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Capitolo 34: The Lighthouse

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Capitolo 34

Aiden

" Angelo, guardami. No, Dio ti prego no. Andrà tutto bene, tu starai bene. Non lasciarmi, ti prego resta. Resta con me, andrà tutto bene. È tutto okay, sta arrivando l'ambulanza. Tu starai bene " dissi, mentre le mie mani rimanevano premute sulla ferita di Hayley e i miei occhi persistevano a riversare una serie di lacrime che ricadevano sul suo volto.

Le sue palpebre si erano chiuse e io non riuscivo a fare altro che piangere, pregando Dio di aiutarla a sopravvivere a quella notte, mentre io mi sentivo impotente dinanzi ad un destino che non pareva intenzionato a regalarci la felicità che, entrambi, avevamo bramato per interi anni. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio, ma, ancora una volta, la vita si era divertita a farci lo sgambetto e a ridere di noi.
Fui sopraffatto da un senso di impotenza, dinanzi a quella che era la triste realtà: non ero un eroe, ma solo un ragazzo disperato e soffocato dalle sue stesse lacrime.
In quel momento l'ambulanza parcheggiò vicino al marciapiede macchiato di sangue, lo stesso che aveva parzialmente inzuppato le ciocche dei capelli di Hayley, così come la sua maglietta e le mie mani.
Gli infermieri presero presto il mio posto ed io restai ad osservarli mentre tentavano di impedire al sangue di sgorgare fuori dalla ferita della ragazza riversa sull'asfalto, con il viso ancora rigato dalle lacrime.
Mi sembrò di vedere il mondo al rallentatore, come se il tempo, da quando Hayley aveva chiuso gli occhi, avesse improvvisamente preso a scorrere più lentamente e la terra a ruotare con maggiore fatica attorno al proprio asse. E quando gli infermieri mi condussero verso l'ambulanza, tutto, i suoni, le voci il rumore emesso dalle portiere mentre si chiudevano, ogni cosa, giungeva ovattata alle mie orecchie. Era come se mi trovassi sott'acqua, in balia delle onde di un mare di sofferenza e disperazione che minacciava di soffocarmi.

" Quanto tempo è trascorso dal momento in cui è avvenuto lo sparo? Qual è il nome della vittima? Che tipo di legame c'è fra di voi? " mi domandò un'infermiera, mentre io tenevo gli occhi fissi sul volto della ragazza che giaceva sul lettino all'interno dell'ambulanza sulla quale mi trovavo.

Da quando l'avevo vista cadere al suolo in seguito allo sparo di Matt, non ero riuscito smettere di piangere. Proprio io che non versavo una lacrima da anni ormai, mi ero piegato dinanzi al mio destino avverso e alla paura di non riuscire più a rivedere il sorriso della persona che amavo.
L'unica cosa alla quale riuscivo a pensare in modo costante, era che se lei fosse scomparsa tutto il mondo mi sarebbe sembrato vuoto. Avevo l'impressione che il mio cuore stesse marcendo a causa del dolore che provavo, come una rosa che, senza luce, appassisce inesorabilmente.
Non avevo detto addio e se fosse davvero morta, ero certo che una parte di me l'avrebbe seguita.

" Non lo so. Dieci minuti, credo. Si chiama Hayley Kingston e io sono il suo ragazzo, Aiden Stephenson" replicai, la mia voce rauca per via delle lacrime, quasi faticasse ad uscire dalla gola.

Tentai in ogni modo di cessare di piangere, ma per ogni volta che mi asciugavo gli occhi, questi venivano bagnati nuovamente dopo pochi istanti, dandomi l'idea che fossi un rubinetto rotto che persisteva a gocciolare incessantemente.
La mano di Hayley era stretta fra le mie, era fredda ed immobile e mi dava l'impressione che fossi intento a reggere la mano della statua di marmo dell'angelo che si trovava al cimitero di Greenwood. Il problema era che, in quella circostanza, a piangere ero io, condannato a provare un dolore per il quale non esisteva medicina in eterno.

" Okay Aiden. Hai fatto un ottimo lavoro a rallentare l'emorragia, se non lo avessi fatto probabilmente le sue speranze di sopravvivere si sarebbero decimate. Hai salvato la tua ragazza. Conoscevi l'altra vittima? " replicò l'infermiera, per poi tentare di parlare a Hayley.

Mi sentii sprofondare perché il motivo per cui la mia ragazza si trovava in quell'ambulanza ero solo ed esclusivamente io. Perciò, più che un eroe, dovevo essere considerato un assassino.
Avevo ancora le mani sporche di sangue il quale odore mi riempiva le narici ad ogni respiro e la mia testa sembrava pesare quanto un macigno, quasi qualcuno l'avesse riempita di piombo fuso. Ancora faticavo a concepire cosa fosse appena accaduto, ero in stato di shock, sentivo freddo e non ero in grado di distogliere lo sguardo dal viso di Hayley, nemmeno per un istante. Era come se avessi paura che se non l'avessi osservata in modo costante, nel momento in cui mi sarei distratto, lei sarebbe scomparsa.

