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𝚋𝚞𝚛𝚗 𝚖𝚢 𝚜𝚔𝚒𝚗

➥✱ alert :: questo è il primo capitolo del finale "ufficiale" 

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

Ricordo poco e niente di come arriviamo a casa della madre di Terushima.

Ricordo poco e niente del marasma che ci ho trovato dentro, ricordo poco e niente di come ha iniziato a mandare via le persone.

Ricordo poco e niente di quando mi ha tirato su di peso, io che ho continuato a piangere sempre più forte rinchiuso nel mio stesso corpo sul sedile di una macchina, e mi ha lasciato andare sul divano di casa.

Ricordo poco e niente di come sono arrivato qui.

Ma ora, ora ricomincio a prendere coscienza.

La prima cosa che è arrivata, sono i dubbi.

Forse...

Forse è colpa mia, se si è comportato così, dopotutto.

Forse non sono stato totalmente onesto con lui.

Certo, non ho messo un volto alla figura che adombrava le sue speranze, non ho dato nome al fantomatico "altro ragazzo" che c'era.

Non ho mai parlato con termini espliciti, di Yūji Terushima.

Magari è questo, il problema.

Che non gli ho dato un'occasione.

Ma ora che ci penso, Tsukki, l'occasione, non l'ha già avuta?

Anni, siamo stati insieme, anni.

E la prima volta che è successo qualcosa ha reagito...

Cercando di calpestarmi.

Sono steso con il volto sul grembo di Yūji che continua ad accarezzarmi i capelli, la testa pulsa e rimbomba.

Forse se gli avessi detto che...

− Smetti di rimuginare. Non è colpa tua. – mi sento dire, nel rumore delle persone che iniziano a defluire, da una voce ferma, quasi ferita.

− Ma... −

− Lui sapeva che ci fossi anch'io, non è vero? –

− Gli ho detto che frequentavo un altro. –

Non lo vedo, non vedo il suo viso.

È tutto buio, attorno a me, buio e soffuso. Le mani di Terushima sono delicate, fra i miei capelli, l'odore rassicurante.

Mi tocca così poco, quando non sono io a chiederglielo.

Come se avesse timore d'invadere anche solo una delle linee che compongono la mia persona.

− E allora non vedo che pretesa abbia di essere sorpreso. Io non ero sorpreso quando sei andato via con lui. Triste sì, ma non sorpreso. –

Le immagini si sommano nella mia testa.

Vero, tutto vero.

Anche Yūji era arrabbiato.

Ma la prima cosa che ha detto, quando mi sono avvicinato, è stata "dimmi se diventa troppo".

− Penso che potrei avergli fatto qualcosa di sbagliato, Yūji. – mormoro, le palpebre piene di lacrime che mi sembrano diventare pesanti, sempre più pesanti.

− Sicuramente. Quando vivi una situazione del genere è normale scontentare qualcuno. Ma credi davvero che la sua reazione sia colpa tua? Credi davvero che sia giusto umiliarti e farti sentire nessuno solo perché qualcuno ti ha detto di... "no"? –

Le parole sono pacate, convincenti.

− Sei così saggio. – borbotto contro la sua gamba.

Ride piano.

− Non sono saggio, sono solo onesto. –

Prende fiato, poi si china.

− Posso? –

− Mh-mh. –

Mi bacia la testa da sopra, piano, pianissimo.

− Io parlo per me, Tadashi, non per lui, non posso. E posso dirti che... −

Corre con la mano al mio viso, passa le dita sulle mie labbra secche, sul viso umido.

− Non credo lui volesse farlo davvero. Ma se l'ha fatto allora non può cancellarlo. –

Gentile.

Ha una voce... gentile.

− Se non stessimo parlando di te ti direi di provare a parlarci a mente fredda. Ma stiamo parlando di te, e preferirei di gran lunga se stessi lontano da quello stronzo manipolatore. – scherza.

Parlarci a mente fredda, eh?

Per farmi dire cosa?

Ancora che sono un fallito?

La cosa che mi disturba, di questa storia, la più lampante, è che io so di non avere totalmente ragione. So che Tsukki ha delle cose dalla sua parte, che meritano di essere ascoltate.

Ma se le dici nel modo sbagliato, le tue idee non valgono più.

Se cerchi e riesci, per una frazione di secondo, a schiacciarmi facendomi sentire nulla, io con te non voglio avere a che fare.

Tsukki è una persona che amo.

Lo è stata per tanto tempo.

Ma non so se posso commerciare questo genere di amore con il nuovo ardore che provo nei confronti di me stesso.

− Secondo te ha smesso di amarmi? – chiedo, con un filo di voce.

So, quando lo dico, che sono cattivo.

Che non posso chiederlo a Yūji, che non è giusto.

Ma so che posso farlo.

Perché mi fido.

− Nessuno potrebbe. Almeno, io non potrei. – risponde piano, le parole appena accennate.

− E allora perché? –

Mi bacia un'altra volta fra i capelli.

− Non lo so. –

Non credo di saperlo nemmeno io.

Mi addormento attanagliato dai dubbi, con lo stomaco che si stringe e la fronte che sembra volersi spezzare.

Perché?

Perché non sono stato onesto con lui?

Perché non gli ho realmente dato un'opportunità?

Che cos'ho fatto, di così sbagliato, mi chiedo.

L'ho tradito, lui dice.

Ma se non stai con qualcuno allora... puoi veramente avere aspettative sul suo comportamento? Non credo, non mi pare.

Lui mi ha...

Mi ha trattato come se fossi uno sporco bugiardo, quando a mentirmi è stato lui.

