Storia di un principe
Freddo.
Era l'unica cosa che Noah riusciva a sentire, nel paesino semideserto situato nel nord della Scozia.
Era appena arrivato, la sua prenotazione in hotel era saltata per qualche assurdo motivo e il taxi l'aveva scaricato in una stradina del centro, con ancora le valige caricate sulle spalle.
Aveva sognato a lungo di poter visitare la Scozia, eppure non si era mai immaginato che dovesse finire in quel modo. Dove avrebbe dovuto dormire, quella notte? Cercò di non prendersi dal panico e pensò ad un modo veloce per ripararsi dal freddo. Si guardò intorno, spaesato, e adocchiò un pub semibuio con l'insegna che funzionava a intermittenza.
Insomma, un posticino che non aveva l'aria di essere confortevole, ma per lo meno aveva un tetto dove potersi riparare. Stanco e affamato, trascinò i piedi verso il luogo e spinse la porta, portando con sé le due enormi valige.
Il locale sembrava essere malandato: c'era puzza di stantio, la poca luce fioca lasciava intravedere a malapena i clienti seduti ai tavoli. Ma dove cavolo era finito? Decise di non lamentarsi troppo, era l'unico posto che aveva trovato aperto, e come diceva un famoso detto: chi si accontenta gode. E Noah era inconsapevole che quella sera sarebbe accaduto qualcosa di molto più grande, come vivere una delle avventure più esilaranti della sua giovane vita.
Prese posto sullo sgabello sgualcito e appoggiò una manciata di sterline sul bancone, stravolto dal viaggio. «Un boccale di birra, per favore.» cercò di farsi capire, ma per sua fortuna l'uomo intendeva la sua lingua senza alcun problema.
«Stati Uniti, eh? Bel posto, ragazzo. Ho vissuto nel Maine per qualche anno.» l'uomo si voltò, riempiendo il boccale mentre fischiettava l'inno americano.
A quel punto, Noah trattenne una risata. «Sono Newyorkese, signore. E mi creda se le dico che non sono per niente patriottico.» borbottò, afferrando il bicchierone e guardandosi un po' intorno. Vide un ragazzo con il volto completamente coperto da un cappuccio nero. Teneva il capo basso, come se farsi vedere in viso fosse un reato. Davanti a lui, tre boccali di birra svuotati e uno che reggeva tra le mani dalla pelle chiarissima.
«Ah, lascialo perdere. Non ho idea di chi sia, ho provato a guardarlo in viso ma nulla, si nasconde. Può essere un criminale della zona.» proruppe l'uomo, pulendo il bancone.
Noah sorrise, acchiappando il suo bicchierone e facendo l'occhiolino. «Scopriamolo subito.» si alzò dallo sgabello e raggiunse il tavolo, sedendosi di fronte alla figura incappucciata. Si schiarì la voce, bevendo un sorso di birra. «Ciao, tizio.»
«Non faccio autografi stasera, mi dispiace.» rispose lui, a voce bassa.
Noah aggrottò la fronte, facendo una smorfia. Chi l'aveva mai visto? «Non mi interessa avere un tuo autografo.» ridacchiò.
Vide il ragazzo alzare leggermente il volto, l'unica cosa che riuscì a vedere era il suo occhio azzurro posarsi sul viso del ragazzo e scrutarlo con curiosità. «Sei straniero.»
«Si nota molto? Beh, il mio accento americano è molto marcato, sì.» rise, bevendo un altro sorso di birra. «spero di non averti disturbato, ti ho visto tutto solo e volevo fare conversazione.»
Il ragazzo annuì, tirando su con il naso. «Hai un posto dove dormire, stanotte?» chiese, notando le valige che si portava dietro.
«In verità no, ma mi arrangerò.» Noah alzò le spalle, accorgendosi con dispiacere che la sua birra era finita.
«Si vede, hai tutta l'aria di essere disperso.»
«Anche tu. Eppure, a meno che io non mi stia sbagliando, dovresti essere un cittadino di questa città. Quindi mi chiedo, cosa ti ha portato sulla via dello smarrimento?» alzò un sopracciglio, reggendosi il viso con la mano. Noah sapeva di possedere un dono enorme: quello di invogliare la gente a sfogarsi. E, quel ragazzo solitario e celato dentro quel pub angusto, era la sua prossima vittima.