" Sì, eravamo migliori amici un tempo. Ha detto che le ha sparato per vendicarsi, si chiamava Matt Adams e si è suicidato subito dopo aver ferito Hayley" spiegai, sforzandomi di non permettere al turbine di emozioni che provavo di sopraffarmi.

Ancora faticavo a concepire l'accaduto e cosa Matt avesse fatto. Aveva escogitato un piano malato al solo scopo di ferirmi e di farmi provare lo stesso dolore che aveva sentito lui sulla pelle quando Bella era morta. Non riuscivo a credere che l'odio che provava, misto alla tristezza, lo avesse condotto verso quel punto di non ritorno. Conoscevo Matt e sapevo che non fosse un santo, ma mai mi sarei aspettato che avrebbe compiuto un gesto simile solo per vendicarsi, perché ancora non era riuscito ad accettare che lui fosse responsabile quanto me per ciò che era accaduto alla sua ragazza. Puntare il dito contro di me non lo aveva fatto sentire meglio, esattamente come non lo aveva aiutato sparare a Hayley o a sé stesso. Aveva semplicemente trovato una fine tragica alla sua tragica esistenza.
La stretta della mia mano attorno a quella di Hayley aumentò di vigore e per un attimo, la sentii ricambiare. In quel momento l'ambulanza si fermò dinanzi all'ospedale e io fui costretto a lasciare la presa, in modo da permettere agli infermieri di estrarre la barella dal mezzo di trasporto e condurla verso l'ingresso dell'edificio.

" La paziente è in condizioni critiche. Presenta una ferita da arma da fuoco sulla spalla sinistra, nessun segno di pneumotorace. Ha subito un lieve trauma cranico, alterna momenti di incoscienza a momenti di vigilanza e ha bisogno di un intervento d'urgenza. Il proiettile si trova ancora all'interno " comunicò l'infermiera ai dottori che si preoccuparono subito di trasportare Hayley verso la sala operatoria.

Non appena le porte della stanza si chiusero alle loro spalle, io mi accasciai sul pavimento con il capo chino, tentando di ignorare l'odore di sangue che scaturiva dalla maglietta che indossavo e dalle mie mani si stesse mescolando con quello di disinfettante che appestava l'ospedale.
Mi sentivo come se il proiettile avesse trafitto anche me, perché non riuscivo a mettere fine al dolore che mi attanagliava il cuore e che sembrava pronto a consumarmi fino a quando di me non ne sarebbe rimasto più nulla.
Avevo trovato la forza di contattare Robert e mia sorella, ma non ero riuscito a spiegare loro per quale ragione dovessero raggiungermi all'ospedale. Il mio tono di voce era stato sufficiente per allarmarli abbastanza da spingerli ad informarmi che si sarebbero recati dove mi trovavo nel minor tempo possibile.

" Dio, ti prego prendi me al suo posto" sussurrai tra le lacrime, mentre tentavo di ripulirmi le mani dal sangue grazie al tessuto della mia maglietta.

Sentivo un macigno sulle spalle, troppo pensante perché io riuscissi a sopportarne il peso e mi riusciva difficile respirare. Era come se stessi annegando, i miei polmoni bruciavano come se qualcuno li avesse dati alle fiamme e l'ossigeno faticasse a raggiungerli. Il peso del vuoto che sentivo dentro non faceva altro che trascinarmi in profondità all'interno degli abissi di quel dolore che non ero in grado di sopportare; ero un intero oceano di sofferenza nel bel mezzo di una tempesta.
Avevo bisogno della mia eroina per riemergere da quelle acque perché ero ad un solo respiro dal collasso e quella era una battaglia che non ero in grado di affrontare da solo.
I pezzi di me erano sparpagliati sul pavimento dell'ospedale ed io non ero in grado di raccoglierli per rimetterli assieme, non riuscivo a venire a capo di quel disastro. Sarei voluto tornare indietro e far sì che il proiettile colpisse me invece che Hayley, ma non potevo fare altro che crogiolarmi in quel senso di vuoto, di rammarico e di sofferenza che provavo, perché non ero un eroe, ma solo un essere umano.
Il mio dolore era direttamente proporzionale all'amore che provavo per lei e l'unica persona in grado di alleviarlo era la stessa che non potevo stringere tra le braccia in quel momento, per quanto ardentemente lo desiderassi.
Avevo bisogno di lei e del suo amore, il medesimo che era riuscito a salvare entrambi dai nostri demoni e da quel passato che ci eravamo sforzati di lasciarci alle spalle, di ignorare come se fosse stato uno sconosciuto. Avevo bisogno della mia rosa rossa nata e cresciuta nell'oscurità e macchiata dal nero indelebile dei suoi peccati, lo stesso che macchiava le mie acque profonde. Necessitavo dell'angelo che avevo incontrato casualmente durante un caldo pomeriggio di settembre, quello che nascondeva il dolore sulla schiena come se fossero state ali rotte e che, lentamente, si erano dispiegate sotto i miei occhi, pronte a spiccare il volo. Avevo bisogno dell'uragano denominato Hayley che aveva travolto la mia vita e mi aveva trasportato verso la libertà più pura, di colei che non aveva avuto paura di affrontare la tempesta assieme a me.
Avevo bisogno della persona che amavo, non ero pronto a dirle addio e probabilmente non lo sarei mai stato.

