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Epilogo
Hayley
Quando ero bambina una notte mi sono svegliata a causa di un incubo e quando sono uscita dalla mia stanza, ho visto mio padre piangere seduto sul divano del salotto. Mia mamma era morta da pochi giorni e io sono restata lì, ferma, nascosta dietro il muro del soggiorno ad osservare mio padre singhiozzare immerso nel buio. Lo sentii pregare il cielo di restituirgli ciò che aveva perso, tentare di auto convincersi che stesse vivendo un incubo e che, presto, si sarebbe risvegliato. Ma non fu così.
Quella notte, mentre i raggi della luna illuminavano il viso di mio padre rigato dalle lacrime, ricordo di aver pensato che se amare significasse soffrire così tanto, allora non avrei mai voluto innamorarmi.
Fu allora che iniziai ad avere paura dell'amore. Una volta avevo letto da qualche parte che esistesse un nome specifico per questo tipo di fobia e che, per altro, fosse piuttosto diffusa. Crescendo ciò che temevo iniziò ad impormi di sfruttare la mia indole fredda e distaccata in modo da evitare che qualcuno si invaghisse di me, per poi sfociare in baci nati per caso durante le feste con la mente offuscata dai fumi dell'alcol, nulla di più e nulla di meno.
Vedere con i miei occhi la reazione di Scott alla morte di Emma non aveva fatto altro che alimentare le mie fobie e quel terrore profondo ed incondizionato che provavo dei confronti dell'amore. Ancora una volta avevo scelto di essere egoista, di proteggere me stessa da un sentimento che ritenevo essere distruttivo quanto una bomba atomica, anche nei confronti di chi alzava bandiera bianca, dichiarando la resa e venendo in pace, senza risparmiare nessuno.
Avevo perso fiducia dell'amore, continuando a credere che fosse sempre pronto a portarti così in alto da farti sfiorare le stelle, abbastanza da poterti mostrare le porte del paradiso, per poi trascinarti tra le fiamme ardenti dell'inferno ed osservarti bruciare fino a quando di te non sarebbe rimasto nient'altro che cenere.
Una volta conosciuto Aiden e dopo aver realizzato di starmi innamorando di lui con una velocità che per me non conosceva precedenti, la mia paura aveva preso vita e l'unico mio pensiero fisso era divenuto solo uno. Temevo di distruggere quel sentimento d'amore, di portare alla rovina la persona alla quale avevo iniziato ad affezionarmi profondamente, proprio come era accaduto in passato, così tante volte che solo ripensarci mi causava ancora una fitta al cuore.
Eppure, non ero riuscita a mantenere il controllo su di me, nonostante mi fossi sforzata più che potevo l'amore sembra aver già deciso di non lasciarmi più andare.
Per lungo tempo avevo continuato a pensare alla sofferenza che avevo visto dipinta sul viso di mio padre durante quella notte, quando aveva pianto avvolto dal buio e dal silenzio credendo che questi, forse, in qualche modo, avrebbero potuto alleviare il suo dolore. Mi ero convinta che anche lui avesse sviluppato una sorta di scudo per difendersi dall'amore, eretto per paura di soffrire nuovamente e per questo, in fondo, non lo avevo mai biasimato, nonostante nel profondo avessi sempre desiderato che lui non restasse da solo per il resto della sua vita.
Eppure mio padre aveva trovato un nuovo amore, io stessa mi ero innamorata così tanto che spesso mi ero sentita logorata da quel sentimento così forte da far soffrire sia me che la persona che amavo.
Vedere Emily avanzare lungo la navata, o meglio, la stradina sterrata circondata dagli alberi in fiore che conduceva dove mio padre l'aspettava con un sorriso luminoso ad allargargli le labbra, mi dimostrò che il mio fosse un tipo di paura contra il quale era impossibile vincere. I due avevano scelto di celebrare il loro matrimonio nel cuore di Central park all'interno del Wagner cove, un gazebo che poggiava sulle rive del lago sulle quali acque si specchiavano i raggi del sole che ne tingevano la superficie e gli alberi così verdi da sembrar risplendere di luce propria. Alle mie orecchie giungeva lo starnazzare di alcune anatre mescolarsi al suono dei violini suonati dalla piccola orchestra posta poco distante dal gazebo. Il vestito candido di Emily fasciava perfettamente la sua figura snella e longilinea, per poi terminare in un lungo strascico che la faceva apparire ai miei occhi come un fiore candido pronto a sfoggiare la sua magnifica bellezza a chiunque vi ci avesse posato lo sguardo. I suoi capelli biondi erano acconciati elegantemente, intrecciati con alcuni fiori e tenuti saldi da un fermaglio luccicante quanto una stella.
