𝚝𝚎𝚕𝚕 𝚑𝚒𝚖 𝚝𝚘 𝚜𝚝𝚘𝚙
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Ci svegliamo all'ora di pranzo.
Non so a che ora siamo effettivamente andati a dormire ieri sera, ricordo che il sonno che ho preso s'è presto spezzato e mescolato con tanti altri dettagli che vagano fra le parole sussurrate a notte fonda e le mani che si cercano.
Ci svegliamo all'ora di pranzo, questo è tutto quello che posso dire con certezza.
Apro gli occhi sbattendoli più di una volta che la luce fuori dalla finestra è calda e piena, Yūji si sta stiracchiando dall'altro lato e mi sento tremendamente appiccicoso.
− 'Giorno, principessa. – mi sento dire da una voce bassa e appena un po' assonata.
Sorrido come posso, non rispondo.
− Come stai? –
Arriccio la fronte, cerco di fare mente locale.
Come sto?
− Mi fa male tutto. –
− Quanto male? –
Il tono di Yūji, quando mi risponde, è apprensivo, dolce, preoccupato. Si sporge verso di me come se non si fosse anche lui appena alzato, cercando sul mio corpo segni tangibili del dolore che gli ho detto di provare.
− Male in senso buono. Come se avessi fatto una maratona. –
Sospira, poi alza un sopracciglio.
− È un complimento? –
Ridacchio.
− Prendilo come ti pare. –
− Allora lo prendo come un complimento. Yūji Terushima, la maratona. Suona bene. –
Rido di più, lo colpisco appena sulla spalla mentre sorridendo anche lui, si gira e si avvicina. Sistema i miei capelli arruffati, mi studia il volto.
Si sporge e preme una sola volta le labbra contro le mie.
− Posso portarti a fare la doccia? Credo che tu ne abbia bisogno, ma se ti mette a disagio me ne vado. –
− Yūji, mi hai letteralmente fatto avere un orgasmo parlando ieri. Hai messo la tua lingua in un posto in cui ecco... diciamo che non dovrebbe entrarci, poi mi hai quasi aperto in due. Di cosa dovrei essere a disagio? – rispondo, cercando di trascinare via la raucedine dalla voce.
Yūji si blocca, poi lo vedo sorridere.
− Chi l'ha detto che non dovrebbe entrarci la lingua? C'entra. Ci è entrata. –
Arrossisco, so che lo faccio, distolgo lo sguardo. Forse di tutte le persone lui è la meno indicata, per fare a gara su chi sia più sfacciato.
− Non c'è bisogno di... −
− Ah, e mi pareva anche che ti piacesse. Vuoi riprovare? Stai dicendo questo? –
Mi copro il viso con una mano.
− Non è quello che stavo dicendo. –
Abbassa platealmente gli angoli della bocca all'ingiù.
− E io che ci speravo. –
Sbuffo, riprendo fiato e cerco di tornare in me.
− Volevo dire che possiamo andare a fare la doccia, Yūji. Ma uno per volta, non credo che riuscirei a correre un'altra maratona. –
Fa "no" con la testa.
− E se invece della maratona mettessimo... − inizia.
La voce gli muore in gola.
− Che cosa? – lo incalzo.
− Ma no, dai, niente di importante. –
Alzo gli occhi al cielo.
− Parla, Yūji. –
Si mordicchia il labbro inferiore come fosse un bambino, poi sospira e mi guarda.
− Senti, lo so che è una cazzata colossale. Ma a me piace farmi fare le coccole quando faccio sesso, ok? Mi piace mettermi sotto la doccia e farmi fare le coccole. –
Reprimo una risata.
− Dopo avermi dato della troia una notte intera vuoi che ti faccia le coccole? –
Arrossisce e credo di non averlo mai visto fare qualcosa del genere.
− Diciamo di... sì? –
Allungo una mano verso il suo viso, l'altra e le collego dietro il suo collo.
− Non so come si faccia a farsi le coccole nella doccia, ma per quanto mi riguarda fai pure. –
Sorride a trentadue denti.
Sorride, si scosta dal letto, gloriosamente nudo si tira su e carica anche me, ci trascina verso il bagno.
Mi appoggia col culo sulla pietra fredda del lavandino e m'irrigidisco, prima di cacciare un urletto e colpirlo un'altra volta sulla spalla.
− È freddo, cazzo! –
Infila il naso contro l'incavo del mio collo, strofina il viso contro il lato del mio.
