𝚖𝚊𝚔𝚎 𝚜𝚞𝚛𝚎 𝚒'𝚖 𝚙𝚞𝚛𝚎
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La colazione procede, in realtà, in modo abbastanza tranquillo.
Non che mi fossi aspettato chissà che, siamo due persone civili.
Ma evito quella patina di colpi di scena inaspettati che sembra seguirmi. Niente dichiarazioni di fronte al caffè bollente, niente ginocchio e proposta di punto in bianco, niente crisi di panico o gelosia.
Solo... io e Tsukki, credo.
In quel modo pacato e ordinato che ci contraddistingue, come se fosse uno di quegli appuntamenti che ci scambiavamo prima che le cose cambiassero in questo modo.
Lui sorseggia il suo caffè, io raccolgo la panna del mio cappuccino con la cannuccia, in un silenzio pacato.
Alza appena le sopracciglia, prima di parlare.
− Mi fa male la testa. - borbotta.
Ridacchio leggermente.
− Certo che ti fa male. Ti sei ubriacato, ieri. -
− Non ricordarmelo. Vorrei spararmi, ti assicuro. -
Aggrotta la fronte, preme il dito sul centro della montatura degli occhiali e sospira.
− Non so che cazzo mi sia passato per la mente. So solo che il secondo prima ero sobrio a ordinare un drink qualsiasi e quello dopo steso come un cadavere sul marciapiede a scriverti quelle puttanate. -
L'immagine è... buffa.
Mi ha offeso, ieri, quello che mi ha detto.
Ma l'immagine è comunque buffa.
− Steso sul marciapiede? - gli faccio eco.
Annuisce.
− Ah-ah, come un coglione. Mi hanno detto che mi hanno riportato a casa in due, che ero troppo pesante da trascinare. -
Rido.
Le mie guance che si alzano e il naso che arrossisce.
− Sul serio? Non sembri neppure tu, Tsukki! -
− Lo so, miseria. Ricordo solo che mi sono messo lì a pensarci, mentre mi portavano via. Sono davvero diventato questo? Un ubriacone che dorme per strada? -
Anche lui ride, mentre lo dice. Ride in modo elegante, Tsukki, niente di esplosivo o catalizzante come la risata di Hinata, che ti fa tremare il petto, ma piano, educatamente.
− Con chi sei uscito? - chiedo, poi.
Scuote la testa.
− Amici del corso. Sono simpatici, non me l'aspettavo. -
− Non te l'aspettavi? -
Sbuffa.
− Sai che non sono proprio un granché, quando si parla di fare amicizia. -
Oh, vero, vero.
Ma l'alcol crea legami inaspettati, alle volte, e io lo so meglio persino di lui, in questa situazione.
Finisce il suo caffè con un lungo sorso, lo vedo impastare la lingua vicino al palato in un gesto che gli ho visto fare molte volte.
Dice che sente quell'aroma amaro che adora, che lo gusta proprio sulla lingua.
− Usciamo. - dice poi, senza preavviso.
− Dove? -
− A cena. Se devo conquistarti devi darmene l'opportunità, Tadashi. Vieni a cena con me. - ripete.
Non siamo mai usciti per un... appuntamento.
Ora che ci ripenso, davvero, mai.
La nostra è una relazione nata col tempo e con la timidezza, che si esauriva nelle nostre uscite uno a casa dell'altro, abbracciati e infagottati nei nostri stessi corpi, senza nulla di più.
Non abbiamo mai avuto un percorso canonico, in quanto coppia.
Trovo adorabile, che ora ci voglia provare.
− Quando? -
− Appena torno a Kyoto ti scrivo. Devo vedere se riesco a spostare qualche lezione nel fine settimana. Posso dormire qui, quando sarà? -
Oh, quanto sarebbe arrossito il Tadashi di prima.
Come gli avrebbe fatto capire che sapeva, qual era la vera domanda, ma che lo imbarazzava rispondere.
E invece questo Tadashi, di un'offerta da adulti consenzienti, di un riferimento palese a qualcosa che potrebbe non essere delicato quanto ci si aspetta, non si vergogna.
− Mi stai chiedendo se possiamo fare sesso al primo appuntamento? - rispondo.
Tsukki si strozza con la saliva.
Tossisce, le guance che arrossiscono, gli occhi spalancati.
− Ta... Tadashi? -
E allora?
Ti vergogni di qualcosa che mi hai chiesto tu?
Ti dà fastidio che abbia detto "sesso" in quel modo così sfrontato?
Che cosa c'è, da stupirsi? Milioni di volte, l'abbiamo fatto, ed è qualcosa che ci collega da sempre.
Non c'è nulla di cui imbarazzarsi.
Riprende aria a pieni polmoni.
− Non intendevo... quello. -
− No? E cosa intendevi? - lo stuzzico.
Distoglie lo sguardo, arrossisce appena.
− Ok, forse intendevo un po' quello. Ma non c'era bisogno di dirlo così... direttamente. -
Lo sapevo.
