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➥✱ alert :: questo è il finale "alternativo". 

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Quello che succede dal momento in cui metto piede nella macchina di Yūji al momento del giorno dopo in cui torno nel mio dormitorio, per me, è nebbia.

Non ne ricordo nessun dettaglio.

Zero.

Ricordo Terushima che parla di me, con me, accarezzandomi i capelli sul divano a malapena.

E ricordo una voragine aperta al centro del mio petto.

Il resto?

Spazzato via come aria.

Sono rimasto... sotto shock, credo, per quasi ventiquattro ore.

Tsukki, Tsukki, Tsukki.

Perché?

Continuo a chiedermi, perché?

Perché mi hai fatto sentire così infimo e nonostante questo non riesco a non pensare alla patina sofferente nei tuoi occhi?

Perché sembravi star soffrendo più di me, mentre rompevi a mani nude quello che sono diventato?

Perché mi sento come se fossi stato io, a mangiarti vivo, e non viceversa?

Rientro nel dormitorio di pomeriggio tardo, non vedo l'ora di stare da solo.

Anche stare con Yūji mi sembra sbagliato, ora che tu hai divelto alle fondamenta la mia fiducia in me stesso, Tsukki. Non che abbia funzionato, nel bene o nel male credo ancora in quel che sono, ma continua a instillarmi un dubbio profondo, il tuo comportamento.

Come una goccia che batte ripetutamente su una roccia, fino a roderla.

Perché?

Perché?

Perché?

Mi butto sul letto di faccia, mi tolgo le scarpe l'una con l'altra e le lascio sul pavimento mentre rannicchio le mie gambe al petto.

Che cos'è, che ti uccideva, in quell'istante?

Perché sembrava che volessi scappare?

Perché sembrava che ci fosse nient'altro che bisogno di essere salvato, mentre cercavi di calpestarmi?

Non c'era, la cattiveria che usi di solito.

Non c'era la strafottenza.

C'ero io che soffrivo, e tu che mi dicevi con quegli occhi che non ho mai visto chinarsi verso nessuno che ti sentivi debole.

È la consapevolezza, non è vero?

Che l'unica cosa che ti sia rimasta per tenermi legato a te sia provarci in tutti i modi sbagliati.

Ma di cosa ha paura, uno come te che brilla e ha sempre brillato della luce misteriosa della Luna?

Di me?

Di questo me?

Che cosa ti ho fatto?

È Miyagi, con le sue sbarre d'oro, che ti ha costretto a crederci e poi ti ha strappato tutto. È il mio corpo che ti abbraccia e poi svanisce, le mie parole incerte e il mio balzellare da una parte all'altra.

Ma non è questo, non è questo.

È la verità, Tsukki, che temi al punto da diventare la versione peggiore di te di fronte ai miei occhi, no?

La verità che questo me te lo devi guadagnare da capo.

E che forse qualcuno non ha fatto altro che precederti per un mese, ormai.

Chiudo gli occhi, serro le palpebre e sento le radici delle ciglia pizzicarmi contro la pelle sottile, mentre mi rivolto nelle coperte.

Parleremo onestamente e cosa cambierà?

Come ti comporterai?

Io non so se mi fido di te. E non so se lo faccio perché ho visto questa faccia così meschina, così violenta, ora, che non credo di essere in grado di dimenticare.

Ma qualcosa mi sta dicendo di non mollare.

E mentre sono da solo, senza voci che mi dicano cosa fare, mi addormento credendo che i fili rossi, alla fine, non si spezzano davvero mai.

Il secondo giorno, lo passo in meditazione profonda.

Yūji mi chiama al telefono due volte, ma non rispondo. Non posso far entrare nemmeno un grammo dell'aria di fuori, o tutto s'interromperà.

Bevo il caffè sul balcone nel piano più alto del dormitorio penzolando le gambe oltre la ringhiera.

Eri così umano e non me ne sono accorto, Tsukki?

Eri fragile, fragilissimo, e tutto quello che ho fatto è stato pestarti e ripestarti senza ritegno?