− Mmh, lo so, mi spiace. –
Si allunga oltre il mio corpo, prende lo spazzolino dal bicchiere sul ripiano e lo appende nella sua stessa bocca, prima di afferrare, con la stessa mano, il dentifricio.
Credo che gli sia impossibile usarne due contemporaneamente perché deve fare in modo che non cada.
− Mi hai appena rubato lo spazzolino? – borbotto, senza nemmeno troppo fastidio, mentre appoggio la fronte contro la sua spalla.
− È un prestito. Ti fa schifo? –
− Perché dovrebbe farmi schifo? –
Mi dà il tubetto di dentifricio in mano, riprende lo spazzolino e aspetta che ne metta un po' sopra, poi sorride.
− Non lo so, forse sono solo un po' insicuro. –
Inizia a lavarsi i denti con calma.
− Yūji, qualcosa ti ha mai dato motivo di essere insicuro in vita tua? – ribatto, quasi incredulo.
Non riesce a rispondere, non verbalmente quantomeno, ma lo vedo fare "sì" con la testa, alzare la mano libera e spudoratamente indicarmi.
− Io? –
Annuisce una volta ancora.
− Ma che dici? –
Alza un sopracciglio, mi squadra.
Credo voglia ampiamente sfruttare i suoi due minuti di igiene dentale per torturarmi.
− Io non ho fatto niente, Yūji. –
Il sopracciglio si alza così tanto che credo potrebbe cadergli dalla faccia.
− Ok, va bene. Ho fatto sesso con Tsukki e poi ho fatto sesso con te. Non è che sono il primo del mondo ad avere una vita sessuale un po' vivace, no? –
Il suo sguardo si adombra per un istante, poi torna sereno.
− Certo, non è stato carino da parte mia, lo so. Ma da qui a farti dubitare di te stesso... ecco, non... non vorrei mai, mettiamola così. –
Yūji fa spallucce, mi stringe più forte e mi aiuta a scendere dal lavandino.
Poi si risciacqua i denti mentre io cuocio nel mio brodo.
Quando si tira su, ciuffo di capelli che si muove e gocce d'acqua attorno alle labbra comprese, mi guarda attraverso il riflesso come se di me volesse divorare anche qualcos'altro, oltre che il mio corpo.
− So che non vorresti, Tadashi, ma se qualcuno s'innamora di te e tu lo rifiuti da ubriaco per scappare dal tuo ex ragazzo, allora è normale che succeda. – mi dice, con parole affilate che mi sembrano quasi farmi fisicamente male.
Mi guardo le punte dei piedi.
− Ho fatto una cazzata. –
− Lo so. –
Silenzio.
Mi sporge lo spazzolino, mette dentifricio anche per me, mi chiede di aprire la bocca. So che è per lavarmi i denti, ma Terushima ha un modo di fare troppo sessuale e cerco di cacciare via il pensiero.
− E ci sono rimasto di merda. Ma non sono cazzi tuoi. –
Tolgo lo spazzolino dalla bocca per rispondere.
− In che senso non sono cazzi miei? Sono io che... −
Prende la mia mano con la sua, rimette lo spazzolino dov'era.
− Io non sono quel tipo di persona che viene a chiederti di non fare quello che fai. Quando combini qualcosa è perché volevi farlo, non ci sono cazzi. Io sono quel tipo di persona che sceglie se avere a che fare o meno con il modo in cui ti comporti, per cui riguarda solo me se voglio stare qui a farmi mollare per Tsukishima Kei o andarmene via. –
Ha un senso ma...
− Credo che ogni persona possa diventare migliore ma credo che lo possa fare da sola, senza pressioni. Non posso stare qui a dirti che devi scegliere o che devi smettere di tenere il piede in due scarpe, Tadashi, lo devi decidere da solo o puoi non deciderlo. Io so cosa stai facendo, se rimango qui sono solo cazzi miei. –
Io non...
− Non posso darti la colpa se mi sono innamorato. Non posso pretendere che ti comporti in un certo modo. Posso aspettare e stare a vedere o andarmene a fare in culo. Tutto questo, però, non sono davvero cazzi tuoi. –
Mi risciacquo con l'acqua gelida prima di poter rispondere.
Io...
Non credo di averci mai pensato da questo punto di vista.
Non credo nemmeno che qualcuno usi questo punto di vista, oltre Yūji.