Lo sapevo benissimo.
Alzo le spalle.
− E che c'è di male? Come se non mi avessi mandato un audio ieri sera dicendomi esplicitamente che "ti manca scopare". -
Arrossisce ancora, tira indietro gli occhiali.
− Ero davvero così ubriaco? Miseria, che ne sarà di te, Kei. - si dice da solo.
Ridacchio.
− Puoi rimanere, comunque. Nessun problema. -
Non ci sono problemi, come ho detto.
Non ce ne sono.
Perché forse il sesso devo viverlo in modo meno rigido, immagino. E come qualcosa di mutevole come me, non come una dichiarazione d'amore.
Non volevo fare sesso con Yūji, ieri sera, per dichiaragli il mio amore.
Volevo per provare.
E voglio per provare anche con Tsukki, perché so com'è, ma sono curioso di vederlo un'altra volta.
Non c'è nulla di male.
In fondo, non c'è davvero, nulla di male.
Il sesso è l'espressione di un corpo, a dirla tutta, non una merce di scambio, non qualcosa che ti rende di valore. È un'attività intima e divertente, che può essere puro passatempo come connessione privata, e il primo tipo, di sesso, non l'ho mai fatto.
C'è un pensiero, che mi torna in mente.
La vita, mi è sempre sembrata questo grande musical messo in scena per intrattenere chi la vive. Composta di atti, personaggi, momenti di libertà e tristezza, tante cose diverse che concorrono a realizzare un unico spettacolo.
Nella mia, io sono sempre stato dietro le quinte.
A giudicare gli attori dal retro, ad ammirare la loro bravura come un fan troppo timido per chiedere un autografo.
Ci sono persone che ho visto brillare, di fronte ai miei occhi.
Persone che ho invidiato, per la forza delle loro azioni, per il modo naturale in cui prendevano se stessi e giocavano col mondo come fosse loro.
Hinata mi ha sempre ispirato genuina simpatia, nella sua dimensione minuta e nel carattere esplosivo, e Kageyama un rispetto onesto.
Tsukki è quel personaggio secondario intelligente che cambia le cose, nella mia visione. Quello zitto e severo, che ispira timore reverenziale e che sa sempre cosa fare, quello che tutti rispettano perché ha sempre ragione.
C'è una persona, nella vita, che ho sempre invidiato più di loro, però. Una che si è sempre, in ogni caso, fatta riconoscere nella sua bellezza sfrontata, nel modo di fare senza timori. Una che usava il proprio corpo come un'arma e le parole per ottenere quello che voleva, una sensuale di una sensualità innata e malefica, una che attirava l'attenzione per come era.
Oikawa.
Oikawa non è mai stato il mio punto di riferimento, perché mi spaventava.
La sua onestà e la seduzione delle sue parole.
Come una serpe, meravigliosa dei suoi colori sgargianti ma infida nel veleno che può rigettarti nel corpo in un istante.
In questo momento, inizio a prendere un coraggio che non credevo di avere.
Mi sto davvero chiedendo, arrivato in questa vita, in questo sviluppo così particolare, che forse, anche io posso essere come lui.
Che ho tutto il diritto di osservare le caratteristiche affascinanti della sua personalità, e non tanto nell'imitazione quanto nel riferimento di dare a me stesso una chance di avere quell'aura potente e magnetica che ha lui.
Mi dico, ora, che posso essere come Oikawa Tooru.
Che posso essere una di quelle persone che guarderebbe con rispetto.
Che posso provare, una volta nella vita, a togliermi di dosso il mantello delle mie incertezze e fregiarmi di una bellezza che mi appartiene.
Che posso attirare l'attenzione.
E anche ora, mentre parlo di sesso con qualcuno con cui l'ho fatto più volte, con Tsukki a cui ho dato la mia prima volta e tutte quelle dopo, ora mi sento come Oikawa, a stuzzicarlo e prenderlo in giro.
Devo ammettere che è molto più divertente di quanto temessi quando non ero altro che una comparsa nel mio stesso spettacolo.
Tsukki non mi guarda negli occhi, anzi, vaga ovunque con lo sguardo come se volesse evitarli, il viso rosso d'imbarazzo.
− Ok. - dice dopo un po'.
L'ho visto eccitato, più volte, ma che è questa vergogna?
O forse è...
Non sarà che ti sto un po' tentando, Tsukki?
Silenzio.
Sorrido, alzo appena gli angoli della bocca quando mi lancia un'occhiata furtiva, lecco la panna dalle labbra indugiando qualche secondo di troppo.
− Se ti andasse di venire da me, un giorno, mi piacerebbe. - lo sento dire dopo un po', quando è calmo.
Che farebbe Oikawa?
− Venire in che senso? -
Tsukki diventa viola.
Ride, perché ride, preso in contropiede, e mi fissa con un misto di emozione e incredulità e non so che altro.
− Tadashi! -
Alzo le spalle, mi lascio andare indietro, contro lo schienale.