Ha detto che aveva anche lui altre cose.

Perché ha mentito?

Per farmi ingelosire?

Perché credeva che fosse così superficiale anche per me?

Immagino che la pretesa di vederlo felice della mia crescita a prescindere dalla strada che avrebbe preso, sia un po' campata in aria. Certo che non è felice, se frequento altri, è comunque una persona di natura gelosa.

Ma la gelosia non può giustificare tutto.

Non può giustificare l'astio.

Non può...

Correggere il passato.

Dormo male, perché non riesco a liberare la mente dalla marea di convinzioni astruse che ho in testa.

Mi si intrecciano nel cervello.

Perché, mi chiedo, perché.

Partiamo dall'inizio, con calma.

Mi ha lasciato. Era agosto, il calore s'incollava alla pelle. Mi ha detto che era malata, la mia ossessione di voler rimanere per sempre con lui. Che mi faceva male.

Ho pianto tanto da sentirmi scomparire. Ho ricominciato a ridere quando due cretini hanno cercato di salvarmi in mezzo alle persone che ballavano.

Mi sono fatto accompagnare a casa.

Ho accettato un invito per uscire a bere, mi sono sentito preso per il culo da messaggi che sminuivano il mio dolore, ho baciato Yūji perché mi guardava come se al mondo fossi l'unica cosa a contare davvero.

Ho accettato di fare colazione.

Ho fatto...

Forse è questo.

Forse è la velocità.

Ho accettato di fare colazione con Tsukishima e sono andato a farmi toccare da Terushima nemmeno mezza giornata dopo.

Yūji sapeva, da dove venivo, ma Tsukki non dove andavo.

Siamo usciti, io e Tsukki, più di una sera insieme.

Sono scappato per andare a dare una mano ad un amico che ha voluto baciarmi.

Di nuovo, Yūji era perfettamente cosciente di cosa stessi facendo, Tsukki... non ne aveva idea.

Sono scappato a Miyagi con Tsukki.

Ho fatto del male a lui cercando di farne a me.

Sono fuggito per andare da Yūji.

Io...

Credo di aver capito.

Credo di aver capito, alla fine, cosa ho fatto.

Dov'è il mio peccato capitale.

Ma credo anche di sapere se ne sia valsa la pena o meno.

Dormo parecchio, credo, non come dormirei su un letto una notte intera ma più come uno di quei pisolini pomeridiani che diventano ore svanite nel nulla.

E dormo pensando.

So dove ho sbagliato.

Comprendo.

Io so cosa ho fatto di male.

Ma la reazione di Tsukki...

Credo che Yūji abbia ragione.

Credo che non volesse davvero farlo.

Ma...

L'ha fatto.

Tsukki l'ha fatto.

Tsukki è grande, è adulto, e capisco che sia stato ferito dal mio atteggiamento, perché è del tutto lecito che lo fosse.

Ma il casino che ho combinato io, era così meritevole di un atteggiamento del genere?

Io ho detto a Tsukki la verità.

Ho detto che c'era uno spasimante.

Se lui non ha voluto crederci non può essere anche questa colpa mia.

Mi sembra di agitarmi, nel sonno.

Di sentire voci non mie.

Terushima non smette di toccarmi, però, non finché ne ho memoria.

Inizio a macinare pensieri, pensieri, pensieri. Rabbia, tristezza, disillusione. Inizio a sentirmi come se tutto stesse salendo in superficie e stesse prendendo posto.

Avevo bisogno della tua rabbia, Tsukki, per comprendere meglio.

Ma ora, non me ne faccio più nulla.

Mi sveglio con la luce del sole che mi sbatte in faccia, la testa che sembra piena di gommapiuma e uno strano odore di alcol tutto attorno.

Mi alzo col busto sul divano, chiudo gli occhi quando mi sembra che la mia pressione cali di botto e parlo verso la persona di fronte a me convinto al cento per cento che sia Yūji.

− Il problema è che a Tsukki non ho mai raccontato tutta la verità. – è quello che dico, con la voce salda nonostante sia un po' roca dal sonno.

Nessuno mi risponde.

− Non gli ho mai detto che cosa stavo facendo e con chi. Ma questo non vuol dire che può trattarmi come se fossi l'ultimo stronzo sulla Terra. –

Ancora silenzio.

− Ha motivo di essere arrabbiato. Non ha motivo di farmi sentire uno schifo. – concludo.

Ho gli occhi ancora chiusi.

Le mani sono strette attorno alla maglietta che indosso, il calore del sole mi scalda la faccia.

− Torna a dormire. Se stai zitto finisco il livello. – è quello che mi sento rispondere.

Ma...

La voce non è di Yūji.

La voce non è nemmeno di Tsukki.

La voce è di...

− Kenma? –

Apro gli occhi completamente confuso.

Prima cosa, Kenma è ridotto una merda. No, davvero, una merda. Ha i capelli arruffatissimi come se avesse passato la notte a farseli stropicciare da qualcuno, è pieno di segni di ogni genere addosso, ha la faccia da uno che ha bevuto come un ubriacone e le occhiaie sotto gli occhi.

Tiene il cellulare in mano, fra le dita sottili, indossa una maglietta chiaramente non sua, è seduto a gambe incrociate sull'altro lato del divano.

− Cosa dovrei rispondere? "Presente"? – risponde.

Ha la voce stanca.