E in ultimo, non so nemmeno se riesco a comprenderlo, questo punto di vista.
− Stai dicendo che qualsiasi cosa faccia non è colpa mia? –
Scuote la testa, ridacchia.
Mi asciuga l'acqua dall'angolo del viso, mi carica su una volta ancora, mi trascina sotto la doccia.
− Sto dicendo che la colpa sta nel mezzo. Un pezzo ne hai tu perché fai un po' come ti pare sia con me che con quell'altro, un pezzo ne abbiamo noi perché stiamo qui a farci trattare come due coglioni. –
Mi viene quasi da ridere.
Lo osservo aprire l'acqua, aggiustare la temperatura perché sia sopportabile, appoggiare la mia schiena contro il muro.
− Ma se mi chiedessi se penso che tu sia una brutta persona, ti direi che non è affatto vero. Io credo... che tu sia stato un po'... ecco... stritolato dalla tua vita a Miyagi. Ed è vero che se reprimi qualcosa poi quando esce non la fermi più. –
Mi appoggia le mani sulle braccia, accarezza le spalle, il collo, tira via le ciocche fradice che si appiccicano sulla mia fronte con l'acqua della doccia.
− Penso che tu stia crescendo e che per quanto sembri sbagliato il modo, non ci si possa fare niente. Lo vedessi lo prenderei a testate, ma sono grato a Tsukishima per averti aiutato ad iniziare questa cosa. –
Sorride, prima di baciarmi, e sorrido anch'io, stringendolo con le gambe contro di me.
− Sei così... adorabile, Yūji. Sei adorabile. – commento.
− Sul serio? –
− Adorabilissimo. Avevo un'idea di te che era tutto tranne che vera, prima di conoscerti. –
Mi guarda un po' confuso e mi perdo nella miscela che è il suo viso, bel viso, e i muscoli e i tatuaggi e tutte le cose che rendo lui... lui.
− Che idea avevi di me? –
Descrivo la linea della mascella con le dita.
− Pensavo che fossi bello quanto stronzo, Yūji, e che non t'importasse delle persone. Forse era un po' anche quello che mi diceva... −
− Non sto simpatico a Tsukishima, eh? –
Mi viene da ridere e di fatto rido, con l'acqua che mi scalda i muscoli e la schiena schiacciata sulle mattonelle fredde.
− Non siete per niente simili, mettiamola così. Diceva sempre di non fidarsi di chi sembra amico di tutti, perché alla fine non lo è mai di nessuno. Credo fosse una cosa da introversi. –
Yūji sorride, si lecca le labbra, si avvicina e mi bacia ancora.
− Punto di vista rispettabile. Non il mio, ma rispettabile. Anche se in realtà non è che sia proprio amico di tutti, io, diciamo che sono gentile con tutti. Amico amico credo di esserlo solo di Bob e Futa. –
− E mio? –
Scuote la testa, mi bacia la guancia, la mascella, il collo.
− Io e te non siamo amici, Tadashi. –
Metto il broncio mentre mi tira un po' più su per reggermi meglio.
− Sei un cafone. – brontolo.
Sorride con quel suo modo di fare che cela palese strafottenza.
− Io coi miei amici non ci faccio sesso. Tu fai sesso con i tuoi amici? –
Sbuffo.
− I tuoi amici sono fidanzati fra di loro. E Futa è asessuale. È ovvio che tu non faccia sesso con loro, Yūji. – gli faccio notare.
Alza gli occhi al cielo, mi aiuta a far scendere le gambe una alla volta dalla sua vita per appoggiarle a terra. Immagino che comunque tenermi in braccio possa non essere facilissimo, da appena svegli.
Mi bacia un'altra volta che sa di menta, poi mi circonda piano con le braccia.
− Mi ha detto che te l'ha detto ieri al telefono. Era felice di averlo fatto, sono sempre fiero di lui quando fa coming out con qualcuno. – mormora, lasciando cadere il discorso del sesso e prendendone uno che ha un aspetto decisamente più dolce.
− È raro? –
− Abbastanza. Non è che si vergogni, è che sono sempre tutti pronti a giudicare e a fare domande strane. Come se a qualcuno dovesse fottere se fa sesso o no. Ti sembra una domanda da fare? –
Ridacchio appena, appoggio le mani contro i muscoli tesi delle spalle.
