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𝚐𝚘𝚝 𝚋𝚘𝚢𝚜 𝚊𝚌𝚝𝚒𝚗𝚐

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La prima cosa che ho fatto stamattina, è stata scusarmi.

Quando ho aperto gli occhi, tirato via dal sonno che come un'incudine mi ha colpito e soffocato stanotte, la prima cosa che ho fatto è stata scusarmi con la persona che dormiva al mio fianco.

Gli ho chiesto scusa.

Scusa perché non è l'unico, scusa perché non è riuscito a colmare la mia fame, scusa perché sono così fallimentare e così diviso, scusa perché non riuscivo a non avere la voglia, sottopelle, di provare che cosa volesse dire essere la metà che non l'amava.

Volevo prendere il treno della mattina, ma non sono riuscito.

Ero in ritardo.

Ho mangiato con Tsukki, Tsukki che sapeva cosa stava succedendo, Tsukki che si odiava e mi odiava perché nei miei occhi vedeva altro.

Ho represso un po' del mio prurito.

Ma poi, più tardi, ore più tardi, seduto su un vagone vuoto, quel prurito è diventato insostenibile.

Ti concedo, metà che ama la sfacciataggine, di avere la meglio.

Qui, in questo treno freddo e solitario, sono cambiato ancora.

E sono cambiato in un modo che non se ne andrà mai, da me.

Urla, la mia voglia di essere adorato, mentre il panorama scorre veloce attorno a me, urla e grida come un'ossessa, sperando di poter uscire, di poter vedere la luce.

E tirando indietro un po', un pochino della mia moralità, stupido orpello di una società che mi preferiva dimesso, ho lasciato che la mia voglia urlasse.

Urla un nome.

E non è il nome di Tsukki.

È il nome di chi non mi accompagna ma mi getta nell'aria come volesse vedermi volare, è il nome di chi sorride sapendo di avere il mondo ai suoi piedi, è il nome della persona di cui, metà di me, si è innamorata.

Il mio cuore, il mio stomaco, il mio istinto, urlano un nome.

E quel nome, è quello di Yūji Terushima.

Non mi sono scusato, è la prima cosa di cui mi rendo conto. Non ho chiesto scusa per essere scomparso, non per aver tradito la sua fiducia.

Sono uno stronzo.

Cosa penso di fare, eh?

Il mostro dentro di me dice che devo prendermelo anche se mi detesta, che devo divorare lui e la sua tristezza facendola esplodere in nulla più che profonda adorazione.

Ma so che le persone, per quanto io sia un egoista, stronzo e solitario, non si possono trattare in questo modo.

Mi si stringe il cuore quando cerco il suo nome nella rubrica.

Che gli dico?

Che cosa posso dire?

Sono terrorizzato, insostenibilmente terrorizzato.

Chiamalo, Tadashi, chiamalo, dice metà di me. Chiamalo e digli che ti manca, che stai andando da lui, che lo vuoi come non hai mai voluto nessun altro.

Chiamalo e fagli sentire chi sei.

Chiamalo e fallo inginocchiare di fronte alla tua potenza.

Ma decido di fare qualcos'altro, un po' per timore, un po' perché sono un bastardo.

Chiamo Futa.

Che risponde al terzo squillo.

− Tadashi? –

Sento il fiato incastrarmisi in gola.

− Futa, io... −

− Tadashi, prima che tu dica qualsiasi cosa, sono incazzato. Incazzatissimo. –

Non mi sorprende, ma mi fa un po' male. Futa è sempre sorridente, sempre dolce, sempre comprensivo.

Come ho potuto tradirlo così?

− Come hai potuto? Te l'avevo detto, cazzo, che gli avresti spezzato il cuore. E tu che hai fatto? Sei scappato. Teru è il mio migliore amico assieme a quell'insetto di Bob, lo sai, e viene prima di qualsiasi cosa. –

Vorrei parlare, ma non riesco.

Cosa dico?

Ha ragione, lo sappiamo entrambi, che ha ragione.

− Dove sei, tra l'altro? Sei scomparso. Teru è venuto a cercarti e ha detto che non c'eri. –

Miseria, miseria, cazzo.

In che casino mi sono infilato?

Come faccio ad uscire vittorioso se mi sono fatto terra bruciata intorno?

Respiro cercando spasmodicamente una soluzione quando metà di me, risponde ai miei quesiti.

Non lo fai, Tadashi.

Non ti serve.

Non ti serve vincere questo, perché quel che sei lo sai, perché puoi vincere anche senza avere ragione.

Bastarda, questa belva.

Violenta.

− Sono tornato a Miyagi con Tsukishima. – rispondo, con un filo di voce che è però più ferma di quanto mi sarei aspettato.

− Cosa? –

− Ho avuto paura, sono fuggito. Ma sto tornando. –

Mi sembra di vederlo. Non che abbia mai visto Futa incazzato, ma diciamo che me lo immagino bene.