" Aiden, dimmi che non è vero " sentii dire a mia sorella, la voce disperata e rotta dall'emozione, quasi fosse stata un frammento di vetro.

Alzai lo sguardo dal pavimento e lo rivolsi verso di lei che, non appena vide l'espressione dipinta sul mio volto, scoppiò in un pianto disperato e si accasciò contro al muro fino a cadere accanto a me. Will mi osservò con gli occhi sgranati per qualche istante, il volto serio come non lo vedevo tempo e non passò molto, prima che anche lui prendesse posto accanto a me ed iniziasse a piangere silenziosamente, senza proferire parola. Era evidente che fosse scioccato al punto da non riuscire nemmeno a parlare.
Mio padre si sedette su una delle sedie poste nel corridoio e si preoccupò di consolare mia madre, mentre il suo sguardo rimaneva fisso sul pavimento, esternando un tipo di sofferenza che non gli avevo mai visto dipinta sul volto. I suoi occhi azzurri erano lucidi e sotto la luce forte delle lampade al neon dell'ospedale sembravano due pietre preziose e brillanti. La notizia di ciò che era successo lo aveva visibilmente scosso, abbastanza da non riuscire a fare altro che accarezzare delicatamente i capelli di mia mamma, mentre quest'ultima veniva scossa dal pianto con il volto nascosto nel suo petto, quasi fosse in cerca di protezione.
Ash prese a singhiozzare rumorosamente contro la mia spalla, stringendo il tessuto della mia maglietta tra le dita con fare disperato, mentre le lacrime persistevano a ricadere sul mio viso e la rabbia iniziava a farsi strada dentro di me. Era colpa mia.
Avevo distrutto la persona che amavo con le mie stesse mani, dimostrando, ancora una volta, quanto devastante fosse la mia esistenza. Forse quella era la dimostrazione che quando un uragano incontra un mare in tempesta, quest'ultimo consuma il primo fino ad estinguerlo per sempre.
Fu in quel preciso istante che Robert ci corse incontro, seguito da Josh. Aveva gli occhi già lucidi e quando si posarono su di noi, lui cadde a sedere su una delle sedie vicino a mio padre e prese a piangere, mentre il suo sguardo vacuo e perso restava fisso sul pavimento. Non indossava più lo smoking che portava a cena, ma una semplice camicia a quadri di flanella ed un paio di jeans semplici e mai lo avevo visto affranto tanto quanto lo era in quel momento.
Josh gli poggiò una mano sulla spalla e vidi delle lacrime silenziose ricadergli sulle guance, inducendomi a realizzare solo in quell'istante che Hayley era tutto ciò che rimaneva della loro famiglia. Avevano già seppellito Rose ed Emma, e non ero certo che Robert e Josh sarebbero riusciti a sopravvivere, ancora una volta, ad un dolore simile perché loro avevano perso già tanto, forse troppo, perché il loro cuore riuscisse a reggere dinanzi ad una sofferenza simile.

" Aiden non ce la faccio, mi sta esplodendo il petto. Dimmi che non è vero, dimmi che è tutto sogno, un incubo terribile e che mi risveglierò presto. Dimmi che se ora chiudo gli occhi, nel momento in cui li aprirò sarà mattina e mi ritroverò in camera mia, che andrò a scuola e troverò Hayley accanto al suo armadietto. Dimmi che mi sorriderà e inizierà a dirmi quanto odia il genere umano e che spera che a pranzo ci sarà la pizza. Ti prego, ne ho bisogno. Cosa succederà se lei non uscirà viva da quella sala operatoria?" disse Ash, allontanandosi dalla mia spalla per incontrare il mio sguardo.

Aveva il viso rigato dalle lacrime che non cessavano di riversarsi dai suoi occhi, in volto distorto dal dolore e solcato dalle righe nere del mascara che il suo pianto si era trascinato appresso. Avevo visto Ash piangere tante volte, anche al funerale di Bella, mai mi era sembrata tanto triste e sofferente quanto la era in quel momento. Era come se lei sentisse non solo il suo, ma neanche il mio dolore e non trovasse il modo di mettervi fine o di non lasciare che questo avesse la meglio su di lei.
Eppure, le sue parole non fecero altro che innescare la bomba ad orologeria colma di rabbia che era sepolta tra le acque dell'oceano che imperversavano dentro di me, dando vita ad uno tsunami.

" No. Non dirlo. Io non posso vivere sapendo di aver visto morire una seconda volta qualcuno tra le mie braccia. Lei ce la farà. Non può lasciarmi. Non può " gridai, prima di alzarmi dal pavimento e avviarmi a grandi falcate verso l'uscita dell'ospedale, sentendo l'irrefrenabile necessità di sfogare la mia rabbia e di riempirmi i polmoni di aria fresca che non fosse appestata dall'odore nauseante di disinfettante.