− Che cosa ci fai tu... −

− Io e Kuro siamo venuti alla festa. Ci siamo fermati a dormire. –

− E allora lui... −

− Di là ad aiutare Terushima a pulire. Ci sono anche Bokuto e Akaashi ma Bo non dà segni di vita da ieri sera e Keiji sta pulendo pure lui. –

Mi guardo attorno completamente rincoglionito.

C'è roba ovunque, in questa casa, completamente in disordine. Vestiti, mutande persino, bicchieri e piatti e chissà cos'altro.

− È stata una festa grande? – chiedo, come un cretino, non sapendo che altro fare.

− Non lo so. Ho bevuto tantissimo e poi sono rimasto con Kuro la maggior parte del tempo. –

So cosa significa la sua risposta. Lo so e non voglio indagare oltre.

Mi tiro di nuovo giù sul divano.

− Sto zitto, allora, così puoi giocare. – mormoro dunque, cercando di scomparire nel nulla.

Sbuffa.

Spegne lo schermo del telefono.

− Stavo scherzando, questo è il telefono di Tetsurō, non ha giochi. Stavo facendo casino con la tavola periodica interattiva per fargli un dispetto. – borbotta, mettendolo sul bracciolo.

Delicatamente, come se anche muoversi gli facesse male, si sposta sul divano finché non ha il viso rivolto verso il mio.

− Tu cosa stavi dicendo su Tsukki? –

Mi si secca la gola.

Ok, posso dirlo?

Ho mantenuto il segreto ferreo fino ad ora. Nessuno, nessuno dei miei amici di prima sa di Tsukki, sa di Yūji o di tutto il resto.

Ho deciso di tagliarli fuori per timore che fossero troppo attaccati a quello che ero prima.

Ma ora...

Credo che un consiglio da qualcuno potrebbe essere qualcosa di utile.

− Tsukki e io abbiamo litigato, ieri sera. – mormoro.

− L'ho sentito. Credo che Terushima l'abbia detto a Kuro. –

Ingoio la saliva.

− Mi ha detto che... che non ha tempo di star dietro al mio cambiamento. Che sono insicuro, che sono debole. Mi ha detto che non potrò mai essere chi mi pare. –

Le sopracciglia sottili di Kenma si alzano, poi stringe lo sguardo su di me.

Schiocca la lingua, gira il capo.

− Se Tetsurō mi dicesse una cosa del genere, motivata o no, si ritroverebbe in mezzo a una strada senza un centesimo. E senza il cazzo. – risponde.

Nascondo una risata.

− Penso che un motivo ci fosse, in realtà. – borbotto.

− Quale? –

Inspiro, espiro, e inizio a raccontare.

Non credevo di aver così bisogno di farlo, a dirla tutta, ma ne avevo eccome. Mi sembra che le parole abbiano un senso diverso, mentre le dico, che prendano un significato che non vedevo.

E Kenma rimane zitto, con lo stesso sguardo indagatore di sempre, ad ascoltare.

Non commenta mai.

Mi lascia parlare.

Parlare, parlare, parlare.

Parlo così tanto che mi si secca la voce in gola.

− ... e allora io gli ho risposto di andarsene e lui mi ha detto che sono tenero, ma non sarò mai una persona forte. – concludo, col fiato che sembra essermi finito, in gola.

Altro sguardo penetrante, da felino in cerca di una preda.

Poi mano sulla gamba.

− Hai fatto un casino colossale, Yams. – mi dice.

Di riflesso mi viene quasi da ridere.

− Cosa? –

− Hai fatto un casino colossale. Ci sono così tante cose che... mettiamola così, non credo che Tsukishima avesse ragione né che tu debba fidarti ancora di lui. Ma credo che ci sia rimasto più coinvolto che altro e che non potesse fare tanto di diverso. –

Alzo un sopracciglio.

− Non poteva fare a meno di insultarmi? –

− No, scemo. Non poteva fare a meno di arrabbiarsi. L'hai messo in una brutta posizione. –

− In che senso? –

Prende fiato come se stesse parlando ad un bambino.

Alza le mani in aria, le mette in scala. Muove quella più in alto.

− Qua hai messo Terushima. –

Muove quella in basso.

− Qua Tsukishima. –

Rimango interdetto.

Non mi sembra di averlo fatto. Mi sembra di essere stato sufficientemente pari, con loro due.

− Forse tu non te ne rendi conto ma... cos'è che hai detto quando ti sei svegliato? –

Ci penso un po' su.

− Che ho mentito a Tsukki? –

− Esatto. –

Indietreggio col busto.

− Ok, capisco che gli ho mentito, ma che c'entra Yūji in tutto questo? –

Kenma alza le spalle.

− Yūji sa quello che è successo, sa tutto, tu gli hai detto tutto. Tsukki non aveva idea di cosa ti passasse per la testa mai. –

Mi cade aperta la mascella.

− Non sapeva dov'eri, con chi eri. Non sapeva niente. Non dico che abbia ragione ad averti trattato così, ma forse, se avesse avuto qualche elemento in più si sarebbe comportato in maniera diversa. –

Io non...

Non me ne ero minimamente reso conto.

Non ci avevo davvero pensato.

− Dall'altra la reazione è stata totalmente esagerata. Tu sarai anche stato criptico, ma che c'avevi l'altro ragazzo gliel'hai detto. Non può tornare dal nulla e venirti a giudicare o manipolare come gli pare. È uno stronzo pure lui. –

− Io... −

− Yūji, poi, è un bastardo che ci marcia sopra. Sono perfettamente d'accordo che gli uomini che se la credono siano eccitanti, sto con quel coglione arrogante di Kuroo da una vita, ma poteva risparmiarsi certe battute. –

− Kenma, un atti... −

− Secondo me, della situazione di merda, avete colpa tutti e tre. – trancia poi, incrociando le braccia al petto e serrando definitivamente le labbra.