− Sei venuto a casa nostra, hai detto a Teru che saresti rimasto, sei scappato e poi sei andato via due giorni col tuo ex? –

− Esatto. Ma sto tornando. –

Giurerei che si sia appena spiaccicato una mano in faccia.

− Che cazzo di senso ha? –

− Nessuno. –

− Ah, menomale. Almeno te ne rendi conto. –

Rimango in silenzio un paio di secondi, aspettando che aggiunga qualcosa.

Non sono, onestamente, abituato alle persone che ce l'hanno con me. Sono sempre stato così marginale, nelle vite altrui, che ho sempre pensato che nei miei confronti di emozioni forti non ne avrebbero mai provate.

Quando sei di sfondo nessuno ti adora, è vero, ma nemmeno nessuno si arrabbia con te.

Non ce l'ho più, quella prerogativa, immagino.

− Perché mi hai chiamato? – chiede, poi.

− Perché ho bisogno di vedere Yūji. –

Ride, alla cornetta, di una risata quasi incredula.

− Hai bisogno di vedere Yūji? –

− Ho bisogno di vedere Yūji. – ripeto.

So come suona, e me ne vergognerei, se non fossi così affamato, così affamato.

− Sai che dovrei risponderti di andare a fare in culo, vero? Dovrei dirti che il mio amico tu non lo vedrai mai più, che dovrò morire prima di farti avvicinare un'altra volta. –

Lo sento, nella sua voce.

Che c'è qualcosa.

− Ma...? – dico, al posto suo.

− Ma, piccolo stronzetto con le lentiggini, sai che ho un debole per te. –

Vorrei ridere, ridere e sorridere e dirgli che gli voglio bene, a questo folle caotico amico che ho inaspettatamente trovato.

Mi trattengo per il bene della mia cruciale missione.

− C'è un altro "ma". Uno importante, però. –

− Dimmi. –

Lo sento sospirare.

− Yūji è incazzato. –

− Con me? –

− Con te. –

Metabolizzo lentamente.

Yūji è incazzato con me. Con... me. L'ho mai visto incazzato? No, non credo. Ero sorpreso della sua tenerezza, direi che lo sarò ancora di più della sua rabbia.

Com'è, quando è arrabbiato?

Non ne idea.

Quanto poco lo conosco, mi rendo conto.

Ed eppure palpita, il cuore della mia metà, quando parlo di lui, perché se n'è innamorata davvero. Immagino che l'amore sia più subdolo dell'intreccio delle cose che so di qualcun altro.

− Hai presente Yūji rispettoso che ti difende e ti tratta come fossi di vetro? –

− Sì, direi. –

Futa sta sorridendo, forse, in un modo malvagio.

− Dimenticatelo. –

È come se le immagini nella mia mente venissero spazzate via da una potente folata di vento.

Dimenticarmelo?

Ma lui è così, nella mia mente, no? Rispettoso, dolce, comprensivo.

− È cattivo? –

− Cattivo, no. Ma è stronzo, quando è incazzato, e ti tratta come se non valessi nulla. Non ti farà niente di male, niente che non vuoi, sai com'è fatto, ma è difficile averci a che fare se è arrabbiato con te. –

Quello che mi esplode nel petto, mi sorprende.

Non è timore, non più.

Quando sento le parole di Futa, come il cretino avido d'amore che sono, divento... curioso.

Voglio vederlo.

Dio, se voglio vederlo.

Voglio che sia arrabbiato con me, voglio che sia sfrenato nei miei confronti, che sia nell'amore o nella rabbia, voglio che non abbia freni.

Voglio essere il motivo di tutto questo.

Voglio...

− Stasera andiamo alla festa del campus. Teru si circonderà di belle ragazze e passerà la serata a convincersi che anche se tu non lo vuoi c'è comunque un mondo intero che si farebbe calpestare da lui. –

− Non è vero che non lo voglio. –

− Non devi dirlo a me. –

Giusto, giusto.

− Devo chiamarlo? – tento, poi.

− Non risponderebbe, no. E non ti aspettare che sia comprensivo o che ti parli con calma, quando è incazzato fa semplicemente finta che tu non esista, è il suo modo di affrontare le cose. Sono d'accordo che sia un modo di merda, ma è così e basta. Se ti dà fastidio puoi anche andartene a fare in culo. –

Aggressivo, Futa, ma in tutta l'aggressività anche dolce, sia col suo amico, sia con me.

− Cosa devo fare? –

− Devi pregare, Tadashi. –

Devo...

Posso?

Voglio.

− Mi darà retta? –

Futa sospira un'altra volta.

− Terushima non si è preso una cottarella per te, Tadashi. Terushima si è innamorato di te. Sarà incazzato e ti tratterà anche male, ma questo non cambia. – ribatte.

Il mondo mi sembra iniziare a girare.

Che cosa?

Io... metà di me lo ama, su questo ci sono bene. E so che mi resiste male, so che gli piaccio, so che ha un debole per me.

Ma...

Come?

Come ho fatto?

Non sono altro che il solito semplice Yamaguchi Tadashi, io, il lentigginoso gracile ragazzino che studia veterinaria.

