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𝚜𝚝𝚛𝚊𝚠𝚋𝚎𝚛𝚛𝚢 𝚜𝚑𝚘𝚛𝚝𝚌𝚊𝚔𝚎

➥✱ alert :: questo è il secondo capitolo del finale "ufficiale" 

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

Mi sveglio, una mattina di due settimane dopo, completamente rincoglionito.

Ho il corpo tutto indolenzito, la testa che fa male, freddo fin nelle ossa e le articolazioni a pezzi.

Apro gli occhi nella luce del mattino che mi rendo conto sia ancora troppo presto per tirarsi su, mi agito un po' nel letto e nonostante tutto, nonostante la condizione pietosa in cui sono, quando mi giro sul fianco, sorrido davvero.

Due settimane, eh?

Due settimane.

Sono pochissime, due settimane.

Yūji dorme a pancia sotto, con la guancia sul cuscino rivolta verso di me, le coperte che non nascondono la schiena nuda, un braccio allungato dalla mia parte e l'altro lungo il corpo.

Mi avvicino piano.

− Sei sveglio? – chiedo, al suo orecchio.

Non credo lo sia.

Non risponde.

Ieri...

Siamo andati ad una festa. Io, Bob, Futa e Yūji. Siamo andati ad una festa non so nemmeno più dove, abbiamo passato tutta la serata a bere e...

Sono successe tante cose.

Ad un certo punto ricordo di essermi avvinghiato al mio, sono così felice di dirlo, ragazzo, pregandolo credo di portarmi da qualche parte e allo stesso esatto momento qualcun altro ha richiesto la sua presenza per una questione che ora non penso di saper descrivere.

So che mi ha fatto molto ridere, la reazione.

Era lì, a guardare me e la persona coinvolta con la faccia più indecisa del mondo.

Mi ha caricato come una scatola mentre andava ad elargire il suo aiuto.

Ha detto "perché scegliere, se posso combattere il crimine portandoti dietro?" e credo di non aver mai riso così tanto.

Non so esattamente dire quante volte abbiamo fatto sesso da quando ci siamo ufficialmente messi assieme e nel caso ve lo steste chiedendo no, non l'abbiamo fatto sul letto di sua madre, ma direi che è avvenuto piuttosto... spesso.

A Yūji piace fare sesso.

E io... sono anche peggio.

Non so dove fosse rinchiusa tutta quella voglia ma ora, ora è sfrenata al punto da imbarazzarmi persino, a volte.

Appoggio il viso sotto al suo, lascio che una mano si appoggi sulla sua schiena.

Muovo le dita contro la pelle liscia.

Dormiamo insieme da quando è successo, da lui o da me che sia, dove capita.

Quando siamo andati da Bob e Futa credo che stesse per venire un infarto a tutti e due. Bob ha promesso solennemente che non avrebbe mai più sprecato una singola goccia d'acqua e Futa mi ha detto "lo sapevo che ho fatto bene a tenermi i miei cristalli", blaterando su come avesse dato un braccialetto di malachite a Yūji che sicuramente mi aveva fatto innamorare perdutamente.

Bacio la sua spalla piano, mi godo il calore del suo corpo nell'aria che inizia ad essere decisamente più fredda.

Ha detto di non aver mai avuto una relazione seria, no?

Di non sapere se ne fosse capace o meno.

Cazzate.

Cazzate colossali.

Penso siano il suo carattere e il suo modo di fare ma è... perfetto. Mi fa sentire sempre così felice.

Percorro i muscoli asciutti del suo corpo con i polpastrelli.

Ho scoperto un sacco di piccole cose, di lui, e credo mi piacciano tutte.

Guarda religiosamente un film Disney tutti i mercoledì, sepolto in pop-corn al caramello e i suoi amici ai lati, e piange a singhiozzi alla fine di ognuno.

Il giovedì è serata tacos, si guarda un documentario scelto a ruota da uno dei tre e ci si ammazza di tacos vegetariani.

Il venerdì si esce a bere, ogni volta in un posto diverso, per provare di tutto e il più possibile.

Il sabato mattina si dorme fino a tardi, dal pomeriggio al giorno dopo è momento intensivo di studio, eccezion fatta per il tè delle cinque della domenica dove si scrive la lista della spesa per la settimana e, parole sue, "ci si vuole tutti un po' bene".

