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Prologue: Lonely

Spazio autrice:
Salve! Non ho idea se qualcuno leggerà questa cosa, non ho idea se a qualcuno piacerà, non ho idea se con questo mini discorso farò scappare anche te che (si spera) stai leggendo, ma eccomi.
Volevo solo dire che é la prima ff che scrivo su Luke Hemmings, accetto critiche costruttive, non ascolto insulti. Grazie e buona lettura. Spero vi piaccia!

***

Il ticchettio risuonava in tutto l'appartamento.
Tic. Tic. Tic.
L'echeggiare di quel suono rendeva il buio della notte quasi inquietante, ma lei non era spaventata.
Tic. Tic. Tic.
Piuttosto, era annoiata. Tic. Tic. Tic: persistente, che esplicitava la solitudine di quel luogo.
Il fatto che un rumore così lieve come lo sgocciolare di un rubinetto arrugginito echeggiasse tra quelle mura vecchie e ammuffite, era già di per sé affascinante. Stava a significare che il mondo non era stato messo su "muto".
Tic. Tic. Tic.
Quel suono dava alla testa. Era odiosamente ripetitivo. Ma lei non l'avrebbe fatto smettere. Era come se quella tortura le ricordasse che era ancora lì, ancora viva. Poteva ancora prendere in mano la sua vita, ma giorno dopo giorno le sembrava sempre più difficile, quando le notti si facevano più solitarie e le giornate più senza scopo.
Tic. Tic. Tic.
Osservò meglio la luna, che aveva sempre amato. Splendeva sempre, tutte le notti. Era come lei. Aveva i suoi alti e bassi, poteva essere piena o calante, scoperta o nascosta dalle nuvole. Ma era sempre lì, sempre la stessa, che fosse una ragazza come lei, un uomo più fortunato o un bambino senza nulla, a guardarla. Era sempre lei, un gioiello che brillava, mai considerata più delle stelle o del Sole.
Guardò come la fioca luce che filtrava dalle finestre illuminasse a stento il salotto, in cui si trovava.

Cosa faccio adesso?

Era questa la domanda che si poneva. Qualche opzione ce l'aveva, ma non sapeva se ne valeva davvero pena.
Guardò bene le luci del buco di città in cui viveva. Forse non era molto, ma era cresciuta lì. Con poco più di niente, riusciva a sopravvivere ovunque.
Tanto meglio, pensò, é più o meno quello che avrò d'ora in poi.

Era seduta vicino alla finestra, i capelli quasi neri ancora bagnati dalla doccia, il corpo magro avvolto da un asciugamano bianco e sporco. Accanto a lei, un pacchetto di sigarette e un accendino, nero, che sembravano chiamarla.
Sua madre non voleva che fumasse...

«'fanculo.» disse e, allungandosi un po', sfilò una sigaretta dal pacchetto, per poi accendersela.

Se la portò alle labbra, ed inspirò a fondo, fino a riempirsi i polmoni. Dopo essere stata in apnea per qualche secondo ed aver sentito il fumo fare effetto dentro di sé, buttò fuori l'aria, chiudendo gli occhi e reclinando la testa all'indietro.
Appoggiò il capo contro la carta da parati rovinata. Ora andava meglio.
Fece un'altro tiro, poi un'altro e un'altro ancora, sentendo i benefici del fumo che le risalivano in testa, fino ad annebbiarle anche il cervello.
Osservò la punta accesa, guardò come la brace si stava spegnendo e scrollò la cenere in eccesso, che andò a finire sui suoi piedi. Non la tolse.
Con le dita della mano libera, quella destra, tamburellò sul legno un ritmo inventato, il rumore del rubinetto che perdeva, a farle da metronomo. Le venne quasi da ridere, al pensiero di quanto la sua mente fosse incasinata. Che eterno disastro, che era... Tutto.
Tutto quello sembrava la calma prima della tempesta ma, se la tempesta nella sua vita non era già avvenuta, non credeva ce l'avrebbe fatta a reggerne un'altra.
Non ricordava... C'era la calma, dopo la tempesta? Oppure era solo il suo caso? Probabilmente la sua calma apparente derivava dal fatto che la sua vita era stata solo turbini, ed ora non aveva più nulla che la sorte potesse distruggere.

Ironico... Persino quando pensavi di non avere nulla, avevi qualcosa. Solo che era vero... Non te ne rendevi conto fino a che non la perdevi. E, quando succedeva, faceva male, cazzo.

Katherine Jane Ryan, era quello il suo nome.

Forse avrebbe dovuto avere più fiducia nella vita, darle un'altra possibilità.
Questa volta rise davvero. Una risata gutturale, priva di allegria.
Cazzate, si disse.
Se c'era una cosa che sapeva, era che le seconde chance andavano guadagnate.

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