Quando Emily raggiunse mio padre, i due si guardarono come non fosse esistito nessuno al di là di loro, quasi si fossero rifugiati in un mondo parallelo dove quel gazebo di legno sospeso sull'acqua faceva da unico testimone al loro amore.
Mi sentii incredibilmente felice per entrambi, tanto che non riuscii a fare a meno di stringere la mano di Aiden e di lasciare che le mie labbra si allargassero un sorriso smagliante.
Con il senno di poi avevo capito che anche se mio padre avesse provato un dolore devastante, non si fosse pentito di aver conosciuto mia madre e che, in realtà, la sua fiducia nei confronti dell'amore era rimasta la medesima. Lo avevo compreso solo dopo aver conosciuto Aiden, dopo aver pianto per lui e assieme a lui, dopo aver gridato e riso fino a stare male. Mi era ormai chiaro che per quanta sofferenza entrambi avessimo provato, entrambi, saremmo stati disposti a rivivere ogni singolo istante, senza curarci di dove ciò ci avrebbe condotti.
Avevo realizzato che certe paure nascevano per essere affrontate, per aiutarti a crescere e a comprendere che non è possibile trascorrere un'intera vita a scappare con la convinzione riuscire in qualche modo ad auto difendersi. Avevo permesso alla mia fobia di inghiottirmi, di lasciare che la me stessa di un tempo svanisse nelle tenebre e che io trovassi la salvezza grazie a quel sentimento che avevo sempre temuto e ripudiato.
Io ed Aiden ci eravamo aiutati a vicenda, fin dal primo momento, ci era sempre risultato facile capire quando l'altro avesse bisogno di supporto, anche solo attraverso un semplice gesto come una carezza, un abbraccio o uno sguardo.
Non avevo mai compreso perché le persone piangessero ai matrimoni, ma quando Emily e mio padre si baciarono ai miei occhi risultarono così felici che mi sentii palpitare il cuore e pizzicare gli occhi per l'emozione, ero fiera di entrambi per non aver lasciato che le loro ferite li logorassero e per essersi rialzati dopo essere caduti ripetutamente senza sosta, nonostante avessero le ginocchia sbucciate e le forze sembrassero mancargli.
Ero cerca che mia mamma sarebbe stata orgogliosa di vedere come papà avesse continuato la sua vita, senza rimanere incatenato al fantasma di qualcuno che, per quanto lui lo avesse ardentemente desiderato, non era in grado di tornare in vita.
Forse la notte in cui vidi piangere mio padre il cielo gli diede davvero ascolto e invece di restituirgli l'amore che aveva perso, si era deciso e fargliene incontrare uno nuovo, altrettanto sincero e puro.
In quel momento con la coda dell'occhio vidi Aiden scattarmi una fotografia e ciò mi spinse a distogliere lo sguardo da Emily e mio papà.
" Guarda che dovresti fare foto agli sposi, non a me. Idiota" dissi, scuotendo leggermente il capo con fare sconsolato.
Indossava uno smoking nero che gli fasciava perfettamente il corpo, i capelli scompigliati come sempre e gli occhi dello stesso colore del mare dei Caraibi erano illuminati dai raggi solari che filtravano attraverso le fronde degli alberi. Era così bello che era impossible non rimanere incantati dal suo viso, dal modo in cui la mandibola era ben delineata e da come il suo sguardo incantasse quanto le onde dell'oceano che riflettevano la luce del sole.
" Ho fatto le foto anche a loro, tranquilla Angelo. Ah, mi sono dimenticato di dirti che ieri ho visto Hanna e Lucas, lui le ha finalmente confessato di essere sempre stato innamorato di lei e ora stanno uscendo insieme. Spero davvero che riescano a trovare il loro angolino di felicità, ma so che anche se la loro relazione non dovesse funzionare non riuscirebbero mai a separarsi. Tengono troppo l'uno all'altra e poi i fratelli di Lucas adorano Hanna, se non dovessero vederla più sarebbero tristissimi e lui si odierebbe per questo. Ha sempre voluto dare loro tutto quello che volevano, dato che lui non ha mai avuto niente " replicò Aiden, prima di avvicinare nuovamente l'obbiettivo al suo viso e scattare ulteriori foto agli sposi.
Aiden aveva smesso di provare rancore nei confronti di Hanna, aveva addirittura tentato di rincollare tra loro i frammenti rimasti della loro amicizia fraterna. Ero fiera di ciò che era divenuto, orgogliosa di sapere che lui si fosse lasciato alle spalle tutto l'odio che provava. Il giorno in cui avevo conosciuto Aiden, di certo, non sarei mai riuscita ad immaginarmi che lui potesse acquistare così tanta importanza nella mia vita.