− Scusa, me l'hai servita su un piatto d'argento. E comunque se posso, preferisco che venga tu qui, non amo prendere il treno da solo. -
No, non è vero.
Sto facendo un capriccio sterile, per il gusto di farlo.
Tsukki storce il naso, sa che non gliela sto contando giusta.
Ma cede.
− Come vuoi, allora. -
Bravo, Tsukki. Come voglio.
Dio, ma è sempre stato così divertente? Essere questa cosa infantile e fastidiosa che seduce e sorride?
Perché non me ne sono accorto prima?
− Fra mezz'ora ho lezione, vuoi accompagnarmi? - chiedo, poi.
Abbiamo finito il caffè, da qualche minuto, ormai.
Sistema gli occhiali sul ponte del naso.
− Certo. -
− Riporteresti il mio bicchiere al banco? -
Vorrei scoppiare a ridere.
Mettere a giro quest'uomo che è sempre stato abituato ad avere di me una versione più servile è davvero stupido.
Tsukki alza un sopracciglio.
− Fai il viziato? -
− Vuoi entrare nelle mie mutande o no? Obbedisci, Tsukki. -
Nemmeno si stupisce più, ormai.
Inspira ed espira, cerca di tranquillizzarsi e si alza prendendo i due bicchieri.
− Ho creato un mostro. - borbotta.
Scuoto la testa.
− No, Tsukki. L'ho creato io. -
Sorride a metà. Un po' orgoglioso, un po' spaventato, forse.
Si allontana.
Mi passa accanto, però, prima, e sussurra, vicino a me.
− Giusto. Ti ho già detto che sei bellissimo, così? - mi chiede.
Oh, eccola che sfuma, la mia sicurezza glaciale, eccola che cade in minuscoli frammenti mentre esplodo in un risolino imbarazzato e adorabile di fronte all'onestà.
Non è tipo da complimenti sfacciati, Tsukki. Ma non sono l'unico che può essere sorprendente, immagino.
Mi sento arrossire.
Mantieni il tuo aplomb, Tadashi, mantienilo.
Persino il mio tono di voce non ci crede molto, quando rispondo.
− Lo so. -
Tsukki rimane fermo.
La sensazione che mi colpisce, in quell'istante, la riconosco bene. Non è una di quelle di cui conosco a memoria il sapore, ma che qualche volta ho assaggiato, e che so distinguere.
È vittoria.
− Sei incredibile. - capitola, abbassando lo sguardo.
Oh, cazzo, sì che lo sono.
Decisamente.
Non ci mettiamo tanto ad uscire dal bar, a dirla tutta, anzi, intrecciate un'altra volta le nostre dita in quel modo che chiede timidamente e che apprezza, siamo in strada poco dopo.
− Quindi per la cena era un sì? -
Oh, miseria, mi sono dimenticato di rispondere, ora che ci penso.
− Immagino. -
Stringe forte il mio palmo.
− Puoi dirlo con un po' più di entusiasmo? Ti prego, ci sto davvero provando. -
Ridacchio.
Lo tiro in basso dalla mano, quel che basta per appoggiare le labbra contro la guancia liscia e baciarla appena.
− Sono molto felice, di andare a cena con te, Tsukki. -
Ghigna un po' di soddisfazione.
− Davvero? -
− Davvero. -
Si rende conto dell'espressione compiaciuta e ridicola nel suo viso in un attimo, torna composto ed educato immediatamente.
Ma non me la sono persa, io.
Mi fa un po' ridere.
− Mi stai facendo fare la figura del cretino. - si lamenta.
Alzo le spalle.
− Più dell'idiota innamorato, direi. -
− Mmh, giusto. Però ho una lamentela, in quel caso. -
Procediamo di qualche passo, le mani che oscillano avanti e indietro nell'aria frizzante del mattino.
− Dimmi. -
− Gli innamorati non si baciano sulla guancia, Tadashi. -
Cazzo, cazzo.
No, Tadashi.
Non idiota piccolo Yamaguchi che arrossisce, no.
Oikawa Tooru che vede le persone pendergli dalle labbra.
− Mi stai chiedendo di baciarti in un'altra parte del corpo così, davanti a tutti? Mi serve un po' di privacy, per certe cose, Tsukki. -
Non sa nemmeno lui se ridere.
E non lo so nemmeno io.
So che, sfinito, si ferma, mi prende la faccia fra le mani.
− Oggi devo farti stare zitto, eh? Impertinente. - borbotta.
Potrei dire tante cose, per stuzzicarlo.
Ma a pochi centimetri dalle sue labbra, mi viene la tentazione di cercare di ricordare una sensazione che non ricordo come sia.
Mi viene la voglia di riprovare qualcosa che ho sentito e ora mi manca.
E cedo.
− Tappami la bocca, allora. -
Mi bacia con delicatezza.
Non è come Yūji, che è bravo nella tecnica in un modo innegabile.
Tsukki è calmo.
Tsukki conosce me, non le "cose da fare".
Sa di caffè, la sua bocca.