Tsukki mi ama, lo sapevo, anche se non me ne capacitavo.

Ma Terushima... Terushima si è...

Il mostro dentro di me ruggisce "ovviamente", con un'arroganza che quasi mi infastidisce. Dice che non c'era altro modo, che tutti s'innamorano, quando si tratta di me, perché sono così bello, tutti mi adorano.

Ma il mio cervello rimane egualmente scioccato.

− Perché me lo stai dicendo? – rispondo, alla fine, con un filo di voce.

− Perché voglio vedere il mio amico felice, e il mio amico sarà felice quando smetterai di fare cazzate dietro ad uno che ti ha mollato e capirai chi ti ama davvero. –

Metà di me risponderebbe che non sa che cosa cazzo sta dicendo, ma non è quella la metà che mi domina.

La metà che domina sorride.

− Tifi per me, Futa? –

− Tifo per te da quando ti ho visto frignare in un bar del cazzo, cretino. –

Stendo le mie gambe stiracchiandole, il prurito che mi mangiava i muscoli trasformato ora in una vampata di fuoco.

− Glielo dici, che sono andato da Tsukki? O no? –

− Glielo dico. È giusto che sappia, anche se si incazzerà ancora di più. Dio, Tadashi, se esci vivo stasera penserò che sei Terminator. –

Mi sento scaldare il viso.

− In che senso? –

− In quel senso, Yams. In quel senso. –

In quel senso, eh?

In quel senso, nonostante il mio cervello ne sia imbarazzato, in fondo in fondo mi piace. Sì, cazzo, distruggimi, Terushima. Che tu sei l'uomo delle sensazioni forti, non quello della dolcezza e della compagnia, quello che brucia e mi fa bruciare.

− Come lo sai? –

− Lo conosco. Avevo paura volesse scoparsi me, l'ultima volta che si è incazzato con me e Bob. E avevo ancora più paura che se me l'avesse chiesto avrei detto di sì, sai. – risponde, ridendo.

Lo sento rilassarsi, come se scherzare lo aiutasse a mandare via il nervosismo che comporta in lui parlare con me.

Rido anch'io.

− Sei riuscito a resistere? –

− Sono asessuale. Stavo per diventare Yūjisessuale, ma Bob mi ha salvato. –

Incastro le sopracciglia.

− Bob? –

− Bob e io stiamo insieme. –

Rimango di sasso.

Che?

Quante cose non so di questi tre? Eccomi, convinto di conoscerli al cento per cento, che come un coglione rimango a sentire cose che non mi aspettavo.

Prima, Yūji che mi ama.

Poi, Futa asessuale.

Infine, Bob e Futa assieme.

Che cosa?

− Davvero? –

− Davvero, so che è uno scarafaggio, ma davvero. –

− Io non... −

Mi chiama per nome oltre la cornetta.

− Non ti scusare, non è facile capirlo. Anzi, siamo così abituati a far finta di niente l'uno con l'altro che direi è quasi impossibile. –

Tiro giù gli angoli della bocca, anche se non può vedermi.

− Mi dispiace lo stesso. Voi sapete un sacco di cose di me e io di voi non so niente, mi sembra che abbiate passato tutto questo tempo ad ascoltarmi mentre io mi facevo solo i cazzi miei. –

− No, no, assolutamente. È che se sei ace come sono io e stai con qualcuno che non lo è le persone hanno sempre un'opinione strana di te e fanno un sacco di ipotesi. Non che mi aspettassi da te qualcosa del genere, ma lo faccio solo per... difendermi, credo. –

− Sicuro? –

− Sicurissimo. –

Batto le punte dei piedi le une contro le altre.

− Grazie di avermelo detto, allora. So che sei incazzato con me, ma ti voglio bene, Futa. –

Sospira la terza volta.

− Anche io, bambino. E anche Bob ti vuole bene, e Teru. Siamo un disastro, tutti e tre, ma ti vogliamo bene. –

− Siete adorabili. – ribatto.

Il treno inizia a rallentare che mi sento spingere un po' in avanti.

− A che ora inizia la festa? –

− Fra mezz'oretta, credo, ma Yūji è già là. Una tipa gli ha chiesto di andare prima e lo stronzo è andato. –

Mi mordicchio il labbro.

No, Yūji. Di me, devi avere fame.

− Sei geloso? – mi incalza, poi.

− Un po'. –

Ride.

− Allora vai e prenditelo, cazzo. Ora devo scappare, devo cambiarmi e cercare di capire come arrivare al campus senza morire per strada. –

− Ok, allora ci vediamo dopo, credo. –

Rallenta, il treno, rallenta ancora, e vedo le insegne della stazione centrale di Tokyo salutarmi con le loro scritte nette e pulite.

− Una cosa, solo. –

− Dimmi. –

Faccio per iniziare ad alzarmi.

− Più lentiggini mostri, più ti sbava dietro. – mi sento dire all'orecchio.

Il treno fischia.

Arrivo alla stazione.