Ma cos'altro avrei dovuto fare?

Ogni volta che chiudo gli occhi, vedo iridi d'ambra che soffrono, che implorano pietà dalla loro stessa cattiveria.

Perché mi sento di potermi fidare di più, se penso al peggio di te? Perché vederti indifeso mi dà potere, forse? Perché mi sembra di averti esplorato più a fondo?

Questo, ci mancava, magari. Vedere il peggio di noi stessi.

Ma sono in grado di tener testa al tuo peggio o mi sento di voler fuggire?

Mi sembra tutto mentale, così mentale, ora. Non sento colpe e non sento accuse, mi sembra di fluttuare nel nulla delle cose che capitano mentre ragiono a fondo, cerco di capire.

Cos'è che ti ha distrutto, Tsukki?

Cosa ti ha fatto venire la voglia di distruggere me?

Va oltre, il segno del morso di un altro.

Sapevi in fondo cosa stessi facendo, quando a Miyagi mi hai garantito che mi avresti aspettato, sapevi di cosa stavi parlando.

Perché rinnegare la tua stessa coscienza, allora?

Per farmi del male?

Per cercare di non soffrire tu stesso?

Mando giù il fondo della tazza con un sospiro, l'aria fredda di ottobre mi fa tremare appena le spalle, indietreggio con la testa guardando il cielo.

Cosa pensi, quando guardi questa stessa distesa blu, Tsukki? Che ti sei pentito? Che hai fatto bene?

Ho un sacco di domande.

Un sacco di... domande.

Più tardi rispondo a Yūji, al telefono. Ha il tono affannato, coinvolto come al solito, preoccupato. Lui mi ama, lo so, ma più penso a che cosa stia succedendo, più mi sembra di essere distante anche da lui.

Mi sento come se il mio cervello mi stesse dicendo "ti sei divertito, Yams, ma ora è il momento di infilarti nella rete di cose che decidi e capire fino in fondo chi sei".

Guardo le punte dei piedi che fluttuano sopra il tetto dell'Università, mentre parlo.

Yūji dice che non l'avrebbe fatto, lui, quel che ha fatto Tsukki.

Ma non è forse ovvio?

Dopotutto sono così diametralmente diversi che non mi potrei aspettare null'altro.

Ed eppure...

Tsukki è necessariamente cattivo, per quel che ha fatto?

O è forse solo confuso da se stesso?

Deluso, incredulo, stranito e debole, non cattivo.

Torno in camera col vento che mi fischia nelle orecchie.

Ricomincio a dormire.

Il terzo giorno, il quarto e il quinto, rimango chiuso nelle quattro mura della mia stanza a studiare e basta. Fermo immobile come in una bolla di incomprensione.

Yūji è passato a trovarmi.

Ha controllato che stessi bene, che fossi intero, è rimasto a ridacchiare e scherzare qualche ora cercando di capire che cosa mi passasse per la testa.

So che mi ha preso la mano con la sua e ha sorriso, prima di andare.

Che sulla porta le parole che ha detto sono state "ho paura di aver capito qualcosa".

Ho saltato due lezioni per rimanere seduto a gambe incrociate sotto un albero del parco dell'Università solo a pensare.

Pensare, pensare, pensare.

Non l'ho fatto poi così tanto, eh, questo mese?

Mi sono buttato a capofitto su qualsiasi idea mi spuntasse nel cervello e non ho messo nemmeno un grammo della mia natura riflessiva in qualsiasi cosa stessi facendo.

Credo di aver pensato talmente poco da aver bisogno solo di ricaricarmi.

Ho ferito...

Ho ferito tutti, non c'è dubbio.

Ma se devo pensarci a fondo...

Sono davvero sicuro che il male che ho inflitto sia tutto uguale? Forse... lasciare e mollare qualcuno che ti ha sempre conosciuto e qualcuno che invece di te ha solo un sentore non è la stessa cosa.