− Non mi sembra una domanda da fare. Quantomeno, io non la farei. –
− Bravo Tadashi, tu sì che sei un vero uomo. –
Mi bacia con uno schiocco ridicolo e ride anche lui.
− Il mondo dovrebbe solo ringraziarlo perché è riuscito a catturare quel danno ambientale con i piedi di Bob, altroché. –
− "Danno ambientale"? –
Annuisce.
− Tiene l'acqua aperta mentre si lava i denti, beve l'acqua frizzante dalle bottigliette di plastica e fino ad un mese fa beveva il cappuccino con la cannuccia. –
Mi esprimo in un verso di stupore.
− Oh Dio, ma non l'hanno ancora arrestato? Yūji, è gravissimo. –
− Gravissimo, ben detto. Ho dovuto fargli vedere almeno tre documentari per le cannucce e secondo me quando non ci sono le prende ancora. –
− Criminale. –
Si stacca da me squadrandomi in faccia.
− Mi stai prendendo per il culo? –
− No, certo che no! –
Mi pizzica il lato dell'addome con le dita.
− Lo sai quanto soffre la Terra per la nostra presenza? Lo sai? –
Faccio un plateale "sì" con la testa.
− Tantissimo. Davvero troppo, cazzo. –
Mi sento pizzicare ancora.
− Tadashi, sei un irresponsabile. Domani serata documentario anche per te. Dopo il documentario ti aspetta anche la riflessione e preparati, ti farò fare un discorso su ciò che hai imparato. –
Alzo le sopracciglia.
− Oh, ora capisco perché non hai amici. – scherzo, infilando la lingua fra i denti.
− Guarda tu che... vieni qui, stronzetto. –
Trascina via le mie prese per il culo in un attimo. Finisce tutto che ci ridiamo in faccia l'un altro, spiaccicati contro il muro della doccia mentre mi bacia dicendomi a mezza voce di stare zitto.
Soli sotto il getto dell'acqua che scroscia, labbra su labbra, a ridere di qualsiasi cazzata ci sia venuta in mente.
È una scena...
Che nella quotidianità, forse, non disdegnerei.
Mi stacco per prendere fiato, fronte contro la fronte sorridendo.
− Chissà quanta acqua abbiamo sprecato per rimanere qui a chiacchierare. – dico.
− Cazzo! –
Scoppio a ridere ancora, e scoppia a ridere anche lui.
La doccia alla fine ce la siamo fatta, posso garantire, e non ci siamo nemmeno toccati troppo a dirla tutta. Ci siamo baciati parecchio, per quel che vale, e devo dire di essermi apertamente, onestamente divertiti.
Yūji è divertente.
È proprio un ragazzo divertente.
È rimasto qui per un po', poi, dopo, ad asciugarsi i capelli – all'aria, il phon inquina – e a ordinare il pranzo.
Ho scoperto che è vegetariano.
Esistono cattivi ragazzi vegetariani?
Però devo ammettere che l'insalata con l'avocado che mi ha fatto prendere dal posto ecologico sotto il campus era buona e ho apprezzato particolarmente.
Poi abbiamo guardato un film, credo, e immagino di aver ripreso sonno nel mezzo sotto i grattini sulla schiena di Yūji.
Verso le cinque ha bussato il mio vicino di stanza per lamentarsi di ieri sera, mi ha detto che "faccio troppo casino per essere un maschio", ma poi ha visto Yūji tutto soddisfatto in mutande sul letto e credo abbia capito che la colpa del casino non fosse tanto mia quanto dell'inaspettata macchina da sesso che sembra essere il buon Terushima.
E verso le sette, cioè ora, dopo avermi fatto promettere che avrei mangiato qualcosa di cucinato da me e che non avrei assolutamente toccato una tazza di ramen istantaneo, eccolo pronto a scappare via.
Non so dove debba andare.
Mi ha detto che dà una festa fuori città a casa di sua madre, che lei tanto non c'è e gli ha lasciato la casa.
Dice che è organizzata e non può disdirla.
Dice anche che posso andare.
Ma dico io che sono sfinito, che credo di aver bisogno di pensare da solo e che Yūji ha tutto il diritto di stare libero senza di me.
È sull'uscio, un piede fuori e uno dentro, la schiena appoggiata contro il cornicione che mi guarda di sbieco.
Deve andare a casa a cambiarsi, lo so, ed è in ritardo.
− Quando ci vediamo? – mi sento chiedere, mentre mi avvicino a lui per salutarlo.
