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"I know you"

Uscì dall'aula di filosofia dieci minuti dopo, inutile dire che sarebbe arrivata in ritardo alla prossima lezione, ma non le importava molto. La materia era religione, quindi il suo già scarso interesse per la puntualità era ridotto al minimo.
Alzò gli occhi al cielo quando, addossato a quello che sarebbe dovuto essere il suo armadietto, vide un ragazzo biondo che infilava la lingua in bocca ad una ragazza con dei tacchi che facevano male solo a guardarli.
Questa non é la mia giornata.

Fece un verso di disgusto.
«Ma vi prego...» disse, con tono disgustato.

La ragazza si staccò dal ragazzo, e la guardò confusa. In quel momento Katherine si rese conto che erano entrambi familiari, probabilmente li aveva visti all'entrata quella mattina. Solo un'ora fa. Quella giornata sarebbe stata lunga.
Una risata gutturale uscì dalla labbra sporche di rossetto del biondo, che posò la testa capelluta sul ferro rovinato degli armadietti blu.

«E tu chi saresti?» le domandò sarcastico.

«Non credo ti debba interessare» rispose indifferente lei «potreste spostarvi giusto di un metro? Quello é il mio armadietto.»

«E perché pensi che mi interessi ciò che vuoi, invece?»

«Be', stai solo perdendo del tempo che potresti usare per rinfilarle la lingua in gola» disse Katherine, gli occhi affilati «quindi muovi il culo e converrà ad entrambi.»

Il biondo strinse gli occhi, ma in quel momento la ragazza castana che gli stava ancora accanto fece un lamento.
«Lukey... Ha ragione» protestò, con un tono pieno di promesse.

Katherine alzò le sopracciglia, mentre Lukey guardava un attimo quella che doveva essere la sua ragazza.

«Tic tac...» sbuffò.

I due si spostarono, e lei andò ad aprire l'armadietto senza degnarli di un ulteriore sguardo. Digitata la combinazione aprì l'anta, che andò a coprirle la visuale dei due. Qualcosa di buono...
Tempo cinque minuti ed aveva posato tutto, ma non aveva affatto fretta. Dio, se solo pensava a quanto tempo mancava per uscire da quella prigione le veniva voglia di abbandonare di nuovo gli studi.
Chiuse con forza l'armadietto.

«Sei ancora qui?» chiese esasperata al biondino che, riapparso da dietro l'anta dell'armadietto, la guardava con le braccia incrociate e i denti a giocare con il piercing al labbro inferiore. Della ragazza nemmeno l'ombra.

«Io ti conosco» disse lui, senza rispondere alla domanda. Be', comunque era retorica.

«Sono contenta per te» Katherine inarcò un sopracciglio, per niente interessata alla conversazione. Non poteva conoscerla, si era trasferita da una settimana.

«Ti ho vista nella Piazza delle Cinque Lune.»

«Mai sentita nominare» disse Katherine, ed era vero. Ci mise qualche secondo a collegare... Ma quando il suo sguardo si posò ancora sull'anellino di metallo al labbro del biondo, ricordò di qualche giorno prima, nella piazzetta vicino casa di Jane. Quell'arrogante bulletto che aveva mandato a fanculo. Ah, già.

«So che ti ricordi di me» le disse «o mandi a quel paese tanta gente da perderne il conto?»

«La seconda.»

«Ammetti di ricordarti e me ne vado» disse. Be', se la metti così...

«Sì mi ricordo, ora cosa vuoi fare, diventare il mio migliore amico?» il suo tono grondava sarcasmo e sprezzo.

«Oh, ti piacerebbe, Biancaneve» ridacchiò lui.

«Come mi hai chiamata?» Katherine cominciava ad irritarsi.

«Be', ci si vede a lezione, Katherine Ryan» il biondo ignorò ancora la sua domanda, le voltò le spalle e se ne andò con passo sicuro. Le sue spalle larghe sembravano deriderla, e lei alzò gli occhi al cielo, per poi dirigersi anche lei in classe senza pensare più di tanto al fatto che lei, il proprio nome, non glielo aveva detto.
Mi sta già sulle palle, questo qua.

...

Entrò nella classe di religione con passo tranquillo, nonostante la lezione fosse iniziata già da dieci minuti. Il professore era un uomo con una folta barba e gli occhi marroni. Se ne stava in piedi a mani unite a parlare alla classe, e quando entrò si voltò verso di lei.

«Scusi il ritardo, mi sono persa» disse Katherine, andandosi a sedere. Non era vero: quella scuola era un buco, per così dire.

«Non si preoccupi, signorina...?»

«...Ryan» rispose lei, già seduta al secondo banco.

«Certo, Ryan» annuì il professore «stavamo parlando della religione ebraica, più precisamente di...» e già non stava più ascoltando. Quante stronzate che dicevano i professori di religione, era qualcosa che aveva appreso sin dalle scuole primarie. Come se non fosse bastato, quello che scoprì essere il professor Cuntler aveva un insopportabile tono cadenzato, simile a quello dei preti... Accondiscendente, come se stesse cercando di convincerti di qualcosa., credendo erroneamente che ci fosse davvero una speranza che persone come lei potessero essere salvate. Da cosa lo sapevano solo quegli idioti. Contò anche i secondi, e quando finalmente la campanella suonò e lei si alzò, si rese conto di aver avuto gli occhi azzurri di quel biondino irritante costantemente puntati sulla nuca.

«Ciao!» lo squittio socievole di una ragazza la distrasse dal suo scappare.

Katherine si girò lentamente, pregando chissà cosa di non perdere quel briciolo di pazienza che quella scuola sembrava volerle strappare a tutti i costi. Davanti a lei ora c'era una ragazza in carne con gli occhiali dalla montatura sottile, che le sorrideva radiosa. Era più alta di lei di una decina di centimetri, e portava un vestito bianco che le faceva risaltare la pelle color miele e i capelli biondo cenere lunghi fino alla vita. Gli occhi verdi erano ingranditi dalle lenti e la osservavano, in attesa che rispondesse al saluto. Illusa.
Vedendo che, a parte uno sguardo impassibile, non avrebbe ottenuto altre reazioni, la ragazza protese la mano e si presentò.

«Mi chiamo Hope» disse, e Katherine per poco non le rise in faccia. Ma certo che si chiama Hope. Che nome orribile.

Inutile dire che non le strinse la mano, ma sapeva di non poter essere davvero così maleducata, nonostante l'ultima cosa che volesse fosse stare a parlare con una pimpante e perfetta "Hope".

«Katherine» disse, e continuò a guardarla... sembrava cominciare a capire.

«Bene...» spostò il peso da un piede all'altro «io devo andare. Ti troverai benissimo qui!» si congedò, con un ultimo sorriso.
Katherine sbuffò. Aveva conosciuto abbastanza persone per una vita intera.

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