Rimango completamente scioccato a guardarlo in faccia.

Io sono uno stronzo.

Tsukki è uno stronzo.

Yūji è uno stronzo.

E allora che cosa... che cosa dovrei fare?

− Dovrei tornare con Tsukki? – dico con un filo di voce a Kenma che scuote la testa.

− Non chiederlo a me, Yams, io non ne ho idea. L'unica cosa che posso dirti è che secondo me dovresti più pensare a perché hai fatto determinate cose, piuttosto che alle cose in sé. –

Indietreggio con la testa in totale confusione.

− Al perché ho fatto... −

− Dio ma perché mi sono messo qui, io non lo so. È Tetsu quello bravo a parlare, io gioco ai videogiochi, cazzo. – lo vedo dire fra sé e sé, e ridacchio appena.

Non so se Kuro sia più bravo di Kenma a parlare ma...

Mi sembra che il consiglio sia più che ottimo.

− Yamaguchi, ora cerca di capire quello che ti dico perché sono già stanco di parlare. –

Spalanco gli occhi.

− Dimmi. –

− Non puoi sentirti in colpa se hai dato più chance a uno o all'altro, è troppo tardi. Ma devi capire perché l'hai fatto. Perché a uno sì e l'altro no? Che cos'era che ti faceva comportare così? Non stare qui a flagellarti, non ha senso. –

− Che cos'era che mi faceva comportare... così. – ripeto.

Ed è in questo momento, che finalmente, finalmente, le cose hanno davvero senso.

Via l'idea di aver favorito uno rispetto all'altro, via il senso di colpa.

Via il sentirmi come se avessi fatto un torto a qualcuno.

C'è un perché dietro alle cose, ed è quel "perché", ad avere davvero valore.

Perché ho fatto determinate cose, mi chiedo.

Perché ho detto a Yūji che volevo il suo numero, un mese fa, ubriaco marcio appena rientrato nel dormitorio?

Perché volevo divertirmi, e volevo smettere di piangermi addosso. Perché sono un frignone, ma allo stesso tempo non lo sono, perché volevo riuscire a fare qualcosa di non mi facesse star male.

Perché ero stanco di soffrire, forse.

Perché ho baciato Yūji, un mese fa, in quella discoteca?

Perché lo trovavo divertente e sapevo che non mi avrebbe giudicato.

Perché ho permesso a lui di avere qualcosa di così intimo come il mio corpo così presto?

Perché...

Perché ci ho fatto sesso?

Io...

La risposta è una soltanto.

Io sapevo tante cose di Yūji e comunque non ne sapevo nessuna, tutt'ora non posso dire di conoscerlo così bene, perché le persone sono molto di più di un semplice mese passato assieme.

Yūji ha frequentato altre persone, mentre io e lui ci esibivamo in questo strano tira e molla, e so per certo che non ha mentito, ed eppure oltre ad un fondo di gelosia mia personale, la cosa non m'infastidisce così tanto.

La risposta è che io, di Yūji, mi fido.

Ciecamente.

La risposta è che ha visto tutto, in prima fila, e che... c'è stato.

Era lì quando credevo di non meritare niente, era lì quando credevo di meritare tutto, era lì quando sbattevo la testa e sbagliavo e gli dicevo in faccia cose che l'avrebbero solo fatto soffrire.

Yūji era lì.

A guardarmi.

A dirmi che potevo farlo.

E Tsukki avrebbe fatto lo stesso, forse, o forse no.

Tsukki è...

Una persona timida, molto riservata. È per carattere aggressivo quando non sa come reagire, sottile e tagliente, di talento, interessante, ma emotivamente pericoloso.

Tsukki è una persona che andava bene per com'ero prima, perché aveva uno spirito difensivo nei miei confronti che rinchiudeva la mia insicurezza e le permetteva di non divorarmi.

Ma ora io...

Non ho più bisogno di essere protetto.

Ho bisogno di essere buttato nella mischia.

E Tsukki non può farlo.

Io...

Non ricomincio a piangere, ma sorrido. Sorrido di gusto, a trentadue denti. Sorrido perché sono felice, nonostante la nostalgia, di aver visto il mondo per come è.

Io ho tenuto Tsukki fuori pur volendogli dare un'opportunità.

È stato cattivo da parte mia, lo so, e di questo chiederò scusa.

Ma se l'ho tenuto fuori un motivo c'era, e quel motivo era che temevo avrebbe soffiato via il castello di carte su cui mi stavo costruendo.

Ora sono più rigido, più solido, e non sono certo al cento per cento che lo sarei stato se l'avessi fatto effettivamente avvicinare.

È molto più facile, credo, guardare semplicemente gli atteggiamenti che qualcuno mette in atto e sputare sentenze senza pensarci.

È facile dare la colpa e puntare il dito, riempirmi di "e se" o dirmi che mi sono comportato male.

Ma la verità è che se ho fatto certe cose, un motivo c'era.

E quel motivo è la cosa più importante.

− Una sola cosa non capisco. Perché non hai reagito male anche alla rabbia di Terushima? – mi sento chiedere da Kenma, che quasi m'ero dimenticato fosse qui.

La so, la risposta.

− Perché ero io nel torto, al cento per cento, e lui non aveva fatto niente. E perché mi ha esplicitamente detto che se non mi fosse piaciuto come si comportava mi avrebbe lasciato in pace immediatamente. –

Annuisce.