Non ha il freddo eccitante del piercing, ma il calore della familiarità.
Una punta di nostalgia, forse, nel modo dolce in cui le labbra si mescolano fra loro, come di una reminiscenza lontana di qualcosa che trovavo quotidiano e normale.
Non ci stacchiamo col fiatone dei baci impossibili, con la sensazione di fonderci fino a finire l'aria in corpo, più con uno schiocco affettuoso.
− Mi mancava. - mormora.
Non mantengo la mia distanza.
− Forse anche a me. - rispondo.
Ci guardiamo.
Miseria.
Cazzo.
Ci sono ricascato, non è vero? Prima una forza naturale, la mia, che si sfalda quando torno a quello che ho perso.
Limitato in un ricordo che non credevo fosse così importante.
Tsukki lo vede, che c'è della sofferenza, ora, in me. Che la mia sicurezza non è del tutto mia, che questo modo di fare non può nascondere una fragilità che in ogni caso mi appartiene.
E potrebbe dire tante cose, giuste o sbagliate.
Ne dice una che mi fa un effetto che non comprendo.
− Torneremo a fare questo tutti i giorni, Tadashi, te lo prometto. - bisbiglia.
Come ho già detto, non lo comprendo, l'effetto che mi fa.
Lo nascondo in un angolino del cervello, minimizzo le reazioni, non lo prendo per mano e ricomincio a camminare al suo fianco, cercando un silenzio anche nei miei stessi pensieri.
Ci penserò dopo.
Sceglierò come affrontarlo dopo.
Mi darò il tempo che merito e non limiterò la mia risposta ai bisogni di un attimo.
Mi merito un po' di pazienza, e il filone delle mie stronzate non finirà con queste parole.
Ho tanto da esplorare.
Anche Tsukishima ricomincia a camminare, e nel silenzio di parole che pesano come acciaio, alla fine, ci allontaniamo.
Mi concedo di esaminare quell'ammasso di lettere nel mattino silenzioso solo un bel po' di tempo dopo, seduto con le gambe alle ginocchia su una delle panchine nel cortile dello stabilimento universitario, un panino al tonno comprato al bar cinque minuti fa, in pausa di metà mattinata.
Non discuterò la bontà dei panini al tonno, so che come colazione sembrano eccessivi, ma sono una delizia.
Quindi 'fanculo, chi è il mondo per fermarmi dall'affondare i denti nel pane molliccio e nel formaggio che fila di questo ben di Dio?
Nessuno.
Lasciarci è stato diverso e strano, non fastidioso, però.
Mi ha baciato un'altra volta e mi aspettavo disperazione, quello che ho ricevuto è calma. Mi ha guardato entrare nell'edificio sorridendo, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Non è corso verso di me pregandomi di rimanere, e la parte di me che voleva che lo facesse un po', magari, ci è rimasta male, ma l'altra, quella matura, ha apprezzato.
Più che altro che questo non fosse un "addio" ma un "arrivederci", che ci fosse semplicità con la promessa di rivederci ancora.
Chissà cosa succederà, quel giorno.
Mi concedo di pensarci nella solitudine.
Ho finito il primo corso della giornata, una cosa divertente e non troppo impegnativa, la mia mente non è provata dallo sforzo.
Quel "te lo prometto", a ragion veduta, non mi piace.
Quel tono paternalistico con cui mi dice che mi proteggerà e mi dirà qual è la cosa giusta da fare. E se la cosa giusta per me non fosse quella giusta per lui?
Sono cambiato, Tsukki, e se tu invece non lo fossi?
Magari ha sbagliato il modo di esprimere un concetto.
O magari no.
Magari era quello, che voleva dirmi per davvero.
Che c'era, in un modo affettuoso che alle mie orecchie ha avuto il sapore lontano della gabbia.
Sono libero ora, l'impegno mi spaventa?
Siamo stati insieme così tanti anni. Non ho rimpianti, i ricordi che ho sono belli e delicati, dolci, amorevoli, certe volte remissivi e pallidi ma comunque felici.
Ed eppure non voglio buttare via un'occasione.
Non voglio rovinare l'unica boccata d'aria fresca che mi è stata concessa per quelle quattro parole infilate in una frase che maschera affetto.
No, Tsukki, non c'è bisogno che me lo prometti, avrei dovuto dirgli.
Me lo prometto da solo, e non che tornerò con te, non che bacerò solo te e nemmeno che sarò fedele all'idea di te così solida nella mia mente.
Mi prometto da solo di fare le cose per una scelta consapevole, di avere esperienza e di scegliere a ragion veduta.
Sarai fiero di me, alla fine.
Soffrirai nel percorso.
Della realizzazione che potrei aver avuto la tentazione di tornare, anche solo per un minuscolo istante, nella tela che Tsukki inconsapevolmente tesse attorno a me, mi spavento.
E faccio l'unica cosa che mi viene in mente per sconvolgere l'equilibrio delle cose corrette.
Prendo il telefono, e chiamo una scelta sbagliata.