Forse il male che ho fatto a Yūji è diverso da quello che ho fatto a Tsukki.

Forse dovrei smettere di pensarci in questo modo così ossessivo.

Forse dovrei prendere in mano le mie responsabilità e dire le cose come stanno.

Il sesto giorno esco di casa per andare a fare una passeggiata.

Il tempo fuori è rilassante nonostante tenda al rigido, di una frescura che ti fa stare a tuo agio. Gli alberi sono tinti d'arancio, il sole è caldo e morbido su di me, Tokyo è assonnata, in questa mattinata d'ottobre.

Ho passato così tanto tempo nel quartiere che circonda il dormitorio e l'università che Tokyo, in realtà, mi è abbastanza sconosciuta, ancora.

Rimango seduto a gambe incrociate sulla sedia di plastica dell'area fumatori per dieci minuti, aspirando la mia quotidiana dose di nicotina che sto via via cercando di diminuire, guardando il fumo tirarsi su nell'aria.

A Miyagi fumavo le sigarette una volta al mese, ricordo, nascosto in bagno di notte.

A Tsukki questa cosa non è mai piaciuta.

Ma credo che di cose che a Tsukki non vanno a genio, ormai, ce ne siano ben più di una.

Il programma non so bene quale sia, credo andare al bar, prendere qualcosa di zuccheratissimo e sedermi a lato di una strada a meditare ancora.

È scioccante quanto tempo passi a pensare.

Penso a me stesso.

Come sono?

Io, come sono?

Sono forte. Sono deciso, sono sicuro. Sono stronzo, però, perché un po' penso solo a me stesso, sono la pallida imitazione di un edonista che non dice mai no alle voglie che sente sottopelle, sono egoisticamente sempre alla ricerca di qualcosa che mi tiri fuori emozioni forti.

Sono così, ora.

Va bene?

Anche non andasse bene, non m'importa più di tanto.

Yūji è divertente. Divertente è indubbio, che lo sia. È arrogante, sboccato, la faccia di chi sa di avere un ascendente sugli altri e che lo sfrutta in toto. È sveglio, non ci si annoia con lui.

Mi piace? Sì che mi piace.

E Tsukki?

Tsukki, il timido, alto, riservato e malefico Tsukki, com'è?

Bello, minaccioso, protettivo, dolce, paziente.

E... indietro.

Credo che al momento sia... indietro.

L'ho lasciato indietro, non è vero?

La scelta è bipartita, nettamente.

O scegli di renderlo partecipe, scegli di dire la verità per come sta e assorbire le reazioni che susciti, Tadashi, o lo tagli fuori.

Non è difficile.

Le cose stanno in questo modo.

Trovo un bar che mi piaccia e entro dalla porta aperta, sorrido al barista, chiedo un cappuccino con la panna e la cannella.

Aspetto pazientemente specchiandomi sul vetro delle paste.

Gli ho mentito, non coscientemente, ma omettendo.

Ho saltato i particolari.

Li ho superati a piè pari.

Tsukki non sa niente di me, non sa... niente. Questo nuova versione della mia persona gli è totalmente sconosciuta, un po' perché lui stesso si ancorava all'idea che io fossi sempre uguale, un po' perché l'ho tenuto lontano.

Ma una domanda mi frulla in testa.

Perché non ci hai rinunciato, Tadashi, se il tentativo inconscio era quello di allontanarlo?

Perché non riesci a dire "basta", quando si tratta di Tsukki?

Credevo che fosse abitudine, la mia, ma lo si può dire veramente quando ora la mia quotidianità comprende altre persone?

Sarebbe stato facile, naturale, allontanarsi.

E invece respingerlo non mi torna.

Ringrazio e pago, prendo il caffè fra le mani ed esco guardando la voluta di vapore che esce dal buco del coperchio di cartone.

Sarebbe stato totalmente lineare, spaccarci.

Ma invece non riesco, nemmeno dopo averlo visto nelle sue fattezze più minacciose, a dire che di Tsukki io ne ho avuto abbastanza.