− Capisco. Anche a me piace quando Kuro si arrabbia. –

Stringe lo sguardo sul mio.

− Solo Kuro, però. Perché di Kuro mi fido. –

Capisco cosa intende.

Capisco e sorrido.

Prendo un grande respiro.

Il sole sporge da una finestra enorme sul salotto, fra i vetri aperti, e mi sembra quasi che mi bagni la pelle. Mi si spande sulle lentiggini, sul viso pieno di sale per le lacrime appena versate, mi scalda.

"Ho scelto di me stesso in un giorno di sole" è una bella frase, per concludere una storia.

Kenma mi guarda e vedo con la coda dell'occhio che sorride sotto i baffi.

Mi alzo da divano.

− Yūji? – chiedo, ad alta voce.

Nessuno risponde per secondi interi.

− Yūji, dove sei? –

Sporgo la testa in cucina, ed eppure non mi sembra esserci nessuno.

Vago per qualche secondo per il pianterreno della casa.

− Sai dov'è andato? – mi rivolgo a Kenma.

Alza le spalle.

− Era qui. Sarà uscito a buttare la spazzatura. Aspetta un secondo, torna. – ribatte, il volto di nuovo impegnato a smanettare con il cellulare di Kuroo.

− Non voglio aspettare. –

− Sopravviverai. –

No, non sopravviverò.

Mi sento come se fossi fatto di polvere da sparo, sotto la pelle, come se alla minima frizione potessi davvero sentirmi bruciare ed esplodere.

Non sono qui per aspettare.

Io non voglio aspettare.

− Esco a cerca... −

La porta di casa si apre.

Yūji è...

Bello.

Divertente.

Mi piace il modo in cui si veste, lo trovo ammiccante, mi piace il taglio di capelli, mi piacciono i tatuaggi.

Mi piace il piercing alla lingua per mille motivi che ora non ho intenzione di elencare.

Mi piace la sua voce, è bassa ma non troppo, ride con un suono così allegro che mi sembra così trascinante, così pieno.

Mi piacciono le cose che dice, sono sempre molto più serie di quanto ci si aspetti, e non sono mai crudeli. È gentile, così gentile, nonostante sappia di poter calpestare chiunque solo chiedendolo.

Mi piace come mi guarda, mi piace come mi tocca, mi piace il suo odore.

Mi stringe come se fossi io ad avere il potere pur pretendendolo tutto per sé e nonostante tutto quello che mi fa, il modo in cui si pone quando siamo completamente da soli, risulta sempre così affidabile.

Tsukki era lo scudo di quando ero un ragazzino timoroso.

Yūji è...

La persona che sento mi fa davvero brillare.

− Sono stanco di questa storia. – è la prima cosa che dico quando entra, in piedi esattamente di fronte a lui.

Sbianca.

Vedo altre persone dietro di lui, ma mi sembra che il mondo si sia chiuso soltanto sui nostri due visi.

− Sono stanco di questa storia, Yūji, sono stanco. – ripeto.

Non parla.

Mi fissa e basta.

Prendo fiato.

− Chi c'era quando piangevo a dirotto sul bancone di un bar da solo? – chiedo.

Alza le sopracciglia.

− In che se... −

− Chi c'era, Yūji, rispondimi. Chi è venuto a prendermi? Chi mi ha portato a casa? –

Non penso sappia bene come reagire.

− Credo... io. –

− Chi mi ha detto per la prima volta che sbagliare non mi rende cattivo ma che avevo tutto il diritto di farlo? –

Interdetto, ancora.

− Io. –

− Chi mi ha sostenuto nonostante fossi costantemente incerto, chi mi ha aspettato per davvero, chi è rimasto a tenermi su nonostante tutte le cose che stavo sbagliando? –

Noto che si forma una curvetta, sul lato della sua bocca.

− Quello sono sempre io. –

− Chi ha cambiato la sua vita, credendo che io non lo sapessi, per me? –

Spalanca gli occhi.

− Non so chi te l'abbia detto ma... io, Tadashi. –

Mi tremano le mani.

Mi trema completamente tutto il corpo, la polvere da sparo che ormai scoppietta senza freni dentro di me.

− Io non ho dato a te e Tsukki le stesse chance. Sono stato impari, e non è giusto. Ma... −

Si avvicina di un passo.

La vedo nei suoi occhi, la speranza, la vedo e brilla come niente ha mai brillato.

− Ma se sono stato impari, non è già questa una risposta? –

Un altro passo, uno ancora.

− Io credo di aver fatto tante stronzate, e tra queste stronzate... se ci pensi ne hai subite più tu di Tsukki. A Tsukki ho detto che frequentavo un altro, tu invece mi hai sentito lamentarmi giorni interi e non hai fatto niente. Non hai fatto scenate, non hai mai detto che era una cosa idiota, non mi hai mai... fatto sentire da meno. –

Gli vedo gli occhi lucidi.

− Anzi, è l'inverso. Se stavo male mi facevi sentire meglio, se credevo di essere coraggioso mi dicevi che potevo fare tutto, se mi sentivo arrabbiato lasciavi che la mia rabbia finisse su di te. Tu... −

Allunga le mani in avanti, le prendo con le mie.

− Ci ho messo davvero troppo tempo a capirlo, Yūji, ma è cambiato davvero tutto in me. –

Non trema, la mia voce.

Non ho paura di dire cosa penso, non più.

Non temo il rifiuto, non temo il "no", perché è inevitabile.

Io, di Yūji, mi fido più di chiunque altro.