Stavo impazzendo, riuscivo solo a sentire il dolore e l'ira scaturita dal mio senso di colpa creare un cocktail micidiale e altamente letale.
Aprii le porte dell'ospedale e lasciai che la brezza notturna mi sferzasse il viso e mi facesse rabbrividire.
Il cielo era terso e disseminato di stelle che brillavano indisturbate assieme alla luna argentea, i quali raggi si riflettevano sulle macchine all'interno del parcheggio. Sembrava tutto uguale a prima, come se non fosse cambiato nulla nelle ultime due ore. E se Hayley fosse morta, il mondo avrebbe continuato a girare, il sole sarebbe comunque sorto ogni mattina per brillare alto nel cielo e le macchine avrebbero continuato a sfrecciare indisturbate tra le vie affollate di New York. Eppure, ai miei occhi, ogni cosa sarebbe mutata. Il mondo sarebbe girato un po' più piano, il sole sarebbe brillato un po' meno e le macchine mi sarebbero sembrate delle lattine insignificanti. Nulla sarebbe più contato, il mondo avrebbe iniziato a perdere lentamente i suoi colori fino a divenire in bianco e nero, completamente anonimo ai miei occhi.
Avevo assistito alla morte di Bella, come se fossi stato lo spettatore in prima fila per un macabro spettacolo. Avevo trascorso anni a sognare il viso della mia migliore amica privo di vita ed ero riuscito a sopravvivere grazie alla forza di volontà e a quel dolore che avevo mutato in rabbia e odio. Ma se avessi perso Hayley non sarei più riuscito ad andare avanti, provavo una sofferenza troppo pura e micidiale, troppo forte perché io riuscissi a sopprimerla sotto una coltre di rabbia e odio.
Scagliai un pugno contro il muro dell'edificio, preso dalla disperazione e sopraffatto da quel dolore che non riuscivo ad ignorare. Mi pareva di essere sul punto di affogare. Una volta il professor Forbes a lezione di biologia ci spiegò che quando qualcuno è sul punto di perdere la vita in acqua, tenta di trattenere il respiro più a lungo che può. Però, dopo qualche tempo, diventa impossibile e nonostante il cervello sappia che ispirando si firmerebbe una condanna a morte, la mancanza di ossigeno è tanto dolorosa, che l'impulso di lasciare entrare aria nei polmoni è più forte di qualsiasi altra cosa.
Una volta che l'acqua entra nei polmoni, si ha la sensazione di andare a fuoco, di essere bruciati lentamente dall'interno e quella sensazione persiste fino a quando avviene la perdita di coscienza.
Io mi sentivo esattamente così: arso tra le fiamme di un dolore non riuscivo a placare. Forse ero troppo stanco per provarci e troppo debole per riuscirci.
Non appena ripensai alle parole di Ash, scagliai un altro pugno contro il muro, senza sentire il benché minimo dolore alle nocche.
Sentii la rabbia strisciarmi addosso, come un serpente sinuoso che mi sussurrava all'orecchio che, se l'avessi abbracciata, la sofferenza si sarebbe dissolta, tramutandola in un vecchio ricordo sfocato.
I miei pensieri iniziarono a macchiarsi di quel veleno al quale non riuscivo a rinunciare, vittima di quei demoni che non mi lasciavano scampo, pronti ad attaccare e a dare vita ad una nuova battaglia.
Non avrei dovuto sottovalutare i messaggi che avevo ricevuto, avrei dovuto ignorare le parole di Hayley e restare fermo sulla mia decisione di allontanarmi da lei. Sarei dovuto essere più forte, più deciso e non chinarmi danzi a quell'amore che, se fino a poche ore prima ero convinto mi avesse reso libero, ora ero certo mi avesse incatenato ad un dolore pronto a divorarmi senza pietà.
Era colpa mia e se lei fosse morta non sarei mai riuscito a perdonarmi, a vivere con la consapevolezza di aver le mani sporche del sangue della persona che amavo con tutto me stesso. Matt aveva ragione: quella era stata una condanna anche per me ed io non sarei mai riuscito a redimermi da quel peccato. Iniziavo a comprendere come il ragazzo che un tempo era stato mio amico, fosse giunto a compiere un gesto simile. Se la sofferenza che provavo io in quel momento era lo stesso che aveva tormentato lui per anni, assieme all'odio verso di me, allora riuscivo a comprendere come quest'ultimo fosse giunto a fargli prendere una decisione tanto crudele e meschina.
Eppure avrei preferito che avesse sparato a me, che nella sala operatoria in fin di vita vi fossi io. Ero riuscito a salvare Hayley da sé stessa e dai suoi demoni, ma non ero stato in grado di salvarla da me, di metterla in salvo e di proteggerla dal mostro che ero.
Persistetti a scagliare pugni ricchi di rabbia e disperazione, mentre quella serie di pensieri avvelenati non trovava una fine e continuava a macchiare le mie acque profonde di senso di colpa.