Continuo a dirmi "e se?".

E se gliel'avessi detto, com'ero, cosa sarebbe cambiato?

E se gli avessi detto che frequentavo un altro dettagliando la mia frase?

E se fossi stato più onesto?

E se avessi parlato col cuore in mano invece di nascondere dietro ad un patetico "voglio proteggere la tua immagine di me" quello che sentivo star cambiando nella persona che sono?

E se tutto fosse stato più chiaro, Tsukki, e se fossi stato sullo stesso piano cosciente di Yūji?

Yūji non voglio farlo soffrire più.

È bravo, dolce, adorabile, non se lo merita.

Ma allo stesso modo non posso nemmeno dargli quello che vuole e lo so bene, perché quello che vuole è me, e io non credo di potergli appartenere completamente.

Non così.

Non senza aver provato a dare questo Tadashi a quello Tsukki.

Dicevo di voler provare di tutto, due giorni fa, mentre chiedevo a Yūji di toccarmi e spogliarmi, ma in effetti dire che l'abbia fatto sarebbe una grande menzogna.

Io, onestamente, in questa consapevolezza di me stesso, ho mai provato a stare con Tsukki?

No, non credo.

Non credo.

Mi siedo su una panchina da solo, incrocio le gambe sotto di me, apro il coperchio di cartone per fare in modo che il caffè si raffreddi.

Dovrei provare?

Voglio?

O temo di lui che alla prima difficoltà torni il manipolatore che era una settimana fa?

Soffio sul vapore.

Temo, io?

No, io questa cosa non la so fare.

Questa versione di me non ha la minima idea di che cosa diavolo sia, la paura.

Sorrido con la panna che mi macchia il labbro superiore.

Sono uno che si tira indietro?

Lo ero, ma ora non lo sono più.

E forse questa non è altro che l'ennesima sfida.

Mi ritrovo col cellulare premuto all'orecchio prima di rendermene anche solo conto.

− Tadashi? –

Cadono, le foglie autunnali, volteggiando nell'aria. Volteggiavano anche il giorno in cui mi sono messo sulla punta dei piedi e ho premuto le labbra contro le sue la prima volta, ora che ci penso.

Erano quattro anni fa, all'incirca.

Alla fine l'avevo iniziata io anche allora, questa cosa.

− Ciao, Tsukki. – mormoro.

L'aria sa di cannella, il caffè che ne spande l'odore davanti al mio viso.

Lo sento... zitto.

Mi sarei aspettato un mare di parole e un mare di scuse, ma non è il mare, quello che esce dalle sue labbra. Non è mai uscito.

− Mi stai chiamando per dirmi che non vuoi vedermi mai più? – chiede, dopo qualche istante.

Sorrido a me stesso.

− Se fosse? –

Respira, oltre la cornetta del telefono.

− Avresti solo ragione. – commenta.

Lo so.

Lo so ma allo stesso tempo... non lo so.

− Che cosa intendevi quando dicevi che ti ho tradito, Tsukki? Sul serio, non per ferirmi. –

Mi tornano in mente tante cose, di me e Tsukki.

Parlavamo di scappare, insieme, quando facevamo il primo anno di liceo. Il coming out di Tsukki è stato turbolento, non è finito male, ma il percorso ha avuto alti e bassi, piccoli dossi e incertezze che per una persona rigida e poco flessibile come lui, sono enormi buche.

Volevamo andare via.

Non so perché me ne fossi dimenticato.

− Volevo dire che mi hai abbandonato. So che è una scusa del cazzo, lo capisco, ma è vero. Mi hai... messo da parte. – risponde.

Oh, Tsukki.

Dici la verità, ma non so se vuoi sentire la mia.

− Perché mi hai fatto quello? –

− Perché sono un idiota. Perché non so fare altro. Perché avevo paura. –

Quanto ti conosco, timido ragazzo con gli occhi d'ambra. Lo so, cosa celano, lo so perché è come se guardassi me stesso, dentro di te.