− Credo di voler avere una persona come te al mio fianco. Mi fai sentire... migliore. –

Le versa, le lacrime.

Le vedo che le versa.

Singhiozza, prima di rispondere.

− C... Credi? –

Rido.

− Ne sono convinto. –

Non l'ho mai visto piangere così tanto. Trovo che gli uomini che hanno la forza di piangere senza vergogna siano lodevoli, in un mondo che ci dice che dobbiamo essere forti.

Piange come un bambino, con le mani fra le mie, le spalle che tremano.

Mi avvicino per abbracciarlo, affondo la faccia contro il suo petto e lo stringo forte.

− Dimmi che non stai scherzando, ti prego, io... −

− Non sto scherzando. Io non lo farei mai. –

Tira su con il naso.

− Mi sembra tutto troppo bello per essere vero. –

Ridacchio contro il suo petto.

− Io sono troppo bello per essere vero? –

− Oh, assolutamente, cazzo. –

Mi stacca piano, col volto ancora umidiccio, gli occhi rossi giusto sul bordo, e mi squadra in viso.

E poi, quando mi bacia, capisco di essere a casa.

Capisco che non vorrei essere in nessun altro posto.

Capisco che il mio futuro, deve essere assolutamente qui.

Mi bacia più di una volta, quando si stacca si riavvicina subito, piange e ride tutto insieme.

− Io sono così... felice, cazzo. – borbotta, un po' lagnandosi e un po' no, un po' senza nemmeno capire cosa stia succedendo.

Gli prendo la faccia fra le mani.

− Sono... sono felice anch'io. –

− Dobbiamo... parlare. Ma parliamo fra un po' ok? –

Rido di gusto.

− Ok, ok. Quando ti pare. –

Mi sembra che scompaiano, le mie insicurezze, ed è questo, l'effetto che mi fa Yūji. È questo il motivo per cui sono qui.

Credo che sia questo, il motivo per cui mi sono così inevitabilmente innamorato di lui.

Perché sono forte.

E la mia forza non svanisce, quando lui mi guarda, non trema.

La mia forza brilla perché lui ci crede, perché lui sa come farla brillare e perché è la persona giusta per il Tadashi che sono diventato.

Le cose cambiano.

Io, cambio.

E certe volte il cambiamento fa male, certe ti destabilizza e certe ti fa sentire come se la terra sotto i piedi ti mancasse davvero, ma altre volte ti rende soltanto chi eri destinato ad essere.

Yūji è...

Il mio cambiamento.

Fatto e finito dentro un corpo più alto del mio e un viso da stronzo.

Yūji è quello che di me non sarà mai uguale a prima, è tante cose, è...

Io mi sono innamorato tutto intero, mi sa.

Mi capisce... meglio.

Mi completa, credo.

No, un attimo, "completare" non è il verbo giusto.

Yūji mi tratta come se fossi un intero già di mio, mi coccola per darmi qualcosa di cui non ho bisogno ma che spontaneamente lui vuole dedicare a... me.

Mi fa sentire spensierato, giovane, folle, sfacciato e passionale, tutto insieme.

Si stacca dal mio viso per respirare, credo, e non sapendo bene cosa fare so che mi strizza fra le braccia e si nasconde sulla mia spalla.

− Ora non te ne vai più, vero? – mormora addosso al mio orecchio.

Sorrido, corro con una mano fra i capelli corti.

− No, Yūji, non me ne vado più. –

− Davvero? –

− Davvero davvero. –

Stringe più forte.

− Devo dirlo a Bob e Futa. Mi stanno mandando energie positive da due giorni. –

− Allora è merito loro? – scherzo.

Annuisce come può contro la mia spalla.

− Futa dice che sei dello Scorpione. Mi ha fatto tutta una lista di cose che vanno bene fra Ariete e Scorpione. Se vuoi te le dico. –

Ridacchio appena.

− Magari un'altra volta, ok? –

− Ok. –

Cala un po' di silenzio, sento solo Yūji che respira tremando un po' contro la mia spalla e continuo a sorridere, a stringerlo, perché sono felice, così felice.

Tranne che mi ero dimenticato che non siamo da soli.

− Kenma, perché non ho avuto una confessione così, io? – sento dire e ammetto di rendermi conto solo ora che in effetti, forse forse, ho appena fatto una cosa un po' plateale.

− Perché ti odio, Kuro. –

− Oh, capisco. Vuoi fare colazione? –

Kuroo è letteralmente in mutande, i capelli ancora peggio del solito che sbuca dalla porta da cui prima è entrato Yūji.

− Kō sarebbe in grado di fare una cosa del genere. Ma sbaglierebbe i verbi. – commenta qualcun altro e la voce è delicata, pacata e longilinea.

Akaashi.

Divento color del sole.

Sono diventato un po' meno timido? Certo. Questo vuol dire che non mi possa vergognare per essermi appena aperto letteralmente davanti a tutti.

Yūji continua solo a piangere.

− Non parlare male di mio fratello, Akaashi. –

− Bokuto non è tuo fratello. –

Kuroo entra definitivamente in casa, la mia scenata li aveva lasciati ad aspettare sul pianerottolo, e si butta sul divano a fianco di Kenma, battendosi il petto con il pugno.

− Non di sangue. Nel cuore. –

Nessuno ride, tranne forse un po' Yūji contro di me.

Akaashi entra, le gambe nude che si muovono una dietro l'altra in un movimento davvero troppo ultraterreno, si siede sul bracciolo.

− Stiamo palesemente facendo finta di non aver visto niente per cercare di non mettervi in imbarazzo, ma se posso dire la mia... Kuroo mi devi tremila yen. –

Alzo le sopracciglia.

