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Come sabbia tra le dita

Concorso "Amori e dissapori" di Romance_IT

[2990 parole]

Il profilo della torre in costruzione è così acuminato che temo mi possano sanguinare gli occhi al solo guardarlo. Ma non posso fare a meno di fissarlo. A voler ben vedere, nessuno può farne a meno.

Questo progetto di monsieur Eiffel sta facendo tribolare tutta Parigi. Sono ormai mesi che in città si respira un'aria tesa, carica di aspettative. E le aspettative sono veramente tante e tanto diverse: c'è chi non vede l'ora che sia finita per poter sbandierare con orgoglio la vittoria del progresso; chi, come la vecchia nobiltà, ha paura che la sua riuscita porti con sé la fine di un'era e quindi di tutto il prestigio e le ricchezze accumulate, e chi invece più ingenuamente teme che la torre, così spoglia e scheletrica, possa cadere giù da un momento all'altro.

Ma io non rientro in nessuna di queste categorie. O meglio, se si guardasse la mia posizione sociale mi si metterebbe senza dubbio nella vecchia nobiltà timorosa, ma non è questo il motivo per cui non posso non fissare la torre che farà da porta alla prossima esposizione universale.

Se tutti i giorni vengo fin qui a sedermi su una panchina per fissare il profilo netto della torre contro il cielo azzurro smorto è perché Maxime non può più farlo.

Prima di incontrare lui, non mi era mai importato un granché di quello che accadeva fuori dai salotti di lusso che frequentavo. La mia vita scorreva liscia seguendo il sentiero che altri avevano tracciato per me: incontri in società, abiti di lusso, un matrimonio combinato con un buon partito e così via. Una vita identica a tante altre.

Ma poi c'era stata quella festa all'aperto interrotta da un temporale improvviso. La mia amica Claire, con la quale dovevo passare la serata, mi aveva abbandonata lì, sotto l'acqua, non appena aveva trovato un passaggio asciutto verso casa e io mi ero ritrovata a non saper che fare.

-Le serve una mano, mademoiselle?- aveva improvvisamente detto una voce dal timbro basso alle mie spalle. Io mi ero voltata, un po' spaventata, e mi ero trovata davanti un ragazzo con i capelli biondi zuppi di pioggia che mi porgeva un ombrello sorridendo.

Se avessi dato ascolto ai buoni consigli impartitami fin dalla nascita e non avessi accettato quell'ombrello, la mia vita avrebbe senza dubbi preso una piega diversa. Anzi, non avrebbe preso nessuna piega. Avrebbe continuato a essere lineare e monotona, come un romanzo di cui si conosce già la fine.

Ma il destino volle che quella sera la pioggia non accennasse a smettere e che io fossi già abbastanza irritata dal comportamento di Claire per volermi ritrovare anche zuppa da capo a piedi. Così accettai l'ombrello di quello sconosciuto. E poi accettai anche il suo passaggio fino a casa.

E poi anche il suo invito di qualche giorno dopo. E anche tutti quelli che seguirono.

A ripensare a com'è iniziato tutto mi si riempiono sempre gli occhi di lacrime. Anche adesso, mentre continuo a fissare la torre del signor Eiffel che diventa sempre più appannata. Vista così persino i suoi profili affilati appaiono morbidi e arrotondati.

Mi asciugo le guance con rabbia, ma una goccia ribelle scivola comunque fino al quaderno che tengo aperto sulle gambe. Ma non sbava le parole perché di parole, su quella pagina, non ce n'è nemmeno una.

Tutti i giorni vengo qui e mi siedo a guardare la torre, sperando di riuscire a scrivere come io e Maxime facevamo un tempo, ma immancabilmente la pagina rimane bianca.

È come se lui si fosse portato via anche tutto ciò che valga la pena scrivere.

Senza di lui mi sento come svuotata, privata di quella sorgente di vita che mi aveva animata in tutti i mesi passati insieme. Non c'è più nulla che riesca a trasmettermi la scossa che mi davano le sue braccia quando mi stringevano e nulla può più colmarmi il cuore di gioia e trepidazione come le parole che lui mi sussurrava all'orecchio di notte, nella luce ambrata delle candele.

Quando la penna era tra le sue mani sembrava non riuscire a stare ferma. Maxime aveva così tanto da scrivere. Era solo grazie a lui e alle sue poesie che finalmente mi era caduto dagli occhi il velo che li aveva coperti fino a quel momento. Quel velo che mi aveva impedito di vedere davvero la società agonizzante in cui vivevo da sempre. Spesso lui la paragonava a Roma che, dopo aver raggiunto l'apice della sua forza, non poteva far altro che decadere e spegnersi, inghiottita dall'ombra dello splendore di un tempo.