− Hai paura di come sono adesso? –

− Ho paura che adesso tu non abbia più bisogno di me. –

Non so come sia, ora come ora, ma posso immaginarlo. Piange molto di rado, Tsukki, e quando lo fa si vede bene. Ha i bordi degli occhi che si tingono di un rosso acceso, le labbra più gonfie della norma, il viso intimidito dalle stesse emozioni che prova.

Giurerei che ha pianto parecchio, questi giorni.

− Io non ho bisogno di te, Tsukki. –

Trattiene il respiro.

− Lo so. –

È vero.

Io non...

Non ho bisogno di nessuno.

Non ne avrò mai più.

Ho passato così tanto tempo, ad averne, a sentire di non poter sollevare nemmeno la minima situazione con le mie sole forze, che ora so bene di poterlo prendere in mano tutto, questo mondo, solo perché sono io.

Non ho bisogno di Tsukki.

Ma non ho bisogno di Yūji allo stesso modo.

Ho bisogno solo di me stesso.

− Ma credo che meriti una spiegazione. E ne merito una anch'io. – dico.

Sento il fiato mozzarsi nella sua gola.

− In che... −

− Prendi il treno. Domani vieni da me, bussa civilmente, non urlare. Parliamo e basta. – spiego.

Non so se tutto questo pensare sia stato corretto, non so se la prospettiva possa essere quella giusta.

Non lo so.

Ma credo di avere la forte sensazione di volerle dire tutte, le cose, prima di decidere se scegliere o meno.

− Io... −

− Non ti sto dando un ultimatum, ma non starò ad aspettarti, Tsukki. Mi devi delle scuse, lo sai, e non ho intenzione di sentirmi dire che non le valgo. Non funziona più, con me. –

Sbuffa ma lo fa più con rassegnazione che con fastidio.

− Non c'è altro modo che correrti dietro, vero? –

Rido piano.

− So di meritarmelo. Non riuscirai a non farmelo credere. –

Potrei giurare di vederlo sorridere, so che lo sta facendo. Subisce il mio umorismo tagliente più di quanto sembri, lo diverte.

− Non ho mai voluto non fartelo credere. –

− Di questo non sono perfettamente certo. –

Di nuovo, è vero.

Non sono perfettamente certo che l'atteggiamento di Tsukki che mi urla addosso non sia semplice cattiveria. Esistono, le persone malvagie, lo so. Istintivamente direi che Tsukki non è una di queste, ma la fiducia nuda e cruda non riesco a dargliela così facilmente.

− Mi stai facendo venire per dirmi addio, no? – aggiunge al fondo, col tono quasi spezzato e malinconico.

No, no.

Non ancora.

Non lo so.

− Ti sto facendo venire per dirti le cose che non ti ho detto. Se vuoi sentirle, bene, se no penso che tu sia abbastanza grande per scegliere di te stesso, Tsukki. –

− Quindi? –

− Quindi se vieni potresti avere un'occasione. Se non vieni, no. Fai tu. –

Di nuovo, so che sorride.

Sorride fra le lacrime e nell'ansia di non essere abbastanza, che so non avrei dovuto mettergli sulle spalle, ma che per una piccola vendetta personale ho deciso di donargli.

Forse capirà com'è, avere il dubbio di non essere nessuno.

Forse.

Non è un atteggiamento maturo, il mio, ma di essere maturo non ho mai avuto la pretesa.

− Mi aspetterai fino a domani? – chiede, e sento la sua voce vibrare di nervosismo.

− Fino a domani. – confermo.

Ci salutiamo poco dopo, concludo la telefonata e ricomincio a bere il mio caffè alla cannella nel silenzio dell'autunno che scende.

Non credevo di dover pensare così tanto.

Ma direi ora, che ne avevo quasi bisogno fisico.

Il settimo giorno, non è la domenica biblica in cui mi riposo. Il settimo giorno è quello in cui apro gli occhi.

Mi sveglio tardi.