− Taaaaaadashi, principessa del mio cuore, non riesci a starmi lontano, di' la verità. - risponde una voce che non è quella di cui avevo composto il numero, ma una che conosco allo stesso modo, frizzante e calma.
È Futamata.
− Futa? Terushima dov'è? -
− Oh, ma così mi offendi. Lo baci una volta e io e Bob ora siamo d'intralcio? Mi stai dicendo questo? - risponde.
Rido alla cornetta.
− No, no, figurati. È che penso di aver bisogno di distrarmi. -
− Capisco, capisco. Brutta mattinata? Pertica bionda con gli occhiali che ti manipola per coercizzarti nel suo letto? -
Non proprio, ma forse.
− Diciamo. -
− Maledetto infido quattrocchi. La prossima volta che lo becco lo pesto. -
Sento Bob raggiungerlo da dietro.
− Futa! Futa che fai con il cellulare di Terushima? So che non eri affidabile, lurido verme! -
Qualcosa come una colluttazione, immagino che si stiano colpendo.
Poi l'audio fischia, si apre, e in un attimo sento meglio tutto.
Mi ha messo in vivavoce.
− Ciao, bambino! Sono Bob. Bobata, Bob! -
C'è bisogno di specificare il suo nome completo ogni volta?
− So chi sei, Bob. -
− Volevo ricordartelo te lo fossi dimenticato. Dimmi, che parlottavi con questo infame prima? -
La domanda che mi sto facendo continua a non avere risposta.
Insomma, non per lamentarmi, ma io avevo chiamato Terushima, e di tutti mi sembra che sia proprio l'unico a non aver ancora avuto l'occasione di dire qualcosa.
In ogni caso, niente da dire, per distrarmi anche questi due sono una garanzia.
− Penso di aver bisogno di fare qualcosa di idiota. - borbotto.
Bob parla più con Futa che con me, quando risponde.
− Ha visto l'ex? -
− Ah-ah, codice rosso. -
− "Codice rosso"? Che vuol dire? Non era "codice marrone" per le situazioni di merda? -
Scoppio a ridere, davvero.
Sono due idioti.
− Ok, bambino, ascoltami, ho un piano infallibile. Ora io e Futa andiamo a recuperare Terushima e lo facciamo lavare, tu vieni qui, e lo baci un po'. Che dici? -
Ma che razza di...
Che razza di piano è?
"Lo baci un po'"?
Perché fa così ridere? E perché è così ingenuamente stupido?
− Non penso sia una buona idea. -
− Come no? Eravate tutti belli sensuali l'altra sera pensavo che avreste fatto sesso al cento per cento. Chiodo scaccia chiodo, no? -
Ma...
− Continua a sembrarmi un'enorme stronzata. -
− Forse. Ma non volevi fare una cosa idiota? Senti, facciamo così. Voleva invitarti a studiare con noi oggi, no? Passa per pranzo, mangiamo, e se proprio non te la senti io e Bob troveremo un'altra stronzata, nessun problema. -
Sbuffo.
− Mi state dicendo che dopo aver passato la mattinata con il mio ex ragazzo dovrei venire a casa vostra, baciare Terushima e farci Dio sa cosa, e sentirmi improvvisamente meglio? -
− Esattamente. -
Bob si intromette.
− E che ci sarebbe di male, scusa? Lo dici come se fosse una cosa impensabile. Non è che stai tradendo nessuno, bambino, stai solo sperimentando. Teru ti direbbe la stessa cosa, lo sai. E se il tuo tipo alto ha problemi, mandalo affanculo, che di persone che ti bloccano non hai bisogno. -
Oh, ma, messa da questo punto di vista ha quasi... senso.
Forse.
Non che voglia ammettere che qualcosa di elaborato dalla geniale mente di Bob e Futa abbia senso, sia mai. Continuano ad essere due caotici inabili alla vita adulta.
Ma cazzo, forse lo sono anch'io.
− Non so perché lo sto facendo, ma ok. Vengo. -
Potrei giurare di vedere Futa alzare le sopracciglia un paio di volte in un'espressione impunita di pura presa per il culo.
− E a Terushima diciamo...? -
− Niente. Vengo e basta. -
Bob fischia.
− E bravo il nostro bambino lentigginoso, così ti voglio. Cattivissimo. -
Nascondo una risata.
− Cattivissimo. - ripeto.
Cattivissimo.
No?
Cattivissimo.
− Ma non vengo là per baciarlo. Vengo là perché è quello che non avrei fatto prima. - mi spiego.
− Oh, certo. Va benissimo, come vuoi. -
Di nuovo quest'espressione.
Di nuovo questo "come vuoi".
Forse è arrivato il momento, mi dico.
Forse è arrivato il momento che davvero, davvero, senza scherzi, sia "come voglio".
Guardo l'orario, fra poco ricomincio lezione.
− Devo andare, ci vediamo dopo. -
− Ooooook, a dopo. -
Sto per chiudere.
Futa mi saluta all'ultimo.