Futa chiude la telefonata.

Dire che dal treno mi lancio fuori, è un eufemismo. Sono persino stupito di non essere caduto dalla scaletta all'uscita, onestamente.

Questa, credo, sia una delle cose che metà di me ama di Yūji.

Prima mi sentivo di sfondo, ora invece è il resto del mondo, lo sfondo attorno a me che sono così deciso, così fermo.

Prima mi mescolavo col resto.

Ora il resto deve solo guardarmi andare a prendere quel che voglio.

Tokyo non mi soffoca.

Tokyo è così bella, così luminosa, così esplosiva.

Mi fa sentire come se fossi al centro del mondo, come se io stesso, fossi il centro del mondo. Non mi sopprime con sbarre d'oro, mi fa sentire libero.

La città è grande, per tornare verso l'area universitaria dove vivo, prendo la metro.

E li sento, gli occhi degli altri che mi fissano, che mi guardano. E se qualche tempo fa avrei cercato spasmodicamente su di me qualcosa che non andasse convinto di essere strano, ora invece non ho dubbi né ipotesi.

Mi guardano perché mi devono guardare.

Ed è giusto così.

Ma c'è qualcuno che deve guardarmi più di loro, qualcuno che se lo merita, qualcuno che è convinto di non poterlo fare.

Qualcuno che sa di essere l'ideale su gambe di qualsiasi persona e che io ho reso null'altro se non un mucchietto di incertezze.

Mi hai fatto brillare così tanto, Terushima, che ora meriti di essere tu, quello ad essere accecante.

In un modo strano, più per me che per chiunque altro, la curiosità in me non si è spenta.

Non ho paura del rifiuto, non ho paura della sua rabbia. Non mi sento umiliato, non messo da parte. Dovrei, perché è così che reagivo alle sensazioni negative altrui, seppur fossero comunque sbiadite, prima.

Ma Terushima mi fa sentire così forte.

La voglio, la sua rabbia.

E non solo per il sesso che Futa mi ha assicurato verrà dopo, ma più per la volontà di vedere il peggio di qualcuno che è così perfetto.

Voglio il suo peggio.

Voglio le cose che di se stesso non gli piacciono, voglio vedere com'è quando non ha freni, com'è quando cede.

Forse sono un egoista.

Ma sono un egoista che vuole qualcosa.

Dalla metro scendo con la stessa ferrea decisione di prima, salgo le scale senza fermarmi nonostante i miei muscoli soffrano per l'attività fisica che ultimamente sembra essermi così avversa, filo dritto verso il posto dove è iniziata questa esplosione di cose che sono ora.

Chiuso nella mia camera di dormitorio, ero.

A piangere.

Mi sento stronzo, ma potente, a pensare che ora l'unico a non piangere sono io.

Ma anche se sono stronzo, alla fine, che cosa può dirmi il mondo?

Mi volevate padrone di me stesso, non è vero? Bene, ora vi prendete quel che avete chiesto. Non potete sperare che cambi in una direzione sola, perché sarebbe un cambiamento falso. Non potete chiedermi di crescere e poi ritirare la mano dicendo che ero meglio prima.

Mi volevate diverso?

Eccomi, sono io. Ho scoperto com'è il mondo, l'ho fatto oscillando fra le scelte e facendone di tante e di sbagliate.

È troppo tardi per dirmi che non va bene.

È troppo tardi.

In camera so bene dove cercare.

Ho comprato un sacco di vestiti, queste due settimane. Più per l'idea di sembrare bello con quelli indosso che per metterli davvero, ma ora che li ho, mi sembrerebbe uno spreco lasciarli qui.

Le lentiggini, vuole, no?

Avrà le lentiggini.

Gli chiederò di macchiarle con la violenza della sua rabbia, queste lentiggini.

Credo di desiderare che si incazzi con me al punto da mettermi dove vuole che stia.

Ho un paio di jeans che mi guardano, mai messi, dal fondo del cesto della lavanderia che non ho svuotato per pigrizia.

Sono tagliati sulle cosce con squarci precisi, dritti, orizzontali.

Uno degli strappi corre dalla fronte della mia coscia al retro, appoggiandosi dove finisce la curva di un punto di me che vorrei Terushima guardasse bene.

Sono pantaloni lunghi, ma le lentiggini si vedono e più che vedersi si mostrano e nascondono coi movimenti. Potrei banalmente mettere dei pantaloni corti, ma immagino sia più sensuale, lasciarle così, appena visibili e assenti l'istante dopo.

Ora, io non ho mai messo un crop-top nella mia vita.

Primo, perché credevo che non fosse un indumento per maschi, stupidamente.

Secondo, perché chi vorrebbe vedermi in un pezzetto di stoffa che sembra poter contenere a malapena il corpo di un ragazzino?

Io, vorrei vedermi.

Nero, come i jeans, aderente sul costato, tagliato esattamente dove finisce lo sterno.

Non ho gli addominali, mai avuti, ma gli anni di pallavolo mi hanno lasciato la pancia piatta.