E io non potevo fare a meno di concordare con lui, che mi faceva da guida in questo mondo che, benché ci vivessi dalla nascita, mi era del tutto estraneo.

Spesso mi portava a incontrare i suoi amici, giovani che come lui riuscivano a vedere nel presente solo decadimento e putrefazione. Furono loro a insegnarmi che la scienza non poteva essere la via per conoscere la realtà. Anzi, con i suoi dati oggettivi e asettici non faceva che allontanare gli uomini dalla vera essenza del mondo. L'unica strada per raggiungerla era quella dell'irrazionalità, della follia, del sogno.

E della magia.

Non avevo mai creduto alla magia, prima. Mi sembrava che potesse esistere solo nelle fiabe, dove fate buone e streghe cattive se ne contendevano il primato.

E in realtà non sono sicura di crederci nemmeno adesso. Ma devo, perché non c'è altra via per riportarlo indietro. Perché da quando Maxime è stato ritrovato privo di vita nella Senna la mia vita si è fermata.

La via che avevo scelto è improvvisamente sparita da sotto i miei piedi, lasciandomi come unica possibilità quella di ritornare sui miei passi e di imboccare il sentiero dritto e lineare che era stato tracciato per me.

Ma non potevo assolutamente tornare indietro. Ormai mi ero addentrata troppo nel mondo di quei ragazzi maledetti per poter tornare a essere quella che ero. Avevo visto troppo da vicino gli aspetti più putrescenti della società per poter tornare a vivere come se fosse fatta solo di luce. E paradossalmente mi trovavo molto meglio nell'oscurità che nello splendore in cui ero nata.

Mio padre aveva gioito non appena era venuto a conoscenza della tragedia. Inutile dire che non aveva mai apprezzato l'influenza che Maxime aveva avuto su di me.

Per questo sul suo tavolo erano subito ricomparsi gli incartamenti del mio matrimonio combinato. Ero furiosa, avrei voluto bruciare quelle carte nel fuoco del camino, ma in quel caso la brava e ubbidiente figlia aveva prevalso sulla nuova me. Il timore che provavo nei confronti di mio padre non ero ancora riuscita a vincerlo.

Ma nonostante questo timore so che non potrò mai assecondarlo e sposare un uomo che non sia Maxime. So che non potrò vivere se non accanto a lui, che mi ha fatto sentire più viva di quanto sia mai stata.

Per questo devo riportarlo indietro. Devo fare quello che nessuno ha mai fatto: vincere la morte.

Ma per poterci riuscire devo credere nella magia e nelle arti occulte.

Chiudo di scatto il quaderno sulle mie gambe. Sono stata troppo a lungo seduta, devo muovermi o rischio di arrivare tardi all'appuntamento.

Decido comunque di fare una piccola deviazione e attraverso il ponte da cui dicono sia caduto Maxime. O saltato, secondo le diverse opinioni. C'è chi dice che fosse sotto l'effetto di una massiccia dose di droghe e sostanze allucinogene. Mi chiedo come fanno a sostenere queste versioni della storia se chi le racconta non era nemmeno presente.

Non so quanto di quello che dicono sia vero e quanto sia falso. Con sicurezza posso dire che Maxime mi aveva confidato che avrebbe voluto vedere se davvero ci si può avvicinare ancora di più alla vera essenza del mondo alterando la propria percezione e la propria coscienza, come aveva sentito dire. Me lo aveva sussurrato una sera, con una luce febbrile che gli animava gli occhi. Io ero molto scettica, ma lui era così pieno di vita e di aspettative che la sua energia aveva finito per contagiare anche me.

Ma d'altro canto non posso credere che si sia drogato a tal punto da cadere da un ponte.

Caduto, certo. Perché sono sicura che non può essere saltato: lui non voleva morire.

Non voleva morire. Non voleva lasciarmi. Queste frasi continuano a girare nella mia testa mentre cammino verso la mia ultima speranza.

Alla fine mi fermo davanti a una porta scolorita e scheggiata.

Mama Sepetis lavora in uno dei quartieri della periferia parigina, di quelli in cui io, giovane figlia della nobiltà, non sono mai stata. Se l'ho trovata è stato solo grazie agli amici di Maxime, che mi hanno assicurato che è la maggior esperta di magia di tutta la città. Spero vivamente che abbiano ragione. E che questo basti per riavere il mio amore.

Non so bene come comportarmi: non mi ero mai trovata in una situazione simile prima d'ora. Dovrei forse bussare?

Grazie al cielo Mama Sepetis mi toglie ogni dubbio aprendo lei la porta prima che io possa fare qualunque cosa.