− Falli secchi, tigre. - urla.
Sorrido.
La lezione procede tranquilla.
Di nuovo, sono confuso, ma questa volta la confusione prende un verso più comprensibile, nel mio cervello. Prende un verso che ha un senso.
Cosa mi ha dato fastidio, questa mattina?
Che mi mancasse per davvero.
Che abbia sentito un vuoto riempirsi con le mani strette in quelle di Tsukki.
E cosa invece mi è piaciuto?
Lo sguardo, l'orgoglio nei suoi occhi a vedermi cambiato.
Non mi aspettavo che ci saremmo rivisti così presto, a dirla tutta. Mi aspettavo che sarebbero successe tante cose, che sarebbero cambiate.
E invece è tornato come un fulmine a ciel sereno, a destabilizzare la libertà che mi ero creato.
Sto reagendo nel modo corretto? Forse no.
Ma questa reazione mi porterà da qualche parte?
Vedere la faccia di Yūji di sicuro. Ha un qualcosa di trasgressivo, stare con lui, con qualcuno che non dovrebbe attrarmi e che non dovrebbe essere attratto da me.
Non so, ad ora, se Yūji è qualcosa di durevole.
So che ha una piacevolezza diversa e nuova.
E, di diverso da Tsukki, e qui a dirlo soffro ma è la verità, c'è che mi sento meno giudicato e messo alla gogna.
So che Tsukishima non mi giudica, che è più un'impressione del mio cervello che altro, ma non posso cancellarla.
In questo momento ho bisogno di staccare, e Yūji è il modo più stupido ma funzionale che mi viene in mente.
Prendo appunti nella mia calligrafia stretta cercando di non vagare troppo con l'immaginazione, e sorrido al pensiero che mi torna nel cervello a sfiorarmi le labbra con la penna.
Un po' come Oikawa Tooru, mi sento, a paragonare baci che ho dato a due persone diverse nel giro di poche ore.
Un po' mutevole e un po' sensuale, un po' infido, un po' in errore e un po' fiero, un po' come lui.
Quando questa cosa prenderà un verso, quando avrò altre certezze, lo ringrazierò. Che è qualcuno di davvero particolare, ma mi ha insegnato tanto nemmeno provandoci.
Il professore ha la voce calma, attenta, mentre spiega.
La mia attenzione vacilla, ma la rimonto pezzo a pezzo.
Me ne rendo conto con silenzio, alla fine dell'ora e mezza.
Che sto facendo degli errori, ma cazzo, se non sto vivendo un sogno che non credevo di meritare.
Metto via i libri uno dopo l'altro, gli appunti presi in colonne ordinate con i colori che mi aiutano a ricordare le cose, le penne e i pennarelli, tutto nella borsa.
Sarà meglio che torni in camera, prima? No, non importa.
Non sono vestito male, sono abbastanza tranquillo, e i libri mi servono se dobbiamo veramente andare a studiare, oggi pomeriggio.
Casa di quei tre è più vicina.
Mi concedo, quando esco, di fumare.
Che inconsciamente, con Tsukki, nemmeno m'era venuta in mente l'idea di farlo, come se volessi fargli vedere che sì, sono cambiato, ma non in un modo che potrebbe non piacergli.
Dovrei farmi meno problemi, su cosa gli piace.
Iniziare a ragionare a mente fredda su cosa piace a me, invece.
Fumo con tranquillità, nei passi svelti sul marciapiede, fra le frotte di studenti ammassati.
Non dico di aver trovato il mio posto nel mondo, ora, ma inizio a capire che cosa avrei effettivamente perso se non avessi deciso di rivoluzionarmi.
Essere un universitario è divertente, e mi sento meno distante dalle facce che vedo felici o stanche di persone della mia età, ora.
Sto andando a pranzo da degli amici, sto facendo stronzate e seguendo i corsi, sono come loro.
Non credevo fosse una normalità che mi si confacesse.
Non tremo, questa volta, quando entro nell'edificio che ancora non conosco ma quantomeno non mi è totalmente nuovo, non mi faccio domande se dovrei essere effettivamente qui o meno, non mi creo problemi nella mente.
Salgo gli scalini con calma, cerco la porta.
Mi rendo conto persino che sono un po' emozionato, all'idea di vedere Terushima sorpreso di fronte alla mia faccia che non si aspettava di incontrare.
Eccitante, questa vita da ragazzo.
Busso con calma.
Una, due volte.
− Non vogliamo niente! Non credo in Geova, rispetto ma non condivido, e i volantini sono anti ecologici! - urla qualcuno da dentro.
Yūji.
Ovviamente, è lui.
Rido mentre busso ancora.
− Sei una fanciulla in difficoltà? Devo proteggerti da un malintenzionato? Sbatti due volte le palpebre se devo difenderti. - dice ancora.
Non smetto di ridere, lo sento alzarsi dal divano.
− Ah, ma cazzo, come faccio a sapere che sbatti le palpebre se non ti vedo. Aspetta, arrivo, eccomi, sono qui per salvarti dal patriarca... Tadashi?! -
Apre la porta in un gesto fluido.