Mi guardo allo specchio.

Chi è, quello?

Io?

Certo che sono io, cazzo.

Sono io.

Eccome, se sono io.

Devo ammettere che un giro attorno a me stesso lo faccio, più per pavoneggiarmi che per altro, e mi viene da ridere.

Perché non mi sono mai guardato così? Perché volevo soffocarmi? Guarda quanto sono bello, quando scelgo le cose che non dovrei scegliere, cazzo.

La bellezza degli sbagli è più accecante di quella della gentilezza.

Mi dispiace, o forse no, ma di essere dimesso, mi sono stancato.

Mi sporgo verso il comodino e prendo una delle sigarette che ho lasciato qui, l'accendo in camera. Ho spento – l'ha spento Yūji al posto mio, per quel che vale – il rilevatore di fumo e rimango qualche istante a fissarmi.

Mi potrei quasi innamorare di me stesso, penso ironicamente.

Ma in effetti, mettila da parte l'ironia.

Innamorati di te stesso, stronzo.

Innamorati di te stesso.

Mi appoggio seduto sulla scrivania, sbatto via la cenere sul bicchiere che uso per quello, indietreggio con le spalle.

Mi guardo ancora.

Bello, cazzo, guarda quanto sei bello.

Poso la sigaretta un secondo, mi lego i capelli. Si vede meglio il collo, così.

Dovrei avere...

Prendo un laccetto di pelle che penso di aver rubato a qualcuno dei miei vecchi compagni di liceo qualche anno fa senza volerlo, una di quelle cose che porto via nonostante sappia di avere troppo timore per metterla addosso, e mi guardo di nuovo.

Lo lego attorno al collo.

Era Suga, mi sa, che lo portava.

Legato due volte con un fiocco di lato.

Cazzo, Tadashi, cazzo.

Guardati, guardati, guardati.

Riprendo la sigaretta tra le labbra, sblocco il cellulare, tiro su la fotocamera.

Scatto, invio.

Non scrivo niente. Cosa dovrei scrivere? Lo sa già, cosa vuol dire.

Non risponde nemmeno lui.

E nonostante questo vedo le spunte blu apparire in fretta.

Non ti trattieni, Yūji, eh? Non farlo, non farlo. Non c'è bisogno.

Perché stasera, stasera io mi prendo tutto.

Finisco la sigaretta.

Prendo il pacchetto per metterlo in tasca ma mi rendo conto, come un coglione, che non c'entra. Sono aderenti, questi jeans, aderenti come se fossero cuciti sulla mia stessa pelle.

Che c'entri il telefono è un altro scenario improbabile.

Me ne fotto.

Leggo l'indirizzo dalla chat di Futa e lo mollo sul letto.

Delle chiavi smonto l'unica che mi serve dal mazzo e la infilo, piccola e sola, al fondo di quelle che dovrebbero essere, ma non sono, tasche.

Esco dalla camera.

L'ultima volta che ricordo di essere uscito di camera mia da solo, avevo preso le scale antincendio perché mi dava fastidio vedere le persone felici che andavano ad un raduno per studenti.

Ero convinto che evitarle sarebbe stata la scelta migliore.

Ci sfilo in mezzo.

Tiro dritto nel corridoio, sento gli occhi che mi fissano, sorrido.

− Yamaguchi? – mi dice qualcuno, mentre sto per imboccare le scale principali.

Mi giro.

Ah, lo conosco. È il responsabile degli studenti, il primo stronzo che ho incontrato in questo posto. Quello che voleva uscire con me, no?

Dategli torto.

Non ricordo minimamente come si chiami.

− Sì? – rispondo, sorridendo.

Arrossisce, quando lo guardo dritto in faccia, mi scorre lo sguardo schifosamente addosso.

Apre la bocca per parlare, ma un paio di ragazze lo raggiungono saltellando.

Vorrei andarmene, sto per farlo, poi le sento parlare.

− Eisuke! Eisuke dobbiamo sbrigarci! Dicono che Yūji Terushima sia già alla festa e sono mesi, mesi che aspetto il mio turno. – urla una, con i capelli intrecciati in un asciugamano, agitando la mano.

Il tuo turno?

Sorrido di più.

− Yūji Terushima è alla festa? – chiedo, come se non lo sapessi.

L'altra amica, quella che era rimasta in silenzio, al contrario della sua amica coi capelli asciutti ma visibilmente in pigiama, si avvicina.

− Sono due settimane che nessuno lo vede alle feste da solo, è un'occasione enorme. –

Due settimane, eh?

Il responsabile si gira verso di me.

− Conosci Yūji Terushima? –

La ragazza a sinistra fa spallucce.

− Chi non lo conosce? È il sogno erotico di chiunque. –

Quella a destra annuisce.

− Esatto, esatto. Il mio di sicuro. E se stasera è alla festa quel sogno diventerà realtà, cazzo. –

Rido, rido e le parole, tutte, svaniscono nell'aria.

Non posso fare a meno di ridere, no davvero.