Non so esattamente come mi aspettassi che fosse una maga, ma la donna che d'improvviso mi trovo davanti sembra avere tutte le carte in regola per essere un'ottima fattucchiera. Con una mano si sistema la fascia colorata che porta in testa e che le incornicia il viso bruciato dal sole e dagli anni. Poi con la stessa mano coperta di enormi anelli pacchiani in finto oro mi fa segno di entrare nel suo antro.

-Voi siete mademoiselle Brigitte Du Chevalier, dico bene?- chiede lei con voce arrochita dal fumo.

-Si, sono io.

Mentre dico queste parole mi soffermo a pensare che, se tutto va come spero, tra poco tempo potrò diventare madame Brigitte De Lacroix. Involontariamente la bocca mi si incurva in un sorriso: quante volte io e Maxime abbiamo assaporato sulle labbra il suono di quel nome? Ed era un suono dolce, come una caramella di zucchero che si scioglie sulla lingua.

Faccio appena in tempo a entrare che subito Mama Sepetis mi chiude la porta alle spalle. Io sobbalzo, non aspettandomi un movimento così repentino e deciso da una donna tanto piccola e minuta. Mi precede a un basso tavolino posto al centro della stanza semibuia, piena di drappi colorati e vetri che mandano bagliori inquietanti alla tenue luce delle poche candele accese.

A ogni passo sento frusciare le sue lunghe gonne. È un suono che mi ricorda lo strisciare di un serpente nella sabbia.

Si accomoda al tavolino e poi, con un gesto, mi fa segno di sedermi di fronte a lei.

-Cosa desiderate che io faccia per voi? Volete per caso conoscere il vostro futuro?- mi chiede con voce grave non appena prendo posto.

-No. In realtà vorrei che riportasse in vita un uomo.

Per un attimo mi pare quasi di vederla sgranare gli occhi, ma riacquista subito la sua impassibilità.

-Certo, certo. La vostra non è una richiesta semplice. Si tratta di magia nera, molto difficile da praticare anche per un'esperta come me. Cercherò di fare quello che posso, ma nemmeno la più abile delle maghe può garantire risultati certi.

Io annuisco come in trance, con il cuore in gola.

-Capirete che una magia del genere richiede un compenso molto alto- sussurra con un luccichio negli occhi.

-Lo immaginavo. Spero che questo basti- le rispondo poggiando sul tavolo un collier di zaffiri.

Al vederlo le sue sopracciglia schizzano verso l'alto. Prende poi in mano il gioiello e lo analizza con aria pensosa. Lo vedo, che sta fingendo. Quella collana vale un patrimonio. Probabilmente tra le mani non ha mai avuto niente di più prezioso. Ma io sono ben felice di sbarazzarmene. A voler ben vedere è ironico che io stia usando proprio questo collier, che mi è stato regalato come pegno d'amore dall'uomo che dovrei sposare, per tentare di riportare in vita Maxime, che invece è l'uomo che vorrei sposare.

-Si, penso che basti- decide infine Mama Sepetis e rapidamente fa scivolare la collana sotto il tavolo con un viscido movimento del braccio. -Possiamo cominciare.

Dette queste parole si alza di scatto dalla sedia, prende varie bottiglie e ampolle dalle mensole che tappezzano la parete alle sue spalle e le dispone ordinatamente sul tavolino. Per alcuni minuti mischia in silenzio ingredienti di cui non ho mai nemmeno sentito parlare, avvolta da un'aura di mistero che trovo estremamente inquietante. A un certo punto poggia sul tavolo anche la ciotola in cui stava lavorando e alza di scatto gli occhi, puntandoli nei miei.

Io mi ritraggo di scatto, spaventata.

-Ora è necessario che mi parliate di lui. L'incantesimo deve poterlo riconoscere tra tutte le altre ombre.

-Cosa devo raccontare?

-Qualunque cosa riteniate possa essere utile.

-Dunque, è alto, biondo...

-Non questo genere di cose- mi interrompe lei sventolando una mano davanti al mio viso come per scacciare una nebbia fastidiosa -Le ombre non hanno un aspetto fisico. Mi dovete raccontare di qualcosa di più profondo. Di tutte quelle caratteristiche che vi permetterebbero di trovare la persona che cercate anche nella notte più nera. Parlatemi della sua essenza, di tutti gli aspetti che la rendono unica e insostituibile. Delle sue passioni. Di tutto ciò che non è possibile capire ad un primo sguardo.

So così tante cose di lui che potrei andare avanti a parlarne per ore, senza mai stancarmi. Ma ora le parole non vogliono uscire dalla mia bocca. È colpa di quella donna: il suo sguardo mi mette in soggezione e non riesco a guardarla in viso. Parlarle di Maxime così come lei mi ha chiesto di fare mi sembra quasi un sacrilegio, una profanazione della sua memoria.

