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Chapter 4.

Cerco di non pensarci. Ieri sera è stato un incidente, un equivoco. Joe deve essersi solo confuso, forse mi ha scambiato per la sua ex. Un brivido mi percorse le schiena al solo pensiero. Ma oggi è il primo live in Florida e ho una montagna di lavoro.

Joe mi guarda con finta frustrazione, scuotendo la testa. «Non mi funzionano gli auricolari», borbotta, lanciandomi uno sguardo che mi fa sussultare.

«Cosa vuoi da me? Non sono un tecnico del suono», rispondo stizzita

Sospira e mi indica le cuffie. Mi avvicino, cercando di nascondere la mia ansia. Mentre armeggio con i cavi, mi chiede: «Mi stai evitando?»

La sua voce è bassa, quasi un sussurro, ma mi colpisce come un pugno allo stomaco.

«No. Sono solo concentrata», dico, mantenendo un tono freddo e distaccato

«É per ieri sera?», ripete, fissandomi intensamente.

«Ieri sera è stato un errore», lo zittisco, «e non ricapiterà più. Dobbiamo mantenere solo un rapporto professionale, niente di più», dico. Le mie parole suonano più come un mantra che cerco di ripetere a me stessa per convincermi.

La band si sta preparando per salire sul palco, io mi rifugio nel camerino per darmi una sistemata ai capelli. Sento dei rumori provenire dall'interno e, senza bussare, entro. Joe è lì, di spalle, mezzo nudo, intento a indossare la maglietta. Mi blocco sulla soglia, imbarazzatissima. «Ehm...scusami, non sapevo che fossi qui», balbetto, cercando di nascondere il rossore.

Joe si volta, sorpreso, e mi guarda con espressione divertita. «Non preoccuparti» dice con un sorriso. «Non ho niente da nascondere». C'era qualcosa nel suo sguardo che mi faceva battere il cuore all'impazzata. Cerco di distogliere lo sguardo, ma è impossibile ignorare i dettagli: le spalle larghe, i tatuaggi che si intravedono sotto la pelle, e quegli occhi che sembrano leggere ogni mia esitazione.

«Io...ehm...devo andare» dico, facendo un passo indietro verso la porta. Ma proprio mentre cerco di uscire, sento la sua mano sfiorare la mia. È una carezza appena accennata, eppure mi blocca sul posto

«Aspetta», dice, con un tono serio, quasi vulnerabile

«Joe, non è il momento», sussurro senza guardarlo, fissando il pavimento, sperando che questa conversazione finisca presto senza scivolare in territori pericolosi.

Alle nove, i Jonas Brothers salgono sul palco.

Le luci si abbassano, il pubblico esplode in urla frenetiche e l'energia nella sala è alla stelle. I ragazzi salgono sul palco, accolti come delle rockstar, e io finalmente mi lascio cadere su una poltroncina nella sala regia. Lo schermo di controllo davanti a me trasmettere ogni dettaglio dello spettacolo. Le note della prima canzone riempiono l'aria, e per un attimo mi perdo nell'atmosfera magica. Il pubblico canta a squarciagola, ondeggiando all'unisono, e io, anche se distaccata, non posso fare a meno di sentire un pizzico di orgoglio.

Durante una pausa tra le canzoni, nel momento del cambio d'abito, un'ombra compare sulla soglia della saletta. Alzo lo sguardo dal monitor e lo vedo. Joe. Indossa ancora la camicia sbottonata della prima parte del concerto, i capelli leggermente umidi di sudore. Mi guarda in silenzio, gli occhi incatenati ai miei. Il suo sguardo è così intenso, così magnetico, che mi sento pietrificata. Un brivido mi percorre lungo la schiena, e conto la mia volta, nella mia mente si insinua un pensiero scomodo: Josh mi ha mai guardato così?

Mi schiarisco la gola, cercando di spezzare quell'attimo di silenzio. «Serve qualcosa? Hai dimenticato un cambio?»

Joe non risponde subito. Fa un passo avanti, poi un altro, finché non si ferma accanto ame. Le sue labbra si piegano in un mezzo sorriso. «Non ho dimenticato nulla», dice, con voce bassa. «Volevo solo...vedere come stavi».