Il ragazzo rise, anche se la sua risata sembrava più sarcastica che divertita. «Ti invito in Crimond, stanotte. Io e Sheldon saremo molto felici di averti con noi.»
Noah aggrottò la fronte. Accettare di dormire da uno sconosciuto era una follia, ma tanto valeva farlo. Non aveva un posto dove stare, la sua vita era già bizzarra di suo. Cosa poteva mai accadergli? «Sheldon... chi è costui?»
«Il mio falcone.» il ragazzo rispose con tono ovvio, alzando le spalle.
A quel punto, Noah rise di gusto. Quel tipo era davvero strambo. «Okay, affare fatto. Dovrò restare per tre settimane, ma domani mi metterò alla ricerca di un ostello.»
«Niente ostello, sono un ragazzo solo e un po' di compagnia mi farebbe piacere.» e notò un sorriso spuntare sul suo volto semi illuminato dalla luna.
Pochi minuti più tardi, i due ragazzi uscivano dal pub con estremo silenzio. Noah, a conti fatti, si chiese se fosse stata una buona idea accettare quell'assurda proposta da uno sconosciuto. Se l'avesse saputo Nash avrebbe dato di matto. Osservò il ragazzo ancora nascosto dal cappuccio e sospirò, passandosi una mano sul viso.
«Ti rendi conto che hai invitato un tizio, di cui non sai nemmeno il nome, in casa tua?» borbottò.
«Oh già.» il ragazzo alzò le spalle, ridendo leggermente. «Com'è che ti chiami?»
«Mi stai prendendo per il culo?» Noah boccheggiò, camminando al suo fianco. «Mi chiamo Noah, comunque. E mi chiedo dove diavolo stiamo andando.»
«Mi aspetta il mio autista dietro l'angolo, Noah.» il suo tono di voce era senza alcuna emozione, sembrava che tutto quello che lo circondava lo rendesse indifferente.
«Wow, sei proprio entusiasmante, tizio senza volto. Ma almeno posso vedere la tua faccia? E perché diavolo hai un autista e vieni in un pub fetente?» agitò le braccia, in preda all'isteria.
Il ragazzo, al suo fianco, sbuffò. «Ma fai sempre tutte queste domande, alla gente? E, in ogni caso, ho l'autista perché non so guidare.»
Noah spalancò la bocca, confuso. «Io boh... abbi pazienza se ti faccio delle domande, ma ti è chiaro che mi stai ospitando in casa tua?» sbuffò.
«Ducato, è meglio dire nel tuo ducato.» aprì lo sportello della macchina, infilandosi dentro e aspettando che Noah facesse lo stesso. Una volta che il biondino chiuse lo sportello, il ragazzo tirò via il cappuccio. Aveva degli occhi azzurri penetranti, le labbra carnose e una fronte davvero molto alta, con dei capelli biondi ad incorniciargli il volto. La sua sembrava una bellezza nobiliare, a dirla tutta, ma Noah lo pensava soprattutto perché il ragazzo aveva specificato che il suo fosse un ducato.
«Quindi sei... un duca?» alzò un sopracciglio, osservando l'autista che cominciava a mettersi in marcia.
Il ragazzo annuì, schiarendosi la voce. «Di Crimond sì, di Comendeen sono il principe.» spiegò.
Noah lo guardò serio, per poi scoppiare in una fragorosa risata. «Senti, amico mio, capisco la megalomania... ma da qui a dire che sei un principe...» scosse il capo.
Il volto del ragazzo rimase impassibile. «Non sto scherzando. Alexander Colbain. Cerca pure su Google.» indicò la sua tasca, da dove riusciva a vedere la forma del cellulare.
Noah, diffidente qual era, prese lo smartphone e cercò il nome da lui detto, per poi spalancare la bocca con incredulità. «Figo! Un principe! Un fottuto principe! Adesso è chiaro il motivo per cui ti nascondevi!» esclamò.
Alex sorrise, annuendo. «Esatto. Per fortuna non sono ancora diventato matto.»
Noah storse il labbro, osservandolo curioso. «Un po' lo sembra, a dire il vero. Con tutto il rispetto, vostra altezza.»