" Aiden " sentii dire alle mie spalle ad una voce che mi era estremamente familiare.

Quando mi voltai i miei occhi incontrarono quelli color cioccolato di Will che, in quella circostanza, erano arrossati e leggermente gonfi a causa delle lacrime che aveva versato. Il suo viso era pallido e a causa dei raggi di luna che lo illuminavano, appariva ancora più bianco. Non vi era nemmeno un accenno dell'allegria che lo caratterizzava e ciò non fece altro che alimentare la mia preoccupazione, la rabbia e la disperazione.
Scagliai un pugno contro lo zigomo di Will e nonostante lui fosse abituato a combattere, per via degli incontri di boxe ai quali entrambi eravamo soliti prendere parte e sapesse perfettamente come schivare un colpo, lui non fece nulla per evitare che le mie nocche si schiantassero contro il suo volto. Tuttavia, mentre ero in procinto di colpirlo nuovamente, lui mi bloccò le braccia e restò fermo ed impassibile mentre io cercavo di sfuggire alla sua presa, in balia della mia stessa rabbia.

" Hai qualcosa da dire Will? Forza, parla. Dimmi quello che hai da dire " gridai, mentre davo sfogo a quella rabbia che provavo nei confronti di me stesso, riversandola sul mio migliore amico.

In realtà, non riuscivo a spiegarmi perché lo stessi facendo. Forse perché era più semplice arrabbiarsi con un'altra persona, prendere a pugni qualcun altro, perché non potevo colpire me stesso. Era più facile provare una collera bruciante, piuttosto che lasciare il campo libero ad un dolore che non ero in grado di domare.
Una folata di vento mi investii il viso, mentre Will continuava a tenere salda la sua presa sulle mie mie braccia e io persistevo a dimenarmi per cercare di sfuggirgli in qualche modo.

" Fai quello che vuoi, Aiden. Disperati, predi a pugni i muri e se ti può far stare meglio colpisci anche me. Ma io e te sappiamo entrambi che sei così incazzato perché ti stai incolpando di ogni cosa. Lo hai sempre fatto, in ogni occasione. Se qualcosa andava storto, tu ti addossavi la colpa di tutto" replicò il mio migliore amico, senza lasciarmi andare e alimentando la mia rabbia attraverso le sue parole.

" Dovrei esserci io al suo posto. Tutto questo è successo a causa mia" gridai nuovamente, tentando di respingere Will.

Il volto del mio migliore amico si indurì ulteriormente, quasi a voler mimare la mia stessa espressione. In quel momento avevo come l'impressione che fossimo due lupi in lotta l'uno con l'altro per la supremazia, nonostante appartenessimo allo stesso branco. Eppure, io avevo bisogno di restare da solo, di prendere la distanze da tutti, senza permettere a nessuno di avvicinarmisi.

" Sarebbe stato più facile vero? Però pensa a come si sarebbe sentita Hayley. Avresti preferito scaricare il dolore che provi ora su di lei? Non ti sembra che abbia già perso abbastanza? L'avrebbe uccisa assistere mentre Matt ti sparava. Vuoi essere un eroe, Aiden? Allora prenditi le tue responsabilità e lasciati sopraffare dal dolore che provi, perché sopportare questo fardello è più difficile che restare sdraiati in una sala operatoria. Prenditi carico della tua sofferenza e lascia che ti consumi, perché se Hayley si fosse trovata al tuo posto, non sarebbe riuscita a sopravvivere in ogni caso.
Il tuo gesto eroico deve essere quello di affrontare questa battaglia da solo. Io non oso nemmeno immaginare quello che stai passando ora, l'unico in grado di capirti forse è Robert. Se vuoi prendere a pugni me o il muro, fai pure. Non me ne vado, amico " rispose Will, mentre le forze mi abbandonano le nettamente.

Strinsi il mio migliore amico in un abbraccio e scoppiai in un pianto disperato sulla sua spalla, singhiozzando come un bambino e tentando in ogni modo di ritrovare la forza d'animo che mi aveva sempre caratterizzato e che, in quella circostanza, pareva essersi dissolta.
Restai a piangere tra le braccia di Will per diversi minuti, prima che riuscissi a calmarmi e che io e lui ci sedessimo l'uno accanto all'altro sull'asfalto del parcheggio. Will mi porse una delle sue sigarette, quasi ritenesse che in quel momento ne avessi estremamente bisogno, come se avesse voluto consolarmi con quel bastoncino di tabacco aromatizzato alla ciliegia.

" Come faccio ad andare avanti senza di lei?" domandai, la voce leggermente rauca per via del pianto e il capo chino.

Accesi la sigaretta e porsi l'accendino al mio migliore amico, lasciando che lui facesse lo stesso e presi a fissare un punto indefinito dinanzi a me, come se sperassi che lì sarei stato in grado di trovare la risposta alla mia domanda.
Eravamo circondati dalla quiete, interrotta di tanto in tanto dal suono prodotto dalle macchine che sfrecciavano sull'asfalto e dai nostri respiri. Vi era una calma tale da mettere i brividi e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era a come stesse andando l'intervento di Hayley e tra quanto quest'ultima sarebbe uscita dalla sala operatoria.