Detto in parole povere, strizza Bob e Futa in un abbraccio e li ammazza di affetto.

Ho notato che, nonostante sia amico di entrambi in egual modo, di Futa è molto più protettivo.

C'è qualcosa che gli è successo, sono sicuro, ma non è compito mio intromettermi e non mi sembrerebbe neppure corretto, pressarlo per un misero interesse personale.

Lo guarda sempre con particolare attenzione, ha un'aura minacciosa con chiunque gli parli, lo vedo davvero rilassato solo quando Futa è con lui, con Bob o con... me.

Sono diventato parte della... famiglia, credo.

Ed è davvero, davvero, più bello e divertente di quando potessi anche solo immaginare.

− Yūji? – chiedo un'altra volta, salendo con le dita fino al collo.

Risponde con un mugugno strano.

− Vado a preparare la colazione. Vuoi qualcosa? –

Mugugna di nuovo, inizia a muoversi come se si stesse effettivamente svegliando.

Non sempre lo sveglio quando mi alzo io, molte volte lo lascio dormire, ma posso egoisticamente dire che oggi mi andava così.

− Taaaadaaaashi. – si lagna, stropicciando gli occhi fra di loro.

− Dimmi. –

− ... qui. –

Immagino volesse dirmi di avvicinarmi, ma sono già abbastanza vicino, credo.

Nel dubbio aspetto che si scosti di fianco e mi rintano fra le sue braccia.

− Dormiamo fino a domani. –

Ridacchio contro un pettorale.

− Fino a domani? –

− Ah-ah. –

Stiamo in silenzio qualche minuto, mentre intreccio le gambe con le sue e lo sento muovere la mano lungo la mia spina dorsale.

− Dobbiamo alzarci, Yūji. Sai che devo finire di studiare, e anche tu. –

− Per forza? –

Sono ridotto uno schifo, lo so, ma gli esami non si fanno da soli e tutto sommato sono abbastanza sveglio.

− L'istruzione è importante, Yūji. –

− Sarà. –

Infilo meglio la testa sotto la sua, il respiro che mi batte sulla spalla.

La mano sulla mia schiena scende di qualche centimetro.

− Perché non hai le mutande? –

− Perché abbiamo fatto sesso finché non sono svenuto, ieri. –

Ride un po'.

− Oh, giusto. –

Yūji, me l'aveva detto a sua discolpa, dal punto di vista sessuale ha una resistenza fisica impressionante o, più semplicemente, quando inizia non si ferma.

Potrei chiederglielo, l'ho fatto un paio di volte, ma a meno che non lo faccia, finisce sempre che mi lascia andare verso l'alba quando sono emotivamente e fisicamente completamente esausto.

Ieri sera non è stata da meno.

Credo di essermi addormentato alle cinque, sfinito e assolutamente distrutto.

− Facciamo la doccia o vuoi mangiare prima? – chiedo un'altra volta, guardando il suo viso.

− Doccia. La colazione la faccio io. –

− Guarda che posso anche farti la colazione, una volta ogni tanto. –

Scuote la testa come può, inizia a muovere piano i muscoli del corpo.

− Non permetterò che la mia principessa si sporchi le mani. – borbotta.

Rido appena.

− Idiota. –

Quando apre gli occhi sono un po' gonfi, confusi dal sonno, ma dolci su di me. Mi squadra il viso e mette a fuoco l'immagine, alzando gli angoli della bocca verso l'alto.

− Ho sognato che andavamo al mare e facevamo la coda da sirena con la sabbia a Futa. Poi c'era un tornado e Ryan Reynolds mi chiedeva di sposarlo, ma quella parte lasciamola perdere. –

Alzo le sopracciglia.

− Ryan Reynolds? –

− Ho detto di no, ma è stato difficilissimo. – conferma, facendomi sorridere.

− Io non so se ce la farei. – convengo, meritandomi un pizzicotto sul fianco.

Segue una delle mie gambe con la mano, quella che ho appoggiato sopra di lui, sfrega il palmo contro la coscia affettuosamente.

− Non è un'idea così del cazzo, quella del mare. –

− È ottobre, Yūji. –

Aggrotta la fronte.

− In effetti. –

Incastra le dita sotto il ginocchio, lo tira su sopra la sua vita, mi avvicina.

