacchio.
Mi giro dall'altra parte, i miei occhi incontrano quelli di Tsukki.
Studia la mia faccia.
− Non mi dici che sono una troia? - chiedo, di punto in bianco.
Ride.
− Si chiamano "sex worker". E non c'è niente di male ad esserlo, anche se tu non lo sei. -
Sorrido attraverso il vetro, sorrido a Tsukki, sorrido a Yūji al telefono, sorrido al mio riflesso.
Sorrido di fronte alle possibilità.
− Ora torno dentro. - comunico.
− Oh, certo. Dopo posso richiamarti? Ho una proposta imperdibile che coinvolge me, te, Bob, Futa e un'aula studio. -
− Mi stai chiedendo di venire a studiare con voi? Sarebbe questa la proposta imperdibile? -
− Più o meno. Ma quando lo dico io è più divertente. Ora torna dal tuo fidanzatino, o verrà a strozzarmi a mani nude. -
Ridacchio.
− Probabile. - dico, prima di chiudere.
Telefono in tasca.
Guardo Tsukki.
Timido, bello, incuriosito, preoccupato.
Mi dispiace quasi.
Ma dall'altra sono contento di essere arrivato a questo approdo.
Rido fra me e me mentre rientro.
Mi dispiace che tu debba sorbire lo stadio intermedio del mio cambiamento, che debba avere pazienza, vorrei dirgli.
Ma, questa volta, per avermi, mi sa proprio che dovrai combattere.
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