− Tremila yen? –

− Sì, tremila yen che ti saresti messo con Teru. Kuroo puntava su Tsukki. –

Rimango un attimo fermo.

− La mia vita amorosa è oggetto di scommesse? Non mi sembra molto... e poi come facevate a saperlo? Non l'ho detto a nessuno. –

Kuroo alza le spalle.

− La scorsa settimana siamo andati a bere con Terushima e ci ha lasciato il portafogli per pagare. E ci spiace per la scommessa, ma non prendertela male. –

− Il portafoglio? –

− C'è una tua fotina tutta carina nella tasca dei documenti. Una polaroid tipo. –

Scuoto Yūji fra le mie braccia.

− Una polaroid? –

Finalmente, si scolla dal mio collo e posso guardarlo di nuovo direttamente negli occhi.

− Era una bella foto, ci stava bene. – ribatte con il broncio.

Alzo le spalle.

− Romanticone. –

− Colpevole. –

Akaashi incrocia le braccia al petto, poi si schiarisce la voce.

− Ok, facciamo una cosa. Kuroo, Kenma, cercate di rimettervi in piedi. E tipo mettetevi dei vestiti addosso. Io vado a svegliare Bo e voi... ci sarà un posto della casa pulito in cui potete stare a farvi le cosine carine in privato, no? –

Kuroo annuisce.

− Mamma Keiji, ti amo. –

− Stai zitto. –

Yūji si asciuga la faccia con le mani.

− C'è camera di mia madre. Ma devo comunque finire di pulire. –

Sorrido appena.

− Andiamo su un po' e poi torni giù. È un problema? –

Scuote la testa.

− No, no, certo che non lo è. –

Akaashi ci fa cenno di andare, Kenma, che nonostante finga clamorosamente di non essere appiccicoso quanto in realtà è, avvinghiato completamente addosso a Kuroo, lo imita.

− Noi andiamo a farci una doccia. – mormora, prendendo il suo ragazzo dalla maglietta.

− E io vado dal mio, di ragazzo. – conviene l'altro, ancora elegantemente seduto sul bracciolo del divano.

Quando sente la parola "ragazzo", gli occhi di Yūji brillano.

In ogni caso rimane in silenzio.

Mi prende per mano, con calma, come se volesse godersi appieno la sensazione delle dita strette nelle mie, poi mi spinge con sé verso le scale.

Percorriamo i corridoi non dicendo una parola.

Ogni angolo sembra più incasinato di quello precedente e potrei giurare di sentir Bokuto russare anche attraverso la porta chiusa, ma quando arriviamo in fondo alla casa, quando tira fuori la chiave dalla tasca e apre la camera, tutto scompare.

Diventa lontano.

E capisco di essere finalmente, finalmente solo con lui.

− Ritieniti onorato, in camera di mamma non si può entrare di solito. – scherza, chiudendosi la porta alle spalle.

È perfettamente ordinata.

Profuma di... pulito.

C'è solo il letto con i comodini, le abat-jour spente e foto disseminate sopra mobili di legno.

Yūji si riconosce, sorridente e senza un incisivo, in uno scatto sul comodino. È tutto attorcigliato ad altre tre ragazze che gli somigliano, una bella donna a stringerli da dietro.

Adorabile.

− Io posso? –

− Non costringermi a ripetere che puoi fare quello che ti pare, Tadashi, lo sai anche tu. –

Sorrido, mi siedo sul bordo del letto.

Tiro su le gambe una alla volta, le incrocio sotto di me, poi lascio andare un sospiro che sentivo di tenermi dentro.

− È stata una confessione difficile? – mi chiede Yūji, mentre mi imita, appoggiandosi seduto al mio fianco.

− Difficile trovare il coraggio di dirla davvero, ma sapevo in fondo in fondo che l'avrei detto, prima o poi. – rispondo.

Ci... sorridiamo e basta, credo.

Ci guardiamo in faccia come se ci fosse qualcosa che prima già c'era ma che ora è finalmente palese, come se averlo detto ad alta voce l'abbia reso più vero.

− Ti va di raccontarmi com'è successo? –

Si stende di schiena sul letto, le gambe fuori dal materasso, corre con una mano al mio fianco e lo stringe piano, muovendo le dita sulla mia pelle.

− Come me ne sono reso conto? –

− Un po' tutto, credo. –

Prendo aria per parlare con il petto che trema.

− Non è stato per il litigio. Diciamo che mi ha fatto capire certe cose, il litigio, mi ha fatto mettere dei nomi alle sensazioni ma... non è stato il litigio. È qualcosa che c'era già. –

Annuisce.

− Io... −

Posso dirlo?

La risposta è "sì".

Posso dirlo.

A lui, posso dirlo.

− Quando sono con Tsukki sto bene con lui. Quando sto con te sto bene con me stesso. –

Prende una delle mie mani, se la porta verso il viso, bacia le nocche.

− Sono così fiero di te. –

− Ecco, questo intendo. Questo. Io... credo che tu mi faccia sentire al sicuro. Come se niente potesse abbattermi. Mi sento di poter fare quello che voglio, mi sento di poter cambiare. –

− Non ti senti giudicato? –

− Esatto, non mi sento giudicato. Mi fa venire le farfalle allo stomaco, l'idea che ti piacerei anche se volessi cambiare un'altra volta. –

Alza gli angoli della bocca contro la mia mano.

− È il minimo. –

− In che senso? –

Intreccia le dita con le mie.