Occhi sui miei.
Fermo.
Non parlo, sorrido e basta.
− Sei davvero tu? -
Allunga un braccio, senza timore, mi pizzica una guancia fra le mani.
− Ahia! -
− Ma sei vivo? -
Scaccio la sua mano con uno schiaffetto.
− Parrebbe. Che c'è, non volevi vedermi? Preferivi la fanciulla in difficoltà? -
Rimane comunque con gli occhi spalancati, sorpreso.
− Sto sperando così tanto che tu sia quello vero che non so se crederci. -
Arrossisco.
Sta sperando che io...
Stava...
Pensando a me?
− In carne ed ossa. -
Esplode, la sua voce. In un modo caotico e irresponsabile, come lui, mentre mi stringe con le braccia tirandomi dentro e mi fa volteggiare in aria.
− Allora non hai deciso che sono un antipatico stronzo rovina-relazioni e non volevi vedermi più nella vita! Ero così preoccupato! - urla, strizzandomi quasi.
− Che? Perché avrei dovuto? -
Arruffa il naso fra i miei capelli, ride forte, e poi mi bacia il centro della testa, prima di lasciarmi andare.
− Avevo paura che ti saresti rimesso con Tsukishima, credo. - dice poi, con il tono della voce incerto.
Scuoto la testa.
− No, no. E anche fosse non ti odierei perché lui è geloso. -
− È geloso? -
− Gelosissimo. -
Sbuffa.
Mi trascina verso il divano, un passo alla volta, che di toccarmi ormai non si vergogna, anzi. Si lancia da dietro, aspetta che mi sieda.
− Antipatico. -
− Scusa? -
− Quel tipo mi sta antipatico. A pelle. -
E non hai idea di cosa penserebbe lui di te, vorrei rispondergli.
Io non so chi sono, e forse sono tutto e non sono nulla, e per questo apprezzo entrambi. Ma loro, che la loro personalità ce l'hanno salda di una certezza di ferro, loro non sono tagliati per andare d'accorso, e lo so.
Sono diversi, quasi opposti.
Non oso pensare cosa succederebbe a metterli nella stessa stanza a litigare.
− Tsukki non è una persona facile, su questo non posso darti torto. Bob e Futa? Sapevano che sarei venuto, dove sono? - interrompo, cercando di sviare.
Non voglio parlare di Tsukki.
Ci ho pensato tanto, e vorrei, al momento, solo staccare un po'.
− Quei due miserabili non mi hanno detto che saresti passato. Sono di là. -
Mi siedo, finalmente, al suo fianco.
E non mi spavento quando una delle sue braccia corre attorno alla mia vita come per coccolarmi, anzi, mi lascio andare al contatto.
Tsukki mi tocca e mi ha toccato, ma lo fa con timidezza e un sottotono di paura, come se lo esponesse troppo, farlo.
Terushima, dall'altra, ha il contatto fisico nel sangue.
È espansivo, catalizzante.
− Gli avevo chiesto di non dirtelo. Non ti piacciono le sorprese? -
− E che sorpresa. -
Ridacchia, mentre lo dice, ma ha una venatura quasi... implicita, nella voce.
− Sei qui per pranzo? Avrei preparato qualcosa, me l'avessi detto, mi sa che ti dovrai accontentare dei panini al formaggio. - riprende, un attimo dopo.
Alzo le spalle.
− Sempre meglio del ramen istantaneo. -
− Ramen istantaneo? Quella roba non è per niente sana, Tadashi, e fa male all'ambiente. -
Me ne pento? Forse. Lo rifarei? Decisamente.
− Non so cucinare. -
Sbuffa, si adagia all'indietro spalmando la schiena contro il divano morbido, mi osserva di sbieco.
− Per tua grande fortuna io sono un ottimo cuoco. -
− Mi stai offrendo di venire a pranzo da te tutti i giorni? -
Sguardo a metà, sensualità innata.
− Ti offrirei molto altro, ma immagino che anche quello vada bene. -
Non so come comportarmi, non so come reagire.
Da un lato mi imbarazza, la sfacciataggine, e dall'altro mi intriga.
Torna come un mantra, quel nome.
Che cosa farebbe Oikawa Tooru? Che cosa farebbe il modello di una vita che vorresti poter avere l'occasione di sperimentare?
Oikawa Tooru non cederebbe.
E questo Tadashi, non lo farebbe allo stesso modo.
− Coraggioso, detto da uno che mi ha rifiutato due volte. -
Sguardo che brilla, dita che si stringono contro la mia pelle e lingua fra i denti. Storce il naso e si allontana.
− Serpe. -
− L'hai già detto. -
Poi, un attimo di pace. Silenzio puro che so significa che qualcosa sta per succedere, che qualche domanda aleggia nell'aria.
− Possiamo? - chiede, infatti.