Faccio un bel respiro. Non essere sciocca, mi dico. Questa donna è l'unica che può riportarlo indietro.

Continuando a fissarmi le mani, comincio a raccontarle gli aspetti più segreti di Maxime. Le parlo di come gli si illuminavano gli occhi al solo vedermi, di come diventava irritabile se la poesia a cui stava lavorando non era più che perfetta, della soddisfazione che gli riempiva il petto di orgoglio quando invece il componimento rispecchiava completamente le sue aspettative, dell'energia che gli percorreva le membra le sere in cui incontravamo i suoi amici e di come quelle stesse membra diventassero delicate quando invece mi toccava.

Di come fosse forza e dolcezza allo stesso tempo, tempesta e profumato vento di primavera.

Di quanto lo amavo.

Quando alla fine smetto di parlare trovo il coraggio di alzare lo sguardo verso il suo viso e la scopro a fissarmi incantata. Mi sembra quasi di vedere una lacrima che cerca di sfuggire dai suoi occhi.

Per un attimo restiamo entrambe in silenzio.

-Molto bene, ora mi serve solo una goccia di sangue- dice infine.

-Il mio sangue?- chiedo stupita.

-Si, solo una goccia per creare un ponte che lo riporterà tra i vivi.

Mi sfilo il guanto e le porgo la mano tremante. Lei la afferra con le sue dita ritorte e, rapida come un lampo, mi punge l'indice con un ago, facendo cadere una goccia nella ciotola. Sussurra qualche parola in una lingua che non riconosco e poi versa tutto in un'ampolla.

-Finito- mi dice, porgendomi l'incantesimo.

-E ora?- domando fissando meravigliata il liquido torbido.

-Ora dovete versare il liquido sopra la sua tomba, al tramonto, e vegliare tutta la notte aspettando che torni.

Si alza e comincia a spingermi verso la porta. Quando sto per allontanarmi mi trattiene un attimo stringendomi il polso.

-Se non dovesse funzionare sappiate che non potevo fare di più.

Poi sbatte violentemente la porta, ma per un istante mi pare di vedere una sincera tristezza nei suoi occhi.

Rimasta ormai sola in mezzo alla strada mi volto verso il sole calante. Manca poco tempo prima che sparisca all'orizzonte.

Arrivo il più velocemente possibile davanti ai cancelli del cimitero che stanno per esser chiusi per la notte e mi infilo non vista tra le lapidi.

Non sono venuta spesso alla sua tomba e così ci metto un po' a trovarla. Finora ho preferito ricordarlo com'era da vivo e illudermi che lo fosse ancora, piuttosto che accettare la fredda verità che ora sembra comunicarmi la pietra che porta inciso il suo nome.

Per un attimo resto a fissare la lapide stringendo l'ampolla tra le mani, poi apro il vasetto di vetro e verso il contenuto sulla pietra.

Il sole pian piano scompare dietro i mausolei.

Mi chiedo una volta in più come sia possibile che quel liquido fangoso lo riporti indietro. E una volta in più non so darmi risposta.

Mi siedo sulla sua tomba, pronta ad aspettarlo tutta la notte.

Brividi di freddo e di paura mi risalgono lungo le braccia e la schiena quando le ombre cominciano a sparire inghiottite dal buio di questa notte senza luna.

Davvero non so dire come riesca a resistere qui seduta fino al mattino seguente. A ogni più piccolo scricchiolio balzo per aria, spaventata e speranzosa allo stesso tempo, temendo che possa essere un animale venuto ad uccidermi e illudendomi che invece possa essere lui.

In qualche modo però resisto fino al sorgere del sole.

Quando vedo il cielo diventare rosa mi guardo intorno un'ultima volta. Ma sono ancora sola in questo cimitero.

È a questo punto che sento il mondo crollarmi addosso con tutto il suo peso. È adesso che capisco che l'ho davvero perduto per sempre.

Fino a questo momento avevo avuto la sciocca speranza di poterlo riportare indietro. Mi sembrava di avere in mano un capo del filo che lo avrebbe condotto fuori dal labirinto della morte.

Solo ora capisco quanto avessi creduto realmente nella magia.

Ma adesso vedo in faccia la realtà. La magia non esiste.

Lui se n'è andato e io non riesco più a trattenerlo.

Mi scivola via come sabbia tra le dita, sospinto dal vento verso luoghi in cui io non posso raggiungerlo.

Lo sento sempre più lontano e lo immagino mentre si alza nel cielo, sempre più in alto, finché io non riesco più a vederlo.

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