− Però casa della mia famiglia è al mare, andiamo a Natale ogni anno. Se ti andasse di venire... −

Sorrido più eloquentemente di quando vorrei.

− Certo. Ma a Capodanno vieni da me. –

Annuisce, mi bacia la punta del naso.

− A mia madre verrà un infarto quando ti vedrà. – commento, strofinando il viso contro la sua guancia.

− Come mai? –

Faccio saltare le dita al tatuaggio sulla sua spalla, poi più in basso su un altro, su un altro ancora. Dice che avrebbe voluto farne uno per me il giorno stesso in cui gli ho detto che volevo stare con lui, ma alla fine non abbiamo ancora deciso bene come volessimo rappresentarmi.

− Non hai esattamente l'aspetto di un ragazzo di Miyagi. La mamma era convinta che le avrei portato a casa una signorina di buona famiglia fino a tre anni fa. –

Ride.

− Non vado bene? –

− Vai benissimo. Alla fine a lei va bene quello che va bene a me. E a me vai molto più che bene, Yūji. –

Gli si formano due rughette piccine sotto gli occhi, quando sorride a trentadue denti.

− La mia già lo sa come sei fatto. –

− Davvero? –

Annuisce.

− Un'amica di mia sorella ci ha visti da qualche parte e ha detto a mia sorella che stavamo insieme. Lei l'ha detto alle altre. Resistere alle tue tre sorelle maggiori che ti torchiano minacciandoti di farti fuori non è per niente facile. –

− Volevano sapere chi fossi? –

Annuisce di nuovo.

− Mi hanno detto "come hai fatto a trovarlo così carino". –

Mi trema lo sterno dalle risate, contro di lui.

− Non le conosco ma amo le tue sorelle, Yūji, le amo davvero. –

− Pure io, anche se sono delle vipere striscianti e schifose che non si fanno mai i cazzi loro. –

− "Vipere striscianti e schifose"? –

− Le chiamavo così quando ero piccolo e mi dicevano che non potevo avere le tette. Le volevo anch'io, cazzo, a casa ce le avevano tutti. –

Scoppio a ridere ancora più forte, davvero, da spanciarmi.

− Volevi le tette?! –

− Avevo sei anni! –

Continuo a ridere per minuti interi, cercando di recuperare il fiato nonostante mi sembri di averlo mozzato in gola.

L'immagine è indescrivibilmente adorabile, cazzo, davvero.

Un piccolo Yūji che a sei anni piange perché non avrà mai le tette. La cosa più divertente che io abbia mai sentito.

Appoggio le mani sui pettorali.

So che va in palestra, Bob me l'ha confermato dicendomi che ci sono persone che spostano i loro orari per andare a vederlo sudare, ma devo dire che apprezzo decisamente in prima persona.

− Non sono tette, ma a me piacciono così, posso dire? –

Sorride a metà e riconosco immediatamente la faccia.

− Calmati. – dico di riflesso.

− Che? –

− Calmati, Yūji, calmati o dovrai dire a mia madre che sono diventato paraplegico per colpa tua. –

Yūji ha un volto molto espressivo, come il mio, credo.

Non so perfettamente riconoscere tutti i suoi movimenti, ma alcuni penso di averli impressi bene nella mente, ormai.

Sorride alzando solo un angolo della bocca, lo sguardo si fa più concentrato, più cattivo, il viso diventa paradossalmente più bello, quando ha voglia.

Ma non può avere voglia ora.

Perché io rischio la mia capacità motoria.

− È un "no" serio o un "no ti prego Yūji non farlo anzi no fallo ancora ti amo io..." –

− Non parlo così! –

Si avvicina.

− Invece parli esattamente così. –

Gli faccio la linguaccia.

Penso che comunque, in ogni caso, si sia reso conto che sono davvero troppo provato per fare qualsiasi cosa, per cui dopo avermi baciato la fronte, si alza dal letto.

Oh, Gesù, devi davvero amarmi dal cielo per avermi dato... questo.

La finestra è dietro la testata del letto, per cui la luce lo colpisce di taglio, ha i capelli biondi arruffati, li tira indietro con la mano.

Un ciuffo cade davanti verso un sopracciglio.

