LA SOGNATRICE
Ofelia aveva sempre avuto quel desiderio addosso. Come un tarlo che la divorava dall'interno. Ossa, muscoli, pelle.
La sua vita trascorreva tra le pagine dei libri. Le parole si contorcevano sotto il suo sguardo. La sua mente costruiva palazzi, foreste, dirupi. Era una principessa che fuggiva da una strega cattiva. Era una damigella che si sporgeva dalla torre, alla disperata ricerca di aiuto. Era una fata che volava per trovare il suo principe.
Ofelia aveva fatto dell'attesa la sua arma. La pazienza era la sua virtù. L'unica che avesse. Attendeva di finire in una fiaba. Il tempo correva. Le foglie cadevano, la terra si ghiacciava, i fiori sbocciava, il caldo rendeva aridi i fiumi. Anno dopo anno. Ofelia cresceva. Bambina, ragazzina, donna. I vestiti le diventano stretti. Il seno le cresceva. I fianchi si arrotondavano.
Ofelia credeva nei sogni e, dal momento che nessuna fata madrina si faceva avanti, beh, aveva deciso di dare un aiuto alla propria fiaba.
Aveva sentito parlare del Pozzo dei Desideri. Sua madre l'aveva riempita di storie al riguardo. Suo padre sosteneva che era colpa sua se viveva di sogni e pasticcini, se non riusciva a trovare un marito, se non s'interessava del cucito.
Ofelia lasciò scivolare il suo ciondolo. Lo guardò volteggiare per poi atterrare, una ballerina, nell'acqua scura con un tonfo. -Ti prego, spirito, esaudisci il mio desiderio, voglio vivere una fiaba-
L'acqua restò acqua, il cielo restò cielo, la ragazza restò ragazza. Si guardò le braccia, delusa. Chissà perché aveva immaginato di diventare una principessa. Scrollò la testa, gli occhi che bruciavano. Forse aveva ragione suo padre, forse...
-Cosa ci fa una bella fanciulla in un posto così isolato?-
Ofelia sentì un brivido lungo la schiena. Si voltò con calma, il cuore che le batteva nel petto. Un colibrì in trappola.
Davanti a lei c'era un ragazzo. Non poteva avere che qualche anno più di lei. Ofelia ammirò il viso ovale, gli zigomi alti, i capelli neri, quegli occhi che sembravano zaffiri incastonati nell'alabastro. Era tanto bello da non poter essere reale. Un angelo... o un demone. Il ragazzo fece un inchino, il mantello nero che gli frusciava intorno. Aveva un farsetto e dei pantaloni di seta. Doveva essere ricco. Che ci faceva da quelle parti?
-Devo tornare a casa- mormorò Ofelia a disagio.
-Oh, certo... abitate lontana? Magari in un castello?-
Un altro brivido gelido e la sensazione di aver fatto qualcosa di profondamente sbagliato. Un passo nel vuoto. E ora stava precipitando. -Vi sembro nobile?- indicò l'abito di stracci.
-No, ma io sono qua per questo- sorrise, un sorriso che prometteva notti sotto le stelle e bagni nei laghi ghiacciati. -Kores, al vostro servizio, milady- fece un profondo inchino.
Ofelia sentì il cuore stringersi.
-Non siete voi che avete chiesto l'aiuto del dio del pozzo?-
-Un dio?-
-Beh, ho molti nomi... e non sono legato al pozzo... ma sono sempre in ascolto... per realizzare i desideri- allargò le labbra, i denti lampeggiarono. Il ghigno di un lupo. Un solo istante e il sorriso si ammorbidì. -Allora, cosa vorresti?-
Ofelia esitò. Qualcosa le sussurrava di andarsene. Di corsa. Non valeva la pena scendere a compromessi con quell'essere... qualsiasi cosa fosse. Le storie non glielo insegnavano? Mai fidarsi delle creature magiche. Le storie però insegnavano anche che non si può vivere con la disperazione addosso.
-Allora? Non ho tutto il giorno, cosa vorresti?-
-Vivere in una fiaba- le sembrava un desiderio così sciocco ora che lo formulava.
L'essere sorrise. -Ammetto di non aver mai ricevuto una richiesta simile, ma sì, posso accettarla- un lupo -avvicinati, dobbiamo suggellare il patto-
La gioia le diede le vertigini. Poi ricordò. Nelle fiabe c'era sempre qualcosa da pagare. -A quale prezzo?-
-Oh, ma che fanciulla diffidente, perché ci dovrebbe esserci un prezzo?- piegò di lato la testa, interrogativo.
-Non c'è sempre?-
Il giovane rise. Una risata che aveva il suono del fruscio degli alberi in autunno. -D'accordo... tu mi stai simpatica... quando ti stuferai della tua fiaba mi dovrai dare le tue emozioni-
-Le mie emozioni?- cosa intendeva?