«Suvvia, chiamami Alex! Ho solo ventitré anni e sentire un ragazzo così giovane che mi chiama in quel modo, mi fa sentire un vecchio decrepito.» fece una smorfia, sistemando la felpa per sentire meno freddo.
«Ho solo un anno in meno di te, Alex.» mormorò, osservando l'enorme tenuta davanti a loro. «Wow, vivi qui?»
«Fantastico, vero? Lusso, sfarzosità... tutte cose che non mi appartengono. Fosse per me, vivrei in una casetta di campagna con le galline e i maiali.» fece una smorfia, scendendo dalla macchina.
Noah sospirò, seguendolo e guardandosi intorno. «Ti capisco benissimo, amico mio.»
Quando entrarono in casa, un uomo con i capelli scuri e il volto di chi avesse sclerato un'intera notte, si gettò sul principe e lo guardò da cima a fondo. «Dio santo, altezza! Mi ha fatto prendere un colpo! Stavo giusto uscendo di casa per venire a cercarlo, mi ero svegliato per l'acqua e lei era sparito! Sparito!» urlò.
Alex indicò l'uomo, ridendo. «Lui è Scott, il mio collaboratore personale.» disse, imbarazzato dalla reazione dell'uomo.
Scott guardò Noah, indietreggiando. «Chi è questo ragazzo?» chiese.
Alexander alzò le spalle, arricciando il naso. «Boh. Un tizio americano che ho conosciuto in un pub, non aveva dove stare, quindi per tre settimane è un mio ospite. Sono certo che verrà trattato come uno di casa.» diede una pacca sulla spalla a Noah, troppo occupato a guardarsi intorno per dargli retta.
«Lei è fuori di testa, altezza! Per Giove, potrebbe essere un criminale!» Scott agitò convulsivamente le braccia, in preda ad un attacco di nervosismo.
«Pff, figurati! Non credeva nemmeno che fossi un principe. Puoi lasciarci soli?» sorrise, prendendo posto in un divanetto.
«Io diventerò matto, un giorno!» l'uomo si allontanò, lasciando i due ragazzi completamente da soli.
Noah cercò di mettersi comodo, osservando il volto di quel principe che non aveva tutta l'aria di essere contento. «Allora, Alex, cosa ti rende così... indifferente?» chiese, stirando le gambe.
Alexander fissò il vuoto, in silenzio. Fece un sospiro e si passò una mano sul viso, mostrando un dolore assopito da qualcosa. «Prendo degli ansiolitici. Credo sia quello il motivo per cui sembro essere così... meccanico.»
Noah annuì, stiracchiandosi. «E perché mai un principe dovrebbe imbottirsi di medicinali?»
«Mia cognata ha partorito, stanotte.» gli occhi azzurri di Alex si posarono su quelli verdi di Noah. Se i primi erano stravolti, i secondi sembravano essere lieti di sentire quella notizia.
«Ma è fantastico! Sei diventato zio!» elargì un enorme sorriso, notando con dispiacere che la reazione di Alex non era quella prevista.
«Padre.» rispose lui.
Noah annuì, sorridendo ancora. «Giusto! Padre!» disse contento, per poi spalancare gli occhi «Padre? Come padre? Amico, con tutto il rispetto, ma sei veramente nella merda. E anche fino al collo, aggiungerei.» si alzò di scatto dalla sedia, sconvolto.
Alex rise sarcastico, scuotendo il capo. «Sei molto incoraggiante.» disse, sospirando.
Noah boccheggiò, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto. «Sì, cioè no! Voglio dire... non è un dramma, giusto? Tuo fratello è morto, vero? Dimmi di sì, per favore.» sembrò davvero implorarlo con lo sguardo, ma dall'espressione di Alex aveva intuito che non era finita lì.
«Vivo e vegeto, oltre che a essere il mio Re. E no, non sa che Mia è mia...» rimase in silenzio per un po', per poi ridere. «Che stupido gioco di parole, eh? In ogni caso... è convinto che quella bambina sarà la futura regina, quindi di conseguenza che sia sua figlia.» fece un profondo respiro.
«Ritiro quello che ho detto: è un dramma.» Noah si lasciò cadere sulla sedia, ancora sconvolto da quanto udito.