Si piega a cercare le mutande che rimette senza togliersi dalla luce, rimane un attimo fermo che penso potrei davvero finire la saliva in gola sbavandogli davanti.

Bellissimo, davvero.

Bellissimo.

− Vuoi una foto? – mi chiede, dopo non so quanti secondi che sono rimasto imbambolato come un coglione.

− Eh? –

− Vuoi una foto? Così quando sei da solo la guardi e pensi "o Dio quanto cazzo è bello Yūji grazie al cielo che una divinità del genere..." –

Gli tiro un cuscino addosso.

Deve piacergli imitare la mia voce.

− Sai quando sei bello davvero? Quando stai zitto. – gli grido, ridendo mentre prende il cuscino fra le mani e mi guarda con l'espressione da cretino.

− Maledetto... −

Mi giro di pancia giusto per avvicinarmi verso di lui che la porta si apre di colpo.

Testa castana, occhi affilati, sorriso da idiota.

− Futa sta tirando fuori i biscotti dal forno, venite a fare colazione o ricominciate a fare baldoria a quest'ora del mattino? –

Rimango fermo immobile.

Sono nudo?

Sì, sono nudo.

Mi vergogno?

In realtà... nemmeno più di troppo.

Faccio solo finta di non esistere per un attimo.

− I biscotti allo zenzero? – vedo chiedere al mio ragazzo che si gira e basta, come nulla fosse.

− Sì, allo zenzero. –

− Di' a Futa che fonderò una religione su di lui e sarò il prete del culto per tutta la vita. Raccolgo Tadashi e arriviamo. –

− Ok, perfetto. Spicciatevi. –

Bob fa per uscire dalla stanza, poi si ferma, mi fa l'occhiolino.

− Quello sì che è un gran bel culo, Yams. Dieci su dieci, cinque stelle su TripAdvisor. –

Esce che penso di essere obiettivamente viola.

Yūji si deve appoggiare al muro per non crepare dalle risate.

− Bob è... −

Mi alzo sulle ginocchia sul materasso.

− È un bastardo! Quando meno te l'aspetti lui... −

− Lo amo. Amo quel verme. Lo adoro. –

Devo ammettere che nell'ondata d'imbarazzo, un po' rido anch'io.

Se fosse stato lui chiunque altro, la cosa sarebbe stata diversa. Ma quando ti fidi di un amico, credo che questo sia normale.

In effetti, tra l'altro, mi ha già visto nudo quando mi ha aiutato a lavarmi in uno stato pietoso di ubriachezza una settimana fa.

Diciamo che Yūji si è addormentato dopo aver toccato il materasso e che Bob e Futa mi hanno sbattuto nella vasca senza pensarci due volte.

Ma di questo non voglio parlare, al momento.

− Quindi niente doccia? –

− La facciamo dopo, direi. Te la senti di mangiare, tra l'altro? Futa mette i chiodi di garofano nei biscotti che aiutano con il post sbornia ma se non ti va... −

Allungo le gambe oltre il materasso.

− Passami qualcosa da mettere, prima che il mio culo da cinque stelle su TripAdvisor si prenda la febbre. –

Sorride, tira su un paio di pantaloni da per terra.

Sono pantaloni del pigiama e non sono miei.

Sì, Yūji mette il pigiama pulito sotto il cuscino come i bambini. Credo che sia finito da qualche parte mentre ci rotolavamo sul letto ieri sera.

Li accetto volentieri e li metto in fretta. Cadono sulla vita, sono fatti per un fisico più grosso del mio, ma per quel che mi riguarda, finché non rimango col culo di fuori, va più che bene.

− Vuoi una maglietta? –

− Naah. –

− Non eri tu che non volevi prenderti la fe... −

Non ascolto le sue parole, anzi, mi guardo il petto dall'alto seduto a metà sul bordo del materasso.

Avevo più muscoli, al liceo, ma ora l'aspetto del mio corpo mi piace. È longilineo, pieno di piccole lentiggini, dalle clavicole alle anche, come una trama mia personale.

Yūji sta uscendo dalla porta quando lo dico senza pensarci.

− Secondo te se mi facessi i piercing ai capezzoli come starei? –

Sbatte la testa contro lo stipite.

Forte, con un "bam" secco che mi fa alzare la testa di scatto.

Si rivolge a me che ha il segno della porta in mezzo alla fronte.