− Quando vuoi. Io vivo qui, lo sai. –
Storce il naso.
− Ti prego vediamoci domani. Ho paurissima che ora mi odi perché abbiamo fatto sesso e che tu non voglia parlarmi mai più. Sei sicuro che non vuoi venire alla festa? –
− Yūji, stai calmo. Non ti odio perché abbiamo fatto sesso, sono molto felice che abbiamo fatto sesso. –
− Sicuro? –
Mi avvicino ancora, salgo sulla punta dei piedi.
− Sicurissimo. –
Mi guarda dritto negli occhi, mi bacia a stampo una volta.
− Se vieni possiamo fare di nuovo sesso. –
− Vorrei mantenere l'uso delle gambe. –
Ride, in un modo un po' incerto, ma ride. Si infila meglio la giacca di pelle, prende una sigaretta dal pacchetto in tasca e se la infila fra le labbra.
− Se succede qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami. Devo andarci, alla festa, ma se hai bisogno vengo quando ti pare. –
Sorrido.
− Andrà tutto bene, Yūji. Tutto bene. –
− Mmh, se lo dici tu. –
Si sporge, mi bacia come non ne avesse abbastanza. Una, due, tre volte.
− Devi andare. –
− Non voglio. –
− Devi. –
Piega gli angoli della bocca all'ingiù.
− Domani vieni a cena. –
− Domani vengo a cena. –
Non sembra soddisfatto, ma credo lo tranquillizzi un po' sentirmelo dire. Inspira ed espira con calma, prima di baciarmi un'ultima volta e allontanarsi.
Prende l'accendino in mano prima che chiuda la porta.
E lo sguardo che mi lancia tutto dice tranne che "ciao".
Il silenzio, quando rimango da solo, è assordante. Mi fa quasi paura, mi spaventa. Mi sembra che voglia divorarmi.
Sono...
Ora sono solo.
Ora ho tutti gli elementi.
Ora, Yamaguchi Tadashi ora tu scegli.
Mi prende il panico per un attimo e non faccio altro che buttarmi sul letto come un peso morto. Spremo la faccia contro il materasso e cerco di respirare ma cazzo, cazzo, su questo letto ci ha passato tutto il giorno qualcuno che era qui e ha il suo odore.
No, niente letto.
Bagno?
No, cazzo, in bagno non va bene.
Ma la mia stanza è fatta dal bagno e dalla camera, cos'altro dovrei fare?
Decido saggiamente che forse è il caso di seguire un consiglio e volo verso la cucina.
Devo mangiare.
Non sto scappando.
Devo solo mangiare.
Metto la prima maglietta che trovo e in pantaloncini e ciabatte infradito all'alba dell'autunno inoltrato esco da camera mia e filo sulle scale per arrivare alla cucina comune.
Non ci vado spesso, ultimamente diciamo che era frequente che andassi a pranzo da Yūji e mi portassi dietro qualche avanzo da mangiucchiare a cena mentre ripassavo gli appunti.
Ma ora, ora è assolutamente necessario che io mangi.
Salgo gli scalini uno alla volta, mi imbuco nella sala non eccessivamente gremita di persone e vado vedo il frigo dove il mio scomparto di cibo è perfettamente ordinato.
Non che abbia molto.
Diciamo che ho poco e niente.
Potrei...
Ho promesso che non l'avrei fatto.
Ma se lo faccio che male ci sarà?
Non lo saprà mai, su. Mai.
Prendo i noodles istantanei senza pensarci due volte e furtivo come una serpe volo verso il microonde.
Metto il mio nobile piatto al centro dell'elettrodomestico, giro la rotellina, la lucetta si accende e...
− Tu sei quello che era ieri sera con Terushima? –
Fine del mio malefico piano.
Addio alla mia cena di fuga.
Porca di una maledetta puttana.
Mi giro sorridendo.
Una ragazza alta, più alta di me quasi, con le gambe lunghe lunghe e i capelli folti e ricci, un sorriso smagliante e un paio di occhi che non so cosa mi stiano dicendo.
Prendo fiato.
− Dipende a che punto della serata ti riferisci. –
− A quando ti sei buttato addosso a lui e ha detto a tutti di levarsi dal cazzo. –
Mi mordicchio la lingua.
− Ecco, sì, credo di sì, ero io. Posso chiedere... perché t'interessa? –
Ombra sul viso, mi squadra dalla testa ai piedi e poi...
