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Santa Lucia

N.d.A.: Questa è una storia horror. Non penso sia molto spaventosa, ma meglio avvertire!

Intuitivamente il cieco vive in una realtà fatta di suoni, uno spazio dove toni acuti e gravi hanno una forma e un colore, e costruiscono un modello di mondo.

Lo avevo creduto anch'io prima di perdere la vista, ma in seguito non c'era stato alcun dubbio: il mio mondo era fatto di odori.

L'odore del palmo della mano di mio fratello, quando mi accarezzava sul viso e sulla fronte per farmi capire che andava tutto bene; quello delle pastiglie dei freni consumate, quando camminavo per Roma; quello di Valentina, quello di Arianna.

L'odore di carne bruciata.

Quel tanfo diabolico mi era rimasto nelle narici dal giorno dell'intervento. Secondo i miei ricordi mi ero svegliato parecchio tempo dopo la fine dell'operazione, eppure quell'odore si era impigliato in me come un'impronta scavata a fondo nel mio cervello dagli strumenti del chirurgo.

È stranamente umiliante rendersi conto che un uomo bruciato odora di pollo.

Nemmeno la morte stessa puzza così tanto d'inferno, e di tutti i posti dove avrei potuto risentirlo l'ultimo che mi aspettavo era la stazione di Termini.

«Vale? Ari? Siete qui?» sussurrai. La mia voce suonava incrinata alle mie stesse orecchie, e al mio udito troppo fine ogni passo che facevo sui gradini pareva uno sparo.

Non riuscivo a capire se quello che mi avevano fatto era uno scherzo oppure no. Francamente non era da loro, e poi non potevano essere sicure che mi sarei svegliato nel cuore della notte.

Proprio quel giorno, poi, in cui Ari era venuta a trovarmi dopo tanto tempo...

«Valentina? Arianna?» le chiamai più forte, mentre io continuavo a scendere e quell'odore insostenibile saliva verso di me dal fondo delle scale.

Nessuno mi rispose.

Eppure Yuki mi aveva portato qui.

Mi chinai ad accarezzarlo, cercando il suo muso a tentoni.

Non riuscivo a capire cosa mi avesse mandato nel panico, ma neppure riuscivo a capire che cosa potessero farci lì le mie amiche.

Forse questa angoscia aveva a che fare con Valentina.

Persino io, a volte, avevo qualche riserva all'idea di stare da solo con lei: a volte sentivo il suo sguardo conficcato in me con amorevole ferocia, e non sapevo che farmene. O che ne avrebbe fatto lei di me.

Mi decisi a mettere davanti a Yuki la camicia che la mia più cara amica aveva indossato solo quel pomeriggio.

«Ari.» gli dissi «Cerca Ari.»

Lo feci nella speranza che si fosse sbagliato e che le ragazze non fossero lì a quell'ora assurda. È ridicolo per un cieco avere paura del buio, ma mi aveva sempre confortato il pensiero che almeno chi avevo attorno potesse godersi la luce; no, era di più, ero un codardo: mi sembrava che alla luce gli altri potessero proteggermi là dove io non ci riuscivo da solo.

Al buio erano tutti uguali a me, e questo pensiero era terrificante.

Yuki uggiolò e tirò ancora il guinzaglio verso le viscere della terra.

Il cancello a metà delle scale, quello che alle tre del mattino avrebbe dovuto tener chiusa la metropolitana, era spalancato. Sentii il suo odore metallico appiccicarsi alla mia pelle quando vi posai le mani sopra per spingerlo.

Continuai a scendere.

«Arianna! Ari, dove sei?» adesso stavo quasi urlando. Quell'odore terribile, così forte, ora era andato a sommarsi a un rumore basso e continuo, come il ronzare di un alveare.

Procedetti a tentoni, una mano a sfiorare la parete e l'altra sul guinzaglio di Yuki.

Mi lasciai guidare con scrupolo fino a quando non sentii che i gradini erano finiti. Di solito non ero così lento, ma quella notte mi aveva infuso un senso di allarme continuo.

Mi pareva che l'aria stridesse, sibilandomi cose terribili nelle orecchie in un linguaggio che non conoscevo.

«Vale, Ari! Smettetela, perdio!»

Sentii un mugolare soffocato provenire dalla mia destra. Vicino, ma non abbastanza.

L'odore di carne bruciata ormai era parte di me, e ora sentivo anche un vago odore di sangue.

Un senso di terrificante aspettativa salì dalle mie viscere fino a stringermi la gola. Quando si è ciechi non si possono vedere le cose più orribili dipanarsi davanti ai nostri occhi: abbiamo solo il senso di un'attesa che ci segna come una croce, e a volte le prove quando tutto ormai si è compiuto.

Il lamento si fece più forte, ma sempre inarticolato, come se quel suono provenisse da una bocca che non riusciva a chiudersi o a formare una sillaba; si dipinse vivida nella mia mente, piena di stracci o chiusa da un bavaglio, e dovetti scacciare via quell'immagine per non rimanere paralizzato.

Era Arianna, l'avevo ascoltata nei suoi momenti più bui troppe volte per non saperlo.

«No! Ari, dove sei? Rispondimi, parla!» mi misi a correre in direzione di quel suono straziante, ma inciampai e caddi al suolo.

Mi rialzai tremante, appoggiandomi ad un muretto. Le mie dita incontrarono le rovine umide del cuore di Roma, mentre tendevo disperatamente le orecchie.

Il suono si era affievolito, lo avevo perso con il rumore della mia caduta, ma c'era ancora.

Fu allora che udii la risata piena di Valentina.

«Claudio, Claudio!» esclamò con entusiasmo, da qualche parte nella mia oscurità interna «Sono così felice che tu sia qui...»

«Valentina» dissi lentamente «Dov'è Arianna?»

«Sui binari, amore mio.» mi sorrise il buio «Sarà la metro a finire il lavoro. Così non verranno a cercare i tuoi occhi... I tuoi bellissimi occhi...»

L'odore di carne bruciata ormai sfavillava dentro di me come la scia di una stella cometa in un cielo nero.

Era vicinissimo, insopportabile.

Una mano gentile e appiccicosa mi prese per mano e mi aiutò ad alzarmi. Obbedii come una marionetta, la mia oscurità era tinta di rosso.

L'odore di sangue, ora intensissimo, mi portò via quel poco d'aria che ancora sentivo di avere nei polmoni.

Per un attimo il tanfo di carne e quello del sangue lottarono per avere la meglio su di me.

E si fusero quando Valentina mi mise in mano due oggetti sferici, un po' irregolari.





N.d.A.: Il prompt era "Un ventenne cieco a Roma Termini. Genere horror".

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