«Già, lo è.» il principe annuì, appoggiando la schiena sul divano.
Noah balzò in piedi, sorridendo. «Ma non tutto è perduto, giusto? Althea lo diceva sempre ma poi è... morta.» disse, calando l'entusiasmo. «Ma questo non deve farci abbattere, Alex! Perché sai cosa faremo adesso? Per prima cosa, smetterai di prendere quella merda. Posso assicurarti che aiuta ben poco, quindi per tutto il tempo del mio soggiorno ti sequestrerò quei flaconi del cazzo. Secondariamente, vivremo queste tre settimane evitando categoricamente il discorso di tua cognata o amante o... quello che è, insomma. Sei giovane, sei bello... svegliati che non può piovere per sempre!» esclamò.
Alexander lo guardò da capo a piedi, accennando un sorriso. «Mi piaci, Noah. Mi tratti come un tuo pari e dimentichi che io porto una corona, il che mi fa sentire veramente al mio agio. Perché non ti fermi qualche giorno in più?» propose, entusiasta.
Noah scosse la testa, sorridendo. «Mi piace vedere delle emozioni in te, ma non posso. C'è un girasole che aspetta il mio ritorno.»
«Uhm... dalla tua espressione deduco che non è di un fiore che parli, giusto?» Alex fece un'espressione beffarda, incitandolo a parlare per sapere di più. Era il turno di Noah.
«Sì, lei è un fiore. Uno di quelli rari e belli, devo dire. E quando sorride... Dio, quando lo fa il mio mondo cambia completamente.» un sorriso triste affiorò sul volto di Noah, che riprese posto e sospirò leggermente.
Alexander protese il busto verso di lui, aggrottando la fronte. «Perché sento che non mi hai detto tutto? Il tuo girasole non ricambia il tuo amore, bel ragazzo americano?» chiese.
Noah scosse la testa, facendo una smorfia triste. «No, non è questo. Cioè non so se mi ama ma... lei è un po' particolare. Soffre di anoressia nervosa, ecco. E a volte sembra solo che voglia scomparire, non so se mi spiego.» sussurrò.
Alex annuì, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Amico mio, mi sa che i drammi sono parte della nostra esistenza. Noi siamo il dramma.» rise, dandogli una pacca leggera sul deltoide.
«Ah beh, come si dice... era destino che stasera questo povero scemo dovesse capitarti in un pub angusto. Sempre meglio di niente, pensa se fossi stato gay.» rise, sbadigliando. «Ehi, perché non vieni con me a New York? Potresti farti tre settimane. Andiamo lì, vivi nel mio appartamentino a Manhattan, bevi birra scadente e mangi snack in nostra compagnia. Vivo con il mio gemello e il mio migliore amico, per loro sarebbe figo averti lì. Ti faccio conoscere Juliet!»
Alexander sorrise, chiudendo gli occhi. «Juliet... che bel nome. Degno di una regina, se proprio vuoi saperlo. La tua offerta mi attira ma non posso farlo, ho dei doveri qui.» disse, sinceramente dispiaciuto.
Noah ruotò gli occhi, scimmiottandolo e scatenando una risata ilare in Alex. «Doveri, ma per favore! Non capisci che è proprio la regalità a distruggerti? Hai bisogno di sentirti normale, amico mio!»
«Ma non è così semplice.» ammise lui, alzando le spalle.
Noah sorrise beffardo, schioccando la lingua sul palato. «Ah, dici? Facciamo così: domani ordini a tutta la tua servitù di dirti sinceramente una cosa che non hanno mai avuto il coraggio di confessarti. Vedrai tu stesso come ti piacerà vedere la gente che ti parla liberamente, e a tua volta ti sentirai libero anche tu. La mia proposta è sempre valida, principe.» si alzò, sbadigliando.
«Hai bisogno di dormire, eh?» rise, alzandosi anche lui.
Noah annuì, grattandosi il capo. «Direi proprio di sì.»
Il giorno seguente, si svegliarono piuttosto presto. Alexander si sentiva eccitato all'idea di interrogare la sua servitù, mentre Noah era piuttosto divertito di vederlo in quel modo. Raggiunsero le cucine e notò il ragazzo fermarsi davanti al cuoco, schiarendosi la voce. «Buongiorno, oggi ti ordino di dirmi una cosa che non hai mai avuto il coraggio di confessarmi. Tranquillo, non perderai il posto. È un...»