Esattamente come non pensavo che sarei riuscita ad abbracciare il mio senso di colpa ed il mio dolore, in modo da riuscire finalmente a maturare e a proseguire la mia vita serenamente.
Avevo trascorso anni a pensare al futuro, sforzandomi di fare programmi eppure non mi era mai servito a nulla. Ero riuscita a comprendere che non fosse necessario riflettere in modo eccessivo, tentando di prevedere quali eventi sarebbero ricorsi nella mia vita. Ero cresciuta e ciò lo dovevo anche alle esperienze dolorose che avevo vissuto.
Ormai il futuro non mi spaventava più come un tempo, avevo finalmente capito che mi era sufficiente ciò che possedevo e che mi bastasse farne tesoro. Tutti coloro che amavo e che mi avevano permesso di raggiungere la felicità che avevo inseguito a lungo, erano tutto ciò di cui avevo bisogno. Aiden era colui che mi aveva aiutata a comprendere tutto questo.
Era il mio oceano, colui che mi aveva investita con l'impetuosità delle sue onde e mi aveva trasporta in terre sconosciute, affogandomi nell'amore e facendomi nuotare tra le sue acque oscure e colme di segreti mai svelati.
Era il mare in tempesta che mi travolgeva con il suo amore, che mi inebriava di felicità e mi coccolava tra le sue onde dove avevo ritrovato me stessa. La sublime bellezza di quell'infinità mi aveva spinta ad affogare le mie paure, ad incatenarle sul fondo e a raccontare alle onde la mia storia, lasciando che la tenessero prigioniera delle loro acque come se fosse stata un antico tesoro.
Aiden era l'oceano di emozioni che mi lasciava senza fiato, dapprima gentile e successivamente travolgente e scherzoso, capace di amare così profondamente da indurti a perderti nelle sue acque. Ero completamente ed irrimediabilmente innamorata di lui, tanto da permettergli di affogarmi in quel sentimento, da restare in balia delle onde e lasciare che si perdessero cura di me.
Io ero un uragano afflitto, lui un mare in tempesta, due catastrofi naturali che si amavano tra sferzate di vento e onde infrante. Un amore coniato tra i fulmini e le macerie, che era stato in grado di riportare alla luce i resti di due vite devastate dalla distruzione.
Aiden
Mi trovavo nel cuore di Manhattan, all'Edison Ballroom, il luogo dove si stava svolgendo il ricevimento del matrimonio di Emily e Robert. Era ormai calata la sera ed io e Hayley eravamo intenti a ballare un lento all'interno della grande stanza illuminata da luci al neon viola e da quelle giallognole dal bagliore soffuso poste sul soffitto.
Quel giorno Hayley era bellissima, indossava un lungo vestito nero sul corpetto che sfumava via via fino a divenire rosso scarlatto. La rappresentava alla perfezione, sembrava essere stato creato appositamente per lei. Ai miei occhi risultava come una rosa rossa, adombrata dall'oscurità di quel passato che non era in grado di cambiare e la sfoggiava come se andasse fiera, quasi fosse la sua armatura, la stessa che era sinonimo della sua trionfante battaglia contro sé stessa e i demoni che infestavano la sua mente.
" Sei bellissima con questo vestito" dissi, mentre ci muovevamo a ritmo di musica con gesti lenti, quasi fossimo cullati dalle onde.
Hayley sorrise allegramente e i suoi occhi ambrati parvero illuminarsi improvvisamente, come se risplendessero di luce propria. Le ciocche scure dei suoi capelli riflettevano la luce violacea che illuminava il locale e il tatuaggio che sovrastava la sua spalla e parte del suo braccio, era avvolto nella penombra. Quando muoveva i muscoli mi sembrava addirittura che l'ala disegnata sulla sua pelle prendesse vita e che si muovesse liberamente, un'illusione ottica che, talvolta, mi spingeva ad osservarla attentamente quasi temessi che scomparisse.
" Anche tu non sei male con questo smoking, Batman " replicò lei in tono scherzoso.
Sembrava incredibilmente felice quel giorno, così tanto che il sorriso non riusciva ad abbandonarle le labbra e io avrei voluto che lei si fosse sentita a quel modo per il resto della sua vita. Quasi non mi interessava se io fossi o meno la ragione di tanta felicità o che nel corso degli anni non sarei più stato testimone di quelle emozioni, mi era sufficiente sapere che lei non dovesse soffrire mai più. Nonostante fossi perfettamente consapevole che, per quanto lo desiderassi, non fosse possibile citare che qualcuno fosse ferito in alcun modo.
" Senza sono ancora meglio, Angelo" la informai, allargando le labbra in un sorriso ammiccante.