" Ma come, poco fa ti ho visto incazzarti con Ash per la prima volta in vita mia proprio perché ha ipotizzato che Hayley non potesse farcela e ora tu mi chiedi questo? Mi deludi, Aiden. Questo non mi sembra il momento di essere pessimista " disse Will, spingendomi a ridere amaramente.

Probabilmente aveva ragione, perché l'unica cosa che mi restava era la speranza, l'unica cosa in grado di tenermi in vita e di spingermi ad andare avanti. Dovevo essere forte per me stesso, ma sopratutto per Hayley, in modo che, in qualche maniera, quella stessa forza potesse raggiungerla e portarla in salvo.
Dovevo auto convincermi che se avessi creduto nel nostro amore a sufficienza lei avrebbe ritrovato la strada verso casa.
Quando io e Will ritornammo all'interno dell'ospedale, mio padre e mia madre si erano addormentanti l'una accanto all'altro, sopraffatti dalla stanchezza. Mia sorella non aveva ancora cessato di piangere, mentre Robert e Josh, reggevano entrambi un bicchierino da caffè tra le mani e parevano essersi persi in una serie di pensieri che non lasciavano loro alcuna via d'uscita.
Fu proprio in quel momento che le porte della sala operatoria si aprirono e un dottore si fece strada verso di noi. Il suo tragitto mi parve durare un'eternità, quasi il tempo si fosse improvvisamente dilatato e fosse intenzionato a prolungare la mia condanna, intenzionato ad alimentare la mia paura fino ad uccidermi.

" Immagino che voi siate i parenti della ragazza. L'intervento è andato a buon fine, ora si trova in stato di coma farmacologico. Deve solamente svegliarsi. Le sue condizioni erano critiche, ha perso davvero molto sangue, però sembrava decisa a restare. L'infermiera Jules mi ha informato che tu hai bloccato l'emorragia dopo lo sparo, ottimo lavoro ragazzo. Se non ci fossi stato tu, probabilmente sarebbe morta" disse il dottore, fissando i suoi occhi castani nei miei.

Era lo stesso che aveva raggiunto sia me che gli altri due infermieri non appena la barella che trasportava Hayley aveva superato l'entrata dell'ospedale e in seguito alle sue parole, l'uomo mi porse la mano e mi diede una pacca sulla spalla come a volersi congratulare con me.
Sentii improvvisamente la forza di nuotare nelle acque profonde del mio stesso dolore per riemergerne, perché in quel momento capii che vi fosse ancora speranza e che nulla mi avrebbe impedito di attendere che Hayley si risvegliasse. Non importava quanto tempo avrei dovuto aspettare, io sarei restato accanto a lei.
Quella notte sarei stato un oceano, ma un faro, solo nel bel mezzo di una tempesta. Un bagliore nell'oscurità, pronto a mostrarle la strada che l'avrebbe ricondotta verso casa.

Hayley

Mi trovavo al Central Park, le fronde degli alberi erano illuminate dal sole che brillava alto nel cielo azzurro e quando queste venivano sferzate dal vento lasciavano ricadere al suolo una serie di petali rosa che sembravano voler mimare una versione primaverile della neve.
L'aria profumava di gelsomini e di erba appena tagliata, eppure, attorno a me non vedevo nessuno. L'unica persona oltre me in quel luogo era una donna seduta su una panchina, parecchio distante da me intenta a leggere un libro.
Mi incamminai verso la donna, lasciando che il suono delle foglie verdi che venivano coccolate dai soffi di vento mi accompagnasse e per qualche ragione a me sconosciuta, presto, i miei passi si fecero sempre più veloci. Iniziai a correre a perdifiato, decisa a voler raggiungere colei che era spensieratamente seduta sulla panchina che, via via, si faceva sempre più vicina.
Il mio cuore prese a battere sempre più forte, quasi a mimare un cavallo che prendeva a galoppare con più foga nella natura, inseguendo una libertà che vedeva dinanzi a sé, all'orizzonte.
Quando raggiunsi la mia meta, tuttavia, il mio battito parve interrompersi improvvisamente, un po' per lo stupore e un po' per la gioia che lo colmò all'improvviso, come un raggio di sole che si fa strada tra le nuvole dopo un'intensa giornata pioggia.
Mi bastò leggere il titolo del libro che la donna era intenta a leggere, per capire chi si nascondesse dietro di esso: Gita al faro di Virginia Woolf. Era sempre stato il libro preferito di mia madre e l'avevo vista leggerlo così tante volte da perderne il conto, esattamente come era accaduto a me dopo che l'avevo vista per l'ultima volta. Divenuta abbastanza grande per quella lettura tutt'altro che leggera, avevo preso a leggerlo ogni mese, come a volere imprimere nella mente ogni singola parola, convinta che quel mio gesto, forse, mi avrebbe aiutata a tenerla viva almeno nei miei ricordi.