«Esperimento sociale.» aggiunse Noah per lui, mangiucchiando un pancake appena fatto.
L'uomo boccheggiò, trovandosi in difficoltà. «Ma sua altezza reale! Io non...»
«Ah, lo ripeto: è un ordine.» disse Alex, determinato.
L'uomo storse il labbro, grattandosi il capo. «Bene... allora con tutto il rispetto ma sono stanco di cucinare il tofu. Se proprio devo dirla tutta, il tofu fa anche schifo, altezza. Vorrei cucinare la carne, capisce? La carne!» esclamò, spazientito.
Noah rise, cospargendo di sciroppo d'acero i suoi pancake. «Questo è veramente forte. Non è così, Alex?»
Il principe si voltò, ridendo. «Direi di sì! Oh, ti prego... andiamo da Scott! Lui sì che ci farà ridere per bene.» disse, dirigendosi verso il salone.
«E Scott sia.» rispose Noah, seguendolo.
Alexander si fermò davanti a lui, ridacchiando. «Scott, ti ordino di dirmi una cosa che tieni dentro da molto tempo. Sentiti libero, nessun freno sui termini... niente di niente. Parlami come se fossi tuo fratello.» spiegò, sorridendo enormemente.
«Già, Scott, facci sognare.» borbottò Noah, con la bocca piena di fragole con la panna. Si era alzato da mezz'ora, ma aveva già svuotato mezza dispensa.
Scott guardò i due ragazzi, perplesso. «Ma state bene?» chiese, alzando un sopracciglio.
Alex annuì, ridendo. «Sì! Adesso sfogati pure, ti assicuro che il tuo posto di lavoro rimarrà tale e che nessuno saprà nulla di questa nostra conversazione.» spiegò, rilassando i muscoli. Quel gioco gli piaceva da morire.
«E dai, Scott! Sono un fremito! Cavati quelle fottute parole dalla bocca!» esclamò Noah, senza preoccuparsi di usare termini discutibili davanti a un principe.
Scott borbottò qualcosa, per poi sospirare. «La volevo mandare... beh... io... la volevo mandare al diavolo per tutta la questione di Eloise. Ho rischiato seriamente di perdere il posto di lavoro, per lei. Mi ha fatto venire i capelli bianchi per quante ne ha combinate.» disse, a voce talmente bassa che dovettero rimanere in silenzio per capirlo.
Alex scosse la testa, ridendo di gusto. «No, non mi va. Dillo ad alta voce: Fanculo Alex!» esclamò.
Scott spalancò gli occhi, sorpreso. «Ma vostra Altezza... lei non ha mai usato questi termini...»
«Sì, fanculo! Fanculo a tutto e a tutti! Fanculo anche a te, Noah, che mi stai facendo provare l'ebrezza della libertà!» urlò a squarciagola, sotto lo sguardo sconvolto di Scott.
Noah rise, alzando il bicchiere di succo d'arancia. «Sì, hai detto bene! Fanculo anche a te che sei un cazzo di principe e non vivi la tua fortuna come dovresti!» urlò Noah. Quel trambusto attirò gran parte della servitù, che fissava la scena con la bocca spalancata, increduli di tutto quello a cui stavano assistendo.
«Il principe è impazzito...» disse una donna, reggendo gli asciugamani e osservando quel principe poco regale davanti a sé.
«Fidati, è sempre stato così...» rispose Scott, scuotendo il capo.
*****
Le tre settimane volarono. Avevano fatto tantissime cose insieme: erano andati a pesca, mangiato di tutto e fatto il bagno in quelle acque limpide. Purtroppo, però, era arrivato il momento per Noah di tornare a casa. Era stato bene, in Crimond, ma sentiva la mancanza della sua città.
Mise le ultime cose in valigia e sospirò, guardandosi intorno. Alex era con lui, che stava canticchiando 7 days di Craig David. Quella canzone, Noah, l'aveva ascoltata fino allo sfinimento. Al punto che anche il principe ne imparò le parole. «Sai? Mi mancherà, questo ducato. Sono stato bene queste tre settimane.» Noah sorrise, chiudendo la zip della seconda valigia.