− Che cosa? -
− Fare quello dell'altra sera. Ti mette a disagio? Ti senti male? Non stai tradendo nessuno, se non sei impegnato, ma se la cosa ti infastidisce non ho intenzione di pressarti. -
Possiamo?
Possiamo.
− Se non dà fastidio a te, a me non lo da di certo. - ribatto, con calma.
− Sicuro? -
Prendo aria.
− Non al cento per cento, ma non lo sono di niente, Yūji. So solo che voglio un po' fare quelle cose che non ho mai fatto. È un problema? -
− Non lo è, assolutamente. E per caso, quelle cose, vuoi farle con me? -
Gli faccio la linguaccia.
− No, con Bob e Futa. Ma che domanda è? - lo prendo in giro.
Si piega verso di me, letteralmente, si avvicina con uno sguardo sornione e carico di qualcosa di pesante e delicato allo stesso tempo, la distanza che diminuisce ad ogni secondo che scorre.
− Non prendermi in giro quando ti chiedo cosa vuoi, Tadashi. -
− No? -
− No. -
Silenzio.
Mi guarda... le labbra.
Non mi chiede se può, aspetta che sia io a decidere che cosa fare.
Ho baciato Tsukki e ora posso baciare lui.
Immorale? Forse.
Divertente, però.
Ed eppure decido di mantenere il contatto così, lieve ed accennato, mentre ci guardiamo negli occhi e il respiro si avvicina al punto che mi sembra di sentirlo sulla pelle.
− Dimmi quello che mi hai detto l'altra sera. - chiedo poi.
Non dovrebbe capire, che di cose ne abbiamo dette tante.
Ma lo sa, lo sa e basta.
− Sei la cosa più bella che abbia mai visto. - ripete.
Come mi infiamma, sentirlo.
E come mi convince a sporgermi e baciarlo.
Diverso da ieri, diverso da Tsukki, diverso e divertente.
Niente più foga del momento, solo lingua e lingua e labbra e labbra, solo fiato che si spezza e mani che diventano pesanti.
Si sporge, verso di me.
E comunque non mi sembra abbastanza.
Continua a sembrarmi troppo poco.
− Toglitela. - sussurro poi, staccandomi.
− La maglietta? -
− No, la testa. -
Ride, scuote il viso.
− Non penso sia una buona idea, ci sono Bob e Futa di là, hai visto Tsukishima stamattina, non saprei... −
Un altro no, Yūji?
Ma chi sei per dirmi di no e dire di farlo per me?
Chi sei per prendere decisioni per me?
Mi stacco con il corpo, faccio leva sulle ginocchia, raggiungo l'orlo della mia, di maglietta, e la sfilo.
Osserva il mio petto lentigginoso quasi in adorazione, quando lo vede.
− Se sono costretto a spogliarmi per convincerti a farlo, nessun problema. - gli faccio notare.
Si morde il labbro.
− Sei un infame. -
Lo bacio ancora, ma lo sento... trattenuto.
E in questo momento, nel marasma della giornata che scorre e delle cose che in un così breve lasso di tempo sono successe, mi fa incazzare.
Voglio tutto, e lo voglio ora.
Di nuovo, arriva.
Che cosa farebbe Oikawa Tooru?
− Tsukki mi avrebbe detto di sì, stamattina. - mormoro dopo un istante.
Gli fa male? Forse.
Ma lo accende.
Gli occhi diventano severi e rigidi, le mani più cattive, la mascella serrata.
− Ah sì? -
− Sì. Quado mi ha baciato si vedeva che voleva altro. -
Serra la mia mascella con le dita.
Mi bacia con violenza, ora, senza trattenersi, mi spalanca le labbra con le sue e preme la fronte sulla mia, la voce diventa bassa, quando parla.
− Ti ha baciato qui? -
Annuisco.
− Ah-ah. -
Mi bacia un'altra volta.
Si stacca.
Occhi fissi sui miei che mi bucano quasi.
− Mi hai fatto incazzare, Tadashi. - borbotta fra i denti.
− Oh, mi dispiace. Vuoi sfogarti, per caso? -
Sibila, la lingua fra i denti e il piercing che batte contro la luce.
− Sai una cosa? -
Mi avvicino, sinuoso come un filo d'erba, delicato, seducente come l'immagine che vorrei avere di me. Lobo dell'orecchio fra le labbra, mordicchio piano, il sapore degli innumerevoli orecchini che è ferroso, contro la mia lingua.
− Cosa? - chiedo.
Mi ribalta in un secondo.
Mani che mi spremono contro il cuscino del divano, il fatto che ci siano altre persone di là che sfuma nel niente dell'indifferenza, la luce che illumina tutto, non mi nasconde.
Mi guarda come se volesse mangiarmi.
E voglio essere mangiato.
− Vaffanculo. - sbotta.
I muscoli sono tesi.
Quando parla, lo fa con severità e cattiveria, in un modo comunque protettivo e sensuale, ma duro, affilato.
− Non lamentarti di qualcosa che hai chiesto. - finisce.
E Dio, mi sa proprio che non lo farò.
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