Sento il cuore accelerare, e il mio corpo si irrigidisce. «Sto bene. E ora dovrebbe tornare sul palco. I tuoi fratelli ti stanno aspettando».

Lui però non si muove. «Certo. Ma prima...posso chiederti una cosa?»

Cerco di mantenere la calma, anche se la sua vicinanza mi rende difficile solo respirare. «Dipende»

Joe si avvicina leggermente verso di me. «Se ti stessi sbagliando?»

Il mio cuore sembra fermarsi. La domanda rimane sospesa nell'aria, ma prima che possa rispondere, un tecnico spunta alla porta: «Joe, due minuti! Dobbiamo andare!», dice

Joe si alza, lanciandomi un ultimo sguardo prima di allontanarsi. Resto immobile, con la mente che continua a rielaborare le sue parole. Torno a fissare lo schermo, ma il concerto ormai mi scivola addosso. Dentro di me, una tempesta ha già preso il sopravvento.

Quando il concerto termina, i ragazzi si cambiano velocemente e torniamo in hotel. Fuori, alcune fan ci aspettano, eccitate nonostante l'ora tarda. I ragazzi, seppur stanchi, si fermano a scattare qualche foto con loro. Io, invece, tiro verso l'entrata, troppo esausta per rimanere. Appena chiudo la porta alle mie spalle, il telefono vibra. È Steph e rispondo subito.

«Allora, come sta andando?», chiede con entusiasmo

«Bene», dico mentre mi tolgo le scarpe e lasciandomi cadere sul letto. «Oggi è stato il primo concerto ed è stato fenomenale»

«Si, ho visto le storie. Spaccano sul serio!», esclama. Poi, dopo un attimo di silenzio. «E con Joe?»

Il suo tono si fa subito malizioso, e io sento un nodo stringersi nello stomaco. Sospiro. «Stiamo nella stessa stanza d'albergo»,

«Che cosa?», Steph scoppia a ridere. «Stai scherzando?»

«No. È stato un errore nella prenotazione».

Lei ridacchia. «Quindi... lo hai visto nudo?»

«Cosa? No!», esclamo, cercando di scacciare dalla mente l'immagine del pomeriggio in camerino. Proprio in quel momento, la porta della stanza si apre, e Joe entra con l'aria stanza ma ancora piena di quella sicurezza disarmante, «Ti saluto, Steph. Buonanotte», dico in fretta

«Sì, buonanotte», dice lei. «Non me la racconti giusta, tu»

Ignoro la sua provocazione metto giù. Joe appoggia la chitarra nella custodia accanto al letto e si toglie la faccia. Mi guarda con un mezzo sorriso. «Con chi parlavi?», dice,

«Steph», dico, cercando di sembrare il più disinteressata possibile

«Ah, parlavate di me?», dice

«No», ribatto, forse troppo in fretta. «Non parlavamo di te. Non sei così importante nella mia vita da pensarti sempre».

Joe sorride divertito, come se avessi trovato una crepa nella mia armatura. «Quindi, mi stai dicendo che mi pensi, ma non sempre

«No!», esclamo, sentendo il rossore salirmi al viso

Lui si avvicina al letto, inclinando la testa con aria innocente che non gli si addice affatto. «Ok, ma quando lo fai... sono con o senza vestiti?»,

Gli lancio uno sguardo di sfida. «Sei impossibile». Mi sdraio sul letto, fissando il soffitto per evitare di incrociare i suoi occhi.

Lui ride, poi si dirige verso il bagno. Rimango immobile, mentre mi stringo nelle coperte e chiudo gli occhi ma i pensieri non hanno nessuna intenzione di fermarsi.

L'euforia del concerto, la stanchezza, la tensione accumulata...tutto si intreccia, ma c'è una cosa che prevale: la mia confusione dei miei sentimenti. Joe è un enigma che mi attira e mi irrita allo stesso tempo, molto diverso da Josh, che invece è una certezza. O almeno, lo era. Mi stringo al cuscino incapace di ignorare la domanda che mi tormenta: E se stessi sbagliando tutto?

Quando Joe esce dal bagno, con i capelli umidi e una maglia pulita, mi lancia un'occhiata fugace. Non dice nulla, e neanch'io. Il silenzio nella stanza è pesante.

«Buona notte», mormora, spegnendo la luce

«Buonanotte» rispondo, consapevole che non dormirò.

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