Mi schiva di lato, si arrampica sul bancone vicino al microonde e si siede di fronte a me.
− Voglio solo sapere come hai fatto. Non ho niente da dirti, davvero, niente di cattivo. Solo... come hai fatto? –
La domanda mi lascia interdetto.
Come...
Come ho fatto?
In che senso, come ho fatto?
Ho fatto e basta, credo.
Il microonde suona e con l'eleganza che mi contraddistingue prendo un asciugamano a caso e tiro fuori i miei deliziosi e traboccanti di nutrienti sani noodles istantanei e afferro un paio di bacchette dal ripiano delle posate pulite.
− A fare cosa? – rispondo, prima di avvicinarmi a lei e sedermi al suo fianco.
Il suo viso cambia ancora.
− A farlo innamorare. Non... non capisco. –
Prendo un po' degli spaghetti di soia sottili, mangio e mando giù.
− Credo che gli piaccia quando sono un po' su di giri. – è tutto quello che, stupidamente, riesco a dire.
Non lo so come ho fatto a far innamorare Yūji, non ne ho idea. Ma che diavolo di domanda è?
− Continuo a non capire quale sia il punto. – aggiungo, prima di ricominciare a mangiare.
La sento sospirare.
− Siamo tutti... scioccati, credo. –
Alzo un sopracciglio.
− Tutti chi? –
− Tutti quelli che sono stati con lui. –
È come se mi cadesse il soffitto in testa.
Punto primo, esiste un centro riabilitativo post Yūji Terushima? Esiste un circolo del libro su Yūji Terushima? Esiste un suo fanclub? Un gruppo Facebook?
Punto secondo, non è che ora vogliono uccidermi, vero?
Sono un cretino che mangia noodle istantanei in pigiama, miseria, non di certo un imbattibile mostro di bellezza.
Punto terzo, con quante cazzo di persone è andato, esattamente, Terushima?
− Ok, ok, così suona male, scusami. Volevo dire che... ecco, c'è più di una persona che cerca di guadagnare un po' di tempo con lui e che viene scaricata l'istante dopo che ci ha fatti rinsavire dal sesso sfrenato. Lui si comporta sempre allo stesso modo, con tutti. Ci dice che non ha intenzione di avere una relazione seria e che spera che non sia un problema, fa quel che deve fare, si assicura che stiamo bene e se ne va. –
Annuisco.
− Ma è rimasto qui da te tutta la giornata e ieri è andato via prima con te. Non voglio essere minacciosa, voglio solo capire che cos'hai tu che... noi non abbiamo. –
Mi sembra crudele, il suo modo di parlare, ma non verso di me, più verso se stessa.
− Non credo che tu abbia qualcosa che non va. – rispondo, onestamente, mandando giù un po' di brodo.
− In che... −
− Capisco che Yūji piaccia a tante persone, davvero. Insomma, è bello, sa quel che fa, è gentile. Ma non credo che sia poi così necessario fissarsi solo su di lui. –
Schiocca la lingua.
− Facile da dire per uno che riesce a trascinarlo ovunque come un cane. –
− Hey, vacci piano. Yūji non è il mio cane. –
Ridacchia, indietreggia sulle mani.
Mi sembra quasi paradossale che una ragazza così bella sia qui a chiedere spiegazioni a me, che sembro uscito di testa da una sezione tossica della discarica di Tokyo.
− Ti guarda come se ci fossi solo tu. – aggiunge poi con un filo di voce, e sento il mio cuore saltare un battito.
− Tu dici? –
− Ho sentito in giro che ti lascia avvicinare al suo amico coi capelli neri, che vai sempre a casa sua, che entri nella sua camera da letto. Tu non te ne rendi conto, vero? –
− Di cosa? –
Fa silenzio, sembra soffrire per un istante intero, poi mi sorride.
− Queste cose, Terushima, non le fa mai. Lui è bravo, è vero, ed è gentile, ma è un pezzo di ghiaccio. Non ci racconta della sua vita, non ci fa avvicinare nemmeno di un passo. Se proviamo a parlare coi suoi amici senza che ci sia lui s'incazza, si fa a malapena toccare. –
Rimango con la bocca aperta e i noodles a mezz'aria.