Mi riprendo coprendomi appena il volto.

− Sono molto d'accordo ma, devo dire una cosa. – mi giustifico, di fronte ai loro visi confusi.

Eisuke, il responsabile, fa per avvicinarsi a me. Penso voglia mettermi una mano sulla spalla.

Indietreggio, lo incollo al muro con uno sguardo.

− Primo, tu sei un viscido. Non ci provi con qualcuno quando è ubriaco fradicio e traumatizzato e poi quando ti dice di no lo molli da solo. Allontanati. –

Si congela.

− Secondo, sono molto dispiaciuto con voi due, davvero, ma vi consiglio di mettere da parte i vostri sogni erotici. Per sempre, tipo. –

Mi giro, so che mi stanno guardando la schiena, ma non m'interessa.

All'ultimo, prima di andarmene definitivamente, parlo con la voce alta abbastanza perché mi sentano oltre le spalle.

− Perché Yūji Terushima lo voglio io. –

Esco sotto sguardi atterriti e silenzi di ferro.

Mi viene da ridere.

Eccomi, a fare uscite di scena e a rispondere male a chi non mi piace. Eccomi, bello, vestito bene, fiero di me stesso che mi prendo quel che voglio.

Non so se sia io davvero, questo.

Forse no.

Ma finché ci sono, in questa pelle, allora ho tutta l'intenzione di ballarci dentro.

Le feste del campus le fanno sempre nello stesso locale, l'ennesimo in cui non sono mai stato, uno grande e spazioso per tutta la gente che partecipa di solito.

È un po' più lontano dell'altro, ugualmente raggiungibile a piedi, e pullula di persone che aspettano fuori in fila o fumano in attesa.

C'è un sacco, un sacco di gente.

Non credo di essere mai stato in mezzo ad una folla del genere.

Sono nell'elemento di Yūji, mi rendo conto, ad ogni passo, nel suo elemento, dove lui è più forte. Ma che sia più forte non m'infastidisce, anzi. Direi che mi piace.

Fammi vedere come mi schiacci, Yūji, fammi vedere il tuo lato peggiore.

Incazzati, prenditela con me, prendi me.

Voglio che tu lo faccia.

Non so di cosa sia fatta la mia sicurezza, se di cartapesta o duro acciaio, ma continuo ad appoggiarmici sopra con tutte le forze che posso, quando mi infilo fra le persone.

Avrei atteso in fila, settimane fa.

Ma questo Yamaguchi Tadashi non aspetta, non sta in fila, non sta fermo.

Le persone si lamentano, certo che si lamentano, ed eppure nessuno mi ferma.

Arrivo di fronte alla traversina con qualche gomitata.

− Hai superato tutta la fila e credi che ti farò entrare come nulla fosse? – mi sento chiedere da un buttafuori, mentre appoggio gli avambracci sulla transenna e sorrido ai grossi uomini vestiti di nero di fronte al locale.

− Sì, credo. –

− Credi? –

Scrollo le spalle.

− Se vuoi torno indietro e mi metto a fare la fila, ma sarebbe un peccato. Per favore? –

Lo vedo mettere su un broncio.

− Non fare quella faccia, potresti essere mio figlio. Guarda tu 'sti ragazzini di oggi. – borbotta.

Infilo la lingua fra i denti.

− Ci ho provato. –

Prende il metallo della transenna con la mano nuda, la sposta, mi fa cenno di passare.

− La prossima volta ti andrà male, per questa lascio correre. Se mi chiamano a metà serata che sei ubriaco marcio o qualcuno ti ha picchiato ti lascio là, intesi? –

Ridacchio.

− Grazie mille, ci conto allora. – gli faccio l'occhiolino passando avanti.

− Stronzetto. – borbotta.

Sono quasi...

Scioccato.

Se avessi tempo per mettermi a rimuginare, tempo che ora come ora non ho il beneficio di avere, penso che andrei in brodo di giuggiole da solo, a metà fra l'imbarazzo e la fierezza. Cazzo, ma sembro davvero una persona interessante, oggi.

Una persona interessante, già.

Una persona interessante che cerca un'altra persona interessante.

Mi viene la mezza idea di scrivere un messaggio a Futa per chiedergli dove siano, ma mi ricordo con mio grande rammarico di aver lasciato il cellulare in camera.

Non mi resta che usare il buon vecchio metodo manuale.

Cercare.

Mi imbuco all'ingresso, mi faccio fare il timbrino scuro sul polso, prendo la mia tesserina con i drink gratuiti e la infilo al fianco della chiave solitaria, sistemo il taglio dei pantaloni perché sia esattamente dove dev'essere, mi liscio le pieghette sulla maglia.

Facciamolo, mi dico.

Facciamolo, cazzo.

Sei arrivato fino a qui, e ora chi ti ferma? Sei bello, Tadashi, sei in tiro, sei fiero di te.

"Devi pregare", mi ha detto Futamata qualche ora fa, e ora che ci penso, ora che il mio lato sfacciato non solo ha preso il comando ma si è solidificato al punto di essere così forte, vorrei rispondere che non c'è problema.