Sono rincoglionito in pigiama, con i capelli ridotti uno schifo perché li ho legati prima di addormentarmi e ora saranno piatti e strani, gli occhi gonfi e la schiena indolenzita per il modo in cui l'ho piegata.

Mi tiro su con una lentezza disarmante, guardo il cellulare di sbieco.

Mancano... venti minuti.

Venti minuti.

Cazzo.

Non che avessi nessun discorso da ripassare né nulla e Tsukki sa bene come sono mezzo addormentato appena sveglio la mattina, ma ecco, volevo darmi un tono.

So che sta venendo qui.

Sarà arrivato alla stazione già da un po'.

Mi infilo in bagno e apro l'acqua gelida.

Meglio coi capelli fradici che piatti, meglio congelato che insonnolito.

Spremo un litro di shampoo a caso e lo uso per lavare tutto, impreco fra i denti al gelo del getto contro la mia pelle chiara, mi sciacquo il più in fretta che posso.

Mi tiro fuori dalla doccia un passo gelido alla volta, mi avvolgo come un cretino attorno all'asciugamano sbagliato che quello giusto l'ho perso in lavanderia due giorni fa mezzo incantato nei miei pensieri, mi lavo i denti di fretta.

Non spendo tempo dietro alla mia semplicissima skincare.

Mi friziono i capelli e li lego, scappo in camera, rovisto fra la roba.

Niente outfit killer per Tsukki.

Non serve.

E non sto cercando di conquistarlo. Sto cercando di parlare. Senza sembrare un rifiuto tossico possibilmente, ma di certo non imitando un'avvenente femme fatale.

La camera non è che la metta a posto per fare bella figura, più per farlo sedere da qualche parte quando verrà. Non penso proprio che sedersi sulla scrivania sia un'opzione.

Mi ritrovo col fiatone appena alzato, a spingere tutti i panni sporchi che non ho avuto il cuore di portare a lavare sotto al letto, vestito con una felpa che mettevo al liceo e un paio di pantaloncini troppo corti per la stagione.

Sono ridicolo?

Lo sono, ma mi piaccio così.

Mi lancio di schiena al centro del letto dopo aver rinunciato ad ogni proposito che non fosse nascondere il casino e fisso il soffitto.

Quanto mancherà?

Che ne so.

Prendo una sigaretta dal comodino.

Mi sento un tabagista di merda a tenerle sul comodino, ma è vero che la mattina mi piace stare seduto a letto a fumare cercando di non ciccare sulle coperte pulite. È la forma più vicina ad uno sport agonistico che abbia mai praticato, mi dico.

Avvicino il posacenere a me, prendo l'accendino che ho rubato a qualcuno, probabilmente a Yūji, e l'accendo.

Ho le punte delle ciglia che virano al biondo, perché la fiamma è troppo forte.

Prendo un paio di tiri con calma, cercando di fare mente locale nel poco tempo che rimane.

Devo dire le cose come stanno.

Devo farmi spiegare cosa intendeva veramente con quella manipolazione così meschina.

Devo capire se voglio provare a imboccare la strada della riconciliazione o tagliarlo fuori.

Anche lo tagliassi fuori, non credo tornerei da Yūji in ogni caso. Il mio animo e il suo non sono compatibili nel senso che si aspetta tanto, da me, e io tanto non posso darglielo e preferisco fuggire.

Non so se mai saremmo potuti stare insieme.

Ma l'ho salutato come un'avventura per aprire gli occhi.

Sento i passi prima di sentire la mano che bussa alla porta.

Chiudo forte gli occhi.

Aspetto che arrivi.

− Tadashi? Sei sveglio? – sento, oltre la porta di legno.

Inspiro, espiro.

− Entra, è aperto. –

Come ho detto, Tsukki che piange è una cosa talmente rara da essere davvero palese, come immagine. E Tsukki ha pianto, forse sta piangendo tutt'ora, quando apre la porta e s'infila in tutta la sua stazza in questa camera chiusa piena di fumo.

Storce il naso. Indietreggia col viso.

Ma entra e chiude la porta dietro di sé.