Anche Alex gli regalò un sorriso, arricciando il naso. «La porta è sempre aperta, Noah.» disse sincero, alzandosi per accompagnarlo alla porta. Si soffermò davanti camera sua e osservò quella valigia che aveva preparato per New York, nell'eventualità che avesse cambiato idea. Si rammaricò sapendo che non l'avrebbe mai disfatta in un appartamento di Manhattan.
Noah si fermò davanti a Scott, sorridendo. «Scott, amico mio! Sei davvero una forza e un amico fedele per il nostro principe. Ti raccomando, prenditi cura di lui.» lo abbracciò, dandogli delle pacche sulle spalle.
Scott sorrise, annuendo leggermente. «Strano da dire, ragazzo, ma mi mancherai. In queste tre settimane mi avete fatto rizzare i capelli, ma sono sicuro che la tua assenza si sentirà.» disse tristemente.
«Mi mancherai anche tu.» Noah sorrise, per poi guardare Alex. «Principe di Comendeen, Re del dramma! È stata un'enorme fortuna per me poterti conoscere, lo dico davvero. Ti auguro di trovare il tuo posto nel mondo, con o senza l'amore della tua vita; la tua Is. Non prendere più quella merda e vivi come hai vissuto in queste settimane. Principe, certo, ma ricordati che sei anche un essere umano.» lo strinse, sfregando le mani sulla sua schiena.
«Ti auguro tanta felicità con il tuo girasole. Ti raccomando, stendi tutti quelli che ti accusano della morte di tua sorella e non preoccuparti per quello che hai fatto in passato, so che non volevi.» sorrise, rassicurandolo con un altro abbraccio.
Lo accompagnò alla porta, insieme a Scott, e rimase a guardarlo mentre un membro della servitù gli caricava le valige in auto. Aggrottò la fronte e sospirò, annuendo. Era la cosa giusta da fare. «Ehi, Noah!» lo chiamò, attirando la sua attenzione.
Il ragazzo si voltò, assottigliando lo sguardo per via del sole. «Sì?» chiese.
«Sai che ti dico? Io ci vengo a New York, e senza Scott!» esclamò.
A Scott sembrò venire un infarto. Boccheggiò e cominciò ad annaspare in cerca d'aria, prossimo a una crisi di nervi. «È forse impazzito, principe?»
«Credo di.... no! Hai tre settimane di ferie! Tutti li hanno! Avvisa Fabian per me che non sarò reperibile, spiega che sono andato a trovare un amico.» fece l'occhiolino, andando verso la sua camera.
Scott lo seguì, urlandogli dietro delle parole che Noah non riuscì a udire. Rise e scosse la testa, soddisfatto che il principe avesse accettato. Meritava di vivere come una persona normale. «Ottima scelta, Alex.» sussurrò.
Alex lo raggiunse in due falcate, salendo in macchina. «Occupati che il ducato venga sgomberato, poi puoi tornare a casa. Mi fido ciecamente di te, se vuoi restare qui puoi farlo. A presto.» Alex si sistemò in auto, sorridendo a Scott.
«Principe, è una pessima idea!» esclamò.
Alex rise, scuotendo il capo e facendo l'occhiolino. «Nah, credo che sia geniale! Ciao!» chiuse lo sportello e ordinò all'autista di partire, ridendo.
Noah lo guardò, mentre la macchina marciava verso l'aeroporto. «Come ti senti?» chiese.
«Libero.» rispose lui, rilassandosi sul sedile. «Anche se questa è una follia senza eguali, Noah.» rise.
Noah storse il labbro, ridacchiando. «Potremmo scriverci un libro.» ironizzò, divertito.
Alex rimase in silenzio per un po', per poi aggrottare la fronte. «Ah, sì? E quale sarebbe il titolo?» domandò curioso.
Noah ci pensò su, per poi sorridere soddisfatto. «Storia di un principe che decide di vivere come un ragazzo comune.» rispose, abbassando il finestrino e accendendo una sigaretta.
Alex sorrise, rimanendo in silenzio. Poi, con un sospiro, espresse il suo parere. «Lo adoro.» disse, guardando la strada sfrecciare sotto ai suoi occhi, mentre un sorriso che sapeva di libertà si dipinse sul suo volto.
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