" Hayley, ti stavo aspettando. Forza, siediti qui accanto a me. Ma non prima di avermi dato un forte abbraccio, mi sei mancata. Sei cresciuta così tanto " disse, allargando le labbra in un luminoso sorriso.

Era esattamente come la ricordavo. I capelli scuri erano legati in una crocchia scomposta sopra la testa e tenuti saldi grazie ad una matita, alcune ciocche ribelli le ricadevano ai lati del viso dai lineamenti delicati caratterizzato dai suoi grandi occhi azzurri da cerbiatta, messi in risalto dalle folte e lunghe ciglia. Improvvisamente mi fu chiaro perché mio padre e tanti altri avessero affermato, più di una volta, che io e lei, ad eccezione degli occhi, eravamo come due gocce d'acqua. Esattamente come Emma che, se non fosse stata bionda, avrebbe benissimo potuto spacciarsi per la sorella più giovane di nostra madre.
Sembrava essere rimasta ferma nel fiore dei suoi trentacinque anni, senza che il suo viso fosse minimamente stato toccato dal tempo.
La strinsi in un forte abbraccio e sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi quando le mie narici vennero riempite dal suo profumo alle pesche. Fu come essere investiti da una ventata di aria fresca durante un caldo pomeriggio d'estate sotto il sole cocente o come tornare a casa dopo una giornata stressante. In quel momento realizzai a pieno quanto mia madre mi fosse mancata e ricordavo di aver letto una volta che i gallesi possedevano una parola specifica per definire un tipo di nostalgia. Si tratta del sentire la mancanza di una casa alla quale si è certi di non poter tornare, di un luogo ormai perduto e che niente o nessuno sarebbe mai stato in grado di restituiti. Abbracciare mia madre mi fece sentire quel tipo di nostalgia.

" Perché mi trovo qui? Come mai posso vederti? Sono morta? Voglio dire, sono felice di poterti parlare senza che tu abbia il vestito ricoperto di sangue e mi accusi di averti uccisa. Però non capisco dove mi trovo e questo sembra un sogno molto reale, di solito sogno dei ricordi o stralci di questi che poi si trasformano in incubi terribili. Però tutto questo è diverso dai miei sogni" dissi, una volta aver preso posto accanto a mia mamma, la mia voce carica di curiosità, stupore e di una punta di sarcasmo.

Quest'ultima scoppiò in una leggera risata e scosse leggermente il capo, prima di portarsi una ciocca di capelli sfuggita alla sua crocchia dietro l'orecchio e accarezzare dolcemente la copertina consumata e scolorita del suo libro.

" Sei sempre stata estremamente curiosa, fin da bambina. Mi ricordo ancora che quando avevi sette anni, volevi così tanto vedere Babbo Natale che sei rimasta sveglia fino a tardi e non appena hai sentito dei rumori in salotto hai sceso le scale quatta quatta per guardarlo mentre nascondeva i regali. Quando hai visto che si trattava di me e tuo padre, ci sei restata a guardare davanti alle scale con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo arrabbiato. Non appena io e Robert avevamo finito, ti abbiamo vista lì in piedi e ci hai detto ' non prendetevi più gioco di me, sono una bambina ma non sono stupida' e poi te ne sei tornata a dormire come se niente fosse. Però non lo hai mai detto a tua sorella, hai lasciato che lei scoprisse da sola che Babbo natale fosse tutta una finzione, non ti ho mai chiesto perché tu lo abbia fatto.
Comunque non sei morta. Questo è qualcosa di simile ad un sogno, più o meno. A quanto pare hai bisogno di fare una cosa, prima di svegliarti" rispose allegramente, ridendo una seconda volta e spingendomi a fare lo stesso.

Un soffio di vento scosse le fronde degli alberi che, consequenzialmente, fecero ricadere al suolo una serie di petali rosa e mi riempì le narici del profumo alle pesche di mia mamma, misto a quello dei gelsomini in fiore che si trovavano in un cespuglio poco distante.
Vi era aria di primavera e mi pareva quasi ti poter toccare con mano la spensieratezza a la tranquillità che permeava quel luogo idilliaco.

" Certo che mi sono arrabbiata, per anni ho scritto lettere a Babbo Natale chiedendo espressamente una risposta e tu e papà mi avete lasciato sempre un foglio vicino ad uno dei miei regali, firmato proprio da lui. Era plausibile che quando mi sono accorta che foste voi mi sentissi presa in giro.
Non ho detto nulla ad Emma perché volevo che apprezzasse ancora per qualche anno l'illusione della magia prima che la realtà le piombasse addosso. Non ho mai incolpato te e papà per avermi nascosto quella stupita verità o per aver messo in piedi quell'amorevole bugia, però avrei voluto scoprirlo in modo diverso, capisci? Non che fosse stata colpa vostra, comunque" spiegai in tono ilare, appoggiando il capo sullo schienale della panchina e rivolgendo il mio sguardo verso il cielo azzurro.