− Posso aprire la finestra? – chiede, evitando i miei occhi.

Direi di "no" per ripicca, ma intossicarlo ora come ora ancora non mi va.

− Fai. –

E lui fa.

Apre l'anta, sgancia il perno e apre all'aria fredda di ottobre la mia camera del dormitorio.

Poi arriva verso il letto e continuando a non guardarmi, aspetta che gli dica qualcosa.

− Ciao, Tsukki. –

− Ciao, Tadashi. –

I saluti rimangono nell'aria, a rotolare fra le parole dette e quelle non dette, pesanti e paurosamente leggiadri allo stesso istante.

− Com'è andato il viaggio? –

− Non me lo ricordo. –

Sorrido.

− Come mai? –

Si copre il viso abbassandolo, poi lo tira su e asciuga la guancia con il bordo della felpa.

− L'ho passato a piangere. Non ridere di me. –

Sorrido di più.

− Non ho alcuna intenzione di farlo. Siediti. –

Era come se tutti e due stessimo condividendo un filo di fiato spezzato fra noi. Quando Tsukki si abbassa e si siede, si ricollega piano e riusciamo entrambi a sentirci di nuovo col petto pieno d'aria.

− Perché hai pianto? –

− Perché io ci sono venuto, qui, ma non so come fare a farmi perdonare. –

Alzo una mano nell'aria, vedo che guarda il palmo, l'avvicino fino a lui.

Scorro sull'avambraccio, fino alle dita.

Le intreccio con le sue.

− Non si possono cancellare le cose, Tsukki, ma si può provare a spiegarle. –

Tira su con il naso.

− E come dovrei fare? Come? Cosa posso dirti? –

− Quello che ti passava per la testa. –

Con l'altra mano stringe la mia più forte.

− Io... −

Metto su l'espressione più dolce che posso.

− Dimmi la verità, Tsukki. –

E le parole iniziano a cadere come fiocchi di neve.

− Ero terrorizzato. Io so che qui è pieno di persone diverse da me che possono darti molto di più di quello che ho io. Io non sono mai stato divertente o... giovanile o chissà cos'altro, sono solo io, uno stronzo di Miyagi che fa fatica ad esternare e non ha nulla d'interessante. –

Non piange, mentre parla, sembra più che tenti di liberarsi.

− Ti ho visto arrivare tutto felice e ho pensato "ecco, è fatta, l'hai perso" e volevo solo che stessi male quanto stavo male io. So che non avrei dovuto, ma non riuscivo a fare altro. –

Lo so, lo sapevo, c'avrei giurato.

− Non ho niente in confronto a tutte le cose che ti può dare la persona di cui parli, lo so bene. Ma per quel che mi riguarda, tutte le cose che ho detto non sono vere. Tu sei forte, sono io quello debole, e tu sarai sempre solo chi vuoi essere. Non so come chiederti scusa, posso solo prometterti che proverò a cambiare. –

Tiro dentro il fiato.

− Yūji Terushima. – dico.

Tsukki si congela.

Si blocca.

Mi guarda in faccia con gli occhi sbarrati.

− Eh? –

− Yūji Terushima è la persona con cui sono stato. Abbiamo fatto sesso, siamo usciti diverse volte, l'ho baciato per la prima volta dopo gli audio che mi hai mandato. Sono andato spesso a casa sua, la notte che eri qui sono scappato da lui. Mi fa sentire forte, mi fa sentire... bello. – sbotto di colpo.

Soffre.

Soffre fisicamente.

Come se stessi spingendo degli spilli nel suo corpo.

− Io... −

− Tu non ne avevi la minima idea. Ero convinto di proteggerti non dicendoti nulla, ma alla fine era una menzogna, cosciente o no. Tu non hai saputo niente. Ora lo sai. –

Il suo volto s'irrigidisce.

So che cosa sta pensando.

Sta pensando che gli fa ribrezzo, che mi detesta, come ho potuto andare con qualcuno del genere, che...