− Sì. – è quello che dice.

Non so nemmeno se ridere. Nel dubbio mi alzo, mi avvicino.

− Tutto be... −

− Ti prego. Te li pago io. Se non vuoi non importa, ma se vuoi mi stendo là per terra in salotto e puoi camminarmi sopra. –

Gli stringo la spalla con la mano.

− Ti piacerebbero i piercing... su di me? –

Annuisce.

− Con, senza, pelato, con i baffi, mi piaceresti sempre e sei sempre la cosa più bella che esista. Ma se volessi... diciamo che credo che ti starebbero bene. –

Lo spingo fuori dalla porta, questa volta nella direzione giusta.

− Ci penso. –

− Come vuoi. –

Troviamo Futa e Bob in cucina uno accanto all'altro.

Una cosa di cui mi sono reso conto è che gli atteggiamenti l'uno nei confronti dell'altro sono sempre affettuosi ma sottili.

Non dimostrano mai in maniera palese.

Bob toglie il grembiule dal corpo di Futa indugiando un po' più del normale sul collo, gli sistema i capelli sulla nuca, lo rimette a posto per lui.

Futa prende un biscotto con le dita e lo sporge verso Bob, prima di prenderne un morso lui stesso.

Sono quelle cose che non vedi, ma che se inizi a notare non puoi rimuovere in nessun modo.

− Guarda, sono arrivati senza saltarsi addosso! Miracoloso! – dice uno all'altro, che di risposta ridacchia sotto i baffi.

− Non ci saltiamo addosso. – borbotto.

− Ci saltiamo addosso. – mi corregge Yūji.

Non lo contraddico.

Mi arrampico su una delle sedie vicino al tavolo, il mio ragazzo fa lo stesso al mio fianco, aspettiamo che la grossa ciotola arrivi al centro portata da due mani salde.

Bob mi guarda dritto in faccia.

− Se mangi i biscotti di Futa poi non torni più indietro. Ci stai praticamente sposando. Tutti, tutti noi. –

Mi appoggia una tazza di latte, sicuramente di mandorla o riso che Bob è intollerante al lattosio, di fronte al viso.

Vorrei dirgli di aspettare ma ci mette dentro un po' di caffè da una Moka che ribolliva sul fornello, un cucchiaino di cannella e giusto una spruzzata di miele.

− Ricetta della casa. È tradizione. –

Guardo Yūji per capire la situazione.

− È come ha detto lui. È tradizione. –

− E allora perché avete aspettato due settimane? –

Bob gira il latte macchiato nella mia tazza con un'espressione eloquente.

− Stress test. Magari avremmo scoperto che odiavi Yūji, magari che eri schizofrenico, magari che... ti piace il calcio. –

Futa si siede al tavolo mimando un brivido di disgusto.

− No, non mi piace il calcio. –

− Perfetto. –

Mi passa un biscotto e lo pizzico fra indice e pollice, lasciandolo pendere sopra il latte.

− Vi rendete conto del fatto che la faccenda "per entrare nella famiglia devi inzuppare il biscotto" è un doppio senso, vero? – chiedo, alzando un sopracciglio.

− Cento per cento. Noi siamo uomini adulti. –

− Oh, ci credo. –

Lascio che il bordo rompa la tensione del latte, intingo il biscotto, lo lascio inzuppare per qualche secondo.

− Dopo quel morso non si torna indietro. – mi dice Yūji, al mio fianco, annuendo solennemente.

Sorrido.

− E sia. –

I biscotti di Futa sono davvero buoni. Non amo lo zenzero, né le cose dal sapore particolarmente intenso in generale, ma questi... sono buoni davvero.

− È fatta. Ora Yams è nostro. – annuncia Bob, mentre mi osserva masticare sorridendo.

Yūji alza l'indice.

− In questa casa non esiste la proprietà privata, solo quella personale. Yams è suo. –

Futa ride, si siede, tira indietro i capelli.

− Tu non la smetti mai di rompere i coglioni, non è vero? – commenta.

Mando giù un boccone e prima di prenderne un altro intervengo.

− No, ti giuro. Parla anche quando dorme. –

− Davvero? –

Mangio ancora, mi sporgo di lato e appoggio una spalla contro il suo petto. Mi stringe la vita e ridacchia annuendo.