− Non mi era mai capitato d'innamorarmi, lo sai? Forse ci sarei riuscito, se avessi un'idea dell'amore diversa ma... è così e basta. –

Quando mi guarda, è come se vedessi solo lui.

− Mio padre ha mollato mia madre che avevo dieci anni. Mi ricordo che le disse che "non era più la stessa di prima", una volta. E già allora mi sembrava una stronzata. –

− Mi dispiace, non lo sapevo, io... −

− Non dispiacerti, le donne stanno meglio senza gli uomini. E fammi finire. –

Ridacchio e lo sento prendere fiato.

− Molte persone s'innamorano dell'immagine che hanno di te. S'innamorano di quello che pensano tu sia, ma non ti danno l'occasione di dimostrare il contrario. Non poteva essere cambiata, la mamma, perché era sempre stata così. Solo non era più l'idea che mio padre si era fatta di lei. –

Oh.

Che...

− Ho capito che mi piacevi la prima volta che ci siamo visti al bar. Ricordo di aver pensato che tutte quelle lentiggini erano adorabili, ma non è questo il punto. Il punto era che avevi questa cosa dentro, come se volessi distruggere tutto e rifare tutto daccapo. Eri... spettacolare. –

− "Spettacolare" è un parolone, per uno che frignava da solo. –

Mi fa la linguaccia.

− Non lo è. Ero convinto che ci fosse molto più di te che quella cosa che ti facevano sentire gli altri. Ho pensato che fossi la persona più interessante che avessi mai conosciuto. –

Sorrido arrossendo un po'.

− E poi era come se vedessi qualcos'altro in me. Futa mi ha detto che mi guardavi come se volessi dissezionarmi. –

− Oh, non l'avrei mai fatto. –

− E invece l'hai fatto. Mi hai completamente dissezionato. Non sapevo cosa pensare, come pensarlo, non sapevo assolutamente cosa fare. Ho passato la maggior parte del tempo a cercare di capire dove diavolo sbattere la testa. Ma poi arrivavi tu, con quelle tue gambette lunghe e il faccino da angelo, e non capivo più un cazzo di nuovo. –

Rido a vedere la sua espressione.

− Più t'innamoravi di te stesso e più mi sentivo come se fossi meraviglioso. –

Mi sembra di...

Scintillare.

Come una pietra opalescente, con la pelle soffusa e la vita che mi scorre dentro.

− Non m'interessava se mi avresti amato o meno, credo m'interessasse solo di vederti diventare come sei più da vicino. –

Io...

Luccico, quando mi guardi tu, Yūji.

Luccico senza paura di farlo.

Lo vedo guardare il soffitto.

− Ti amo perché sei tante cose nel corpo di una, perché sei così complicato da essere interessante, perché sei tu e basta. –

Il silenzio non è pesante, quando cade.

È soffice, arioso, mi lambisce la pelle come un'onda a riva, non come uno tsunami.

− E io ti amo perché ci sei sempre, perché mi aiuti nonostante tutto, e perché non mi sono mai sentito così felice di essere chi sono in tutta, tutta la mia vita. –

Il bacio che ci scambiamo non è passionale, né disperato.

È letteralmente me che mi piego su di lui sul letto, lui che mi stringe e le labbra che si fondono.

È così...

Bello.

Grazie, Tsukki, di avermi custodito.

Ma ora credo di aver bisogno di volare da solo.

Le labbra di Yūji sanno di fumo come sempre, ma ho imparato a trovarlo affascinante, questo sapore, amaro e comunque tremendamente dolce.

Le mani mi tengono stretto, le dita mi coccolano delicatamente, il corpo mi accoglie.

Non ho paura, che mi tarpi le ali.

Non ho paura che mi faccia cadere a capofitto nel panico solo per difendersi.

Non ho paura, che mi rovini.

Perché mi fa sentire vivo, vivo e felice, stupido, spensierato, idiota, tutto allo stesso momento.

− Posso dire al mondo che sei il mio ragazzo, ora? –

Rido contro le sue labbra, alla domanda.

− Puoi. –

Respiriamo insieme la stessa aria, vicini al punto da sembrare di scomparire l'uno sul viso dell'altro.

− Cercherò di renderti felice, te lo prometto. Non ho mai fatto questa cosa e non ho idea di come si faccia, forse sarò il ragazzo peggiore della Terra. Ma prima che inizi a provarci, sappi che l'obiettivo è solo quello. –

Annuisco.

− Ci proverò anch'io. –

Sbuffa.

− Tu mi rendi già felice. Sei dello Scorpione, me l'ha detto Futa. –

Scoppio a ridere.

− Che c'entra il mio segno zodiacale? –

− Che ne so, dice che lo dicono le stelle, che ha acceso dell'incenso e... ma che cazzo ne so, Futa è strano. –

− Secondo me non l'hai ascoltato mentre parlava. –

Si butta una mano in faccia.

− Forse. Che cafone, devo subito richiedergli cosa voleva dirmi o... −

Mi stendo al suo fianco, appoggio una gamba oltre la sua vita.

− Glielo chiediamo insieme dopo, ok? –

Chiude la bocca e annuisce.

− Ora facciamo una dormita? Mi sembra di aver appena corso una maratona. –

Alza le sopracciglia.

− La maratona arriva dopo, bambino, non ti preoccupare. – ammicca.

Ridacchio appena, mi spalmo contro di lui che mi stringe.

− Me lo dici un'altra volta? –

Sorrido.

Chiudo gli occhi.

− Ti amo. –

Mi bacia la fronte.

− E ho scelto te. −

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