Hayley roteò gli occhi e sbuffò rumorosamente, dandomi a vedere quanto le mie battute squallide la scocciassero. Eppure, di lì a poco, si lasciò sfuggire un risolino diverti ed avvicinò il mio viso al suo in modo che le nostre labbra si incontrassero.
Mi risultava difficile credere che finalmente entrambi fossimo riusciti a raggiungere la nostra tanto agonista felicità, aiutandoci l'un l'altra e salvandoci reciprocamente.
Hayley era il mio angelo macchiato dal peccato, colei che aveva preso per mano i propri demoni e abbracciato le sue paure.
Io avevo odiato fino ad allora e il mio angelo mi aveva spinto ad amare, avevo combattuto una lunga battaglia e ne ero uscito ferito, ero morto e rinato per provare quel sentimento che avrei ricordato per sempre.
Sono affogato nelle acque profonde e oscure della mia coscienza, per poi riemergerne grazie ad un angelo che aveva la mano protesa verso di me, pronta a salvarmi dai miei peccati.
I miei demoni si erano arresi dinanzi ad un paio di ali bianche sporcate di nero, ad un angelo che aveva attraversato l'inferno e ne era uscito vincitore.
Hayley era quell'angelo, La Rosa rossa i quali petali erano tinti dal dolore nero pece e bagnati dalle lacrime, l'uragano che aveva ricostruito ciò che nella mia vita era crollato.
Lei era la libertà di vivere, di amare, di gridare squarciagola e ti spingeva a sfoggiare le cicatrici di guerra come se fossero state un'armatura.
Io la amavo, tanto da star male ed era una delle sofferenze più dolci che potessero esistere.
Avevo vissuto a lungo con la paura che niente nella mia vita sarebbe mai cambiato, che sarei rimasto un mostro per sempre, ma mi sbagliavo. Finalmente ero riuscito a crescere, a maturare. Avevo compreso che durante l'arco della crescita nessuno ti insegnasse che amare sé stessi fosse importante tanto quanto amare gli altri. Avevo vissuto a lungo pensando di essere una forza distruttiva, un mare in tempesta che affogava chiunque, trascinandolo sul fondo e consumandolo lentamente.
Ogni notte pensavo di essere solo, che i miei errori fossero troppo grandi perché qualcuno riuscisse ad amarmi, perché io stesso ne fossi in grado. Le mie acque venivano inquinate dall'odio, giorno dopo giorno, minacciando di non lasciarmi alcuna via di scampo. Pensavo di non meritare la felicità, di dover essere consumato dal passato, lasciando che mi divorasse lentamente e mi conducesse alla pazzia. Ero convinto che non ci fosse nulla per cui combattere veramente, che per me non fosse rimasta nemmeno una goccia di speranza in grado di purificare le mie acque. Eppure, dopo aver incontrato lei, avevo scelto di lottare davvero, anche se questo avrebbe finito per uccidermi. Avevo capito che vi era sempre qualcosa per cui valesse la pena combattere, che per raggiungere la felicità, quella vera, era necessario soffrire prima in modo da apprezzarne maggiormente la bellezza.
Quando ero in analisi dal mio psichiatra, un giorno lui mi disse che un saggio, una volta, disse: tutti vogliono essere felici, nessuno vuole essere triste, ma non si può avere l'arcobaleno senza un po di pioggia.
Quella frase mi aveva ceduto, almeno per qualche istante, un po' di speranza, nonostante avessi vissuto sotto un alluvione costante per troppo tempo. Sia io che Hayley avevamo a lungo rivolto lo sguardo verso il cielo sperando di intravedere un raggio di sole, trovando invece solo minacciose nuvole nere.
I tuoni simboleggiavano le grida della nostra coscienza che si facevano via via sempre più forti ed insistenti, per poi scemare lentamente come se fossero solo una eco lontana.
Entrambi avevamo imparato a vivere sotto la pioggia, a resistere sotto lo scrosciare insistente dell'acqua, senza fiatare e finendo quasi per abituarvici, pensando che non avremmo mai più rivisto la luce del sole. Un po' come quando ti hai una ferita e in principio questa brucia, fa male, ma con il trascorrere del tempo finisci per abituarti al dolore, tanto che quella stessa ferita sembra aver cessato di esistere.
Avevamo trascorso anni chiedendoci quanto tempo sarebbe dovuto trascorrere perché ci fosse concesso di vedere l'arcobaleno.
Quel momento era finalmente arrivato, avevamo attraversato la tempesta, vissuto al suo interno e abituato i nostri occhi al buio. Avevamo imparato a vedere il mondo in bianco e nero. Ora che i colori risplendevano nel cielo, riuscivamo ad apprezzarne maggiormente la bellezza.
Potevamo assaporare finalmente la magnificenza del nostro arcobaleno.
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