− Yūji? –
− Noi nemmeno lo chiamiamo per nome. –
− Non è possibile, su. È la persona più aperta del mondo, è tranquillissimo, è dolce. Mi cucina il pranzo e mi costringe a leggere i saggi di Virgina Woolf, non è come lo descrivi tu. Tu lo fai sembrare uno stronzo senza cuore. –
La ragazza alza le spalle.
− Terushima è uno stronzo senza cuore. Ti difenderebbe fino alla morte se qualcuno ti discriminasse, è il primo in fila alle manifestazioni per l'ambiente, è sempre pronto a dare una mano. Ma da lì ad entrare in contatto con lui, è un abisso. –
Mi sento come se mi stesse dicendo qualcosa che fino ad ora non ho mai avuto il coraggio di capire. Lo so che mi ama, me l'ha detto.
E allora perché le parole di questa ragazza hanno questo sentore così...
− Credo solo che si sia preso una bella cotta, tutto qui. – svio, lasciando a metà la mia misera cena per il subbuglio che sembra essermisi appena acceso nello stomaco.
− Non è una cotta. È più tipo come... −
Come cosa?
Come?
Io... il non lo capisco da solo.
Io non posso dirlo, perché non so come farlo.
− Credo che tu sia la prima persona di cui si sia mai innamorato. – mormora, con un filo di voce.
Io...
Non so come dovrei sentirmi.
So che mi sento... felice.
So che mi si accende qualcosa, al fondo dello stomaco, che ha il retrogusto della gioia più sfrenata, più sfacciata.
So che mi sembra di fluttuare.
So che sorrido.
− Tu dici? –
− Ne sono anche piuttosto convinta. –
Non smetto di sorridere.
Mi sembra d'aver bevuto una bottiglia di vino tutta d'un fiato, la testa si fa leggera, gira, le mani sembrano essere fatte d'aria.
Che cos'è?
Questa sensazione, che cos'è?
− Vorrei solo sapere cos'hai fatto. Dove abbiamo sbagliato tutti noi, credo. –
Leggero, leggero come una piuma.
Euforico, sensibile, delicato.
− Io ho... fatto quello che mi sentivo di fare e basta. – rispondo.
Sorride.
Sorride, malinconica, ma sorride.
− Credo semplicemente siate fatti l'uno per l'altro, a questo punto. –
Annuisco.
Sto annuendo?
Perché annuisco?
No, no Tadashi, datti un verso. Ok, è tremendamente tenero che Yūji si sia preso per te una sbandata così forte da trattarti come se fossi fatto d'oro, su questo siamo tutti d'accordo.
Ed è tenero che sia protettivo coi suoi amici.
Che li faccia conoscere solo a persone di cui si fida.
Che sia... Yūji, credo.
Ma...
Oh, miseria.
Devo chiamarlo.
Devo...
Credo di dovergli dire una cosa.
Mi alzo dal bancone della cucina, mollo le bacchette a caso su uno dei lavandini.
− Grazie. – dico alla ragazza, che inclina la testa confusa.
− Di... nulla? –
− Grazie davvero. –
Sulle scale mi sembra di volare, di scendere gli scalini dodici per volta, non due, di passar sopra tutto.
Devo dire una cosa a Yūji.
Devo dirgli che...
Metà che ama Terushima, hai avuto il tuo momento.
Mi sembra che il tempo scada, che un orologio scatti, che le lancette si fermino e che lo scambio sia veloce, immediato.
Ed eccomi, muto di fronte alla porta chiusa della mia stanza, davanti a un metro e novanta di Tsukishima Kei che mi guarda, povero me, con le lacrime agli occhi.
Ho un morso sul collo che sembra viola, lo so.
Tsukki non mi morde sul collo, non lo fa mai. Tsukki al liceo pensava che ci avrebbe messo in una brutta posizione.
Ora i suoi occhi sembrano dar fuoco, a quel morso sul collo.
Non sono più leggero.
Sono pesante.
Fatto di ferro.
Mi avvicino un passo alla volta, uno alla volta alla porta chiusa.
Sento i suoi occhi che mi seguono.
Mi fermo.
− Tsukki? – chiedo.
Sa.
Sa tutto.
Niente bugie, niente mezze verità, niente segreti omessi.
Niente finzione, niente coperture, niente salti senza senso.
Tsukki quando mi guarda negli occhi capisce tutto.
Piega le labbra in una linea.
− Tu mi hai... tradito. – è quello che dice prima che tutto, si trasformi, solo ed unicamente in rabbia.
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