− Ogni tanto lo faccio. –

Futa e Bob si danno la mano sotto al tavolo. Non lo noterei se non l'avessi cercato, questo dettaglio, ma le congiunzioni delle loro braccia rimandano allo stesso punto.

− E cosa dice? –

Arrossisco un po', poi sorrido sapendo perfettamente di essere tremendamente e schifosamente smielato, in questo istante.

− Per la maggiore che mi ama tanto. Qualche volta cose non elegantissime e due notti fa mi ha detto, testuali parole, "spostati stellina". Non so né dove dovessi spostarmi né se la "stellina" fossi io. –

Bob ride, Futa anche, Yūji mi stringe più forte.

− Ti sei proprio preso una cotta grossa, eh? – lo prende in giro uno dei due, vedendolo annuire abbastanza convinto.

− Una roba impensabile. Il mondo ti odierà, ora che gli hai rubato Terushima Yūji. – conviene l'altro.

So di sorridere come non facevo spesso, prima che questa cosa, questa follia che sembra tanto casa ora, iniziasse.

Sorrido bene, sorrido senza nascondere il mio viso.

− Che il mondo mi odi, allora. Io la presa non la mollo. – borbotto, finendo il biscotto in mano.

Yūji mi stringe a sé, mi bacia la tempia.

− Questo sì che è il mio ragazzo. –

Ridacchio crogiolandomi nelle sue parole in silenzio.

Le storie, quelle belle, quelle interessanti e divertenti e coinvolgenti, quelle, iniziano tutte quando le cose cambiano.

Quando la realtà quotidiana, lenta e rilassante, viene distrutta dalla rottura di un equilibrio sul quale si poggiava una vita intera.

Quando si spezza qualcosa, quando la terra ti manca sotto i piedi e in un istante ti ritrovi senza niente, da solo, ad affrontare il mondo.

O almeno, la mia è iniziata così.

La mia è iniziata un giorno di agosto.

La mia storia non finisce, non oggi, ma mette un paletto in questa mattinata fredda di ottobre che non credevo sarebbe mai davvero arrivato.

La terra sotto i piedi si è riassestata, i bordi spezzati sono limati e lisci di nuovo, l'equilibrio è ristabilito, di affrontare il mondo ho finito, per ora, e posso godermi quel che mi sono guadagnato.

Mi guardo indietro, col sorriso e una punta di nostalgia velata, mentre rido e chiacchiero con persone di cui la mia vita si è arricchita in così poco tempo.

Mi sembra di vedere me stesso.

Hai fatto, Tadashi, sei libero.

Smetti di piangere, ragazzino, smetti di nasconderti, smetti di avere paura, vorrei dire a me stesso. Sei riuscito a sistemare tutto, rompendo e distruggendo e facendo strage, ma ci sei riuscito.

Ti sei rimesso in piedi da solo.

Yūji vede che la mia mente sta vagando quando mi lancia un'occhiata fra una battuta e l'altra, ma sorride e non fa altro che premere le labbra che sanno di zenzero sulle mie.

Il terreno non trema più.

O forse lo fa.

Sono troppo forte, ormai, per sentirlo vibrare attorno a me.

Mi formicola il sangue nelle vene, mi sembra quasi di sentirlo, come vita liquida che mi dà l'energia in una forma pura, diretta.

Sono...

Impaziente, credo.

Impaziente di vedere, di fare, toccare, vivere, sentire.

Impaziente di andare avanti.

Vorrei mettergli una mano sul capo, a quel ragazzino che piange con le ginocchia tirate su nel bagno del liceo, arruffare i capelli verdastri, tirare indietro la frangia che copriva il viso.

Sii fiero, vorrei dirgli, sii fiero di chi sei. Non nasconderti, non temere, il tuo momento c'è, arriverà, non fa altro che avvicinarsi.

Soffrirai, piccolo ingenuo Tadashi, ma sarai anche così felice, come non lo sei stato mai.

Vorrei abbracciarlo.

Stringerlo forte.

E dirgli all'orecchio, credendolo davvero, qualcosa di cui mi rendo conto sorridendo e facendo colazione con persone del tutto nuove e altrettanto importanti, nella mia vita.

Fidati di me, Tadashi, fidati.

Tu sarai fiero, davvero molto fiero, proprio di te stesso.

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