Che se Terushima vuole che lo preghi, avrà me che lo prego.

Che se me lo fa fare, poi non se ne dimenticherà mai.

Scendo le scale che danno sulla sala enorme dove di solito fanno queste cose, già piena di persone.

Eccomi.

A questo gioco, io, non ho mai giocato. A cercare e farmi cercare, a prendermi quel che voglio e farmi prendere. Non sono mai stato uno che combatte, le cose che mi servivano le ho sempre avute e non ho mai creduto di aver bisogno d'altro.

Ma in realtà, alla fine, lo sapevo anch'io.

Lo sapevo quando mi allenavo per la squadra del liceo, quando urlavo a Tsukki di tirare fuori l'orgoglio, quando sognavo il mio futuro.

Io non sono la persona che tutti pensano che io sia.

Io non sono davvero dimesso.

Non sono davvero timido.

Io sono...

Io sono una persona passionale, una che desidera e che si emoziona, una che vive le emozioni e si lascia consumare, una che brucia.

Lo sono sempre stato.

È che nessuno...

Nessuno se n'era mai accorto. Nemmeno io.

Cammino verso il centro.

Ci sono tante persone, tante, tante, radunate attorno ad un divanetto come se stessero guardando il migliore spettacolo della loro vita.

Lo so, che lui è lì, perché nient'altro è magnetico al mondo come lo spettacolo mozzafiato del corpo, della voce e del viso di Yūji Terushima.

Ride, lo sento da qui.

− Dammi tregua un secondo, non sono fatto di ferro. Due minuti e andiamo. – dice a qualcuno, non so se sia una ragazza o un ragazzo.

No, Yūji.

Mi dispiace, ma no.

Guardami.

Guarda solo me.

Nessuno, se n'era mai accorto, di come fossi in realtà. Tutti hanno sempre pensato che sono un tipo semplice, che non vuole molto dalla vita, felice di poco e genuinamente delicato.

Nessuno, m'aveva mai dato l'attenzione che non sapevo di volere.

Mi sporgo verso la corona di persone.

Le spingo di lato, mi infilo dentro.

Maglietta bianca col tessuto sottile, così sottile che s'intravede l'inchiostro sul suo corpo, jeans scuri e anfibi allacciati a metà. È seduto a gambe larghe, uno dei gomiti appoggiato sul ginocchio, l'altro braccio steso sullo schienale.

I capelli sono biondi, più biondi, rasati di fresco sui lati, il metallo del piercing sulla lingua s'intravede quando parla.

Sbuco nel mezzo del cerchio.

Sta parlando con un ragazzo seduto vicino a lui, mingherlino, all'incirca come me.

Ma non è me.

Quel ragazzo non è me.

− Yūji. – è quello che dico.

Lo sa, che ero io. Lo sa che sono io.

Lo sa.

Bello, cazzo, quanto è bello. È bello in un modo così rude, così violento, così palese. Bello che vorrei toccarlo ovunque, bello che potrei rimanere ore a guardarlo e basta.

Ma non è lui, l'unico bello.

Io, anche, sono bello.

Non chino lo sguardo.

Non indietreggio.

So che mi stanno guardando tutti.

Lo so.

Smette di parlare.

Si gira.

Gli occhi incontrano gli occhi.

C'è tanto, nei suoi occhi. Non me li lascia vedere a lungo, ma noto una vena triste, una un po' più incazzata, una felice, una preoccupata.

Distoglie lo sguardo.

Ride.

− Voi lo conoscete, questo? – scherza.

Mi avresti umiliato, se fossi stato lo Yamaguchi di prima.

Ma tu lo Yamaguchi di prima non l'hai mai conosciuto, perché non te l'ho mai fatto vedere.

Nessuno ha mai pensato che potessi essere diverso dall'immagine che davo di me.

Nessuno.

Faccio due passi in avanti, verso il tavolino.

− Sei incazzato, non è vero? –

− Continuo a non sapere chi cazzo sei. –

Il ragazzo al suo fianco ride, fa per avvicinarsi, ma gli tiro un'occhiataccia e si ferma sul posto.

− È così che vuoi giocare? Non sono qui per tirarmi indietro, Yūji. –

Si lecca le labbra.

Sembra così rilassato, minaccioso, infastidito.

Ma ha i muscoli tesi.

− Se vuoi i tuoi cinque minuti con me puoi metterti in fila. C'è gente che aspetta. – dice, girandosi ancora verso di me.

Mi guarda di nuovo negli occhi, ma ancora, non cedo, non indietreggio.

Guardami pure, su, avanti.

Guardami.

− Mandala a 'fanculo, la fila. –

− Per chi, per te? Pensi di essere così importante, Tadashi? –

Vorresti essere cattivo, ma non lo sei, non ci riesci. Usi quel tono che sembra di ferro ma nonostante di te non sappia un sacco di cose, sono certo che tu stia fingendo.