" Hai sempre fatto il possibile per non ferire tua sorella in alcun modo. Anche dopo che sono morta io, persino quando vi capitava di litigare tu preferivi restare in silenzio e uscire di casa per calmare i nervi piuttosto che lasciare che l'ira ti portasse a dire cose che le avrebbero fatto del male. Tu dai un peso incredibile alle parole, a volte anche più dei fatti e sinceramente non so dire se questo sia un bene o un male.
Hayley, io ho sentito quello che hai detto quando sei andata al Greenwood con il tuo ragazzo e sono felice che tu sia andata avanti. Però, voglio essere certa che tu non ti incolpi mai più di ciò che mi è successo e per questo motivo, mi sembra giusto dirti che anche io ho guardato in faccia quei rapinatori. Tu non te ne sei accorta, ma è andata così. E sarei pronta a prendermi quel proiettile altre centinaia di volte, pur sapendo quanto dolore la mia morte abbia arrecato a te, al mio amato Robert e a tua sorella.
Per salvare te e permetterti di vivere la vita che desideri, sarei disposta a morire di nuovo. Ricordatelo sempre" mi informò mia mamma, portandomi a rivolgere il mio sguardo verso di lei.

Era intenta a sorridere amorevolmente e non trascorse molto tempo, prima che la sua mano di avvicinasse al mio viso e mi accarezzasse con delicatezza. Avevo sognato quel tocco gentile migliaia di volte, sperando di poterlo sentire di nuovo anche solo una e lì per lì, mi sentii così piena d'amore e di nostalgia da riuscire semplicemente ad annuire.
Avrei voluto abbracciare mia mamma, ringraziarla e dirle che le volevo bene, ma per qualche strana ragione ero convinta che se lo avessi fatto lei si sarebbe dissolta in una nuvola di fumo e che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei vista.

" So che hai letto questo libro tante volte, perché sapevi che fosse il mio preferito. E come ben sai, il faro rappresenta una meta lontana, come un obbiettivo da raggiungere, difficile da afferrare e che a volte sembra più distante. Simboleggia ciò che ciascuno dei personaggi desidera di più.
Hai attraversato tempeste, hai rischiato di affogare tante volte, però non hai mai mollato. Hai sempre trovato la forza di andare avanti, di nuotare in un oceano in burrasca, imparando ad amare le sue onde e a vivere nella tempesta. Ora il faro è a portata di mano Hayley. Raggiungi la felicità che hai sempre desiderato e tienitela stretta.
Ti ho vista crescere da lontano e continuerò a farlo, sappilo. Però è arrivato il momento per te di dire addio. Devi lasciarmi andare" continuò mia mamma, per poi alzarsi dalla panchina e sorridermi ancora una volta.

Recuperò il suo libro e restó a guardarmi felicemente, gli occhi azzurri e luminosi colpiti dai caldi raggi del sole. Il vestito nero a pois dalla gonna a balze che veniva accarezzato dolcemente dal vento, gli occhiali squadrati dalla spessa montatura nera che poggiavano sul suo piccolo naso e le labbra rosee intente a mostrare una fila di denti bianchi.

" Mi mancherai" dissi semplicemente, alzandomi a mia volta dalla panchina e restando ferma dianzi a mia mamma per osservarla silenziosamente.

Impressi nella mia mente quell'immagine, come a voler scattare mentalmente una sua fotografia in modo che nella mia memoria rimanesse impressa la figura di quella madre la quale presenza avevo potuto apprezzare per soli otto anni.
Riempii un'ultima volta le narici del suo profumo alle pesche, rivangai il ricordo del modo in cui era solita danzare quando cucinava i pochi piatti che era brava a preparare, il suono della sua voce quando cantava a squarciagola sotto la doccia e come fosse solita piangere ogni qualvolta fosse troppo nervosa, triste o felice.
Ero pronta a lasciarla andare, ne ero certa. Ricambiai il sorriso e lei fece per allontanarsi da me, sotto il mio sguardo vigile intento a seguire i suoi passi.

" Quasi dimenticavo, dietro di te c'è una porta. Aprila, c'è una persona che ti sta aspettando. Ah e, Hayley, tu e tuo padre smettetela di mangiare l'impasto dei dolci.
Dì a Robert che sono felice per lui " aggiunse in fine con ilarità, voltando il viso leggermente e senza smettere di camminare seguita dal suono emesso dalle sue ballerine a contatto con il suolo.

Sentendo le sue parole mi voltai e dianzi a me trovai una porta che pareva essere stata abbandonata sui petali dei fiori e che, apparentemente, non sembrava portare in alcun luogo. Sembrava quasi che qualcuno l'avesse dimenticata lì. Restai ad osservarla per diversi istanti, mentre alle mie orecchie giungeva il suon prodotto dagli uccellini che cinguettavano e dalle fronde degli alberi sferzate dal vento, prima di avvicinare la mia mano alla maniglia ed abbassarla.

Spazio marshmellow:
Ciao a tutti! Come vi è sembrato il capitolo? Siete felici? Avete pianto?
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Spero che vi sia piaciuto ^^
Grazie mille dei bellissimi complimenti che mi lasciate sempre.
Vi voglio bene
Baci
Xoxo
-Alex

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