− Io come faccio ad essere meglio di uno come Terushima? Io... Potevi dirmelo prima, che non eri qui per darmela davvero, un'opportunità. –

Cosa?

Che cosa...

Tsukki che dice di non essere il migliore?

Tsukki che non si difende con l'odio?

Tsukki... umile?

− Mi stai dicendo che dovrei mettermi con Yūji? –

− Ti sto dicendo che se quello che vuoi è vivere la tua vita da ragazzo all'università, la scelta fra uno come me e uno come lui è obbligata. –

Ma...

Dio, ma mi ascolto?

Ha ragione, cazzo, ha ragione.

Tsukki ha ragione.

Dovrei scegliere Terushima. Lo dovrei fare perché il nuovo me è quel tipo di persona. Quello che vuole le avventure e le cose volatili e randomiche, non un rimuginatore seriale che passa le notti a farsi coccolare e basta.

Ma quel che...

Quel che succede, mentre persino Tsukishima mi dice che la mia è una scelta facile, è che non riesco a togliermi dalla testa qualcosa che non ho senso di volere.

Io dovrei scegliere Terushima.

Ma se non riesco a dire "addio" a Tsukki nemmeno sapendolo, allora, allora forse la scelta l'ho già fatta.

− Io non voglio vivere la mia vita da ragazzo all'università, voglio essere in pace con me stesso. E l'unica persona che mi abbia sorretto sempre, in tutti questi anni, sei tu, Tsukki. –

Indietreggia con la testa, non sembra capire.

− Non voglio che tu mi dica di andare con un altro. Voglio che mi dica che proverai a capirmi anche se non ti sembra di riuscire più a farlo e che possiamo ricominciare daccapo. –

− Che cosa...? –

− Tsukki, sai quanto sarebbe stato più facile mollarti e diventare qualcun altro? –

La domanda retorica è forte, cattiva fuori dalle mie labbra.

− Sarebbe stato facile. – conviene, e sul suo viso inizia a nascere solo il principio di un sorriso, minuscolo, minuto.

− Io sono diverso perché non mi faccio mettere i piedi in testa e se vogliamo rifare questa cosa mi devi promettere che lavorerai su te stesso, ma questo me, le cose facili, non le vuole. Voglio quelle meritate e quelle dove le persone s'impegnano, ok? –

Annuisce.

− Tu ora alzi il culo e vai da un cazzo di psicologo a cercare di sistemare il fatto che invece di esternare le emozioni diventi un manipolatore di merda, io smetto di fare lo stronzo e cerchiamo di rimontare questa cosa, ok? – urlo, definitivamente.

Annuisce di nuovo, come se fosse intimidito.

− Dimmi che è ok. – ordino.

Tsukki sorride tanto, mentre mi appoggia le mani aperte sul viso, sorride e dice che è ok, più che ok, che va tutto bene.

− Posso chiederti una cosa anch'io? –

Faccio violentemente "sì" con la testa.

− Puoi provare a smettere di fuma... −

− Non ti allargare, Tsukki. – lo interrompo.

Ammutolisce.

Poi scoppia a ridere.

Scoppia a ridere e ridere è una di quelle cose che Tsukki non fa mai, che mi sembra davvero strano, poterlo vedere a pochi centimetri da me.

Ride forte.

Mi mancava vederlo ridere.

Mentre allaccio le mani con le sue mi rendo conto che mi mancava essere a casa.

Sono stato...

Vivace, vivo, vitale.

Ma forsennatamente irrequieto, credo.

E ora, l'irrequietezza, la sensazione di non avere pace, si spegne.

− Credi che possiamo provarci da capo? – mi chiede, riprendendosi.

Mi sporgo.

Premo le labbra contro le sue.

− Penso che siamo stati io e te per un sacco di tempo e che non vedo perché non possiamo esserlo di nuovo. –

Sorride contro le mie labbra.

− Di nuovo io e te contro il mondo? –

Ridacchio.

− Sì, Tsukki. Di nuovo io e te contro il mondo. −

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