Ho visto come hai guardato le persone che non volevano farmi passare, con la coda dell'occhio, come a controllare che non mi facessero qualcosa che non voglio.

So che mi hai detto che non sono nessuno, ma so anche che quando mi guardi in viso cerchi il minimo segno di panico per sapere quando è troppo.

So che sei innamorato di me, Terushima, ma so anche che per quanto tu possa essere incazzato, nessuno è più attento di te.

La tua rabbia non mi spaventa.

La tua rabbia m'incuriosisce.

− Non dicevi di non sapere chi fossi? – lo incalzo, avvicinandomi.

Schiocca la lingua.

− Scherzavo, purtroppo lo so bene chi sei. Ora, se non ti dispiace, ho da fare. –

− Oh, non ti preoccupare. Lo so bene che hai da fare. –

I miei fianchi si muovono oscillando piano, un passo alla volta.

Lo vedo, come mi guarda.

La rabbia rende la sua bellezza più feroce, più rude, più sfrontata. Ti sbatte in faccia come qualcosa che non puoi evitare, ti cattura, ti toglie il fiato.

Ma lui guarda me come so di starlo guardando io.

Come se non riuscisse a staccarmi gli occhi di dosso.

− Intendevo dire che voglio che tu te ne vada, Tadashi. – mi sbotta in faccia.

− Da solo, da qui non me ne vado. –

− E allora trovati qualcuno e vattene, sai che cazzo me ne frega. –

La tensione è forte, densa, come un banco di nebbia. Mi fa vibrare, esplodere il sangue nelle vene, mi nutre.

Appoggio un ginocchio sul tavolino vuoto di fronte a lui.

− Ho trovato qualcuno. Solo che quel qualcuno vuole che me ne vada e io sono molto triste di questo. –

Stringe le nocche al punto che sembrano diventare bianche.

− Molto triste? –

Eccola, la crepa che cercavo.

− Tristissimo. Non vuoi stare con me nemmeno un secondo? –

Le sue labbra tornano una linea.

− No. –

− Ti... ti prego? –

Gira la faccia lentamente verso il mio viso.

Ah, eccola, la cosa che cercavo.

La rabbia violenta e tesa di chi vuole furiosamente qualcosa. E quel qualcosa, Dio, quel qualcosa sono io. Incazzato, sprezzante.

Questo è il peggio di Yūji.

Trattami come se non fossi nessuno, come se dovessi ringraziarti del solo tempo che trascorri con me, ma fallo con le mani sul mio corpo, non su quelle di qualcun altro.

La voglio, la tua rabbia, ma la voglio su di me.

Nessuno ha mai avuto la pazienza, con me, di cercare oltre il guscio dell'insicurezza. Nessuno ha mai scavato convinto che ci fosse qualcosa di sopito, dentro di me.

Nessuno ha mai visto di me questo lato mostruosamente arrogante, soddisfatto, fiero.

− Nessuno mi fa stare come mi fai stare tu, Yūji. – mormoro, con un filo di voce, l'altro ginocchio sopra il tavolino.

Faccio per allungare una mano verso di lui, mi ferma con lo sguardo.

− Sono così incazzato che se ti avvicini non mi controllo. Se non vuoi vai via ora. Se c'è qualcosa che non va dimmelo subito. Stai attento. – borbotta, tutto d'un fiato.

Come un lampo, Yūji non incazzato arriva e se ne va, e torna minaccioso in un istante.

Non controllarti, vorrei dirgli.

Non controllarti.

Stringo il pugno sulla sua maglietta.

Sorrido.

Guardami, adorami, odiami, detestami.

Qualsiasi cosa tu voglia fare, Yūji, falla, purché sia io a riceverla. Fammi quel che vuoi, tutto quello che vuoi e fammi sentire al centro.

Di me puoi avere tutto quello che ti pare, al costo di farmi sentire protagonista.

Lo tiro verso di me.

Stringe i denti.

Mi fissa di più, sempre di più, mentre i centimetri scompaiono.

Le mani sono distanti dal mio corpo, i muscoli tesi, il fiato sospeso.

So che sono davanti a tutti, ma non me ne vergogno minimamente. Guardatemi che mi faccio guardare, della vostra attenzione io mi nutro e basta.

Mio, tutto mio, tutto è mio.

Terushima, è mio.

Il ragazzo di cui pregate l'attenzione, guardatelo cadere pezzo a pezzo per me, guardatelo volermi. Guardatelo scaricare tutta la sua rabbia su di me, solo su di me.

Guardatelo distruggermi come se fosse lui, ad avere il potere.

Guardatemi divorarlo.

Sono ad un millimetro dalle sue labbra, in ginocchio su un tavolino con le cosce aperte e le mani sulle sue spalle, quando parlo.

So di essere al centro dell'attenzione, questa volta.

So che mi stanno guardando tutti.

E so che tutti devono continuare a guardarmi.

Sorrido.

Inspiro il suo odore.

Mi lascio andare.

− Fa' del tuo peggio, Yūji. –

Ed è quello che intendo.

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