-Sì, così vivrò attraverso te, mi sembra un buon prezzo, non credi?-
Ofelia aggrottò la fronte. -Solo quando mi sarò stufata?-
-E proprio perché sei tu, voglio aiutarti... se troverai il vero amore, non mi dovrai nemmeno questo, che dici? Affare fatto?-
Non poteva essere reale. Era un accordo troppo buono. Come poteva non trovare il vero amore se nelle fiabe lo trovavano tutti?
-Scegli subito, non ho tempo da perdere-
Ofelia scelse, la disperazione l'artigliò. Si spinse avanti. Lui le afferrò il polso, l'attirò a sé, la baciò. Lei traballò, le ginocchia molli. Non era mai stata baciata. Era una cosa che aveva sognato mille volte a occhi aperti, ma l'atto era qualcosa di così strano per lei, che, beh, non aveva mai trovato qualcuno di adatto. Si abbandonò, mille sensazioni che le risalivano lungo il corpo.
Era stranamente piacevole come la lingua le scivolava tra le labbra. Quasi fosse nata per questo. Le dava un senso di caldo languore.
Fu l'uomo a interrompere il bacio. La lasciò e Ofelia si trovò a barcollare, le labbra in fiamme e uno strano bruciore in mezzo alla schiena. Le sentì uscire. Una sensazione che non riusciva a definire. Solo più tardi, specchiandosi in un torrente, avrebbe scoperto che erano ali rosse come il sangue. Qualcosa le attraversò la gola. Spine.
-Resterai così fino al bacio di vero amore- sorrise l'essere, l'ombra che gli scivolava sul viso.
-Così?- Ofelia non capiva, ma sentiva un peso sulle spalle, la pelle le faceva male, lo stomaco le doleva.
-Come sei- e l'essere scomparve.
Una maledizione. Ecco cosa gli aveva lanciato quel mostro. Dopotutto nelle fiabe le maledizioni ci sono. Avrebbe dovuto essere più precisa. La pioggia le picchiettava dovunque. Si trascinò, le lacrime che si mischiavano con quella. La nausea le raschiava lo stomaco. Non poteva tornare a casa. I suoi genitori non l'avrebbero mai accettata, non così. Non con quelle ali enormi, non con quella pelle tanto trasparente da far vedere le linee blu delle vene, non con quegli occhi obliqui. Andò nel bosco, alla ricerca di un rifugio. Fu inutile. Non c'era nessun posto dove trovare riposo, così decise di costruirselo.
Afferrò dei rami, delle foglie, cercò di coprirsi, l'acqua gelida però le scivolava comunque addosso. Divenne ghiaccio.
Se Kores fosse tornato a richiedere il pagamento quella prima notte, Ofelia avrebbe ceduto. La disperazione era tale da farla agonizzare. Il mattino seguente però spuntò il sole. E come si può essere infelici con il sole che illumina ogni cosa?
Ofelia fece ordine nei suoi pensieri, lasciando che i raggi l'asciugassero. Aveva perso quasi tutto. Però aveva le ali. E poi la sua pelle cominciò a bruciare, a creparsi, a diventare scura. Lanciò un grido e corse a nascondersi. Fu così che scoprì che troppa luce del sole le avrebbe fatto male.
La fame invece l'aggredì nel pomeriggio. No, non era fame, era una sensazione più simile alla sete, ma l'acqua del ruscello non riusciva a calmarla. Mangiò una mela. Vomitò. Che le stava succedendo? Lo capì quando vide un uomo a terra, il sangue che gli usciva da una ferita alla testa. Il desiderio la guidò. Si chinò, si avventò, bevve. L'orrore la colse solo dopo. Sangue. Avrebbe bevuto sangue?
Pianse. Le lacrime non fecero altro che consumarla ancora di più. Forse se Kores fosse giunto subito lei avrebbe ceduto.
Kores però non giunse. Fu questo il suo errore. Fece germogliare in lei qualcosa. Una pianticella. Cosa c'era di peggio che sapere di essere maledetta? L'unica cosa bella del toccare il fondo è che più in giù non si può proprio andare. Questo pensiero la rassicurò. Poteva vincere.
Si concentrò sul trovare un rifugio vero. Percorse il bosco di notte. Ne approfittò per ammirare le stelle. Bevve il sangue degli animali per sostenersi.
Alla fine trovò quello che cercava. Una casetta abbandonata. Aveva il tetto rotto, pezzi di vetri intorno, l'erba alta. Sorrise. Quella sarebbe stata casa sua. La pulì, la sistemò, l'aggiustò. Ricominciò a vivere, se quella si poteva definire vita.
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